Il tabù dell'antisemitismo discrimina gli arabi? Una tesi ed un commento per discutere

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La tesi è di Paolo Di Muccio che si chiede, riflettendo sul caso Charlie Hebdo ed altri eventi simili, se non sia venuto il tempo, per l'Europa, di fare a meno del "tabù" (legale) dell'antisemitismo. ne'elam prende in considerazione la tesi di Paolo e la discute, trovando argomenti a favore e contro sia nella discussione odierna sia in quella antica, riassunta attraverso alcuni passaggi del "Libro".

 

La tesi di Paolo di Muccio

Nel 2008 il disegnatore Maurice Sinet (detto Siné) venne cacciato dalla rivista satirica Charlie Hebdo a causa di una battuta in cui insinuava che Jean Sarkozy, figlio di Nicolas, potesse convertirsi alla religione ebraica per farsi strada nella vita. I Sarkozy protestarono pubblicamente e gran parte dell'establishment intellettuale francese, di destra come di sinistra, accusò Charlie Hebdo di antisemitismo. Il direttore della rivista, Philippe Val, licenziò Siné dichiarando che la battuta "poteva essere interpretata come un collegamento tra la conversione al giudaismo e il successo sociale, e non era né accettabile né difendibile in tribunale" e che "il limite (alla libertà di espressione sulla rivista) è dato da un documento che vieta in particolare qualsiasi esternazione razzista e antisemita".

Se da un lato Charlie Hebdo ha sempre pubblicato battute feroci contro tutte le religioni, anche quella ebraica, dall'altro non ha mai osato giocare col fuoco dei cliché antisemiti, inammissibili nell'Europa post-Shoah. Proprio a sottolineare questo stato di cose, in occasione del recente arresto del controverso comico antiebraico Dieudonné, il premier francese Manuel Valls ha dichiarato che "l'antisemitismo, il razzismo e il negazionismo non sono ammessi in Francia". E infatti nessuno oserebbe mai raffigurare pubblicamente gli ebrei con il naso adunco a contare avidamente dei soldi: ciò configurerebbe chiaramente il reato di "istigazione all'odio nazionale, razziale o religioso". Pubblicare invece una vignetta con lo Spirito Santo che sodomizza Cristo, come ha fatto proprio Charlie Hebdo nel 2012, non rientra in tale fattispecie. I francesi distinguono tra i due casi perché nel primo riconoscono il disprezzo verso una popolazione, mentre nel secondo al massimo vedono lo svilimento di figure religiose, ma non di chi le venera.

Eppure, a ben leggere il recente catalogo delle condanne per antisemitismo e quello delle mancate condanne per islamofobia, si può riconoscere un certo squilibrio nella giurisprudenza francese. Dieudonné, ad esempio, nel 2007 venne giudicato colpevole di aver diffamato la comunità ebraica per aver affermato, durante un viaggio in Algeria, che "la lobby sionista coltiva il monopolio della sofferenza" e "sfrutta il ricordo della Shoah" facendone "pornografia memoriale". A ben guardare si trattò però di una semplice opinione politica, ancorché detestabile. Per contro nel 2002 venne riconosciuta come legittima l'affermazione che "l'Islam è la religione più stupida di tutte", fatta dallo scrittore  Michel Houellebecq. Ma in che cosa può consistere la presunta stupidità della religione musulmana se non nel praticarla? La ministra della giustizia francese, Christiane Taubirà, ha pochi giorni fa sottolineato con grande solennità che in Francia si può disegnare tutto, persino un profeta. Eppure la battuta che è costata un arresto a Dieudonné dopo l'attentato in Francia ("Io mi sento Charlie Coulibaly") appare sì spregevole, ma anche del tutto legittima: essa esprime una lacerazione d'animo, una vicinanza emotiva ad un terrorista forse, ma da quando è diventato illegale in Francia fare affermazioni sul proprio stato d'animo?

Nel mondo, le reazioni all'arresto di Dieudonné sono state le più disparate. Leggendo ad esempio i commenti alla notizia sulla pagina americana dello Huffington Post, si poteva notare sorpresa da un lato e derisione per le contraddizioni francesi dall'altro. I siti di notizie dei paesi arabi e musulmani si sono mostrati invece sgomenti o indignati. Sul Facebook francese decine di migliaia di utenti hanno aggiunto la scritta "Je suis Dieudonné" alla propria foto personale e hanno chiesto pubblicamente una libertà d'espressione senza discriminazioni, il che è un segnale allarmante dello scontro che potrebbe esplodere in Francia qualora gli arabi continuassero a sentirsi come dei cittadini di serie B.

Il nocciolo del problema è che la religione musulmana è tratto essenziale dell'identità della stragrande maggioranza degli immigrati arabi in Francia e quindi deridere essa è, in una certa misura, deridere tutti loro. Si ricordi a tale proposito che l'identità degli ebrei è invece ormai da tempo distinta dalla religione ebraica, tanto che Israele si definisce uno stato ebraico laico.

In Francia, così come in quasi tutta Europa, siamo abituati fin da piccoli a porre particolare attenzione a come trattiamo e parliamo degli ebrei. Ciò ha chiare ragioni storiche: dopo i terribili crimini commessi da noi europei durante la seconda guerra mondiale, abbiamo il dovere morale di combattere l'antisemitismo. Anzi, a dir la verità, l'antisemitismo pubblico è per noi un vero e proprio tabù, molto sentito in generale sia in Francia che in Italia (dai due paesi vennero deportati verso i campi di sterminio decine di migliaia di ebrei).

Probabilmente qualche lettore starà già storcendo il naso, pronto a darmi dell'antisemita solo perché ho parlato apertamente del tabù dell'antisemitismo: se si parla di un tabù lo si indebolisce, il che è chiaramente parte del tabù. Fino ad oggi in realtà ho sempre pensato anche io che fosse sacrosanto. Sono convinto però che sia arrivato il momento di metterlo in discussione chiedendo se debba valere anche per gli immigrati arabi.

La risposta, secondo me, è no: non è giusto che l'Europa imponga il proprio tabù anche agli immigrati arabi, perché gli arabi con la Shoah non hanno nulla a che vedere, né storicamente né culturalmente. E non si può neanche pensare che l'Europa debba avere maggior riguardo per gli ebrei indipendentemente dalla Shoah: l'ostilità verso le minoranze arabe non è mai stata, nella storia, inferiore a quella verso le minoranze ebraiche.

 E non crediate ai soliti estremisti quando vi dicono (a proposito di diffamazione di popoli) che i palestinesi durante la seconda guerra mondiale erano nazisti. Non è vero, anzi in molti addirittura si arruolarono con l'Inghilterra. L'unica importante personalità palestinese che collaborò coi nazisti fu il criminale di guerra al-Hussein, Gran Muftì di Gerusalemme in esilio. E si ricordi che tutto il mondo arabo era ancora prevalentemente sotto il controllo di Francia e Inghilterra. Se è vero che alcuni arabi, una minoranza, si schierarono a favore della Germania nazista, fu quasi esclusivamente per liberarsi dell'oppressione coloniale, visto che Hitler considerava gli arabi di razza inferiore (essendo anche essi semiti).

Quando ho espresso questa tesi sulla mia bacheca di Facebook, alcune persone hanno obiettato sia giusto che gli immigrati arabi si integrino, adeguandosi alla nostra cultura, e quindi anche ai nostri tabù. Ho due controargomentazioni. La prima è che in realtà stiamo parlando per la gran parte di figli e nipoti di immigrati, cittadini europei a tutti gli effetti, e stranieri nelle loro terre d'origine. Parlare nel loro caso di integrazione o adeguamento vuol dire precisamente considerarli cittadini di serie B. La seconda argomentazione è di carattere psicologico. Benché sia vero che le colpe non si tramandano di padre in figlio, abbiamo tutti provato orrore nel pensare che in generale i nostri padri e nonni sono stati parte di un regime criminale (pochissimi furono in percentuale i dissidenti). Siamo per questo ben felici di poter espiare in minima parte quella terribile colpa, nonché di poter dimostrare al mondo intero che non faremo mai più gli stessi errori. Tutto questo non può però valere per gli immigrati arabi e i loro discendenti, né è giusto che siano loro a farne le spese.

Tra le tante controverse sentenze che riguardano Dieudonné, gli è stato intimato di tagliare da un suo video su YouTube la seguente dichiarazione: "Sono contro la violenza e non sono antisemita... io non debbo decidere tra ebrei e nazisti, in questa vicenda sono neutrale, non sono nato nel 1900... dunque non so cosa sia successo... ho la mia piccola idea, ma comunque... ". Ora ditemi, in tutta onestà, è giusto da un lato permettere qualunque insulto all'Islam e dall'altro vietare le provocatorie allusioni revisioniste di un comico? E questo stato di cose, secondo voi, allevia o aggrava il conflitto strisciante in Francia tra la comunità araba e quella ebraica?

La Francia e l'Europa intera saranno presto costrette a decidere se uscire o meno dal dopo-Shoah, facendo cadere il tabù dell'antisemitismo e trattando alla pari arabi ed ebrei. La decisione è certamente tragica perché qualunque scelta faremo, sbaglieremo: se rinunciamo al tabù dell'antisemitismo faremo un torto agli ebrei; se lo manterremo faremo un torto agli arabi. Ma in un mondo realmente moderno e laico, la libertà di espressione deve valere per tutti o per nessuno. I reati di opinione oggigiorno andrebbero probabilmente aboliti, ma se proprio li vogliamo mantenere, essi devono valere per tutti. Quando si iniziano a fare dei distinguo si finisce sempre per essere più indulgenti con le fazioni amiche, e si comincia a sentire lo sgradevole odore dell'ipocrisia.

 

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Il commento di ne'elam

La tesi di Paolo è sostanzialmente una. Qualunque scelta si adotti per "decidere se uscire o meno dal tabù dell’antisemitismo, e trattando alla pari arabi ed ebrei", si fa un torto. Sempre usando le sue parole, "se rinunciamo al tabù dell'antisemitismo faremo un torto agli ebrei; se lo manterremo faremo un torto agli arabi". Se si vuole concretamente dare senso alla nozione di libertà di espressione, una delle maggiori conquiste delle società moderne e laiche, i reati di opinione vanno cancellati dall’ordinamento. Se a questa libertà si pongono dei limiti, essi devono valere per tutti allo stesso modo, senza discriminazioni. Sulla questione del tabù dell’antisemitismo tornerò dopo.

 

Paolo inizia il suo argomento utilizzando due esempi, a suo modo di vedere paradigmatici, tratti dall'esperienza francese. Il primo, sul quale si dilunga meno, riguarda un ex-collaboratore di Charlie Hebdo, Siné, licenziato perché aveva ironizzato sul figlio di Sarkosi che voleva farsi ebreo per mettere le mani sui soldi di una ricca ereditiera. Sulla questione dell'antisemitismo Siné aveva già chiarito il suo pensiero in una intervista radio di qualche anno prima

 

Je suis antisémite depuis qu’Israël bombarde. Je suis antisémite et je n’ai plus peur de l’avouer. Je vais faire dorénavant des croix gammées sur tous les murs... Rue des Rosiers, contre Rosenberg-Goldenberg, je suis pour... On en a plein le cul. Je veux que chaque Juif vive dans la peur, sauf s’il est pro-palestinien... Qu’ils meurent ! Ils me font chier... Ça fait deux mille ans qu’ils nous font chier... ces enfoirés... Il faut les euthanasier... Soi-disant les Juifs qui ont un folklore à la con, à la Chagall de merde... Y a qu’une race au monde... Tu sais que ça se reproduit entre eux, les Juifs... C’est quand même fou... Ce sont des cons congénitaux.

 

Successivamente si scusò per questa sua intemperanza, sostenendo che quando lo avevano intervistato non era propriamente sobrio.
Il licenziato vide riconosciute le sue ragioni dal tribunale e l'editore del settimanale lo
indennizzò per essere stato messo alla porta. La sua libertà di esprimere pubblicamente il proprio antisemitismo venne deprecata da molti ma non venne minimamente messa in discussione dalla magistratura. Come esempio di doppio metro a sfavore di chi si esprime da antisemita non solo non funziona, semmai prova esattamente il contrario.

Il secondo esempio riguarda Dieudonné M'Bala MBala.
Dieudonné, per chi non lo sapesse, è un comico francese che nei suoi spettacoli fa dell'antisemitismo il suo cavallo di battaglia. Secondo Paolo, le idee del comico detestabili ma pur sempre opinioni, le condanne che ha subito sono la prova di questo doppio metro.
Che in entrambi i casi si tratti di antisemitismo è fuori discussione. Sostenere il contrario - ma non è questo quello che sostiene Paolo - significa insultare l'intelligenza di chi ha letto l'intervista di Siné o visto, anche solo di sfuggita, gli spettacoli di Dieudonné. Valga per tutti il suo rincrescimento per la chiusura delle camere a gas che ha impedito di far fuori tutti gli ebrei francesi.

 

 

Sul punto faccio totalmente mie le considerazioni di Seth Mandel e James Tobin sulla rivista Commentary.
Il primo osserva

 

He’s been “convicted” [Dieudonné ndr.] time and again for his racism and anti-Semitism. Dieudonné’s hateful act should be shunned, but not by punished by the government. Yet as Dieudonné’s popularity has increased, so has the French government’s authoritarian response–one that should be anathema to a free society

 

Dello stesso tenore le osservazioni del secondo, qualche mese dopo

 

efforts to restrict free speech in this manner — even the sort of hateful, Holocaust-denying speech practiced by Dieudonné — are bound to backfire and this is exactly what has happened in France. Dieudonné’s audience hasn’t just increased as a result of rulings banning his performances and fining him for Holocaust denial have enabled him to bridge the vast gap between Muslim immigrants and right-wing French nationalists who share their hatred for Jews. This is bad news for France and Europe. But the problem here goes deeper than the way the measures employed by government authorities and Jewish groups to punish Dieudonné have predictably boomeranged on them and turned him into a counter-cultural hero. This depressing spectacle can be represented as something new in which social media and the Internet have provided a forum for disgruntled people looking for a spokesman for their desire to use the Jews as a convenient scapegoat for their troubles. But Dieudonné is merely the latest outbreak of the same old European sickness that produced the very Holocaust that the comedian has tried to deny.

 

Commentary è il mensile espressione della parte più conservatrice dell'ebraismo americano e questo spiega il crudo giudizio sull'Europa.
Il loro punto - che io condivido e credo anche Paolo sia del medesimo avviso - è che non si cura il problema dell'antisemitismo con la messa al bando dei Dieudonné. Condannandoli si offrono argomenti ai loro sostenitori per presentarli alla pubblica opinione come vittime dell'odiosa macchina repressiva orchestrata dalla lobby ebraica. Questa è la declinazione particolare del caso in questione; l’argomento contro l’intervento di giudici e governi in faccende del genere, è assolutamente generale.

Dopo i terribili eventi parigini di Charlie Hebdo la sensibilità a favore della libertà d'opinione, anche nella sue forme più crude e discutibili, si è andata rafforzando, almeno in Francia. Una cosa è la satira, anche volgare e di cattivo gusto come quella del comico francese, altra cosa sono i reati veri e propri, intendo quelli diversi dai reati di opinione.

Quindi, alla fin fine, perché trattare differentemente Charlie Hebdo da Dieudonné?
Su questo sono totalmente d'accordo con Paolo. I reati di espressione e di opinione, per quanto sgradevoli o addirittura esecrabili possano apparire agli occhi di chicchessia, vanno eliminati dall'ordinamento legale. La libertà di esprimere le proprie opinioni, per quanto detestabli, deve valere per tutti, senza eccezioni. Dieudonné compreso.

Tuttavia si tratta realmente di opinioni?

Sartre, nel suo Réflexions sur la question juive, ci mette in guardia

 

Mi rifiuto di chiamare opinione una dottrina che prende di mira espressamente persone determinate, che tende a sopprimere i loro diritti e a sterminarle

 

L’argomento usato da Sartre va ben oltre l’antisemitismo

 

...l’ebreo è qui solo un pretesto: altrove ci si servirà del negro, o del giallo. La sua esistenza permette semplicemente all’antisemita di soffocare sul nascere ogni angoscia persuadendosi che il suo posto è stato da sempre segnato nel mondo, che lo attende e che egli ha, per tradizione, il diritto d’occuparlo. L’antisemitismo, in una parola, è la paura di fronte alla condizione umana. L’antisemita è l’uomo che vuole essere roccia spietata, un torrente furioso, fulmine devastatore: tutto fuorché un uomo.

 

Sulla questione del tabù dell'antisemitismo sarei propenso a credere a Tom Lehrer (grazie a Enzo Michelangeli per la citazione) ed ho idee diverse da quelle di Paolo. Ha perfettamente ragione quando sostiene che non devono essere loro a subire le conseguenze di una questione della quale non portano responsabilità. Imporre loro questa sensibilità europea che trae origine dal senso di colpa per la Shoah, non ha ragion d'essere. Nelle parole di Paolo

 

Tutto questo non può valere per gli immigrati arabi e i loro discendenti ne è giusto che siano loro a farne le spese.

 

Tuttavia che vi sia un serio problema di antisemitismo diffuso presso i giovani musulmani in Europa è fin troppo evidente. Ammetto che dopo il caso Halimi è difficile convincermi del contrario. Le analisi recenti mostrano che i giovani musulmani in Europa sono significativamente più antisemiti (più del doppio) dei non musulmani.

 

Many young Muslims in Europe exhibit antisemitic attitudes; some resort to violence. While polls reveal that only a minority of European Muslims endorse antisemitic views, they also show that the level of antisemitism is significantly higher among Muslims than among non-Muslims. Our survey of young male Muslims from Berlin, Paris, and London provides some insights into sources and reasoning about negative views of Jews among young Muslims. The genesis of antisemitic views cannot be reduced to a single factor. Ethnic or religious identity and interpretations of Islam are significant for some. In this sense, use of the term Muslim antisemitism is apt and meaningful. Others relate their hostility toward Jews to their hatred of the State of Israel. Many use classic antisemitic attitudes that are also widespread in mainstream European society. However, negative views of Jews have become the norm in some young Muslim social circles so that they do not feel the need to justify them. This facilitates radical forms of antisemitism and antisemitic violence.

 

Le preoccupazioni di Paolo sulla questione della discriminazione sono serie e comprensibili. Io trovo risposta nel capitolo 25 del Deuteronomio [versione italiana di E. Toaff]

 

 

13 Non avrai nella tua tasca due pesi diversi, uno grande e uno piccolo,

14 né terrai in casa due misure diverse, una grande e una piccola.

15 Avrai un peso regolare e giusto ed una misura regolare e giusta.

 

Come al solito nel Libro le risposte alle domande di chi interroga prendonono strade imprevedibili. Due versetti dopo, infatti, il Libro ammonisce

 

17 Ricordati di ciò che ti fece ‘Amalec quando eri in viaggio, allorché uscisti dall'Egitto,

18 che ti assalì sulla strada e colpì tutti coloro che affranti erano rimasti indietro mentre tu eri stanco e sfinito ...

19... cancellerai il ricordo di ‘Amalec di sotto al cielo; non dimenticarlo!

 

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