Sindacato? No, thank you.

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Qualche giorno addietro io e, immagino, tutti i colleghi di New York University, abbiamo ricevuto un email che ci esortava ad iscriverci al sindacato dei docenti. Si chiama AAUP (American Association of University Professors). Passato lo spavento - temevo che gli Unni fossero già penetrati in fortezza - mi sono fatto coraggio e ho letto il messaggio.

Devo premettere che ad NYU, come nella maggiorparte delle università private degli Stati Uniti, il sindacato ha un seguito estremamente limitato tra il corpo docente. Per molti anni, a NYU e' stato addirittura assente. Ecco un passaggio dell'email:

More than ever, faculty need an organization to promote and safeguard our livelihoods and common professional identity. Yet the AAUP, the traditional guarantor of these principles, has seen its national membership decline significantly since the mid-1970s. Arguably, the biggest cause is the rise of careerism. Academics increasingly see themselves as entrepreneurial individuals, and are less inclined to view their colleagues as fellow professionals with shared interests and responsibilities.

In questo passaggio si leggono almeno due porcate. All'inizio, ci viene detto che "i docenti hanno bisogno di un organizzazione che protegga il nostro tenore di vita e la nostra identità professionale". Come e' risaputo, negli Stati Uniti le Università competono tra loro in praticamente tutte le dimensioni. Al fine di prevalere, o perlomeno prosperare, devono cercare di accaparrarsi i migliori ricercatori e i migliori docenti. Ne consegue che chi, tra docenti e ricercatori, fornisce buoni risultati, difficilmente verra' allontanato o trattato male. Per di più, se gli skills necessari in un determinato campo sono scarsi (relativamente alla domanda) e/o se gli stessi skills sono molto richiesti in altri settori produttivi, i ricercatori/docenti ivi impegnati riceveranno un eccellente trattamento economico. Chi, dunque, trarrebbe vantaggio dall'avvento del sindacato nelle università? Beh, e' semplice: coloro che per qualche ragione non hanno altrettanto successo, e coloro i cui skills si accumulano più facilmente e le cui conoscenze non hanno un utilizzo alternativo in altri settori. La conclusione' e' che il sindacato vorrebbe che questi ultimi fossero remunerati (in senso lato) meglio di quanto lo siano ora, a scapito, ovviamente, di coloro che sono meglio remunerati ora. La domanda e': come si giustifica una tale richiesta? Di sicuro, non si può parlare di copertura assicurativa. Per la gran parte del corpo docente, i livelli correnti di remunerazione erano facilmente prevedibili a inizio carriera. Si tratta di egualitarismo, se proprio non vogliamo utilizzare altre espressioni. E' ovvio che l'accoglimento di una tale istanza da parte di una singola università, la porterebbe alla rovina in breve tempo, in quanto non sarebbe più in grado di reclutare personale valido nei campi meglio remunerati. D'altro canto, se queste istanze di egualitarismo fossero accolte dal sistema, si giungerebbe ad un risultato molto simile allo status quo italiano. Una situazione caratterizzata, ad esempio, da eccedenze di personale in alcuni campi (le discipline umanistiche, per esempio) e a scarsità (non tanto di numero, ma di capacita') in altri (ingegneria, chimica, economia, ...).

Il paragrafo sopra riportato parla anche di carrierismo del personale universitario. Asserisce che "gli accademici considerano se' stessi come imprenditori e sono meno inclini a considerare i colleghi come professionisti con simili interessi e responsabilità". Bull. In italiano, cazzate. Gli estensori del messaggio chiaramente rifiutano la meritocrazia, con ogni probabilità perché sono frustrati dai loro insuccessi, perlomeno in senso relativo. Come e' il caso in ogni altro settore qui negli Stati Uniti, anche in quello accademico gli individui rispondono agli incentivi virtuosi a cui vengono sottoposti.

Un'altra conseguenza negativa che sortirebbe dalla sindacalizzazione dell'università e' l'ingerenza del sindacato stesso in questioni puramente accademiche, quali, ad esempio, la definizione dei contenuti dei corsi e degli obiettivi della ricerca, nonché l'assegnazione del personale, le promozioni, ... mi vengono i brividi solo a pensarci. Ad NYU, ne abbiamo avuto un assaggio gli anni scorsi, a causa di un incredibile errore di valutazione del rettore dell'università, il quale nel 2000 accetto' che gli studenti di dottorato fossero rappresentati da un sindacato. I risultati, come era facile prevedere, sono stati assolutamente deleteri. Cito solamente un esempio: durante una recitation section, che altro non e' se non una lezione di ripasso tenuta da uno studente di dottorato, il tutor accenno' a contenuti che il docente responsabile del corso non aveva trattato durante la lezione. Il sindacato protesto' dicendo che ciò non rientrava nella fattispecie contrattuale che legava il tutor all'università. Ci rendiamo conto?

Sommario. Gli accademici sono individui privilegiati, principalmente perché svolgono un lavoro che hanno liberamente scelto in un insieme molto vasto. Inoltre, al momento di intraprendere la carriera, la varianza condizionale della futura progressione salariale e' relativamente bassa, pertanto anche con mercati incompleti non c'e' una rilevante domanda inevasa di assicurazione. Infine, la ricerca di base che si svolge nelle università ha ovviamente un notevole valore per la societa' intera, pertanto e' fondamentale che l'assegnazione dei ricercatori alle funzioni sia efficiente. Il libero mercato accademico 1) garantisce che i ricercatori capaci non siano discriminati, eliminando completamente il bisogno di protezione sindacale e 2) in assenza di sindacato, permette l'efficiente allocazione delle risorse umane. Ovvio? May be.

Sindacato? No, thank you.

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Commenti

Ci sono 2 commenti

Gianluca, non pensi che il meccanismo della tenure costituisca una pesante distorsione all'interno del quadro idilliaco che hai descritto?

Sull'ultimo numero di "Science" ci sono diversi articoli interessanti sull'organizzazione della ricerca negli USA. Questo che linko mi sembra offra molti spunti di dibattito:

http://sciencecareers.sciencemag.org/career_development/previous_issues/articles/2007_06_01/caredit_a0700077/(parent)/68