Si, viaggiare...

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Alcuni di libri di viaggio che ho letto.

 

C'è un film, piuttosto datato, il The nel Deserto (sulla cui colonna sonora si sono affrante decine di cinefili), che iniziava con una frase che diceva pressapoco così: "la differenza fra turisti e viaggiatori è che i primi pensano, mentre viaggiano, a quando torneranno a casa, i secondi potrebbero non tornarci proprio a casa". La frase deve essere così importante per catturare lo spirito del film, che scopro ora che è messa nel trailer dello stesso e rappresenta come l'epigrafe di un certo modo di intendere il viaggio e delle aspettative che esso genera, specie in coloro che vedono il viaggio, appunto, come una sorta di catarsi personale o di mezzo di elevazione spirituale.

Ebbene, nel leggere i libri di viaggio che intendo recensire mi pare che l'elemento di distinzione fra loro sia proprio il modo con il quale l'autore concepisce sé stesso e il viaggio che racconta. Da una parte abbiamo dunque i turisti che sono curiosi quanto basta per aver scelto di viaggiare e che, seppure interessati al posto che visiteranno, non pensano che il coronamento del viaggio possa essere una sorta di "Chi l'ha visto" generalizzato e che si muovono, più o meno consapevolmente, sulle rotte del turismo di massa e vogliono vedere "le cose che vedono tutti"; dall'altra parte ci sono invece i viaggiatori, che prima di partire leggono tomi ponderosi, macinano migliaia di chilometri per vedere un certo scorcio, una cripta che non conosce nessuno e via di questo passo. Ovviamente sto proponendo delle caricature spinte di tipi umani reali, ma il punto è che per far capire la differenza fra i libri che ho letto mi sembra che la distinzione abbia una certa utilità.

Cominciamo con i turisti che scrivono libri di viaggio. Il primo libro è: "In un paese bruciato dal sole. L'Australia"; e il secondo è: "Una passeggiata nei boschi". L'autore dei due testi, Bill Bryson è un tipo abbastanza spiritoso, che per quanto viaggi nei posti "di massa", si informa sui posti che deve vedere, non è del tutto massificato nei gusti circa i posti da visitare, anche se ammette che certi posti li vuole vedere perchè, "andare in Australia e non vedere Ayers Rock sarebbe da cretini". Nel primo libro descrive il suo viaggio in Australia appunto, e condisce la narrazione di aneddoti di storia locale, di scienze naturali nonché delle vere e proprie gag che non capisco come possano capitare solo a lui. Il tutto percorso da un filo di ironia o di sarcarsmo vero e proprio che rende il libro assolutamente da leggere...io ridevo da solo a leggerlo. La cosa sorprendente di Bryson è che praticamente ti infila un sacco di roba interessante che non conosci in maniera del tutto naturale, non senti praticamente mai lo stacco fra il momento descrittivo, tipico del libro turistico, al momento didascalico proprio della letteratura di viaggio.

L'altro libro di Bryson, racconta invece il tentativo, maldestro e malriuscito, di due amici del tutto fuori forma, panzoni e mezzo alcolizzati (anzi, uno alcolizzato del tutto) di percorrere il mitico Appalachian Trail, che si snoda per centinaia e centinaia di chilometri per diversi stati americani. Anche in questo libro, Bryson ci racconta cose incredibili, come la città della Virginia sgombrata da mane a sera per l'accensione di fuochi provocati dall'autocombustione dei giacimenti di carbone che bruciando hanno creato voragini improvvise nelle abitazioni e nelle strade... oltre alle solite notazioni di storia naturale, botanica e biologia che fanno comprendere come lo stesso autore abbia potuto scrivere un altro libro intitolato "Breve storia di (quasi) tutto". Con Bryson insomma leggiamo di un turista che vuole viaggiare e conoscere, ma cammina per chiilometri interi pensando a quando potrà finalmente fermarsi a bere chinotto e birra o a mangiare le sue adorate merendine che infila negli zaini ultra-scientifico-modaioli che compra all'inizio del libro. Da leggere la sua descrizione degli altri camminatori e della loro fichissima attrezzatura.

Tra i viaggiatori dobbiamo invece sicuramente annoverare l'autore di quest'altro libro: "Luoghi selvaggi. A piedi tra isole, vette, brughiere e foreste". Se i libri di Bryson anche nella rilegatura appaiano sobri, con copertine scherzose e irriverenti, Einaudi propone invece un packaging all'insegna della pesantezza: rilegatura rigida, copertina patinata, tramonti languidi e nebbie sfuggenti...non che non sia bella la foto di copertina per carità, ma se la forma ci vuol dire qualcosa, beh dopo una simile presentazione a scaffale abbiamo già capito cosa andremo a leggere. Un libro scritto in un italiano ostico, desueto, pieno di termini che non sono spiegati e che costringono a usare il dizionario; spiegazioni botaniche con pedanteria degna di miglior causa e un'insistenza fastidiosa sulla selvaticità e naturalità dei posti, che l'autore vuole cercare e vedere di persona costi quel che costi. Oltre alle immancabili tirate sulla "distruzione" della campagna inglese, come nel caso della rimozione delle vecchie recinzioni dei campi, rimosse per accrescere l'estensione dei fondi e la produttività dei terreni. Ma quello delle recinzioni è solo un esempio fra i tanti, visto che l'autore sembra difendere l'idea del paesaggio prima come intrinsecamente naturale e fonte di identità per chi lo abita anche se poi, con certa boriosità, si allunga in spiegazioni storiche del perché di certi mutamenti...e non si capisce perché il cambiamento del paesaggio debba limitarsi a quello che a lui piace o aggrada: se il paesaggio è identità di chi lo vive ci dovremmo aspettare che cambi al cambiare delle persone e delle loro esigenze, o no?

Un altro viaggiatore ci parla in "Marocco, romanzo". Il libro è assolutamente deludente. Innanzitutto ho notato  imbarazzanti leccate dell'autore all'attuale re del Marocco, descritto come il sovrano illuminato che aspira a creare la Svezia del Nord-Africa. Ma  la cosa più fastidiosa è che Ben Jelloun finisce per riconoscersi lui stesso, marocchino, nelle descrizioni che del suo paese hanno offerto i tanti scrittori e poeti occidentali che hanno deciso di vivere nel Marocco e non tornare più a casa loro (fra questi c'è anche l'autore del libro dal quale è tratto il film il The nel Deserto, Paul Bowles). E poi appare decisamente forzata l'idea di "catturare" l'anima del Marocco passandone in rassegna certi aspetti e pretendendo poi di ricavare da questi i tratti salienti dell'essere marocchino...per non parlare poi del solito vezzo di descrivere certi riti, in specie quelli religioso-curativi, con l'occhio benevolo e curioso tipico di chi sa bene di avere ben altri mezzi di cura ai quali rivolgersi, casomai il santone non fosse abbastanza efficace. Un ultima cosa del testo mi riguarda diciamo così personalmente, quando paragona il Rif, una zona impervia del Marocco ostaggio di produttori di droga e regno dell'illegalità, alla Sardegna, almeno nella conservazione delle tradizioni. E' una notazione di passaggio che mi fa però capire che gente come Ben Jelloun mi sa tanto che viaggia si materialmente, nel senso che si sposta da un posto all'altro, ma il viaggio che fa è tutto intellettuale visto che descrive i posti non per come sono effettivamente ma per come li vuole vedere lui.

Ed è per questo motivo che preferisco di gran lunga Bryson agli altri due.

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