Passaparola
Un po’ di memoria storica sul lavoro in Italia – soprattutto su quello femminile.
Un po’ di memoria storica sul lavoro in Italia – soprattutto su quello femminile.
Alcuni giorni fa è apparso un articolo su Linkiesta riguardo il tasso di occupazione dei cittadini stranieri rispetto al tasso di occupazione dei cittadini italiani. L’articolo riportava erroneamente che il tasso di occupazione dei cittadini stranieri era un 6,9% più elevato di quello dei cittadini italiani, insinuando poi una serie di spiegazioni riconducibili all’arretratezza del sistema economico italiano. L’interpretazione dei dati è sbagliata per un paio di ragioni: una riguarda la definizione di tasso di occupazione (rispetto al tasso di attività), e l’altra riguarda l’inversione di questa presunta relazione una volta che i dati vengono disaggregati (paradosso di Simpson).
Pre-pensionare o sotto-occupare gli anziani serve a far trovare lavoro ai giovani? Una delle tante favole vetero-sindacaliste che molti amano raccontare al popolo direbbe di sì. Questa linea di pensiero sembra essere fatta propria dal governo Letta, che propone una “staffetta intergenerazionale” che incentivi minore occupazione degli anziani in cambio di maggiore occupazione giovanile. Le cose non stanno così. Tito Boeri e Vincenzo Galasso su lavoce.info hanno provato a smentire la tesi delle virtù benefiche della ”staffetta” mostrando che non esiste correlazione fra occupazione adulta e disoccupazione giovanile fra diversi stati. La questione è stata oggetto di dibattito fra il segretario FIOM Landini e il nostro Michele anche ieri ad Otto e Mezzo. In questo post aggiungo ulteriori elementi di analisi guardando alla correlazione tra tasso di occupazione dei giovani e degli anziani.
Una lezioncina di politica economica dalla Turchia.
La proposta è la seguente: permettiamo a tutti (uomini e donne) di utilizzare nel futuro le detrazioni fiscali per lavoro dipendente che non vengono utilizzate negli anni in cui non si lavora. La proposta si applica in modo non discriminatorio a tutti i contribuenti, ma c’è ragione di pensare che sarebbe particolarmente efficace per stimolare l’occupazione femminile.
Il post di Lodovico Pizzati sulla Polonia ha generato un’interessante discussione. In uno degli scambi un (giovane?) lettore ha sostenuto che la liberalizzazione polacca del mercato del lavoro in Italia c’è già. Dissento. Ne approfitto per gettare alle ortiche alcuni miti che girano per il paese e fanno solo danno.
Liberalizziamo il mercato del lavoro come hanno fatto i polacchi.
Anche se abbiamo postato già due articoli sulle cosidette ”gabbie salariali”, mi sono convinto che una esposizione elementare del problema possa essere utile a molti. Vedo infatti un sacco di confusione sul tema, per cui qualche chiarimento risulta opportuno.
Ho deciso di fare quindi un ”Ex Kathedra” nel senso stretto della parola, praticamente una lezione da primo corso di economia. I lettori che masticano bene di economia politica (parecchi in questo sito) possono tranquillamente saltare questo post, che non dice nulla di particolarmente nuovo. Gli altri, se hanno voglia di sorbirsi una lezione un po’ pedante, sono invece invitati a continuare. In particolare in questo post cercherò di spiegare:
1. Perché nel breve periodo l’unica opzione per intervenire rapidamente in favore dell’occupazione è permettere un aggiustamento del salario al Sud verso il basso.
2. Perché la differenziazione territoriale dei salari non è cosa particolarmente favorevole per il Nord.
3. Perché il diverso costo della vita tra Nord e Sud è irrilevante.
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