Un Salto Nel Buio

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Dalla rivoluzione americana a Napolitano.

Non so se esiste una versione italiana di "A leap in the dark" scritto dallo storico statunitense John Ferling. E' un libro uscito nel 2003, e racconta la storia della rivoluzione americana, non come una sucessione di date ed eventi, ma indagando sulla personalità dei protagonisti e ciò che li spingeva. Lo consiglio vivamente per diverse ragioni. Non ultima che Ferling è un grande scrittore.

La parte che mi ha incuriosito sin dal primo capitolo è che c'erano due generazioni di rivoluzionari americani. La prima generazione risale ad una ventina di anni prima del 1776, e si può dividere in due gruppi.

Da una parte c'era Ben Franklin, al quale non passava neanche per l'anticamera della testa il concetto di indipendenza americana dalla madre patria, l'impero britannico. Intanto lui (come molti della sua generazione) si sentiva inglese, e poi gli pareva inconcepibile ottenere con la forza un'indipendenza dalla superpotenza del tempo. Franklin però era un accanito autonomista. Fu tra gli organizzatori del Congresso di Albany nel 1754, dove i rappresentanti delle varie colonie chiedevano alla corona più autonomia per gestire più rapidamente affari importanti (soprattutto per organizzare e finanziare battaglie contro indiani e/o francesi nei contestati territori dell'Ohio). Le risposte da Londra sono state sempre negative. L'Inghilterra non ha mai concesso un piffero. Eppure Franklin è stato contrario all'indipendenza fino a pressapoco un paio d'anni prima della dichiarazione del 1776; viveva addirittura a Londra.

L'altro tipo di patriota di prima generazione era Samuel Adams e la sua combriccola di Boston. Lui era l'indipendentista duro e puro. Era indipendentista già quando l'indipendenza era veramente un'impresa da Don Chisciotte. Predicava addirittura l'indipendenza del Massachussetts mentre suo cugino avvocato, John Adams (secondo presidente degli USA), non lo prendeva minimamente sul serio e difendeva i soldati inglesi incriminati del Boston Massacre.

E' veramente avvincente leggere come lo spirito indipendentista americano aumentò come una valanga. Con la seconda generazione capitanata da Thomas Jefferson, George Washington, e un folgorato John Adams, l'indipendenza non era più una barzelletta, ma pur sempre un desiderio di una piccola minoranza di americani. Ai primi congressi tra rappresentanti delle varie colonie, l'idea venne bocciata sonoramente. E' interessante leggere la contrarietà di alcune colonie tipo New York e South Carolina basate su chiare motivazioni commerciali. L'agricoltura degli stati del sud vedeva come sbocco solo la rete commerciale della Gran Bretagna, e lo stesso si può dire per gli interessi navali e finanziari dei newyorkesi. E queste erano le opinioni dei rappresentanti di assemblee popolari per ogni colonia. I governatori a Boston, Filadelfia, New York, ecc... erano nominati dal Re, e la fedeltà alla corona di tutte le cariche governative e militari non era minimamente in discussione.

Inutile raccontarvi il susseguirsi degli eventi, ma credo sia una lettura molto curiosa per diversi paralleli che preferisco tralasciare per non dilungarmi troppo. L'ultimo parallelo però riguarda la scelta del titolo del libro. Ferling spiega che è stato preso da un tema scritto da un suddito della Pennsylvania contrario all'indipendenza, e pubblicato nel 1776. Separarsi dalla madre patria, avverte nel suo tema, sarebbe come fare "a leap in the dark (un salto nel buio)".

Dopo aver letto la dichiarazione di ieri di Giorgio Napolitano, non ho resistito a proporvi la lettura di questo splendido libro di John Ferling.

 

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