Siamo in recessione. Colpa dei gialloverdi, vero? Si…anzi no

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Dunque ieri (31 gennaio) L’ISTAT ha certificato i vaticini dell’avvocato del popolo, il pregiatissimo professor primo ministro Conte, dichiarando che l’Italia è in “recessione tecnica”.

Per l’oscuro e sintetico linguaggio istituzionale, recessione tecnica significa che il prodotto interno lordo decresce per 2 trimestri consecutivi. Perché ne bastino due o viceversa non sia sufficiente 1 è questione che lasciamo volentieri ai conti Mascetti della politica e dell’economia; noi preferiamo badare al sodo. Badare al sodo in questo caso significa cercare di capire perché l’economia del Belpaese da almeno 3 decenni riesce a far peggio dei vicini a prescindere da rossobrunati, gialloverdi e affini.

Il grafico pubblicato sulla nota dell’Istat è questo  L’analisi, che comincia dal 2010, mette in evidenza come passata la grande crisi del 2011-2012 ci sia effettivamente stata una ripresa per 13 trimestri e un rallentamento (parossisiticamente evidenziato dal segno meno negli ultimi 2) nel 2018. Di fronte a questi dati è logico e umanamente comprensibile che l’opposizione parlamentare faccia il suo mestiere e indichi l’attuale governo come responsabile della catastrofe: “Colpa nostra per il PIL negativo? Cialtroni” (L.Marattin); “Con noi quattro anni e mezzo di crescita” (M.E.Boschi)“Di Maio ci dà la colpa del calo? Tragedia di un uomo ridicolo” (M. Renzi)“lo scaricabarile del governo è ridicolo” (P.Casini)“Italia in recessione risultato umiliante, governo dovrebbe dimettersi” (R. Brunetta)“recessione frutto del governo” (A.M. Bernini)“per uscire dalla recessione porre fine a questo governo di incapaci” (S.Berlusconi).   Ora, che la reazione di Di Maio, Salvini e Conte (e mettiamoci dentro pure il resto della corte dei miracoli gialloverde) sia ridicola e a tratti offensiva per l’intelligenza comune è fuor di dubbio.

Attaccare le cialtronate di questi signori è un dovere morale persino divertente. Figuriamoci se noi ci tiriamo indietro e abbiamo voglia di esentare il governo attuale dalle sue responsabilità. Ma ignorare che l’Italia è ferma da tempo e che questo governo è figlio naturale di scelte che hanno origine nella storia politica patria sarebbe intellettualmente disonesto. Se allarghiamo l’osservazione appena di un po’ (2000) possiamo notare che l’andamento del prodotto interno lordo ha sempre sofferto di sterilità. Detto altrimenti siamo sempre cresciuti poco durante i cicli espansivi e decresciuti prima e di più durante le fasi di contrazione.    Potremmo verificare lo stesso andamento prendendo un qualunque intervallo di tempo significativo.   

Durante gli anni dei governi Renzi/Gentiloni noi e altri commentatori abbiamo spesso usato l’espressione “rimbalzo del gatto morto”. L’economia italiana, bloccata dai suoi problemi di competitività atavica e strutturale, quando cresce lo fa per effetto trascinamento da fattori esogeni. Per anni si è detto che Renzi stava perdendo l’occasione di non fare riforme serie e approfittava solo del favorevole clima economico generato dalla crescita globale, dall’implementazione degli scambi commerciali, dalla discesa del prezzo delle materie prime, dai bassi tassi sull’indebitamento ecc. E’ bene che chi con noi allora lo diceva, oggi non se lo dimentichi.

Quando questi fattori hanno cominciato a venir meno (eccezion fatta per le commodities, ma quello è altro segnale evidenziato durante le chiacchierate) è crollato giù il palazzo. Sono le fondamenta del palazzo che sono deboli. Da anni. Nei grafici seguenti, elaborati da Thomas, si mette in evidenza il confronto con la Francia (ma otterremmo risultati analoghi in qualunque altra comparazione) sul contributo di valore aggiunto per settori. I grafici sono talmente chiari che non vale neanche la pena spiegarli. Diventa doveroso invece quando scoppia la polemica su dimensioni, capitalizzazione, tecnologia, utilizzo di mezzi propri e ricorso all’indebitamento del tessuto produttivo italiano.   

Le aziende italiane, piaccia o no, sono mediamente meno efficienti di quelle dei nostri partner europei e non solo. Il mito del Paese manifatturiero è fuorviante nella misura in cui lo si esalta (giustamente) per le poche eccellenze e lo si spinge alla protezione garantita dallo Stato per tutte le altre. Quali sono quindi le conclusioni di questa breve analisi? Che la recessione è strutturale e che all’interno di lunghi intervalli di osservazione si assiste ad un rimbalzo illusorio e fuorviante che viene preso a prestito dal politico di turno per non affrontare i problemi profondi del Paese.

Uno sciocco “tiriamo a campare tanto il peggio poi passa”. Salvo lamentarsi quando il peggio diventa licenziamenti e perdita di potere d’acquisto e al peggio bisogna rimediare con manovre correttive “lacrime e sangue”. Pentaleghisti e sciocchezzai al seguito non fanno altro che peggiorare la situazione. Non è poco ma non è neanche tutto.   Qui un editoriale scritto da Michele per Linkiesta sulle ipocrisie dello scaricabarile          

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