Perché gli intellettuali illudono i cittadini?

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L'altra sera, sbirciando fra gli scaffali della mia libreria preferita, ho notato un annuncio: di lì a poco Innocenzo Cipolletta avrebbe discusso all'associazione industriali di Vicenza la provocatoria tesi che titola il suo nuovo libro: "In Italia si pagano troppe tasse. FALSO!". Sono andato ad ascoltarlo. È sin troppo facile criticarne gli assunti, la logica che li sostiene, e le conclusioni, ma nel mio intervento dal fondo dell'aula non ho mancato di esprimere la considerazione più triste che si può ricavare dalla lettura di questo centinaio di pagine. La riprendo in questa sede; è un tema noto ai nostri lettori di lunga data: la responsabilità delle elites intellettuali e la loro subalternità alla politica. 

Questo libro fa parte di una nuova collana Laterza in cui si propongono diversi luoghi comuni da sfatare. La sua tesi è che, tutto sommato, in Italia non si pagano piu' tasse che in paesi a noi simili (quasi vero); che in cambio delle tasse riceviamo dei servizi pubblici - principalmente scuola, sanità e pensioni, che non sono pessime (opinabile); che la spesa pubblica, tolti gli interessi, non è quantitativamente superiore a quella di paesi simili (quasi vero - peccato però che gli interessi ci sono, e derivano da spesa pubblica); che bisognerebbe piuttosto spingere per la qualità dei servizi (ma va?); che la qualità diminuirebbe se riducessimo la spesa (opinabile); e che inoltre occorre riqualificare la distribuzione fra imposte dirette, soprattutto sul lavoro ed indirette (altra bella scoperta). 

Insomma, "sarebbe bello se fossimo la Svezia", ma non è solo questo. L'autore sembra onestamente credere di svolgere un servizio pubblico nel ricordare al comune cittadino che a fronte delle tasse si ricevono dei servizi; che sanità e scuola non sono poi così male; che questi servizi costerebbero di più se acquistati sul mercato; durante il suo intervento pubblico ha persino auspicato (non so quanto ironicamente) che le scuole dovrebbero mandare alle famiglie una ricevuta con l'indicazione dei costi sostenuti per l'istruzione (con una bella scritta timbrata "pagato"), per educare il cittadino-contribuente che le tasse servono a qualcosa. Nel libro si sostiene senza vergogna che se negli anni settanta-ottanta avessimo aumentato le tasse di un 5% in più ora non staremmo pagando l'eccesso di spesa pubblica in interessi. Viene quasi da sorridere se non fosse tragico: il controfattuale che Cipolletta immagina è successo davvero: le tasse sono aumentate, più di una volta, con i risultati che conosciamo. Ma lui evidentemente vorrebbe che fossero aumentate di più, senza rendersi conto che non sarebbero andate necessariamente a ridurre il debito. Non si tratta della solita minestra keynesiana che la spesa pubblica serve alla crescita. La tesi sostenuta è che la spesa pubblica serve ad un paese moderno, quindi occorre rassegnarsi e pagare, con entusiasmo.

Potrei ora soffermarmi a cavillare sui dettagli e spiegare che sanità e scuola sono sempre più scadenti, ma non a causa delle minori spese. Argomentare che le regioni in cui la sanità è migliore sono anche quelle che spendono meno. Elencare gli studi dove si dimostra che la quantità di spesa non cambia la qualità dell'istruzione. Ribattere che, a fronte del terzo del reddito che sborsiamo all'INPS, i lavoratori ricevono non una pensione ragionevole, ma un investimento figurativo che in questi anni si sta rivalutando a tasso nominale zero. Potrei anche concordare con Cipolletta che l'IMU (sulla prima casa!) tutto sommato non era una cattiva idea, e che va riformato il fisco in direzione di una maggiore imposizione indiretta e minori imposte dirette! Ma tutte queste cose le abbiamo già dette.

Preferisco invece, come annunciato, soffermarmi sul triste messaggio di questo libro: dettagli errati a parte, il libro svolge un pessimo servizio al paese anche per le argomentazioni corrette che propone e fornisce l'ennesima conferma di quanto le elites siano subalterne al potere politico. È intellettualmente disonesto agitare lo spauracchio della scuola e sanità private, che non sono l'alternativa ai servizi che riceviamo. Da una personalità come Cipolletta, da sempre vicina alla stanza dei bottoni, ci aspetteremmo indicazioni su quali siano le specifiche misure da intraprendere per evitare gli sprechi che si sono accumulati in questi ultimi trent'anni. Un lavoro lungo, certosino, pieno di dettagli oscuri al grande pubblico, ma che persone come lui possono e devono fare. 

Si finirebbe per spiegare non che la spesa e le tasse sono genericamente utili, ma che è possibile sia ridurre le tasse, sia ridurre la spesa, sia migliorarne la qualità. Questa frase, caro Cipolletta, non è un discorso da politici, come mi ha replicato. Sono invece frasi come quelle che titolano il suo libro a fornire supporto intellettuale alla politica irresponsabile che ha portato il paese nella situazione attuale. Aggrapparsi demagogicamente all'inopportunità di ridurre la spesa per scuola, sanità e pensioni non può che fornire alibi alla cattiva politica. Una politica che ha dimostrato, ripetutamente, come spendere di più sia non solo inutile, ma alla lunga dannoso, perché la maggiore spesa finisce, sempre, a gravare sulla componente produttiva e onesta del paese, che ora, asfissiata, non ce la fa più a mantenere il resto del paese. Questa è la drammatica situazione , dalla quale non si può uscire ribadendo le magre consolazioni propinateci in questo libro.

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