Quando il potere rivela: gli anni di Lyndon Johnson

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"Il potere corrompe, il potere assoluto corrompe in modo assoluto" dice una famoso aforisma di Lord Acton. "Il potere logora... chi non ce l'ha" è la massima che riportava uno a noi più vicino. "Il potere rivela" è invece, in tre parole, la tesi che Robert A. Caro avanza in “The Years of Lyndon Johnson”, la stupenda biografia in quattro volumi del XXXVI presidente americano, noto con l’acronimo LBJ.

Il lettore si chiederà se vale la pena leggersi le quasi 3000 pagine (o ascoltare 150 ore di audiolibro) della biografia di un presidente poco conosciuto in Italia, ma tutto sommato poco riverito anche negli USA. Io ci ho messo due anni, (in cui ho fatto e letto altre cose, non preoccupatevi!) ma ne è valsa decisamente la pena: chiunque sia interessato all’intersezione di almeno due fra gli elementi dell’insieme {Storia, Politica, Stati Uniti} dovrebbe farlo. Non ne esiste una traduzione italiana: poco male, è una perfetta occasione per esercitare il proprio inglese. 

L’opera può essere apprezzata attraverso diversi piani narrativi, essendo, al contempo, (1) un lungo ma scorrevole racconto da parte di un autore con una straordinaria abilità espositiva, (2) un riassunto di mezzo secolo di storia americana tra il new deal e la guerra del Vietnam, passando per le battaglie sui diritti civili degli anni `60; (3) un’analisi della personalità e psicologia di un individuo complesso e controverso (il presidente dei diritti civili e del welfare state, ma anche dell’espansione della guerra in Vietnam), e infine (4), un’analisi del potere: come si acquisisce, come si mantiene, come si usa. Nelle sue interviste Robert Caro non fa mistero che quest'ultimo, non quello di raccontare una biografia, è lo scopo principale della serie. 

L’autore iniziò la sua attività di ricerca sulla vita di LBJ a 41 anni, nel 1976, trasferendosi per tre anni in Texas, nella città natale dell’ex presidente, morto tre anni prima a soli 65 anni. Questo gli rese possibile intervistare amici, compagni di scuola, parenti, e la vedova, nei luoghi formativi del suo soggetto. Robert Caro aveva pubblicato da poco l’unica altra sua opera (se si esclude Working, una recente collezione di articoli e interviste), frutto di sette anni di ricerche, The Power Broker, altra biografia di dimensioni immodeste (più di 1000 pagine) che gli valse il primo di due premi Pulitzer. Parla della vita e carriera di Robert Moses, un burocrate newyorkese che per 44 anni, occupando posti chiave dell’amministrazione edilizia della metropoli, fu responsabile della pianificazione ed costruzione di praticamente tutte le sue autostrade, ponti, parchi, etc… In questo libro ad interessare l’autore era parimenti capire la natura del potere, in questo caso non di origine elettiva, ma non meno influente, se rapportato alle dimensioni locali in cui lo esercitava. 

Dal 1976 sino ad oggi Robert Caro si è occupato solo di Lyndon Johnson sviluppando progressivamente un’opera inizialmente prevista in tre volumi, ora diventati cinque. Il primo libro della serie, uscito nel 1982, si intitola “The Path to Power”. Percorre la vita di Lyndon Johnson, nato nel 1908 in una poverissima zona rurale del Texas, dalle origini fino alla sconfitta alle elezioni del Senato nel 1941, passando per l’elezione a giovane rappresentante del partito democratico alla camera nel 1937; il secondo volume, “Means of Ascent” (1990), continua il racconto fino all’elezione al Senato nel 1948; il terzo, “Master of the Senate” (2002) descrive l’ascesa di LBJ alla leadership del Senato e si conclude con la sua elezione alla vicepresidenza degli Stati Uniti nel 1960, nel ticket con John F. Kennedy. Il quarto volume, “The Passage of Power” (2012), si conclude nei mesi immediatamente successivi all’ascesa alla presidenza, dopo l’assassinio di Kennedy nel Novembre 1963. Dei quattro libri finora pubblicati, solo un decimo dello spazio è dedicato al periodo della presidenza. Il quinto volume, in corso di preparazione, dovrebbe concludere l’opera. Johnson vinse le presidenziali del 1964, ma scelse di non ricandidarsi quattro anni dopo, e morì prematuramente nel 1973. In un’intervista di un paio d’anni fa, a 84 anni, Caro sostenne la necessità, per completare le sue ricerche, di recarsi in Vietnam (paese che LBJ non ha mai visitato) per documentare la narrazione degli eventi del conflitto. Proposito rimandato a causa della pandemia. 

Per apprezzare le capacità narrative dell’autore, ma anche per farsi un’idea iniziale di Lyndon Johnson, suggerisco di leggere la quindicina di pagine che introducono il primo volume, gratuitamente disponibili nella preview di Amazon. Raccontano di un Lyndon Johnson che nel 1940 riceve da un suo sostenitore, un investitore e petroliere texano, la possibilità di acquisire la partecipazione alla proprietà di alcune imprese, per garantire al giovane deputato la tranquillità finanziaria che lo stipendio da parlamentare non gli avrebbe mai permesso. La proposta era di acquisire tali partecipazioni ad un credito agevolato, che il parlamentare avrebbe ripagato con i profitti sicuri da esse derivanti. Non era un eccesso di generosità, quello dell’imprenditore: Lyndon Johnson aveva usato, e avrebbe continuato ad usare, la propria influenza politica per procurargli appalti milionari. Dopo averci pensato qualche giorno, Johnson rifiutò l'offerta, perché sarebbe stato politicamente rischioso accettarla: "I can’t be an oil man. If the public knew I had oil interests, it would kill me politically", disse ad un suo consigliere, che, allibito, si chiese “in che senso, politically?”. Il distretto texano di LBJ era politicamente al sicuro, lì non avrebbe mai perso; e certamente essere un “oil man” non avrebbe causato problemi ad una eventuale campagna senatoriale in Texas. Capì subito a quale carica politica ambiva l’ambizioso trentaduenne.

Diventare ricco era uno degli obiettivi di Lyndon Johnson, che aveva sofferto la povertà durante tutta la giovinezza. Il padre aveva perso tutto quel che aveva dopo aver acquisito ad un prezzo troppo alto la fattoria di famiglia, situata in una zona diventata infertile. Il ricordo di quel periodo della sua vita avrebbe poi motivato interesse ed empatia per i poveri e le minoranze, che si sarebbero poi tradotti in iniziative legislative, ma che furono, come il bisogno di arricchirsi, sempre secondari alle sue ambizioni politiche. Lyndon Johnson divenne ricco, ma con mezzi ancora meno trasparenti di quelli proposti dal finanziatore. 

Il racconto, anche se estremamente minuzioso e dettagliato, non è mai noioso. L'opera contiene decine di "libri all'interno di libri", piccole biografie di personaggi della politica americana di quel tempo: deputati, senatori, lobbisti con ruoli chiave nell'ascesa di LBJ; racconti memorabili delle vicende di persone influenzate dalle sue politiche. Il piacere della lettura di questi dettagli è anche scoprire quanto siano necessari alla comprensione della personalità e delle capacità di LBJ, e all'analisi del suo potere. 

L’attenzione ai dettagli spiega la mole imponente dell’opera. Riporto un paio di esempi per cercare di convincervi della loro necessità. Nel primo volume decine di pagine vengono spese per raccontare il finanziamento e la costruzione di una diga, e l’elettrificazione di alcune zone rurali del Texas orientale. Servono ad a farci apprezzare le capacità e la spregiudicatezza politiche di Johnson, che riuscì a convincere Roosevelt (normalmente inavvicinabile da un junior congressman) a far approvare queste iniziative, superando innumerevoli ostacoli burocratici, e arricchendo con contratti milionari imprenditori texani che gli furono poi sempre riconoscenti. Un intero capitolo, intitolato “The sad irons” (I tristi ferri da stiro), viene dedicato alla descrizione delle condizioni di vita nelle fattorie pre-elettrificazione, per farci apprezzare gli effetti trasformativi sulla vita delle persone delle iniziative legislative di cui Johnson fu responsabile.   

Ulteriore esempio delle dimensioni del progetto sono le 100 pagine che descrivono, all’ilnizio del terzo volume, la storia del Senato (contengono persino una piccola storia del Senate Office Building!). Impariamo che per i primi 150 anni della sua esistenza questa istituzione non aveva un vero leader (oggigiorno invece, il leader della maggioranza ha un ruolo cruciale). Il potere era invece distribuito fra i presidenti delle commissioni. Si poteva ascendere a tale carica solo in base agli anni di servizio (la seniority rule), quindi per avere più potere era necessario entrare subito in una commissione importante. Veti incrociati da parte dei presidenti di commissione ingessavano l'istituzione rendendo quasi impossibile l’avanzamento di proposte legislative (per esempio lì si impaludò nel 1920 l’adesione degli USA alla Lega delle Nazioni, fortemente voluta da Wilson). Lyndon Johnson seppe in pochissimo tempo trasformare per sempre il senato diventandone, ancora piuttosto giovane, il suo “Master”, riuscendo anche a rompere il tabù precedentemente inviolato della seniority rule. Lo fece attraverso un uso spregiudicato di capacità persuasiva, adulazione dei suoi superiori, e non raramente, clientelismo e corruzione. Non esitò a rovinare carriere e reputazione di persone integerrime che intralciavano le sue ambizioni politiche, nel libro trovate parecchi sordidi dettagli quindi non vi rovino la lettura.

Robert Caro pone particolare attenzione non solo alla descrizione degli eventi, ma anche e soprattutto alla personalità di Lyndon Johnson. Lo fa riportando alcuni suoi manierismi, come l’abitudine, nel cercare di convincere i colleghi, al contatto fisico. Entrava fisicamente nello spazio personale dei suoi interlocutori mettendo una mano attorno alla loro spalla e tirando con l’altra il bavero della loro giacca. Abitudini odiate da molti - ai lettori italiani questo puo’ sembrare strano ma in molti paesi del mondo, fra questi gli USA, entrare nello spazio fisico personale dell’altro, fosse anche un amico, viene considerato molto maleducato, aggressivo infatti - che ad esse non potevano opporsi per non rischiare ripercussioni. Trattava malissimo i suoi subordinati, non solo i suoi collaboratori e dipendenti ma un po’ tutti: era solito pretendere orari di lavoro assurdi, insultare per errori banali, o farsi accompagnare in bagno per la dettatura di lettere seduto al W.C.. Trattava con supponenza anche i politici meno anziani e persino la moglie, “Lady Bird” compagna di tutta la vita, maltrattata verbalmente in presenza di estranei e tradita con varie amanti. 

Al contempo, sapeva farsi piacere da chi voleva (venne definito un “professional son”, un figlio di professione), soprattutto, inizialmente, i politici più influenti di lui. Era uno spaccone, un grande intrattenitore e narratore di storie spesso semi-inventate. Raccontava imprese eroiche avvenute durante la seconda guerra mondiale, durante la quale servì nella Navy da imboscato (al contrario di Kennedy, che invece compì atti di vero eroismo rischiando la propria vita per salvare i suoi soldati). Politicamente aveva la capacità di acquisire e sfruttare opportunità concesse da posizioni precedentemente ignorate da tutti. Per esempio, sin da studente universitario, dopo essersi procurato un lavoretto presso il presidente dell’ateneo, acquisì attraverso questo contatto un ruolo chiave per distribuire gli scarsi posti di lavoro che l’università aveva a disposizione per gli studenti, lavori necessari a sostenere gli studi nel piccolo college rurale che frequentava (il periodo era quello della Depressione). Da giovanissimo deputato ottenne la direzione dell’ufficio del partito democratico che contribuiva alle campagne elettorali dei candidati. Nessuno degli altri deputati voleva quel posto, considerato poco utile perché distribuiva pochissimi fondi. Johnson invece lo usò per smistare fondi che riceveva dai suoi sostenitori texani a deputati di tutta la nazione, che gli sarebbero stati poi riconoscenti in altri modi. Ma lo usò anche per negare fondi essenziali a chi non lo sosteneva nelle sue cause. Robert Caro se ne accorse perché da una certa data in poi le lettere scritte dai colleghi a LBJ cambiarono improvvisamente di tono, assumendo un atteggiamento ossequioso e riverente. Iniziò ad investigarne il motivo, e trovò le prove dei trasferimenti di fondi. 

Dal punto di vista storico, due sono le principali rivelazioni dell’opera. Una è il capovolgimento dell’immagine romantica da “american dream” di un Lyndon Johnson sollevatosi dalla povertà dell’infanzia attraverso lavoro, intelligenza e dedizione. L’immagine era stata diffusa dai precedenti biografi, che non avevano investigato a sufficienza gli anni formativi di LBJ. Nei tre anni vissuti in Texas, Caro scoprì che, se quegli elementi furono certamente presenti nella giovinezza di Johnson, furono necessari anche furbizia, inganni e sotterfugi. Ai compagni universitari questo era stranoto, tanto che venne soprannominato “Bull Johnson”, Johnson il contaballe. L’aneddoto era documentato persino negli yearbook scolastici (i libri con le foto degli studenti, con in calce i commenti tranchant di chi li redigeva), ma quelle pagine erano state strappate dalle copie reperibili presso le biblioteche. Robert Caro, incuriosito del fatto, riuscì a recuperare da una compagna di classe una rara copia intatta. 

La seconda importante rivelazione storica dell’opera è la dimostrazione che l’elezione di LBJ al senato del 1948 avvenne attraverso l’acquisto sistematico di voti dell’elettorato ispanico e la corruzione di alcuni giudici elettorali. Più precisamente, questo avvenne durante le elezioni primarie, le uniche rilevanti per le elezioni in Texas di quel periodo, che come tutto il Sud era saldamente in mano ai Southern Democrats. La narrazione della campagna elettorale, delle elezioni (vinte per 87 voti su quasi un milione), e delle vicende giudiziarie del ricorso da parte dell’altro candidato occupano più di un terzo del secondo volume e costituiscono a mio parere la miglior narrazione di tutta l’opera. La vicenda si concluse con un’archiviazione da parte della corte suprema per motivi di giurisdizione. Robert Caro racconta queste vicende con un ritmo da romanzo giallo, pieno di rivelazioni, suspence, e colpi di scena. Il materiale non mancava: la sospensione della causa avvenne a pochi minuti dall’arrivo in tribunale degli scatoloni con le prove della frode. La frode elettorale in quel periodo in Texas forse non era un evento raro: Johnson perse l’elezione al senato nel 1941 perché aveva frodato meno dell'altro candidato. Commise l’errore di rivelare troppo presto alla stampa di quanti voti aveva vinto, fornendo quindi al concorrente un’informazione chiave: il numero di voti da “trovare” entro le ore successive! 

Altro episodio memorabile, raccontato nel terzo volume con simili tecniche narrative, è quello del passaggio del Civil Rights Act del 1957.  Pochi conoscono questa legge perché passò solo grazie a compromessi che la resero inefficace e dimenticata. Tuttavia, la sua approvazione fu strumentale a dimostrare, per la prima volta, che era possibile sconfiggere i veti dei senatori razzisti del sud. Johnson, che a questo gruppo apparteneva, riuscì a farlo da leader del Senato con una impareggiabile capacità di trovare compromessi, di convincere promettendo favori e minacciando ritorsioni verso chi non sosteneva la sua linea. Il suo interesse per il passaggio della legge - qualsiasi fosse il suo contenuto - era quello di ingraziarsi i senatori progressisti del nord per una futura nomina alle presidenziali. Dopo la guerra civile nessun candidato del Sud era mai stato eletto alla presidenza. Al tempo stesso non poteva dimostrarsi troppo antirazzista: gli sarebbe costato il supporto del Sud, necessario ad acquisire i voti necessari al congresso e alle elezioni. 

Lyndon Johnson, probabilmente anche per il suo passato, non era d’animo razzista, ma coi colleghi del Sud non poteva permettersi di rivelarlo: nel suo primo discorso al senato nel 1949, per esempio, difese il diritto all’ostruzionismo che in quel frangente veniva praticato dai senatori del Sud per bloccare l’approvazione di una legge federale contro il linciaggio dei neri, piaga sociale del periodo (Il filibustering può essere bloccato solo da una maggioranza di 60 voti, e rende ancora oggi quasi impossibile qualsiasi riforma sostanziale). A parole anche i razzisti più beceri deploravano i linciaggi, ma per bloccare l’iniziativa legislativa sostenevano che fosse importante sostenere il principio dell’indipendenza degli stati dall’ingerenza del governo federale negli “stili di vita” locali. 

Eppure, negli anni dell’università, per necessità finanziarie dovette interrompere gli studi per un anno. Lo fece per insegnare in una scuola del sud del Texas, dove si adoperò per aiutare i giovani di lingua messicana, anche fuori dell’orario di lavoro, organizzando gite e attività sportive nei weekend, aiutando persino i bidelli ad imparare l’inglese. Ma nella sua carriera parlamentare, sino al 1957, non votò mai a favore di alcuna riforma progressista favorevole alle minoranze etniche, sostenendo sempre posizioni razziste. Quando le sue idee si scontravano con le sue ambizioni, erano le idee a passare in secondo piano. 

Se la necessità di trovare dei compromessi rese inefficace il Civil Rights Act del 1957, non fu inefficace quello approvato nel 1964, a pochi mesi dall’insediamento di LBJ alla presidenza. Il passaggio di questa legge trasformativa della politica e cultura statunitensi viene raccontato nella seconda metà del quarto volume (la prima metà racconta di un Lyndon Johnson che da potente senatore, diventa un inefficace vicepresidente ignorato da tutti, persino schernito dall’entourage dei Kennedy, che per stile e cultura appartenevano ad un mondo lontano anni luce da quello del texano). Queste pagine mi hanno convinto che Kennedy non sarebbe mai riuscito a far passare questa legge, non possedendo l’astuzia e la conoscenza minuziosa delle procedure parlamentari di Johnson, né la spregiudicatezza nel procurarsi l’appoggio dei senatori indecisi. I senatori del sud si sentirono traditi dal loro collega. Fu li’ che iniziò l’esodo dei Southern Democrats, che controllavano gli stati del Sud, verso il Partito Repubblicano. 

Successivamente, da presidente, Lyndon Johnson dichiarò propagandisticamente la “War on Poverty”, che, per quanto velleitaria (tanto quanto molte altre successive “guerre” presidenziali, la “War on Drugs”, la “War on Terrorism”, per non parlare di alcune campagne militari vere e proprie), produsse leggi che cambiarono culturalmente ed economicamente il paese attraverso l’istituzione o il sostanziale potenziamento di varie forme di assistenza economica e sanitaria (Head start, Food stamps, Medicare, Medicaid, e molte altre), e di supporto per le minoranze (come le politiche di Affirmative Action). Contribuì, come noto, all’espansione del coinvolgimento militare in Vietnam iniziato da Kennedy, macchiando di chiaroscuri la sua presidenza tanto quanto il resto della sua carriera. Ma per il racconto di queste iniziative dovremo aspettare il quinto volume.

Umanamente, il mio giudizio rimane in bilico fra il disgusto e l’apprezzamento di questa persona complicata. Lyndon Johnson incarnò quasi alla lettera il modello machiavellico del principe che deve essere sia amato che temuto, ma che alla fine dovrebbe cercare di essere più temuto che amato. La realpolitik di Lyndon Johnson viene contrapposta nel quarto volume all’idealismo di Kennedy, più amato che temuto, che fu (forse per questo?) poco efficace dal punto di vista legislativo (nonostante alcuni successi diplomatici, come la crisi cubana, quando seppe farsi sia temere che amare da Khruschev). 

Da come ce lo racconta Robert Caro, l’umanità ed empatia per i poveri e le minoranze raramente venivano espresse da Lyndon Johnson quando minacciavano le sue ambizioni politiche. Invertendo l’aforisma di Lord Acton, è stata la corruzione ad essere strumentale all’acquisizione del potere; solo dopo averlo acquisito, il potere ha permesso a Johnson di rivelare la sua vera natura e le sue aspirazioni. Aspirazioni che, grazie ad un’abilità ed intelligenza politica senza pari, seppero tradursi in leggi trasformative.

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