Scelta TFR: fondi aperti o fondo chiuso/negoziale?

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Continuo la mia attività di consulente finanziario, ancora una volta sollecitato da richieste specifiche di amici. Non mi ci ritrovo molto in questo ruolo, ma visto che ho fatto l'investimento di tempo iniziale mi costa poco continuare, e non mi spiace farlo visto che arrivano al sito diverse visite di lavoratori che cercano consiglio. Sperando di fare cosa utile, questa volta assumo che il lavoratore abbia deciso di aderire ad un fondo e debba scegliere fra il fondo chiuso aziendale e uno dei tanti fondi cosiddetti aperti.

Innanzitutto, una premessa: molti consigliano cautela nella decisione

di abbandonare il TFR aziendale, per esempio sostenendo che

i vantaggi fiscali sono illusori, visto che le tasse possono sempre

aumentare in futuro. Così la pensano non solo esperti ipercauti

come il famoso Beppe Scienza, ma anche siti informativi indipendenti

che trovo per il resto abbastanza obiettivi come tuapensione.it.

Che le tasse possano aumentare è vero, occorre però vedere se le

tasse aumenteranno in misura maggiore per i fondi che per il TFR.

Inoltre, si noti che il parlamento è stato quasi unanime nell'intento

di incentivare la previdenza alternativa. Non credo dunque che gli

incentivi fiscali possano cambiare direzione in futuro. Ho documentato altrove che i vantaggi fiscali sono notevoli, soprattutto per i lavoratori più anziani, fatto di cui tutti tacciono. Prima di rinunciarvici dunque, meglio pensarci due volte.

 


Ma torniamo all'oggetto dell'articolo - la scelta amletica fra fondo chiuso e fondi aperti. Questione difficile. I fondi chiusi genericamente hanno costi di gestione inferiori, genericamente hanno una bassa componente azionaria, e sempre limitano la possibilità di scelta. Inoltre, l'adesione a un fondo chiuso comporta di solito un contributo aggiuntivo fornito dal datore di lavoro. Per esempio, nel contratto dei metalmeccanici

il datore di lavoro contribuisce l'1,2 percento dello stipendio lordo,

a fronte di un contributo uguale del lavoratore, e del versamento del

TFR, da effettuarsi obbligatoriamente nel fondo chiuso. Oltre ad avere limitate possibilità di scelta, se il lavoratore scoprisse un giorno che gli amministratori di

Cometa sono degli incapaci, e volesse trasferire le somme accumulate ad

fondo aperto, perderà il diritto a ricevere i contributi futuri da

parte del datore di lavoro. Insomma, per il metalmeccanico non c'è

scelta: o versa il TFR (6,91 % dello stipendio) e un contributo

individuale (0,55%) a Cometa, o non riceve nulla dal datore, ed il

proprio potenziale stipendio si riduce dell'1,2%. E non puo' nemmeno trasferire i fondi in seguito, pena l'interruzione delle contribuzioni del datore di lavoro.

 

 


Il metalmeccanico dovrebbe ritenersi fortunato. Il fondo chiuso di categoria, Cometa, gli da almeno la possibilità di scegliere fra quattro "comparti" chiamati Monetario plus, Sicurezza, Reddito, Crescita,

corrispondenti, rispettivamente, ad un contenuto massimo percentuale di

titoli azionari dello 0, 10, 30, 60. Si noti come il lavoratore

non abbia l'opzione di scegliere una

componente azionaria più aggressiva, come di solito si consiglia a chi è a 30 anni dalla pensione. [Piccola nota a latere: gli addetti ai

lavori noteranno che ai fondi sono stati dati nomi sbagliati, nel senso

che, nella prassi dei fondi americani, le parole income (reddito) e

growth (crescita) vengono riservate non a fondi con diversa componente

obbligazionaria, ma a fondi che investono in aziende che abitualmente

distribuiscono i profitti (fornendo reddito) piuttosto che reinvestendo

in azienda (fornendo crescita del valore del titolo). Spero questo non

sia un segnale della competenza dei gestori di questo fondo].


Altro esempio, FonTE, il fondo dei lavoratori nel settore dei servizi,

di cui parlo perché è il settore in cui lavora il mio amico. Per un

verso le cose stanno meglio, visto che il contributo del datore di

lavoro è dell'1,55 per cento a fronte di un versamento minimo dello

0,55 per cento da parte del lavoratore (e sempre con l'obbligo di

versarvi anche il TFR). FonTE però ha solo due comparti, garantito, e bilanciato, quest'ultimo

con una componente azionaria attorno al 20 percento del capitale. Il

mio amico si lamenta che il rendimento del fondo sia "uno dei più

bassi". E vorrei ben dire, difficile rendere tanto quando si investe

quasi tutto in obbligazioni. Mi chiede se non convenga a questo punto

rinunciare al contributo del datore pur di poter scegliere un fondo

più aggressivo fra quelli aperti. Un rapido calcolo con excel rivela

che il mio amico non ha poi tutti i torti (salvo quanto poi riporterò sotto nella conclusione). Riporto qui sotto i

risultati considerando ipoteticamente uno stipendio di 25 mila euro, e

rendimenti dei fondi chiuso e aperto rispettivamente del 3 e 7 percento.

Come si vede, il contributo del datore di 348,75 euro (all'1,55 per

cento va tolto il 10% da dare all'INPS come contributo di solidarietà)

si annulla nell'arco di 5 anni. Dopo 25 anni il capitale accumulato dal

fondo aperto è quasi il doppio. Chiaramente, le differenze si

amplificano aggiungendo le contribuzioni degli anni successivi al primo.


 





Montante del primo anno di contribuzione
 

 
Anno
 
Fondo chiusoFondo aperto
Stipendio lordo
 
25000
02213.751865
Contributo datore, 1.55% per lavoratori nei servizi  348.75
1
 
22801996
Rendimento fondo chiuso
 
1.03
223482135
Rendimento fondo aperto
 
1.07
324192285

 
424912445

 
525662616

 
 




25
 
43698841
 

 

 

 

Per il nostro lettore metalmeccanico di Sesto San Giovanni le cose

stanno in parte meglio, perché può scegliere un comparto con maggiore

componente azionaria, cosa consigliabile se l'età del pensionamento è

lontana. D'altra parte però il suo contratto prevede un contributo del

datore solamente dell'1,2 per cento, a fronte di un maggiore

investimento personale. Assumendo una differenza fra rendimenti dello 0.2% occorrono circa dieci anni perché la convenienza del fondo chiuso si estingua.

 

 

 

 

Ecco dunque alcuni consigli finali per il mio amico in procinto di scegliere:

 

  1. Non trarre valutazioni negative su un fondo chiuso in base alla scarsa performance; molto spesso si tratta di fondi molto conservativi. In genere, i fondi chiusi hanno costi di gestione notevolmente più bassi dei fondi aperti (ma vale la pena controllare e verificare questo nelle note informative dei fondi), quindi vale la pena di considerarli seriamente.
  2. La convenienza del fondo aperto sembra ovvia, se valgono le ipotesi effettuate nella tabella. Occorre tuttavia inquadrare l'investimento pensionistico nel contesto di tutti gli investimenti del lavoratore. Per esempio se il lavoratore già investe parte dei propri risparmi in titoli a reddito fisso e obbligazioni, significa che non è disposto ad accettare il rischio azionario per la totalità dei propri investimenti. Se così fosse, meglio sarebbe scegliere di investire nel fondo chiuso per ricevere così anche i contributi del datore di lavoro. Poi, è sempre possibile riprisitinare il desiderato livello di rendimento/rischio ribilanciando i propri risparmi non-pensionistici verso una maggiore componente azionaria.
  3. Rielaboro dal punto 2 nel caso non fosse chiaro: se esiste un contributo del datore di lavoro legato all'adesione al fondo chiuso, conviene investire sul fondo chiuso, a meno che i risparmi personali (quelli in eccesso alla quota che si tiene liquidabile per fronteggiare spese impreviste) siano tutti investiti in azioni. E a meno che non si pensi i gestori dei fondi chiusi siano cosi' incapaci da rendere conveniente la rinuncia al contributo del datore pur di evitare di avere a che fare con loro (si tenga conto anche del fatto che i costi di gestione dei fondi chiusi sono spesso molto inferiori dei costi dei fondi comuni reperibili sul mercato). Se parte dei risparmi personali e' investita in obbligazioni e titoli di stato, e' sempre possibile disinvestire da questi l'ammontare che il fondo chiuso "costringe" ad investire in obbligazioni e investirlo in un fondo azionario per ripristinare la desiderata composizione di portafoglio.
  4. Non so a quanto questo serva, ma occorrerebbe fare pressioni sul proprio datore di lavoro, specie se si tratta di piccola impresa, perché mantenga la contribuzione anche in caso di adesione ad un fondo aperto senza cedere al ricatto sindacale. Coinvolgere i sindacalisti non so quanto serva, visto che sono i diretti responsabili di queste clausole capestro che limitano le possibilità di scelta dei lavoratori, e con queste il loro benessere. Chi siano i beneficiari lo si veda nella composizione dei consigli di amministrazione e di controllo dei fondi chiusi.

Concludo con la solita avvertenza: le opinioni espresse in questo articolo sono solamente mie e non quelle del mio datore di lavoro

 

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Commenti

Ci sono 10 commenti

Alcune informazioni aggiuntive. In Italia i dipendenti del settore del credito hanno la possibilità di sottoscrivere fondi pensione aperti (gestiti dal proprio gruppo, ovviamente...) con il benefit di contribuzione da parte dell'azienda, che si situa intorno al 2-2.5 per cento della retribuzione lorda (incluse le voci variabili come il bonus). In molti casi, il dipendente può limitarsi a trasferire il proprio Tfr senza contribuire con parte del proprio lordo retributivo, e l'azienda versa comunque il benefit.

Sulla (impropria) denominazione data ai prodotti italiani rispetto alla prassi statunitense: è vero, concordo con la critica, ma specificherei che queste forme di ignoranza discernitiva non sono responsabilità dei gestori bensì dei maghetti del marketing, che nei prodotti finanziari hanno molto più potere di quanto non appaia all'esterno: spesso, tale potere giunge a condizionare la strutturazione di benchmark efficienti quanto potrebbe esserlo un ubriaco che cerca le chiavi di casa sotto il lampione più vicino. E non lo dico per difendere la casta dei gestori, che spesso in realtà si trovano a gestire prodotti del tutto irrazionali, e ne pagano le conseguenze in termini di immagine. Anche se di Van Basten in giro non ce n'è neppure nel risparmio gestito, ovviamente;

Riguardo l'aspetto fiscale della previdenza integrativa, Andrea scrive che "che il parlamento è stato quasi unanime nell'intento

di incentivare la previdenza alternativa", e quindi il timore di futuri trattamenti discriminanti a danno della previdenza integrativa non dovrebbe sussistere. Forse è così, ma non dimenticate quello che era scritto (sotto dettatura della sinistra radicale) nel programma dell'Unione, a pagina 171, sulle prestazioni previdenziali integrative:

 

va rivista anche la tassazione delle prestazioni che è, senza motivo, molto più vantaggiosa del trattamento riservato alla pensione pubblica e accentua il carattere di regressività dell’impianto, già condizionato dal vantaggio prodotto dalla maggiore aliquota marginale dei redditi più alti sulla deducibilità della contribuzione in somma fissa;

 

Poi, è vero che anche l'aumento di tassazione del risparmio è stato accantonato dalla maggioranza, che ne aveva esaltato per mesi il valore salvifico. Credo che, in caso di rallentamento congiunturale e relativa flessione di gettito fiscale, torneremo a sentir parlare del "valore etico" della maggiore tassazione del risparmio...

Concordo con il punto 4 delle raccomandazioni: individuare chi sta frenando lo sviluppo della competizione nei prodotti di previdenza alternativa è piuttosto agevole. Diciamo che si tratta di una convergenza di interessi tra chi è interessato a mantenere vischiosità alla migrazione dei clienti verso prodotti migliori.

 

 

 

Un piccolo appunto sulla convenienza fiscale. Il programma dell'Unione e' un fatto, non posso criticarti su questo, ma non vorrei che il nostro lettore che giunge da Google fosse ulteriormente allarmato, e proprio da te! Il mio intento era di cercare di prevedere in modo ragionevole come verranno tassati in futuro questi contributi, e trovo la gli inviti generalizzati alla cautela basati su questo eccessivi. Da quanto posso interpretare dalla tua citazione, capisco che se l'ultrasinistra andra' al governo togliera' o ridurra' la deducibilita' dei contributi. Benissimo,  meglio allora affrettarsi a contribuire piu' che si puo' finche' c'e' la detraibilita'. Si disinvestano i propri risparmi per contribuire quest'anno il massimo dei 5100 e passa detraibili! Poi, quando toglieranno la deducibilita', si smetta di contribuire.


Si parla anche di alzare ed uniformare la tassazione sui rendimenti, ma questo evento e' neutrale sulla scelta su quanto investire nella previdenza alternativa, e persino sulla scelta della destinazione del TFR. I rendimenti del TFR sono tassati oggi nella stessa misura in cui sono tassati i rendimenti dei fondi (11 per cento). Si parla di alzare tutto al 20 per cento. Qual e' la probabilita' che i rendimenti dei fondi verranno tassati in misura maggiore del TFR, o in misura maggiore sui rendimenti da capitale? Direi molto vicina allo zero.


In sintesi, condivido il tuo astio nei confronti di un programma di governo miope, per non dire di peggio, ma vorrei invitare ad un po' di realismo. Anche se quanto scritto venisse realizzato, rimane la convenienza -per ora- di investire nei fondi, fino al limite della deducibilita'. Poi un altro appunto: ricordiamoci che le convenienze fiscali della previdenza alternativa costituiscono un risparmio forzato; di questo ha parlato alberto recentemente. Togliere questi incentivi ci avvicina al first best.

 

 

Inoltre, si noti che il parlamento è stato quasi unanime nell'intento

di incentivare la previdenza alternativa. Non credo dunque che gli

incentivi fiscali possano cambiare direzione in futuro.

 

Mah, su questo non saprei. Essendo un vecchio cinico, penso che la ragione principale per cui le forze politiche ora cercano di incentivare la previdenza alternativa non e' certo il bene dei lavoratori, ma il desiderio di scrollarsi di dosso almeno in parte le gigantesche liabilities di un sistema PAYE con "defined benefits" e sempre meno nuovi pagatori di contributi. La politica fiscale futura dipendera' unicamente da quel che sara' loro piu' conveniente all'epoca: in particolare, da cio' che permettera' loro di reperire altri fondi da destinare alla spesa per comprarsi voti.

 

E aridaje con gli inviti all'allarmismo. Mi spieghi come quanto dici implichi che non si debba usufruire degli incentivi fiscali che esistono -adesso-? L'incertezza sulla fiscalita' futura vale sia sui contributi investiti, sia su quelli lasciati in azienda col TFR, e per quanto mi riguarda e' neutrale. O indicate un'ipotesi concreta e realistica che spieghi come cambiamenti fiscali futuri (come l'annullamento della detraibilita') rendano sconveniente lo sfruttamento dei vantaggi fiscali odierni, oppure lasciate perdere.

 

newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp

 

Mi sto scervellando per cercare di capire se sia piu' patetico o criminale... qualcuno ha mai sentito questa storia dei "fondi falliti all'estero"? Di che fondi sta parlando? L'unica cosa che ho trovato e' questa, come sospettavo, un riferimento a fondi aziendali che poco hanno a che vedere con i fondi comuni oggetto della previdenza alternativa in Italia   

 

Un dubbio "di fondo" mi turba: chi effettuera' materialmente la gestione del patrimonio dei diversi fondi negoziali? Dei gestori professionali, che magari gia' gestiscono dei loro fondi aperti? Oppure de(gl)i (ex-)sindacalisti?

In generale, quando si valuta un fondo (a gestione attiva) la figura del gestore non dovrebbe essere secondaria. O non dovrebbe esserlo, anche se mi rendo conto che in Italia (in altri Paesi non so) le curve di performance dei fondi sono tipicamente appiattite sul bemchmark di riferimento, ovviamente meno l'altissimo costo - ovviamente fisso - di gestione.

Oppure si puo' assumere che, per profili prevalentemente "obbligazionari" come quelli che tipicamente caratterizzano i fondi chiusi, il contributo attivo del gestore sia trascurabile? Ma allora basterebbe una economicissima gestione passiva (ETF).... Non serve anche un certo uso di derivati per cercare di guadagnare/contenere le perdite anche in caso di mercati discendenti? Per queste scelte non serve un gestore umano?     

In estrema sintesi, anche se i rendimenti passati non sono indicazioni per il futuro, i fondi aperti sono soggetti a rating (= performance passate, comunque) e se uno volesse magari potrebbe anche seguire i CV dei gestori riportati su Morninstar. Dei fondi chiusi invece non si sa quasi nulla: gestori, performance passate (quel poco che si vede dei pochi anni passati, non entusiasma), NAV giornaliero, ... 

FYI, personalmente devo fari i conti con TELEMACO (telecomunicazioni), e, sebbene mi consideri abbastanza attento in materia di investimenti in questo momento sinceramente non saprei dire chi ne gestsce il patrimonio. Ho invece un vago ricordo (o sogno?) che in COMETA (metalmeccanici) ci fosse un meccanismo multigestore, ossia per ogni linea di investimento, il 50% e' attribuito a un gestore (SIM) e l'altro 50% ad un altro gestore, scelti periodicamente su base gara fra quelli gia' operanti sul mercato del risparmio gestito (italiano o estero non saprei dire).

Mi piacerebbe sentire un vostro commento su questo aspetto: la gestione finanziaria attiva dei fondi chiusi.

Cordialmente

--Paolo

P.S.

se all'industria del risparmio gestito italiano sono applicabili le critiche del prof. Beppe Scienza, come non ritenere che gli stessi difetti si porteranno naturalmente anche sui fondi chiusi? 

 

 

In aggiunta, leggo oggi che i consigli di amministrazione dei fondi chiusi sono composti paritariamente da sindacati e dalle aziende del settore cui il fondo si riferisce. Questo non portera' naturalmente il fondo a guardare con un'attenzione particolare alle azioni delle aziende medesime, qualora quotate?