L'acqua, un bene economico

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I referendum sulla gestione delle risorse idriche si avvicinano. L'Istituto Bruno Leoni ha pubblicato un libro che cerca di compiere un'analisi economica della gestione dell'acqua. È probabilmente una battaglia persa quella di provare a ragionare su questo tema, ma è giusto provarci lo stesso.

Il tema

Anche se il tema della gestione delle risorse naturali, tra cui l'acqua, è sempre di attualità, è ovvio che l'operazione editoriale dell'Istituto Bruno Leoni è legata ai due referendum programmati per giugno. Devo confessare che non conosco bene la Legge Ronchi, quindi non sono in grado di dire quanto sia ben fatta. Ma, con l'approssimarsi del referendum, il quadro ha iniziato un po' a chiarirsi. A me è risultato utile questo articolo di Luigi Marattin, assessore al bilancio di area PD al comune di Ferrara.

Ma al di là del merito degli argomenti, ho trovato progressivamente sempre più sconcertante la retorica dei proponenti del referendum. Si legga per esempio questo intervento del padre comboniano Alex Zanotelli, di cui riporto un paio di passaggi significativi.

 

Come possiamo permettere che l’acqua, nostra madre, sia violentata e fatta diventare mera merce per il mercato? Per noi cristiani l’acqua è un grande dono di Dio, che fa parte della sua straordinaria creazione e che non può mai essere trasformata in merce.

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Come cristiani non possiamo accettare la legge Ronchi, votata dal nostro Parlamento (primo in Europa) il 19 novembre 2009, che dichiara l’acqua come bene di rilevanza economica. Il referendum del 12 e 13 giugno sarà molto importante per bloccare questo processo di privatizzazione dell’acqua e per salvare l’acqua come un grande dono per l’umanità
Scendiamo in piazza! Così come hanno fatto i monaci in Myanmar (ex Birmania) contro il regime che opprime il popolo.

 

Francamente, la Legge Ronchi potrà avere un sacco di difetti ma pensare che sia oppressiva al pari della dittatura di Myanmar è decisamente sopra le righe. E in caso vi stiate chiedendo se questa sia una posizione confinata a poche frange del mondo cattolico, la risposta è no. L'atteggiamento ''l'acqua è un dono di Dio quindi non può essere una merce'' sembra essere condiviso almeno da parte delle gerarchie ecclesiastiche, visto che sull'ufficialissimo Osservatore Romano, il 22 marzo scorso è apparso un articolo a firma di Gaetano Vallini che, ovviamente con toni più pacati, esprime concetti simili. Anche qui, riportiamo alcuni passaggi significativi

Se è vero che spesso per i poveri non è tanto la scarsità d’acqua in sé a portare sofferenza, ma l’impossibilità economica di accedervi, allora esiste, come ha ricordato il 24 febbraio il vescovo Mario Toso, segretario Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, intervenendo alla conferenza internazionale di Greenaccord a Roma, «un serio problema di indirizzo etico», perché, ha aggiunto rilanciando le parole del Compendio della dottrina sociale della Chiesa , l’acqua — diritto universale e inalienabile — è un bene troppo prezioso per obbedire solo alle ragioni del mercato e per essere gestita con un criterio esclusivamente economico e privatistico. Il suo valore di scambio o prezzo non può essere fissato secondo le comuni regole della domanda e dell’offerta, ovvero secondo la logica del profitto. Che è però quanto in più parti del mondo accade o si rischia in caso di privatizzazione, fino a giungere al paradosso che vede i poveri pagare molto più dei ricchi per quello che dovrebbe essere un diritto naturale.

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Ed è ciò che oggi la società civile chiede anche in alcuni Paesi occidentali, come l’Italia, dove presto si voterà un referendum che chiede di evitare di intraprendere la strada verso la privatizzazione dell’acqua. Un referendum che ha visto impegnate anche alcune realtà ecclesiali nel comitato promotore, segno dell’attenzione del mondo cattolico verso un tema delicato e cruciale.

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Come non ricordare in questa circostanza il suggestivo messaggio che ci giunge dalle Sacre Scritture, dove si tratta l’acqua come simbolo di purificazione? Il pieno recupero di questa dimensione spirituale è garanzia e presupposto per un’adeguata impostazione dei problemi etici, politici ed economici che condizionano la complessa gestione dell’acqua da parte di tanti soggetti interessati, nell’ambito sia nazionale sia internazionale».

 

Allora, giusto per ricordare ciò che è ovvio. Se un bene è economico o meno non è determinato dalle sue qualità simboliche o da quanto sia importante per la sopravvivenza. Un bene è economico se è scarso, e quindi esiste il problema di come allocarlo. Quindi, piaccia o meno e indipendentemente dalla sua origine o meno come dono divino, l'acqua è un bene economico. Come sono beni economici il cibo (o ''il pane'', giusto per evocare altri simboli), i vestiti, l'abitazione e tanti altri senza i quali l'esistenza non sarebbe possibile.

Questa realtà elementare, la scarsità dell'acqua e quindi la necessità di ragionare in termini economici della sua gestione e allocazione, resta qualunque sia il regime di proprietà dell'acqua (che non è messo in discussione dalla legge Ronchi: l'acqua resta pubblica). La vera domanda quindi non è se l'acqua è un bene economico o meno. Lo è, almeno finché resta una risorsa scarsa. La vera domanda è quali obiettivi vogliamo raggiungere con questo bene e, soprattutto, come vogliamo raggiungerli.

Sugli obiettivi credo che ci sia in realtà ampio consenso. A nessuno piace l'idea che ci siano vasti settori della popolazione condannati alla sete e a nessuno piace l'idea che l'acqua, o qualunque risorsa naturale, possa essere usata per estrarre profitti monopolistici. I dissensi sono sul come. I referendari sembrano straconvinti che gli obiettivi possono essere raggiunti unicamente mantenendo non solo la proprietà pubblica dell'acqua (che, ripeto a costo di essere noioso, non è messa in dubbio dalla legge Ronchi) ma anche la gestione pubblica della sua distribuzione. Non ho capito bene quali argomenti teorici e quale evidenza empirica sostenga tale posizione; le cose che ho letto, come i due interventi che ho riportato sopra, sono più o meno al livello di ''il denaro è lo sterco del demonio'' e quindi non si possono prendere sul serio. Attendo migliori indicazioni. Attendo anche di sapere perché i proponenti del referendum non propongono pure la nazionalizzazione immediata di tutte le panetterie. Il pane, si sa, è una risorsa essenziale senza la quale la vita è impossibile, ed ha anche un alto valore simbolico. Come si può permettere che la sua distribuzione venga lasciata ai privati e che il capitale investito in questo settore venga remunerato?

Il libro

Non conoscevo l'autore del libro. Una rapida ricerca su internet lo indica come appartenente al think tank svedese Timbro. Il libro, originariamente scritto in svedese, è stato pubblicato in inglese nel 2005 dal Cato Institute, ed è stato ora tradotto in italiano con una prefazione di Oscar Giannino.

Il libro è incentrato sulla politica della gestione dell'acqua nei paesi in via di sviluppo, che al momento è praticamente solo pubblica. È anche in buona misura fallimentare, risultando sia inefficiente dal punto di vista tecnologico (un notevole ammontare di acqua viene sprecato) sia profondamente ingiusta dal punto di vista distributivo (i poveri sono quelli che più frequentemente pagano le inefficienze della distribuzione). La proposta è quindi di aprire il settore alle imprese private, in modo che si riescano a ridurre gli sprechi e migliorare l'allocazione.

Gli argomenti teorici sono abbastanza standard, anche se molto spesso completamente ignorati, e il valore aggiunto del libro sta quindi nella lunga serie di case studies empirici. Non starò ad aggiungere di più; se volete approfondire guardate la recensione su Amazon. Nel frattempo, prepariamoci ad una campagna elettorale dai toni ancora più demagogici del solito.

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