Sabbie e mare

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Se pensate che questo post sia la solita tirata del misantropo esofobico contro le spiagge affollate dell'azzurro mare di luglio, non è così. Non ho nessuna intenzione di parlare delle spiagge strapiene; dei palestrati-sbalestrati-depilati che passeggiano sulla battigia guardandosi attorno manco fosse una sfilata; né mi interessa maledire i vicini di ombrelloni che fumano e che spengono le loro maledette cicche nella spiaggia, dove le troverò d'inverno, quando il mare ci rivomiterà addosso quello che ci abbiamo buttato dentro tutto il resto dell'anno; e neanche parlerò delle teglie di alluminio con le lasagne mangiate sotto l'ombrellone con il sole a picco a 40° o dei termos di pasta (fredda) rappresa o delle borse frigo; non indugerò sulle cosce di certe donnone, smodate e crivellate di cellulite; né sui pattini che camminano fuori dalla corsia a loro dedicata; delle barche che non rispettano i limiti di distanza dai bagnanti; né delle moto d'acqua che si muovono pericolosamente tra la gente; né dei ragazzini che giocano a calcio nella riva assiepata o che con le loro racchette generano, ogni anno, sempre gli stessi litigi. No, questa volta parlo d'altro.

Il punto di congiunzione fra la sabbia e il mare è un viaggiatore inglese del secolo scorso Wilfred Thesiger, un etoniano che, come diceva lui a mo' di presentazione, “non aveva mai fatto un solo giorno di lavoro in vita sua”. Le vicende riguardanti la sabbia le racconta in un libro epico, Sabbie Arabe. Il mare invece, mischiato all'acqua dolce dei grandi fiumi irakeni, Tigri ed Eufrate, domina nel libro Quando gli Arabi vivevano nelle paludi.

Il protagonista è sempre Thesiger che riesce con le motivazioni più originali a farsi retribuire per avere il privilegio di poter visitare zone che nessun occidentale (ma ovviamente la cosa è controversa) prima di allora aveva visitato e per avere l'occasione di condividere la cultura di persone che lui, ricco aristocratico inglese, ammirava a dismisura: la fierezza, l'orgoglio, la capacità di resistenza e adattamento a climi e ad ambienti ostili.

Sabbie Arabe racconta la vicenda delle spedizioni che a più riprese Thesiger organizza nel famigerato e temibile Grande Vuoto (Empty Quarter in inglese, e Rub'al Khali in arabo), il deserto sabbioso più grande del mondo, a tutt'oggi in alcune parti inesplorato: una distesa di sabbia più grande dell'intera Francia, con piste e tracce confuse dal costante modificarsi delle dune ad opera del vento. Nel 1945 riesce a farsi assegnare ad un organismo internazionale di studio sulle migrazioni delle cavallette e con quel pretesto ha la possibilità di essere mantenuto in Arabia e di essere tollerato dai governanti locali, che ovviamente guardavano con fastidio a questo inglese che era interessato a escursioni sospette in regioni remote e pericolose; tanto più che, oltre che il potere centrale bisognava “contrattare” la propria presenza anche con i capi tribù delle zone attraversate. Thesiger compie la traversata con enormi difficolte, che lui descrive insieme con la sua ammirazione e gratitudine per quei beduini che lo aiutano a orientarsi, cercare i pozzi e ad affrontare tutte quelle traversie che senza l'esperienza dei suoi bedu, come li chiamava lui, non sarebbe mai stato in grado di superare. E' il racconto della testardaggine di un bianco, che si invaghisce dell'immagine che lui e la gente con la sua cultura si sono fatti delle popolazioni arabe di allora e fa realmente di tutto per farsi accettare da quelle, ritendendo che i loro standard di coraggio e orgoglio fossero insuperati e insuperabili.

Nell'altro libro, i protagonisti sono ancora gli arabi. Ma non i beduini nomadi della penisola arabica, ma la popolazione stanziale dei Madan, di confessione musulmana sciita. Stiamo parlando di quelle genti che alcuni identificano con le popolazioni sumere, abitanti appunto nelle regioni meridionali dell'Irak. Se in Sabbie Arabe colpiva la durezza e il rigore che era imposto ai beduini dall'asprezza del clima e dalle condizioni proibitive del deserto, in questo libro Thesiger racconta un mondo idilliaco e struggente, che non a caso è stato identificato con l'Eden biblico. Una estensione di canne e acqua dove le case sono costruite ammassando fascine di canne stese nei punti più alti del delta dei due fiumi; un'abbondanza di cibo, fornito da pesci e carne di cinghiale, alle cui battute di caccia partecipa anche Thesiger. A tramonti spettacolari e ad una calma placida e languida, almeno per un inglese che fosse arrivato in queste regioni dall'Europa post-bellica, si accompagnavano però condizioni sanitarie spaventose, alle quali pur non essendo medico, lo stesso Thesiger cercava di porre rimedio con le sue rudimentali conoscenze mediche ... finendo per diventare addirittura una sorta di esperto per le circoncisioni, che praticherà di villaggio in villaggio.

In entrambi i libri vibra lo scrittore “orientalista” che cerca ogni volta degli altrove sempre più distanti e sempre più “altri”, e una volta fagocitato dai miti e dalle credenze che lui stesso ha creato nella sua immaginazione. Una volta assimilatosi pienamente all'esperienza così tanto cercata e vagheggiata, abbandona l'agognata meta, diprezzando la trasformazione dell'oggetto del suo desiderio e il venir meno di quei tratti che rendevano un certo posto e la sua gente così interessanti e unici ai suoi occhi. Questo meccanismo, tipico di certi viaggiatori, che sembrano andare lontano per trovare alla fine solamente loro stessi e la loro incostanza, egli lo palesa quando accusa i bedu arabi di essersi imborghesiti e sedentarizzati; o quando “incolpa” i Madan per cercare una vità più agiata di quella così romantica che lui aveva sì sperimentato, ma il cui prezzo, al contrario dei Madan “veri” che non potevano uscire da quell'incantesimo che lui celebra nelle pagine del suo libro, non aveva mai pagato totalmente.

PS: con la guerra Iran-Iraq degli anni '80, le paludi, abitate da arabi sciiti, sostenitori dell'Iran contro la “loro” nazione, l'Irak sunnita di Saddam Hussein, sono state oggetto di un tentativo, peraltro parzialmente riuscito, di totale prosciugamento. Nell'euforia seguita alla liberazione dal dittatore baffuto hanno preso piede progetti assai ambiziosi di ri-inondazione delle terre, uno dei quali con il promettente titolo di Eden Again. Per tutti gli sciiti, e in particolare per l'Iran oltre che naturalmente per lo stesso Irak, il ripristino delle paludi è un fatto simbolico di enorme portata, tanto che l'Ayatollah Al Sistani, al solito, ha lanciato una fatwa contro chi attenti alla vita delle paludi ... anche una rivista italiana ha parlato del progetto di recupero totale delle paludi. Ma a riportare tutti con i piedi per terra ci ha pensato il solito The Economist, che ha lanciato la sua fatwa, con una analisi costi-benefici, ricordando giustamente che sarebbe assurdo riportare i Madan a condizioni di vita che sono oggi indifendibili ... senza contare i costi per l'attuazione del progetto: secondo l'Economist sarebbe meglio recuperare solo una parte delle paludi originarie.

PPS: solo per i veri nerds, un altro libro sulla cultura dei Madan.

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