Talloni per la sovranità monetaria (1)

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Cerco di descrivere le differenze operative fra tallone regolamentare e tallone aureo per capirne l'impatto sull'ambiente economico-finanziario. Aureo o regolamentare che sia, il tallone serve per agganciare la moneta, che è un debito di chi la emette, ad un punto di riferimento oggettivo ed impersonale che tutti possano accettare, dando così valore alla moneta emessa. In altre parole: entrambi i talloni cercano di "ancorare" la quantità di moneta in circolazione ad un criterio condivisibile ed osservabile da tutti gli operatori economici interessati. In caso contrario l'emissione di moneta diventa arbitraria, per cui l'obiettivo stabilità monetaria diventa vacuo. 

 

Preliminari.

Sappiamo che l’obiettivo delle Banche Centrali (BC) è quello di perseguire la stabilità monetaria, cioè la stabilità del potere d’acquisto delle rispettive monete, convenzionalmente intesa come il perseguimento di un tasso di inflazione annuo intorno al 2% (chiamiamo queste vincolo `Regola di BC’). 

Se l’inflazione è un fenomeno prevalentemente monetario, relativo cioè alla quantità di moneta in circolazione rispetto ai fabbisogni dell’economia, è interessante chiedersi come tecnicamente la moneta venga prodotta e se le BC ne controllino sempre ed effettivamente l’ammontare.

La moneta (nel senso di “moneta fiat”, cioè emessa "dal nulla"; quindi non la moneta metallica o quella cartacea immediatamente convertibile in un qualche bene dotato di valore intrinseco come ai tempi del gold standard) è rappresentata dai debiti a vista di alcuni emittenti: della BC e delle banche commerciali (bc). Le controparti di questa moneta negli stati patrimoniali, rispettivamente, delle BC e delle bc sono quindi i crediti verso altri soggetti che tali emittenti vantano. 

Nel caso più semplice, una BC emette moneta e la usa per acquistare beni e servizi sul mercato. Se, sul mercato primario, compra debito pubblico dello stato da cui “dipende” o a cui fa riferimento, significa che lo finanzia (c.d. finanziamento monetario). Si noti che questa operazione implica che il Tesoro emette debito (ossia, promesse di pagamenti futuri) in cambio dei beni e dei servizi che acquista con quel debito. Se questo debito viene finanziato da moneta già esistente e proveniente dal settore privato (dove stava circolando) il credito fatto dal settore privato al governo proviene da scelte di investimento (risparmi effettivi) del settore privato stesso. Se questo debito, invece, viene finanziato dalla produzione di nuova moneta da parte della BC (che la passa al Tesoro in cambio dei titoli di debito che questo emette) il debito del Tesoro non viene finanziato da scelte di investimento di qualche operatore pubblico o privato ma da meri pezzi di carta che non stanno a fronte di alcun fenomeno economico sottostante. Con questi pezzi di carta il Tesoro, infatti, pagherà beni e servizi anche se la domanda addizionale del Tesoro non corrisponde a scelte economiche sottostanti relative a tali beni e servizi da parte di altri operatori pubblici o privati. Metaforicamente (ma neanche tanto): quando la BC emette moneta per acquistare titoli di debito pubblico già in circolazione (mercato secondario) li acquista da privati che li avevano comprati risparmiando parte del loro reddito/ricchezza, ossia mettendo a disposizione beni e servizi reali. Quando invece la BC emette moneta per acquistare titoli di debito pubblico messi in circolazione ex novo dal Tesoro (mercato primario) abbiamo uno scambio di un tipo di debito cartaceo con un altro, nessun bene/servizio viene prodotto (accantonato) a fronte del nuovo titolo di debito emesso. Trattasi di "carta in cambio di carta" invece che "carta in cambio di merci".

Nel caso di una bc, essa crea moneta concedendo un credito, cioè potere d’acquisto, ad un altro soggetto che lo spende per realizzare i propri obiettivi (ad es. acquisti di materie prime). Quindi nello stato patrimoniale di una bc, a fronte della moneta creata, cioè dei finanziamenti concessi, si ha un debito del soggetto finanziato (privato o pubblico che sia). Quest’ultimo, spenderà il potere d’acquisto ottenuto a favore dei suoi fornitori, che diventeranno depositanti della medesima, o di un’altra banca, cioé diventeranno detentori della moneta creata con il finanziamento originario. In questo caso la bc che emette moneta facendo credito lo fa in cambio di una promessa di produzione di beni futuri (da parte del debitore, caso del credito commerciale) o a fronte di beni già esistenti (caso del debito ipotecario o con garanzia reale). 

Questi sono casi di scuola ed i recenti sviluppi, specialmente post crisi del 2008 e con il cosidetto Quantitative Easing (QE), hanno cambiato, anche sostanzialmente la situazione. Ma su questo torno in seguito.

Tornando al caso della BC, relativamente ai debiti pubblici in molti Paesi, compresi quelli che fanno parte della zona Euro, si è deciso di vietare il loro finanziamento monetario analogamente a quanto accadde in Italia negli anni ‘80 (cosidetto “divorzio” fra Bd’I e Ministero del Tesoro, avvenuto con Andreatta al Tesoro). Insomma, si sono vietati gli acquisti di debito pubblico, da parte della BC, sul mercato primario a fronte di nuova offerta di moneta. Questa regola, lo sappiamo, crea notevoli problemi alla dimensione della spesa pubblica, per cui tutti cercano di aggirarla. 

Quanto ai debiti delle banche in contropartita con la BC, con gli operatori pubblici e privati e con i debiti pubblici, il discorso è ben più complesso e articolato.

La BC, infatti, finanzia (ossia, concede potere d’acquisto immediatamente spendibile a) le bc attraverso regole precise, circostanziate e di pubblico dominio. In generale queste regole prevedono che, a fronte della moneta che la BC trasferisce alle bc, vi siano contropartite "reali", ossia impegnative di pagamento di agenti privati che promettono di soddisfarle attraverso la vendità di beni e servizi che intendono produrre. Dato però che le bc producono la maggior parte della moneta in circolazione è utile e necessario porre dei vincoli all’espansione anche di questa componente monetaria.

I vincoli in questione sono volti a limitare la creazione di moneta fiat da parte delle bc, il che si realizza ponendo dei vincoli all’espansione del credito bancario, ossia degli attivi delle banche.

Atteso che le banche concedono (in principio) prestiti dal nulla e che questi sono la fonte dei depositi a vista (della moneta bancaria), si è deciso di vincolare i crediti bancari all’economia, ponderati per il loro rischio, ad un multiplo dei fondi propri delle bc cioè del capitale proprio (capitale sociale + utili reinvestiti)  che gli azionisti (proprietari delle bc) hanno investito nell’impresa bancaria in questione. 

Chiamiamo questi vincoli "Regole di Basilea" e ricordiamo che sono in vigore dal 1988 e che sono state sistematicamente affinate nel corso degli anni. Per questo si parla di Basilea I, II, III, eccetera.

Fra gli attivi delle banche vi sono anche ingenti somme investite in titoli di Stato, raramente acquistati sul mercato primario, quasi sempre negoziati sul mercato secondario. Questi titoli vengono, ancora oggi, considerati privi di rischio nonostante le esperienze dell'ultimo decennio.

Gli ingenti investimenti nei debiti pubblici delle bc tendono in un certo senso a vanificare il divieto di finanziamento monetario (acquisti della BC sul mercato primario, vedi sopra ed osservare che se BC emette moneta che passa a bc perché queste acquistino debito pubblico sul primario è come se, via bc, la BC emetta moneta per acquistare debito pubblico nel primario) per cui, contemporaneamente a tale divieto si sono stabiliti dei vincoli all’indebitamento tendenziale degli Stati (deficit/PIL 3%, Debito/PIL 60%) e, più recentemente, la Sixpack regulation. Chiamiamo questi vincoli `Regole dei Trattatì'. 

Il controllo della moneta, e quindi della stabilità del suo potere d’acquisto, passa dunque attraverso un insieme di regole convenzionali: un obiettivo (inflazione intorno al 2% annuo) e un sistema di regole europee condivise e messe punto da diverse autorità politiche ed economiche: se denominiamo questo insieme di regole "ìl tallone regolamentare" possiamo dire che la stabilità monetaria deriva dal rispetto di quel tallone, cioè di quelle regole.

Problema, o Domanda.

Il rispetto delle regole richiede anche tribunali che sanzionino chi vi contravviene o che ne diano l’interpretazione autentica, ecc.: ci si sposta così dal piano economico-finanziario, cioè della convenienza economica relativa allo scambio di beni scarsi, al piano giuridico-normativo che non decide cosa sia scarso e cosa non lo sia, ma cerca di verificare la regolarità ex post degli scambi di beni, indipendentemente dalla loro scarsità.

Il risultato finale di questo processo è duplice: 1) la normativa si espande indefinitamente per regolare gli scambi di qualsiasi bene e/o servizio; 2) gli aspetti economico-finanziari, cioè di convenienza economica relativa ai beni scarsi, vengono celati dagli aspetti giuridico-formali relativi alla regolarità formale dei loro scambi.

È dunque evidente l’utilità della dimensione giuridica dello scambio ma, bisogna considerare che tale dimensione raramente prende atto della realtà economico-finanziaria, cioè della scarsità dei beni scambiati e/o che si scambiano beni ritenuti scarsi dagli operatori.

Supponendo che lo schema delineato nella parte preliminare interpreti correttamente la creazione di moneta nel mondo attuale, concentriamo l’attenzione sul mezzo che ci consente di scambiare il potere d’acquisto, ossia sulla moneta.

Cioè, semplificando un po’, di M0 (la base monetaria), di M1 (M0 + la moneta bancaria), di M2 (M1 + strumenti finanziari liquidi), di M3 (M2 + strumenti finanziari a breve di alcuni emittenti). Attualmente la situazione mi sembra si sia complicata perché la configurazione di moneta appena data è diventata alquanto labile; la quantita' effettiva in circolazione deriva dalla politica accomodante "occulta" della BC (BCE in questo caso) che, notte tempo, salda l’eventuale scompenso delle partite che giungono alla compensazione in TARGET attraverso anticipazioni illimitate e gratuite ancorché fondate su collateral.

Come si può osservare, le diverse configurazioni di M hanno una caratteristica: sono fondate sulla fiducia dell’emittente, cioè sulla fiducia che l’emittente rispetti il tallone regolamentare di cui sopra.

Ma il tallone regolamentare si espande a vista d’occhio e tende ad incidere pesantemente sulle libertà individuali e degli stati tanto da provocare reazioni inconsulte: l’espansione delle regole è talmente rilevante che rende, la percezione dell’Unione Europea, vessatoria, inconcludente e inefficiente.

Mutatis mutandis, il lavoro della BC viene vanificato dal fatto che le BC stesse finanziano o ri-finanziano le banche e non l’economia direttamente. Le banche, dunque, filtrano i rispettivi investimenti attraverso il vincolo patrimoniale che implica una maggiore attenzione al merito di credito della clientela e quindi un razionamento del credito. Così la regola di Basilea diviene pro-ciclica e per fronteggiarne la ciclicità si introduce un’altra regola (la Sixpack).

Il tutto provoca oggi austerità, deflazione, recessione: tutti eventi deprecabili. Né si riesce a far ripartire l’inflazione, sulla quale si ritiene poggi la ripresa.

Questo risultato, che mi sembra derivi dal tallone regolamentare, mi sembra identico a quello che si è voluto combattere abolendo il tallone aureo: d’altra parte, se debbo attenermi ad un tallone, tutte le altre variabili diventano dipendenti. La questione, quindi, e' quale dei due talloni (regolamentare o aureo) sia "migliore", e lascio la definizione di "migliore" intenzionalmente ambigua.

A me pare che, mentre il tallone aureo regolava "automaticamente" i trasferimentì di oro da un Paese all’altro, il tallone regolamentare trasferisca l’instabilità monetaria da un Paese all’altro: cioè i Paesi indebitati, perché non rispettano le regole, cercano di trasferire i loro oneri a quelli meno indebitati i quali, ovviamente, cercano di rifiutarsi di pagare. Analogamente, le banche che non rispettano le regole di Basilea, crollano miseramente e le loro débacle si trasferiscono sulla fiscalità generale, ove i cittadini non riescono ad evitare di pagare.

Quello che non ho capito è se, per la convivenza,  sia più conveniente il tallone aureo o quello regolamentare: in altri termini, e per usare un linguaggio desueto ma sempre affascinante, se sia più conveniente il denaro (Menger) o la moneta (Keynes). 

 

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Commenti

Ci sono 19 commenti

è improprio pensare alle esposizioni legate ai derivati (in termini generali per non creare ulteriori complicazioni) come addendo per arrivare ad un "M4" (anche se forse sarebbe meglio dire M5 o M6 visti gli altri strumenti finanziari che si possono considerare a monte)?

Le categorie di M sono `arbitrarie' nel senso che sono create dalle Autorità monetarie per tenere sotto controllo una configurazone vasta di M: da M0 a M3 si passa da emittenti precisi (M1) a strumenti finanziari `liquidi' (cioè prontamente, data l'esistenza di un mercato, ed economicamente, senza o con infime perdite in conto capitale,  trasformabii in M1). La mia opinione è che le esposizioni in derivati non siano liquide e che sia arduo allargare ulteriormente la configurazione di M.

Già Menger (1909) sosteneva che M è una configurazione troppo vasta e che si doveva indagare sul kernel di M cioè individuare il denaro nel senso economico del termine... ma di questo mi sto occupando predispoenndo un secondo post sul tallone aureo che sto mettendo a punto.

Gentile prof.Biffis, desidero fare qualche annotazione in merito al punto in cui Lei cita questi 3 fenomeni. Innanzi tutto auspico che gli economisti diano (finalmente) una definizione univoca sul termine "austerità", in quanto mi sembra che sia usata spesso impropriamente. Non pretendo che sia assegnato un numero specifico, ma quantomeno espressa una definizione chiara. Tra l'altro, lei probabilmente lo sa, in Germania il termine "Austerität" non viene usato allo stesso modo in quanto è naturale che il bilancio di uno Stato debba essere in equilibrio e la crescita basata su forti deficit è fallace. Quanto alla "deflazione" non nego che abbia una causa nella politica monetaria ma a mio avviso il peso maggiore viene dal mercato. Il crollo delle materie prime e la crisi di domanda che coinvolge un po' tutti i Paesi industrializzati non facilita o meglio non induce le imprese ad investire. D'altronde perché una azienda dovrebbe impegnarsi  se il suo livello di produzione è del 70-80% della propria capacità e la tendenza del mercato non fa intravedere un incremento della domanda? Di recente ho trovato molto interessante  le analisi dell'economista Lawrence Summers sulla prospettiva di una "Stagnazione Secolare". A questo punto Le chiedo, e mi scuso per essermi dilungato, ritiene che la soluzione possa venire dalla politica monetaria (anche solo in gran parte)? O piuttosto occorre guardare più a quella fiscale, come sostiene tra l'altro Mario Draghi?

Austerità: non so se si tratti di un termine coniato dagli economistti; mi sembra più un termine giornalistico. Comunque io lo uso per indicare, più che una diminuzione della spesa pubblica, la sua riqualificazione. Mi è noto che per fare questo vi sono molteplici rigidità, non tutte plausibili, però così mi sembra si dovrebbe agire in Italia.

Il bilancio, ovunque nel mondo, deve bilanciare altrimenti che bilancio è? In realtà, può bilanciare solo se vi è uguaglianza simultanea, ad una determinata data, fra costi e ricavi, fra entrate e uscite e fra debiti e crediti. In caso contrario, per farlo bilanciare, bisogna indebitarsi. Ciò significa che bisogna contrarre nuovi debiti, oltre che rinnovare quelli in scadenza. Nuovi debiti si possono fare  con un certo garbo perhé dobbiamo convincere chi ci fa credito che il rischio che assume è basso. Altrimenti nessuno compra il nostro debito, oppure dobbiamo racconatre storie agli sprovveduti perché lo comprino. 

Ciò posto, i motivi per cui le imprese non investono sono molti ed è difficile per me fare una sintesi: le variabili in campo sono troppe e la loro concatenazione mi sfugge.

Quanto alla stagflazione secolare, bisognerebbe capire cosa significa: è la diminuzione tendenziale del tasso di profitto di marxiana memoria? Ma qui andrei oltre le mie conoscenze. 

Mi considero un profano e quindi mi scuso in anticipo con il Prof. Biffisper le incongruenze che troverà nel mio intervento. Dal suo chiarissimo articolo ne ho dedotto che la virtualità dell'economia e della finanza internazionale dei giorni d'oggi non è altro che un tarlo che si va sempre più espandendo e difficilmente contrastare se non addirittura controllare. Inoltre, se sino a qualche tempo fa il sistema finanziario era improntato sulla ricerca di una crescita costante dovuta al profitto sotteso ad ogni operazione finaziaria, i fatti di oggi vanno dimostrando che il fattore principale della crescita, cioè gli "interessi" sottesi a ogni erogazione di credito, va sempre più annuandosi. Ed ecco quindi che arrivo alla mia domanda. Vivo in un paese musulmano (la Tunisia) che, pur continuando sui binari di politica finanziaria/econimica di impronta occidenale, da qualche anno si è aperta alla "finanza islamica". Non che io creda nell'Islam e in tutto ciò che ne consegue. Anzi l'esperienza tratta mi induce a dire che l'Islam di per se predica bene e razzola "malissimo", ma alcuni crismi su cui si basa la finanza islamica sono completamente dversi da quelli occidentali. In particolare, nel settore finnaziario parlare di "interessi" o di "tasso di profitto" è proibitissimo. Sono considerati, al pari di cio' che noi considerediamo "usurari", "Haram": peccato gravissimo . E poichè nell'Islam non esiste differenza tra religione e politica, ciò che è considerato "peccato" è bandito da qualsiasi impiego. La finanza islamica, infatti, viaggia su criteri di "corresponsabilità nell'operazione finanziaria" o di "sponsorizzazione (in arabo Kafela)" che sono completamente esenti da calcolo di interessi o profitto di parte. Non sarebbe, forse, ipotizzabile anche per il sistema occidentale incominciare a "studiare" un nuovo tipo di finanza, basato su criteri finanziari completamente diversi da quelli attuati sin d'ora? D'altra parte anche il passaggio dal sistema Menger a quello Keynesiano ha comportato uno stravolgimento degli stessi criteri finanziari di base. Un salto in una nuova dimensione, forse, ben tenendo a mente che il riferimento ideologico "razzola malissimo", potrebbe aprire a nuovi orizzonti uscendo, quindi, dall'empasse dell'attuale stagnazione.

La finanza islamica non prevede che il denaro possa fruttare, di per se stesso, un interesse. Sopperisce a questa `carenza' con una sorta di `associazione in partecipazione' per realizzare un progetto. Conclusa l'opera si ha la divisione del profitto. La faccenda dell'interesse, per i cristiani, è stata sdoganata a suo tempo da Tommaso d'Aquino e dalla tarda scolastica.

Io penso che la posizione dei cristiani e del capitalismo occidentale in materia sia più accettabile: in linea di massima, chi finanzia un'iniziativa di successo a titolo di capitale, riscuote i dividendi ma rischia di perdere tutto (quota capitale e sua remunerazione) qualora l'iniziativa non abbia successo; chi finanzia a titolo di credito la medesima iniziativa di successo riscuote l'interese concordato indipendetemente dal livello del profitto e in caso di insuccesso   rischia di non riscuotere la remunerazione prevista contrattualmente, ma mantiene dei diritti sulla ripartizione della massa attiva.

Sul `predicare bene e razzolare male' non credo si possa attribuirne il monopolio all'Islam; mi pare un connotato comune a tutti i predicatori.

Se nell'Isalm non c'è differenza fra politica e religione ne prendo atto, ma io credo che i due comparti andrebbero scissi radicalmente: spetta poi al singolo operatore fare i conti con la propria religione, con la propria coscienza, con la legge civile, ecc.

Quanto alla premessa sulla virtualità dell'economia e della finanza io penso che si debba prendere atto che il pensiero economico, attinente cioè la gestione di beni scarsi per ridurne l'impatto sulla società, abbia fatto enormi passi in avanti nell'ultimo secolo: l'evoluzione degli studi quantitativi applicati all'economia, aiutati dalla capacità di calcolo delle macchine, hanno consentito di creare e mobilizzzare ingenti risorse finanziarie e il capitalismo ne ha fruito con benèfici effetti nel mondo (è noto che la soglia di povertà oggi è di molto aumenatata rispetto ad un secolo fa). Analogamente l'evoluzione delle discipline economiche e delle scienze hanno portato benefìci incommensurabili (i treni, gli aerei e le auto; la soda caustica; la plastica; le fibre vegetali e quelle sintetiche; la bombola del gas; ecc.).

Certo, ogni innovazione implica entropia, diseconomie, contraddizioni e altri problemi irrisolti: però penso che l'idea di `sistemare definitivamente il mondo' sia un po' velleitaria mentre dovremmo cercare di sistemare, intanto, le cose che ci circondano più da vicino.

Una di queste cose, secondo me, è l'alfabetizzazione economico-finanziaria (che vede l'Italia al penultimo posto, prima della Colombia) la quale potrebbe fornire maggiore consapevolezza nelle scelte di allocazione del risparmio individuale e nella valutazione delle scelte di investimento collettive. 

Concordo con il Professore sulla scarsa alfabefizzazione economica degli italiani,anche senza il conforto dei sondaggi constato,quotidianamente ( mi piace L'Economia,leggo molta Economia tra libri,siti specializzati,magazines cartacei,etc) che il livello di consapevolezza Economico-Finanziaria degli italiani e'scarsissimo! Cio'e'pernicioso non solo dal punto di vista privato,per allocare meglio i propri investimenti e non farsi fregare dalle lobby bancarie; ma anche dal punto di vista pubblico,ossia di essere correttamente informati di quello che succede nel sociale,e nella politica. Oggi la,politica e'al 80% Economia E Finanza Pubblica. Il 70% delle persone non ha una esatta nozione di cosa sia il deficit pubblico( lo confondono con il Debito Pubblico!), cosa sia un Btp,cosa sia il Debito Pubblico( lo confondono con il privato!). Non parliamo del Fiscal compact,e dei parametri U.E: ne hanno nozioni confuse! Fosse per me,provocatoriamente,obbligherei ad istituire una patente economica per poter investire e votare! I politici sfruttano questa ignoranza per imbrogliare i cittadini-elettori!

Per quanto concerne la stagnazione secolare ci sono delle pubblicazioni in giro,Larry Summers in primis,che ipotizzano che il tasso di crescita delle Economie,specie quelle U.E, non sara'mai piu'quello di una volta per varie ragioni concomitanti relative all'epoca storica in cui viviamo:1) il tasso di invecchiamento della popolazione,specie in U.E,ma anche nefli U.S.A, determina una prevalenza delle classi anziane che risparmiano molto e consumano meno dei giovani per cui il disallineamento risparmi/investimenti ormai e'strutturale,per cui ci sara'una carenza strutturale di domanda per consumi ed investimenti2) questo disallineamento non potra'essere compensato dal ribasso dei tassi di interesse che e'gia',in termini reali vicino allo 03) la produttivita',una delle determinanti della crescita di lungo periodo,per ragioni tecnologiche,sembra essere bassa,in calo persino negli i U.S.A 4) come evidenziato dal volume di Piketty,il Capitale nel XXI SECOLO,le disuguagliaze di ricchezza sono in crescita,sembra stiano tornando a quelle del periodo "belle epoque" per cu,i essendo la propensione al consumo dei ricchi piu'bassa rispetto alle classi medie,e povere,cio contribuisce ulteriormente a tenere bassa la domanda aggregata e la crescita nel medio-lungo periodo!

 

Sulla scarsa alfabetizzazione concordiamo: mi resta solo da dire che le responsabilità sono da molte parti: in primis: 1) dalla parte di chi non vuole informarsi per pigrizia o perché rifugge delle cose un po' complicate e un po' complesse della nostra vita attuale; 2) dalla parte di chi non ha tempo di spiegare le 4 operazioni perché le ritiene una diminuzio. Così si allarga il divario fra chi fa scelte finanziarie consapevoli e chi le subisce e poi dà in escandescenze.

Della stagnazione secolare non mi sono occupato e non so nulla: devo segnalare però che sono vittima del pre-giudizio che mi porta a diffidare dei profeti e dalle generalizzazioni seppure fondate su osservazioni correnti inequivocabili.

Sul disallineamento risparmi/investimenti ho maturato troppi dubbi sul significato delle parole e non mi sento di interloquire. In sintesi, il mio dubbio è il seguente: il risparmio non è forse sempre investito? Investito in un portafoglio (Cassa-materasso, Cassa-depositi in c/c, Titoli, Immobili, ecc. ordinato per liquidità decrescente degli attivi)? Questo è il mio dubbio, ma spero di chiarirmeelo.

 

“Quello che non ho capito è se, per la convivenza,  sia più conveniente il tallone aureo o quello regolamentare”.  Mi aspettavo più reazioni, magari da qualche redattore storico, a questa affermazione. Mi pare, infatti, che quel dubbio sia una naturale conseguenza di quelle che a me, orecchiante di economia, sembrano lucide considerazioni , tra l’altro espresse in modo chiarissimo.  Dunque delle due l’una: 1) il periodo feriale spegne le discussioni;  2) la questione non è ritenuta degna di attenzione, data per certa l’impossibilità di un ritorno al passato. 

Ho, poi, sebbene sia fuori tema, una curiosità che l’intervento di Rainbow mi ha rinnovato: l’affermazione, accettata dai più ma che a me pare contrasti con la realtà,   essendo la propensione al consumo dei ricchi più bassa rispetto alle classi medie e povere” su quali basi empiriche e statistiche si basa?  Spero che non sia fondata solo su “La legge psicologica fondamentale, sulla quale siamo autorizzati a basarci con grande fiducia, sia a priori per la nostra conoscenza della natura umana, sia per i fatti particolareggiati dell’esperienza, è che di norma e in media, gli uomini sono disposti ad accrescere il loro consumo con l’aumentare del reddito, ma non tanto quanto è l’aumento del loro reddito. (…) Un livello assoluto superiore di reddito tenderà di regola ad allargare il divario fra reddito e consumo.  (…) Queste ragioni di regola faranno sì che la proporzione del reddito che viene risparmiata aumenti col crescere del reddito reale”,  perché, in questo caso e fatta salva l’ammirazione per il genio dell’autore [Keynes, Occupazione interesse e moneta, cap. VIII, § 3], sarebbe francamente piuttosto fragile …

Segnalo che molti commenti sono passati su FB.

Quanto a la propensione al consumo dei ricchi più bassa rispetto alle classi medie e povere” fondata anche su “ La legge psicologica fondamentale, sulla quale siamo autorizzati a basarci con grande fiducia..." mi pare che gli studi dell'ultimo secolo sulla psicologia e su tutte la altre discipline sia avanzata notevolmente: basterebbe rileggere gli scritti di uno dei miei miti giovanili, Bertrand Russsel, per rendersi conto che quelli di Bloomsbury avevano un'opinione del mondo leggermente approssimativa.

Quanto alla relazione `reddito-consumo-investimenti-risparmio' ho l'impressione che sia un po' deterministica anche alla luce dei cambiameti dell'economia degli utlimi 30-40 anni.
Ma ne riaprliamo. 

 

"Atteso che le banche concedono (in principio) prestiti dal nulla e che questi sono la fonte dei depositi a vista (della moneta bancaria), si è deciso di vincolare i crediti bancari all’economia, ponderati per il loro rischio, ad un multiplo dei fondi propri delle bc cioè del capitale proprio (capitale sociale + utili reinvestiti)  che gli azionisti (proprietari delle bc) hanno investito nell’impresa bancaria in questione. "

 

Pensavo che la regolamentazione fosse invece sul rapporto tra i depositi e le riserve obbligatorie (=cassa contante + depositi presso BC)Detto sistema della Riserva frazionaria.

Altrove ho trovato tra i depositi ed i depositi in conto corrente (o "a vista") che con il circolante vanno a formare rispettivamente gli aggregati M2 ed M1.

Può chiarire, per un profano di economia bancaria?

E un altro chiarimento: è facile verificare la correttezza del valore della "cassa contante" di una banca, o è un valore facilmente manipolabile a bilancio?

Secondo me, prima di chiedersi se il tallone aureo è meglio di quello regolamentare, sarebbe meglio chiedersi se le regole di quello regolamentare sono corrette.
Lo scontro non dovrebbe essere tra Menger e Keynes, ma tra approccio ciclico o anticiclico.

Se è vero che la moneta è semplicemente un mezzo di scambio di beni e servizi, e se è vero che la politica monetaria ha come fine la stabilità del valore della moneta (altrimenti gli investimenti non avrebbero più senso e la proprietà neanche), si potrebbe sostenere che all'aumentare di beni e servizi (offerta) vada aumentata proporzionalmente la quantità di moneta. E viceversa.

Altri sostengono semplicemente il contrario, ovvero che essa andrebbe aumentata quando la quantità di beni e servizi diminuisce (concezione di sviluppo economico, e di politica monetaria, basata sulla domanda).

Quest'ultima teoria mi ricorda che i medici medioevali, pensando che la malattia coincidesse col sintomo della febbre (nell'allegoria economica: la deflazione), immergevano il febbricitante nell'acqua gelata (nell'allegoria, l'economista aumenterebbe la quantità di moneta).

Se queste sono le regole, come direbbe il febbricitante, "stiamo freschi!".

professore mi perdoni se mi permetto di porre una domanda banale: può spiegare a un incompetente totale come me il funzionamento del meccanismo di "compensazione"?

 

politica accomodante "occulta" della BC (BCE in questo caso) che, notte tempo, salda l’eventuale scompenso delle partite che giungono alla compensazione

 

quello che non mi è chiaro è come avviene questa compensazione, cioè come si esercita il controllo della BC sulle bc.
A un progettista di caldaie quale sono io sembra che quando una bc crea moneta fiat concedendo un credito di 100 - essendo tenuta solo a detenere depositi pari al coefficiente di riserva frazionaria, e non ad avere raccolto depositi pari a 100 - questa abbia ottenuto un credito non compensato da alcun debito.
Quale meccanismo assicura che alla scadenza della partita la moneta che rientra non costituisca una rendita?

nell'ultimo articolo dovrebbe trovare la risposta al suo questito