Tutti meritocrati col culo degli altri.

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Si sente di frequente parlare dei benefici della meritocrazia (ad esempio quiqui e qui), ma raramente dei suoi costi. Eppure la meritocrazia ha necessariamente due facce: al lato  "che vinca il migliore" corrisponde quello "chi sbaglia deve pagare". Forse è il caso di approfondire l'aspetto più sgradevole e meno discusso della meritocrazia.

Di recente il piano nazionale Qualità (PQM) è stato presentato dal ministro Gelmini e da Roger Abravanel. L'obiettivo del progetto è migliorare la qualità del sistema educativo e per farlo si vuole estendere l’esperienza dei test oggettivi standard predisposti dall’INVALSI. I test permetteranno di

 

rilevare le carenze di ogni singolo studente e di pianificare azioni mirate per colmare le lacune dimostrate.

 

Lodevole intento a cui non si possono che augurare le migliori fortune. Tuttavia visto che dei benefici si parla tanto, forse è il caso di dedicare un pò di attenzione anche ai costi della fantomatica Meritocrazia.

L'idea di fondo è di quelle buone per tutte le stagioni, sufficientemente generica e qualunquista (tipo "l'importante è partecipare"), che, se dissenti, fai la figura del bastian contrario per partito preso. In fondo, a pensarci bene, quale persona dotata di buon senso, potrebbe sostenere le ragioni di chi non merita? Finché si rimane alle dichiarazioni d'intenti, che non devono trovare riscontro nella pratica, siamo  tutti d'accordo. Scommettiamo che, se approfondiamo le implicazioni pratiche, non c'è più tutta questa concordia?

Prima di proseguire mettiamo un punto fermo:

Non può esserci meritocrazia senza concorrenza

Un’organizzazione o un sistema sono meritocratici se l'attribuzione a ciascun individuo di ruoli, responsabilità e premi avviene sulla base delle capacità dimostrate di poter svolgere al meglio le mansioni e le attività connesse con detti ruoli e responsabilità. Un meccanismo (ero tentato di dire l'unico, ma poi mi son trattenuto che io di teoria dei meccanismi so poco) che, almeno teoricamente, può garantirci un risultato del genere e' la concorrenza perfetta.

A ben pensarci, l'approccio meritocratico non è altro che il tentativo di riprodurre al di fuori dei mercati quei meccanismi che portano all'allocazione efficiente delle risorse. Le implicazioni di questo tipo di approccio sono che:

  1. Il merito deve essere misurato con criteri oggettivi e non arbitrari.
  2. I risultati della misurazione devono determinare l’assegnazione dei ruoli.

Se manca il punto 1, siamo di fronte a una meritocrazia puramente formale: se definisco come meritevole quello che io voglio che tale sia, allora i ruoli nel sistema vengono allocati in base alle mie preferenze, non secondo le reali capacità.

Il punto 2 è dove casca l’asino di questo post: gli individui che non sono meritevoli di ricoprire un ruolo (o che non lo sono più), devono cederlo a chi invece lo è. Questo si dice a bassa voce e molto di rado, perché è impopolare. Certi amici amerikani mi hanno insegnato a fregarmene di quello che è impopolare o sgradevole da dire e a dubitare dei benefici presentati senza considerare adeguatamente il costo connesso. Proviamo ad approfondire chiedendoci chi sono quelli per i quali un sistema meritocratico ha un costo.

'<h' . (('2') + 1) . '>'Quelli che “nessuno mi può giudicare”'</h' . (('2') + 1) . '>'

Come si fa a mettere un voto all'attività dei magistrati? A quella dei medici? Degli insegnanti? Troppo complesso, troppi dettagli, troppi casi particolari, impossibile sintetizzare un giudizio ... Comodo. Se oggettivamente non hai meriti sufficienti per legittimare la tua posizione, la strada migliore per conservare la sedia è fare in modo che le tue preferenze soggettive divengano la misura del merito. Anche cambiare la legge a proprio uso e consumo rientra in questo tipo di logica, ma ci porterebbe lontano.

Rimanendo ad un livello molto più basso ci si potrebbe chiedere se chi ha vinto un concorso 30-40 anni addietro è oggi ancora in possesso dei requisiti minimi per svolgere il lavoro che fa. Non mi pare una domanda dell'altro mondo e posso congetturare che i risultarti di un'analisi di questo genere sarebbero sorprendenti. Senza lanciare insinuazioni o accuse pesanti  (che pertanto, per essere mosse, necessitano di evidenze altrettanto pesanti a sostegno) mi limito a osservare che, in media, chi vince un concorso pubblico potrebbe semplicemente "vivere di rendita" per il resto della vita, senza, non dico aggiornarsi, ma neanche mantenere le proprie competenze.

Se non c'è la minima valutazione sulla quantità e qualità dell'attività svolta, il passo è breve per arrivare a non svolgere affatto l'attività. D'altronde chi si sognerebbe di denunciarlo? Se non è previsto un controllo formale e non vi alcun controllo sociale, che succede? Niente di buono. Di che stavamo parlando? Mi pare che finisse in -crazia... era forse burocrazia?

D'altronde, per farsi un'idea di quanto siamo allergici, come nazione, alle valutazioni di merito, basta guardare all'atteggiamento nei confronti delle facoltà universitarie a numero chiuso. Forse più dell'idea di essere giudicati ci spiace che le risorse disponibili siano scarse e che non tutti possano avere tutto. Naturalmente l'ipocrisia più grande sta nel fatto che sappiamo benissimo di vivere in una realtà fatta di beni economici, ma ci piace fare finta che non sia così o far credere questo a chi ci ascolta badando bene che i nostri interessi particolari siano salvaguardati.

 

'<h' . (('2') + 1) . '>'Quelli che si nascondono dietro un dito'</h' . (('2') + 1) . '>'

C'è poi un accusa frequente nei confronti dei monetaristi (visto come di diffonde rapido il linguaggio erroneo?) affetti da meritocrazia: siete senza cuore e sparereste su Bambi. E i più deboli? E quelli che non ce la fanno? Li lasciamo indietro? Che ingiustizia è?

 

È una seria ingiustizia farsi scudo di istanze sociali per portare avanti i propri interessi. Facciamo un esempio semplice semplice: un certo paese decide di aiutare gli invalidi attribuendo loro un sussidio. Questa scelta non è affatto incompatibile con un'impostazione meritocratica, anzi.

Se la condizione di svantaggio è misurata in modo oggettivo e il sussidio è proporzionato alla condizione e sostenibile dal bilancio pubblico, aiutare chi sta peggio porta due benefici alla collettività: l'utilità per chi non riceve il sussidio di sapere che nel momento del bisogno non sarà abbandonato (ovvero, i benefici della condivisione dei rischi), e il contributo marginale che chi percepisce il sussidio viene messo in grado di fornire alla preparazione della "torta" che tutti mangiano nella collettività.

 

 

Che differenza c'è tra l'avere o meno una cultura del merito nello stato X? Se tale cultura è presente, è probabile che:

  • il sussidio sia quantificato in modo proporzionale ai mezzi disponibili ed allo svantaggio effettivo
  • gli abusi vengano individuati perché la gente fa la spia e perché esiste un efficace sistema di controllo
  • i percettori del sussidio siano motivati a tenere un approccio proattivo nei limiti delle proprie possibilità

Non credo ci sia bisogno di dire cosa succede se un paese la cultura del merito non ce l'ha.

Carissimi non-monetaristi, che avete a cuore le sorti dei più deboli, dove credete possano stare meglio i vostri protetti? Nel paese dell'altruismo ipocrita dove la regola  è "armiamoci e partite", oppure in quello dell'egoismo meritocratico dove si dice "aiutati che poi lo stato il mercato ti aiutano"?

 

'<h' . (('2') + 1) . '>'Quelli che dovrebbero fallire'</h' . (('2') + 1) . '>'

Non può esistere cultura del merito finchè il governo salva (direttamente o indirettamente), sussidia o protegge alcune imprese (e tra queste le banche). A che serve gestire bene, se in soccorso di chi amministra male viene lo stato? Tollerare l'evasione fiscale o più in generale il mancato rispetto della legge è un sussidio in favore di quelli che ne beneficiano e uno schiaffo nei confronti di chi è capace di far quadrare i conti onestamente. È anche l'esatto contrario della meritocrazia. In estrema sintesi non puoi pensare di estendere la logica della concorrenza e del merito fuori dal mercato, se non sei capace di mantenerla e farla rispettare dentro al mercato stesso.

Dei sussidi alla stampa su nFA si è parlato recentemente qui e prima ancora quiqui. Si è scritto di quelli all’agricoltura e ai prodotti tipici; ricevono contributi anche il cinema e naturalmente gli enti lirici. Questo per limitarsi ai sussidi espliciti. Poi ovviamente a falsare la concorrenza e tarpare le ali al merito ci sono le rendite: come può esserci cultura del merito quando anche per guidare un taxi (senza scomodare i soliti notai e farmacisti) devi rendere conto ad una corporazione?

Insomma, c'è poco da aggiungere, parlare di meritocrazia accettando che vi siano distorsioni della concorrenza vuol dire prendere per i fondelli chi ascolta.

'<h' . (('2') + 1) . '>'Un calcio a chi non merita'</h' . (('2') + 1) . '>'

La meritocrazia senza costi, per quanto attraente come concetto e comodo come argomento di propaganda, in concreto non esiste. Se vi piace la cultura del merito, dovrete farvi piacere anche la misurazione oggettiva e continua delle capacità individuali e le inevitabili conseguenze dei risultati di questa misurazione.

In alternativa, se proprio amate i pasti gratis, potete fondare un partito e unirvi ai mestieranti della politica, che per chi ha fumo da vendere c'è sempre posto.

Resta il fatto che:

Senza un bel calcio a chi non merita, parlare di meritocrazia è una cagata pazzesca.

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Commenti

Ci sono 96 commenti

Vorrei questo post fosse appeso al posto della foto del Presidente negli uffici pubblici (con in grassetto la parte "quelli che nessuno mi può giudicare") ed al posto di quello che preferite, in tutti gli altri uffici.

In realtà hai detto delle cose ovvie che incredibilmente tali non sono in questo paese, dove si usa la parola meritocrazia a sproposito è non si capisce come funzioni realmente non saprei se per buonismo, ipocrisia o vera ignoranza.

PS

Ma quant'è brutto l'acronimo "INVALSI" ?

Non è l'acronimo di INVAlidi faLSI?

Il merito deve essere misurato [...]

Ci sono diverse categorie di persone che rovinano il concetto di "merito".

Una categoria di persone è formata da coloro che pensano che il merito sia come una quantità fisica, tipo la temperatura: basterebbe costruire uno strumento di misura, e rilevarne il valore.
Costoro commettono quella che in filosofia è nota come "fallacia naturalistica", confondendo fatti e valori. E' chiaro, infatti, che parlando di "merito" stiamo parlando di valutazione, e quindi possiamo apprezzare certi meriti - quindi certi fatti come valori - solo a partire da nostri canoni di valutazione, che costuiscono i criteri del giudizio.
I criteri, in quanti criteri di valutazione, pertanto, non potranno mai essere "oggettivi", nel senso di indipendenti dal nostro pensiero. Siamo noi, cioè, che li poniamo come criteri, che li scegliamo. Anche quando tali criteri fossero oggetti concreti, e non concetti (uso inteso dell'apposizione "oggettivi" riferendosi ai criteri), il loro essere criteri, e quei criteri lì, dipende dalla nostra scelta, dall'apprezzamento della nostra ragion pratica, la quale ha fatto quella scelta in base a princìpi più o meno accessibili o scrutinabili, ma in definitiva pur sempre di apprezzamenti personali, di gusti.
Rendere espliciti, chiari questi criteri, le motivazioni per la loro scelta e la metodologia impiegata/da impiegare nel loro uso è l'obiettivo della scienza della valutazione. Ma non certo giustificare l'ingiustificabile, cioè il prendere lucciole per lanterne dando una versione fumettistica epperò fondamentalmente autoritaria del "merito".

Un'altra categoria di persone, schermandosi invece dietro alla presunta "insindacabilità" del giudizio, si fa forza proprio dell'attribuzione di autorità al soggetto del giudizio per sottrarlo ad ogni responsabilità - che significa, invece, abilità di "rispondere" a richieste esterne (semantica opposta rispetto all'uso che talvolta viene propagandato). Queste richieste esterne, in particolare, potrebbero essere anche i famosi "incentivi" di cui parlano gli economisti, ma questi non sono certo l'unica categoria possibile nè l'unica desiderabile, ovviamente.
E comunque a questa categoria si conformano in modo naturale gli Italiani, i quali usano proprio la loro sapienza ancestrale sulla natura soggettiva della valutazione per farsene padroni irresponsabili, costruendo una corazza attorno alla propria persona e alle proprie prerogative. Questo individualismo è il fondamento di tutta una serie di corruzioni, cioè di comportamenti difformi rispetto ad una norma richiesta dalla situazione, dal ruolo, o dal mero essere parte di una comunità, della società. Quei fascistoni degli Italiani diventano così delle macchiette etiche, delle maschere di un Carnevale di Biella, e in definitiva degli umani degradati.

RR

 

Per una volta mi sento di essere totalmente d'accordo con te.

Infatti di solito provo un certo fastidio quando si sbandiera il valore "merito" : preferirei si sbandierasse il valore "concorrenza". Non che questo cambi la sostanza degli argomenti espressi nell'articolo, ma almeno ci si può coprire da facili strumentalizzazioni.

Mi pare centratissima l'osservazione sulla concorrenza come connotazione preliminare alla meritocrazia. Qualcuno potrebbe perfino pensare che tutto sommato la meritocrazia sia abbastanza praticata, non so, attraverso i concorsi pubblici. O attraverso le tutele offerte dagli accessi agli ordini professioali. O dagli adempimenti tutti cartacei che cosentono di ricevere i DOC,IGT e roba simile. Che sono sovrastrutture che negano in radice la concorrenza, Purtroppo la vedo dure 

Qualcuno potrebbe perfino pensare che tutto sommato la meritocrazia sia abbastanza praticata, non so, attraverso i concorsi pubblici. O attraverso le tutele offerte dagli accessi agli ordini professioali. O dagli adempimenti tutti cartacei che cosentono di ricevere i DOC,IGT e roba simile. Che sono sovrastrutture che negano in radice la concorrenza,

Il concorso pubblico casomai conferma in radice la concorrenza. Anzi è proprio quella cosa lì: cum-curro, cum-currere. Correre assieme (in una gara).

RR

 

 

Io mi fermerei a ragionare su di un punto sottolineato dall'articolo:

 

Il merito deve essere misurato con criteri oggettivi e non arbitrari

 

E qui casca l'asilo, e qualche volta.. anche il meritevole.

Chi stabilisce che un 30 in una data Università valga effettivamente un 30?

Nei giorni scorsi è uscita sulla stampa nazionale la notizia che una legge appena approvata in Germania garantirà uno "stipendio" agli studenti più meritevoli; Se qualcosa di simile dovesse arrivare anche da noi mi sembra già di vederle le Lodi sfornate come fossero brioches.

Un punto importante è quindi chi PREMIA il merito..e quindi in definitiva, chi PAGA.
Perchè se le Facoltà non avessero nessuna responsabilità in questo senso, allora è evidente che i criteri per definire il merito non possano essere lasciati alle Facoltà stesse.
Altrimenti si giocherebbe.. a carte truccate. Come spesso avviene in Italia.

Il riferimento ai "salvataggi" bancari è interessante. In linea di principio, infatti, l'impresa bancaria insolvente dovrebbe fallire o essere, in altra forma, liquidata: qualche volta succede, anche in Italia (ricordate la Banca Unione ed il Banco Ambrosiano?).

Ma la liquidazione coatta delle banche non solo si differenzia dal fallimento, per una ridotta protezione dei creditori: è anche un istituto di applicazione eccezionale. L'ordinamento bancario si fonda su una complessa architettura di autorità di vigilanza e di procedure, il cui scopo primario è preservare la sana e prudente gestione delle banche per garantire la stabilità del sistema (art. 5 del t.u.b.). Perciò le autorità creditizie ricorrono alla liquidazione solo nei casi disperati (come erano quelli citati).

Questo non è un atteggiamento solo italiano, è condiviso in tutta l'UE. La ragione di fondo, ovviamente, è il timore che l'insolvenza di una banca di un certo livello si comunichi a tutto il sistema: risultato che non ci si potrebbe certo augurare, viste le conseguenze della crisi del 2008.

Il punto critico, mi pare, non è se si debbano o no salvare banche: è piuttosto quanta discrezionalità si attribuiscono i regulators nell'esercizio della vigilanza e, forse ancor prima, quanto è efficace la loro attività.

 

 

 

 

L'ho sentito per radio (commentava la notizia che un numero elevato di insegnanti USA rischia il posto perchè un nuovo sistema di valutazione non li ha trovati all'altezza del loro compito) sembrava assolutamente conscio sia del fatto che la meritocrazia ha anche il lato "chi sbaglia deve pagare" sia che in Italia l'applicazione di questo lato è difficilmente attuabile.

Non so molto di Abravanel però quello che ho sentito per radio mi ha fatto ben sperare (visto che collabora con il ministro).

 

“Chiamavo” un post su questo argomento ed è arrivato...grazie.

Ne parlavo recentemente con un amico professore universitario e pochi giorni fa avevo azzardato un goffo commento, un po' OT, sul blog di Giannino.

L'aspetto che più mi pare trascurato, ancor più del come valutare il merito, è quello del "chi sbaglia deve pagare" e di come ciò si ripercuoterà sugli attori.

In altre parole, a quelli che si lamentano della linearità dei tagli di bilancio, pongo una questione, senza minimamente mettere in dubbio che i tagli lineari siano dannosi, ma solo per togliere un certo velo di ipocrisia che avvolge l'argomento “meritocrazia”.

1)Giannino e altri parlano di necessità di tagli 4-5 volte maggiori di quelli ora in discussione;

2)andando a memoria, la spesa pubblica per stipendi ammonta al 70-80% del totale, con investimenti limitati a 1-5% e il resto (15-25%) beni acquistati sul mercato per il normale funzionamento dei servizi (benzina, carta, toner, computer) che tutti sostengono essere insufficienti;

3)i famosi Costi Standard vengono abitualmente esemplificati con le siringhe da 50 cent, comprate in qualche ASL meridionale a 2 euro, o con le famigerate TAC palermitane passate da 134.000 euro a 9.000 dopo il commissariamento. Sono tutti costi di BENI e quindi rientrano in quel 15-25% del totale della spesa pubblica;

4)il taglio fin qui attuato sugli statali è limitato ad aumenti già concordati (3-4%?)

5)probabilmente il taglio a cui Tremonti pensa ammonta a 4-5 volte tanto, ovvero il 12-20% del totale.

Dove tagliare?

Dal punto 2, direi che riduzioni agli investimenti non sono solo impensabili; sono soprattutto inutili, data l’entità dei risparmi da conseguire, quindi non ne parliamo neanche.

Usando i costi standard quanto si potrebbe risparmiare dal costo dei beni acquistati? La benzina presumo costi uguale dappertutto… Ipotizziamo comunque un risparmio sugli altri beni utilizzando i Costi Standard del 20-30%? Fa il 3-8% del totale.

Sento anche parlare di 50 miliardi di costo della corruzione. Su 800 miliardi fa il 6,25%. Qualcuno pensa si possa eliminare completamente? La riduciamo di 1/3? Non mi pare stiamo parlando di una cifra che risolva il problema, oltre a essere estremamente aleatoria.

Per arrivare al 12-20% che si ritiene necessario bisogna tagliare i costi del personale.

Qualcuno che ha accesso alle cifre esatte ritiene che la conclusione possa essere sostanzialmente diversa?

Per il momento continuo come se fosse necessario tagliare il 10-20% dei costi per il personale della Pubblica Amministrazione e provo a ragionare sulla forma dei tagli.

Con un “taglio lineare”, che significa dividere il taglio sulla totalità dei dipendenti pubblici, si tratta di una mazzata notevole al tenore di vita di tutti.

Da operatore del privato - dove i fallimenti, la cassa integrazione e la riduzione dei benefit fanno parte della quotidianità di questi due anni - mi verrebbe da dire “finalmente si pareggiano le condizioni”, ma non posso nascondermi che non sarebbe uno scherzo, considerando anche che i dipendenti pubblici mi pare stiano intorno al 15% di tutti i lavoratori italiani.

Proviamo però a immaginare cosa vorrebbe dire non spalmare il taglio su tutti. Non fare i tagli in orizzontale come sindacati, economisti e tutti in generale chiedono al ministro.

Vedo solo 3 modi, se si tratta di tagli (e non premi).

1)Tagliare solo ai peggiori

2)Tagliare molto ai peggiori e un po’ ai mediocri, lasciando invariati i migliori

3)Tagliare moltissimo ai peggiori, abbastanza ai mediocri e poco ai migliori

Ora la valutazione da fare è scoprire quanti rientrano in queste categorie.

Vado, aneddoticamente e soggettivamente, alla mia esperienza scolastica (liceo scientifico di buona reputazione negli anni 80) e mi ritrovo con 8 insegnanti.

4 buoni (se vogliamo 1 outstanding). 2 (ginnastica e disegno) mediocri. 1 (storia e filosofia) decisamente inaccettabile e 1 (religione) che non ho mai capito perché debba essere pagato dallo stato.

Grossomodo è la suddivisione che poi ho trovato nella mia carriera: 5-10% da piangere, 5-10% eccellenti e il resto medi, con divisione abbastanza equa fra medi-buoni e medi-scarsi. Qualcuno potrebbe dire che Gauss non ne sarebbe sorpreso…

Ciò che mi preme di dire è che se il taglio (facciamo 15% del totale?) deve pesare solo sui peggiori (soluzione 1), significa azzerarli e ne rimane comunque un po’ da distribuire in qualche modo fra gli altri.

Non si tratta dunque di una riduzione di stipendio. Si chiama LICENZIAMENTO. Per un 5-10% dei dipendenti pubblici, in questa ipotesi.

Rimane da trovare ancora un 5-10% della spesa totale, da tagliare, sempre secondo ipotesi 1, alle retribuzioni della fascia immediatamente superiore. Questi sono il 40% del totale e devono subire il 5-10% di tagli. Ergo il loro stipendio si ridurrebbe del 15-20%. Guardiamoci in faccia: in Italia non si vive prendendo il 20% in meno, ma neanche il 15% in meno, se la partenza è a 1200 euro…

Non sono licenziamenti, ma quasi. E riguarderebbero per ipotesi solo persone che hanno lavorato poco e male (sono quasi i peggiori!) nel pubblico. Quindi facendo lavori che non esistono o quasi nel privato. Anche un liberista come me fatica a immaginare di far tagliare l’erba del giardino a un ex professore di filosofia fallito…

Ah, il 50% del 15% costituisce il 7,5% della forza lavoro italiana. Il 7,5% o poco meno di famiglie che non saprebbero come vivere…

Mi sa che dobbiamo provare la soluzione 2.

Risparmiare il 15% applicando i tagli agli “inaccettabili” più i mediocri. Come lo dividiamo? Il doppio agli inaccettabili? Ok, tutti insieme fanno il 50% del totale, di cui 10% inaccettabili e 40% mediocri. I loro stipendi costituiscono il 50% del totale e pertanto verrebbero ridotti in media del 30%, se applicassimo la stessa percentuale a tutti. Vogliamo però penalizzare di più gli inaccettabili. Mi risparmio i conti, perché mi pare chiaro che i soliti reietti si vedrebbero decurtata la paga del 70-80% e gli altri del 20-30%. Cadiamo nel caso di prima.

Ipotesi 3. Tagliamo a tutti, ma riducendo di più ai peggiori? Ok, abbiamo il 15% di tagli medi. Facciamo -5% al migliore 50%? Il 5% del 50% è il 2,5% del totale. Ci rimane un 12,5% da applicare solo a mediocri e inaccettabili…non troppo diverso da prima. Tagliamo il 10% ai buoni? Ok, qui siamo a -5%, con ancora un 10% da recuperare, colpendo solo il 50% dei dipendenti e colpendo di più il 5-10% peggiore. Ma se abbiamo tolto il 10% ai buoni, gli altri partono almeno dal doppio…non se ne viene fuori.

Cosa resta? I tagli lineari sono un’ipotesi: -15% di stipendio a tutti gli statali. Una mazzata notevole, ma forse sopportabile.

L’altra ipotesi è licenziare i peggiori. Se licenzio il 5-10% dei dipendenti pubblici ottengo i 2/3 del risparmio e poi posso spalmare il restante terzo su tutti gli altri, magari esentando il 5-10% di migliori.

Qualcuno ne vede un’altra?

 

Ottimo commento.

Ti dirò che, avessimo un governo serio e competente e dei sindacati responsabili, la soluzione consisterebbe nel bloccare per davvero il turn-over per un quinquennio, permettere la mobilità del personale pubblico da un ministero all'altro ed introdurre criteri di misurazione obiettiva delle performances a cui collegare aumenti/riduzioni dello stipendio.

Non servirebbe nessun taglio across the board, perché il problema italiano non è un problema di cassa immediato, di urgenza di risparmiare domani. Quindi si può fare in un quinquennio, tagliando ogni anno un 3-4% grazie a turnover ed introduzione del merito.

Ma non abbiamo né un governo serio né dei sindacati responsabili, quindi si fanno le cose che si stanno facendo.

Non so quanto sia fattibile la tua proposta di tagli nella realtà. Io vedo due soluzioni, la prima meno praticabile della seconda:

1. Identificare possibili esuberi e pensare a una way out (i.e. licenziamento) di una parte dei dipendenti pubblici. Con way out intendo qualcosa tipo un piano che preveda un'indennità di disoccupazione ad hoc per compensare la perdita di un lavoro pubblico e aiuti al ricollocamento (e.g. fare corsi di aggiornamento per rafforzare la formazione dei dipendenti)

2. Negoziare aumenti di stipendi solo nella parte variabile, legata alla valutazione delle performance dei dipendenti. In questo modo chi è più bravo guadagna di più quell'anno. Per fare questo, bisogna mettere in piedi un meccanismo di valutazione serio

 

Quello che vedo io e che credo i politici faranno sarà una progressiva riduzione dei servizi al cittadino fino a renderli indecenti.
Con servizi intendo anche scuola, ospedali, forze dell'ordine, ecc.

Credo che la via scelta da chi ci comanda sia una lenta messicanizzazione dell' Italia.

Soluzioni alternative per ridurre la spesa pubblica ce ne sono molte, quello che viene in mente a me:
- Un'esercito, marina e un'aviazione più piccoli, diciamo delle dimensioni di quelli della Spagna. (15 mld/anno  http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_countries_by_military_expenditures)
- Tagliare i finanziamenti ai partiti e giornali, ridurre i costi della politica (il quirinale da solo costa 1 mld di euro ad anno!), eliminare le provincie e trasferirne i dipendenti amministrativi nei tribunali fortemente sotto organico: 5 mld saltano fuori
- Ferrovie dello stato: privatizzarla e liberalizzare seriamente il settore (non so quantificare cosa ne potrebbe uscire ma non spiccioli sicuramente)
- Bando per l'assegnazione delle radiofrequenze del digitale terr. rimaste libere (una-tantum ma in Germania ha fruttato 4.5 mld di euro)
- FAS: dimezzarli: 5 mld risparmiati (toglierli no, sono indispensabili a chi ne ha veramente bisogno ed è veramente nella merda, come es abruzzo)

Da queste 5 iniziative un 25 mld di euro ad anno escono

 

Giuseppe permettimi di esprimere la mia visione del problema con la tabella seguente:

Nella prima colonna puoi vedere la spesa 2009 da "RELAZIONE UNIFICATA dell'ECONOMIA e della FINANZA -R.U.E.F. )

La seconda scompone secondo RUEF alcune voci , la terza è una mia scomposizione del lavoro.

Ho poi dato per lavoro ed acquisti il c.a.g.r. dei 4 governi dal 1996 e la crescita di queste spese dal 1995 al 2009.

Per ogni voce ho stimato la corruzione ( per me spreco = corruzione )

-l'80% delle consulenze date ad amici sono corruzione ( poi 1 dipendente su 7 è Dirigente )

- almeno il 20% sugli acquisti è corruzione ( la siringa si paga 2 invece di 0,5 perché qualcuno intasca la differenza ); notare che in 14 anni la spesa per consumi intermedi è più che raddoppiata.

- il 10% delle prestazioni sociali che non siano pensioni è corruzione

e così via trovo i 60 miliardi di corruzione stimati dalla Corte dei Conti.

Tempo fa ho fatto una simulazione :

con crescita e inflazione al 2% , crescita spese come inflazione ( prima di tagliare bisognerebbe non farle crescere ) recupero del 50% della corruzione e del 18% dell'evasione in 10 anni il debito puo scendere dal 120% al 50%.

Per i licenziamenti ti posto l'ultima distribuzione disponibile dei dipendenti pubblici affinché tu possa esercitarti dove tagliare.

Lavoratori del pubblico impiego per settore di appartenenza

 

Pubblici impieghi I lavoratori del pubblico impiego V. A. %

Servizio Sanitario Nazionale 692.002 20,49

Enti pubblici non economici 62.873 1,86

Enti di ricerca 16.992 0,50

Regioni e autonomie locali 578.657 17,13

Regioni a statuto speciale 26.735 0,79

Ministeri 261.915 7,75

Aziende autonome 34.368 1,02

Scuola 1.130.658 33,47

Universita 113.393 3,36

Corpi di polizia 321.673 9,52

Forze armate 125.564 3,72

Magistratura 10.514 0,31

Carriera diplomatica 1.007 0,03

Carriera prefettizia 1.567 0,05

Totale pubblico impiego 3.377.918 100,00

Fonte: Centro documentazione dellfEurispes.

 

Rispetto agli altri paesi abbiamo il doppio di appartenenti a corpi di polizia per abitante , 4 volte per km2

Anche eliminare un livello fra Regioni , province e comuni potrebbe aiutare ma temo che con il federalismo gli addetti agli enti locali aumenteranno.

 

O.T. : qualcuno sa dirmi perché "insert a new table" non funziona.

 

 

 

 

 

 

.. ovvero le leggi di murphy sull'organizzazione, da cui il "principio di peter":

 

In una gerarchia ogni membro tende a raggiungere il proprio livello di incompetenza.

 



 

Non ne sarei tanto sicuro dato che questa www.google.com/images ce la invidiano tutti i governi.

 

Caro Marco, il Principio di Peter ha poco a che vedere con le leggi di Murphy, se non che è stato esteso in forma volutamente ironica, col contributo del giornalista ed umorista Raymond Hull. Seguendo il link troverai alcuni dettagli, poi volendo il libro - del 1969, ma molto godibile anche oggi - è stato recentemente riedito.

Principio e corollari si possono riassumere così (la forma volutamente è generica e non riguarda solo le situazioni lavorative, perché il problema si può presentare dalla Bocciofila Ferrovieri al Lions Club International)

- in ogni struttura gerarchica, ciascun individuo tende a raggiungere il livello d'incompetenza che gli è proprio

- col tempo ogni posizione tende ad essere occupata da un individuo incompetente per le mansioni che deve svolgere

- tutto il lavoro viene svolto da quegli individui che non hanno ancora raggiunto il proprio livello d'incompetenza

Per il problema evidenziato da Peter si è ricorsi a vari tentativi si soluzione, dall'antico promoveatur ut amoveatur, alla lateralizzazione del ruolo ed altri che potrai gustarti nel libro.

Non gode invece di nessuna simpatia (per buonismo, opportunismo politico e tutti gli "ismi" letali che vuoi) la soluzione più diretta e naturale: il reintegro nelle mansioni precedenti. Detto in termini marziali: la degradazione. Certo, simili norme esistono anche in Italia, dove ad esempio i primari ospedalieri hanno contratti quinquennali al termine dei quali possono venire riconfermati o non confermati: bene, in quasi trent'anni di professione non ho mai visto UN primario non riconfermato; se è successo, non ne ho avuto notizia.

Torniamo così all'incipit dell'articolo di Massimo

Eppure la meritocrazia ha necessariamente due facce: al lato  "che vinca il migliore" corrisponde quello "chi sbaglia deve pagare"

Bisogna cominciare col figgere in testa queste ultime quattro parole a 60 milioni d'italiani, poi potremo riparlare di meritocrazia. Ma con gli esempi quotidianamente proposti negli ultimi tre lustri dalla vita pubblica, la vedo dura.

Ciao

 

Di recente il piano nazionale Qualità (PQM) è stato presentato dal ministro Gelmini e da Roger Abravanel. L'obiettivo del progetto è migliorare la qualità del sistema educativo e per farlo si vuole estendere l’esperienza dei test oggettivi standard predisposti dall’INVALSI. I test permetteranno di

rilevare le carenze di ogni singolo studente e di pianificare azioni mirate per colmare le lacune dimostrate.

Volevo spendere due righe anche per questo annuncio, ma siccome è veramente deprimente dover intervenire ancora sui fondamenti della scienza dell'educazione, lascio volentieri - per una volta - la parola alla CGIL, anche perchè trovare un'occasione in cui la CGIL dice cose sensate non è banale.

RR

 

 

 

In ambito informatico, si e' tentato e si tenta di valutare la produttivita' di un individuo introducendo le cosiddette metriche, tipo il conteggio delle righe di codice scritte (kloc, kilo lines of code).

Il problema riscontrato praticamente sempre e' che il programmatore rimodula il proprio lavoro in modo da massimizzare la metrica adottata. Prendiamo il caso delle kloc di prima; per scrivere una data funzione ci sono moltissimi modi, alcuni ottimizzati, altri con una logica involuta, altri ancora martellati a forza in barba a tutto quanto si insegna in materia; funzionano tutti, intendiamoci, ma la qualita' e' diversissima. Cosa fara' il nostro programmatore? Ovviamente scegliera' quello che produrra' il massimo numero di linee di codice, mantenendo la qualita' al minimo necessario a passare i controlli, magari inventandosi ridondanze inutili ma facili da ottenere copincollando pezzi precedenti (massimo risultato col minimo sforzo, anyone?).

Estendere l'esperienza di cui sopra al caso della meritocrazia penso sia immediato, data la natura umana comune :)

HTH

CYA

Mi sembre un punto interessante, però credo il problema risieda nella metrica che è inefficace e produce effetti distorsivi.

Ad esempio invece che contando le righe che uno scrive, potresti misurare quanto tempo impiega a raggiungere l'obbiettivo che gli si propone (il pezzo di programma completo) così come si potrebbero introdurre degli agiustamenti sulla qualità del prodotto: ad il programmatore A scrive 10 volte su 10 codici ottimizzati e corretti, mentre il programmatore B  fa tanti copia e incolla ed è spesso ridondnante. La valutazione sarà un mix di vari indicatori che includono capacità di raggiungere l'obbiettivo, tempo impiegato e qualità del modo con cui l'obbiettivo è raggiunto.

Faccio un esempio simile, ho dei legali che mando in due diligence per cui in tempi brevi mi devono "valutare" un campione di pratiche che poi metto nel modello di pricing con cui faccio investimenti. Inizialmente li pago a giornata per cui esiste il pericolo che qualcuno "furbo" lavori 5 pratiche al giorno rispetto alla media di 10. Ex post, utilizzando pratiche comparabili posso valutare chi è più e meno veloce e formulo anche un giudizio di qualità del lavoro svolto. Chi fa il furbo (o è più lento) o non viene chiamato più o viene impiegato per lavori più semplici in cui, ad esempio è anche possibile pagare per pratica lavorata, invece che a giornata. Un check di qualità evita che vadano di fretta pur di farne tante.

PS Credo che in molte organizzazioni italiane (non solo pubbliche) siamo uno step precedente. C'è gente che oggi non ha più neanche i requisiti minimi di quando è stato assunto, visto che per decenni non è stato valutato. Senza parlare ovviamente di chi semplicemente il proprio lavoro non lo fa per niente... non penso al solito "fannullone che non timbra", ma anche all'imboscato di tanti sistemi burocratici (anche privati) che al lavoro ci va pure, ma non fa niente (o molto poco) di produttivo.

all'università, nel '96 circa, un prof di informatica ci parlava di questi fantomatici programmatori che venivano pagati x$ a riga

Probabilmente il docente si riferiva a programmatori fino agli anni '70, ad esempio in ambienti Cobol o assembler. In assembler, fino all'avvento delle macro (anni '80) ogni riga era una istruzione elementare; in Cobol le istruzioni erano una per riga, di fatto. 

Uno dei miei docenti, per spiegare il concetto di algoritmo, usava le ricette dell'Artusi: come dire, il desueto spiegato con qualcosa di ancora piu' desueto :D

(Il concetto di algoritmo non e' desueto, ma che ad inizio anni '90 si usassero ancora l'assembler e i diagrammi di flusso in corsi universitari era decisamente frustrante: io sono stato fortunato, ho avuto a che fare con il Pascal. Adesso insegnano Java, che lo ha sostituito).

Gia' negli anni '80, in linguaggi come il C (che e' per certi versi abbastanza "a basso livello", vicino all'assembler) la correlazione tra numero di righe e numero di istruzioni non era diretta: potevi avere una istruzione su piu' righe di codice, o piu' istruzioni in una riga, anche se quest'ultima possibilita' non si usava spesso perche' rendeva il codice meno leggibile. 

Adesso il "conteggio delle righe" si usa commercialmente, quasi sempre come sinonimo di "conteggio delle istruzioni" e serve per dare una misura approssimativa della "capacita'" degli applicativi: c'e' infatti in genere una correlazione positiva tra numero di istruzioni, funzioni svolte dagli applicativi e tempo usato per sviluppare. La dimensione degli applicativi non sempre e' indicativa, perche' potrebbe includere librerie esterne o file multimediali.



 

c'e' infatti in genere una correlazione positiva tra numero di istruzioni [...] e tempo usato per sviluppare

Non ti do torto perche' non hai torto, ma facci presente che le cose oggi sono cambiate un pochino... Ah i bei tempi dell'assembler quando un programma scritto da Tizio risultava illeggibile per Caio! (anche nel caso Tizio = Caio)

Il concetto di algoritmo, invece, e' piu' antico persino delle ricette di Pellegrino Artusi.

 

Ad ogni modo stiamo creando un thread un po' OT - anzi un po' tanto! Chiedo scusa agli altri

 

 

Concordo e chiedo scusa anche io. Devo dire che e' stato interessante comunque perche' mi sono messo nei panni di chi queste cose non le legge tutti i giorni e mi sono reso conto di quanto sia "spiazzante".

 

Conta che Credit Suisse a Londra ha assunto una sessantina di programmatori F#.

 

Notizia interessante, grazie :) Ho dato appena un'occhiata a F#, ma l'ho trovato molto interessante e anche piu' elegante di OCaML. Ci faro' un pensierino in piu' :D

EDIT: mi ero dimenticato di Scala! Un bell'oggettino, soprattutto per chi e' abituato ad usare Java...

 

 

F# e' molto interessante e da vari punti di vista. Il fatto di poter usarlo come linguaggio script (sebbene continui ad essere compilato JIT) fa si' che con appropriate librerie di funzioni persino economisti e statistici potrebbero usarlo al posto dei vari mathematica/matlab/R e compagnia. Risparmiando tanti soldi (nell'ordine di qualche migliaio di euro per utente) e guadagnando in performance (tra 10x e 1000x, a seconda di cosa si faccia).

Scala (ed in genere il mondo Java) non conosco bene, ma ne ho sentito parlare bene.