I sandali del Cairo, Tripoli, Tunisi ... (2)

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Riprendiamo le nostre riflessioni su quanto accade in Nord Africa, chiarendo anzitutto i punti ambigui del post precedente. Visto l'evolversi degli eventi, rimandiamo le domande più di lungo periodo e ci concentriamo sulla Libia, ponendoci la seguente

Domanda 2. Come interpretare la posizione perlomeno "ambigua" assunta dal governo italiano, e dagli italiani, rispetto alla questione libica?

Prima di rispondere alla nuova domanda, forse è meglio chiarire alcuni punti apparentemente oscuri del nostro post precedente. A leggere il dibattito che ne è seguito viene un po’ il mal di pancia ma la colpa dev'essere nostra. Evidentemente ci siamo spiegati male e non ci siamo fatti capire, riproviamoci.

Due elementi fondamentali vanno ribaditi.

1. Sostenere lo slogan “la libertà è sia esportabile che contagiosa” NON implica ritenere che, per esempio, la maniera in cui la guerra in Irak è stata condotta sia quella giusta. E nemmeno quella in Afghanistan. Infatti, non implica nemmeno ritenere che le due guerre, nella forma in cui si sono svolte e si stanno svolgendo, siano legittime e siano una buona idea. Lo slogan - che è uno slogan non scordiamolo - vuol dire che una politica attiva di sostegno dei movimenti democratici e delle rivolte popolari contro i dittatori, che abbondano nel terzo mondo ed in quello arabo in particolare, è utile e può dare dei frutti. Lo slogan vuol dire che a volte vale anche la pena di intervenire militarmente per aiutare tali domande, che esse vi sono e che anche le popolazioni di religione musulmana, nel caso specifico, esprimono domande di libertà e democrazia non molto dissimili da quelle che esprimevano le popolazioni europee un secolo e mezzo fa, decennio più decennio meno.

Il che vuol dire, fra le altre cose, che tali popolazioni sono probabilmente in grado di autogovernarsi secondo criteri vagamente “democratici” e che il loro esser musulmane non deve considerarsi di ostacolo a tale domanda/potenzialità. Infine, lo slogan vuole anche dire che l’esistenza di tale domanda di libertà e di democrazia genera un incentivo a una politica attiva in quell’area, invece di un’accettazione dello status-quo. Politica attiva vuol dire politica disposta a rischiare, talvolta anche militarmente, cercando di far cadere regimi particolarmente repressivi e corrotti nella speranza/credenza che un effetto di imitazione - questo è l'effetto domino e, francamente, alcuni dei commenti sul tema sono così fuori del seminato ed incoerenti che eviteremo di ritornarci - sia possibile e permetta un rapido cambio dello scenario politico nei paesi arabi.

Sul chi interviene, l’ ONU, la NATO, una coalizione di paesi o altro ancora, si discute sempre con grande vivacità. Qui i principi sono due, molto semplici. Il primo è che coalizioni ampie sono migliori di coalizioni ristrette. Il secondo è che aiuti che arrivino troppo tardi non servono e che c’è sempre un punto, chiaro a tutti, in cui aspettare ancora per aggregare consenso serve solo a posporre la decisione fino a quando essa diventa irrilevante. In Libia, per esempio, questo punto si è cominciato a superarlo qualche giorno fa quando un potenziale accordo si stava profilando fra i paesi NATO sulla imposizione di una no-fly zone e Gheddafi resisteva riorganizzando le proprie forze. Ora Gheddafi è all'attacco mentre l'accordo sull'intervento sembra essere evaporato. Fra una settimana, probabilmente, diventerà irrilevante e sarà troppo tardi. Noi torniamo a chiedere: se ci fosse, domani, un intervento NATO teso a garantire che l'aviazione e le forze corazzate libiche non sparino sugli insorti, non sarebbe questo un aiuto dovuto invece che un intervento imperialistico?

Infine, sul fatto che la idea di libertà sia contagiosa non ci pare che ci possano esser dubbi dopo quello che è successo negli ultimi mesi. Anche se alcuni fra coloro che agitano l’idea della libertà nel mondo (dottrina Bush) hanno altre intenzioni, le idee hanno una forza loro e continuano a marciare indipendentemente da cosa si proponeva chi le ha annunciate, magari strumentalmente, nel passato.

2. Sia ai tempi del dibattito sulla guerra in Irak, sia ora, sia, ovviamente, quaranta o sessant’anni fa quando la fase coloniale europea in quella zona si chiudeva, le “cancellerie” europee (soprattutto quelle europee; meno, e con variazioni complicate che ora riassumere in due righe non è possibile, il dipartimento di stato USA) hanno sempre guardato alle popolazioni arabe come inevitabilmente “inferiori”. Tanto per metterla semplice semplice: gli arabi sono incorreggibili goat fuckers che non si sanno autogovernare, che non possono organizzarsi, che non possono fare altro che essere gente di serie B, che capiscono solo il bastone e la carota, come gli asini. Ragione per cui vanno fatti governare da elites oppressive amiche nostre ed educate da noi o, almeno, nel nostro conto paga. Il cambiamento, da quelle parti, è cambiamento in peggio: basta vedere cos’è successo in Libia, in Iraq ed in Iran quando i nostri amichetti sono stati spodestati (rispettivamente, nel 1968, 1963-68 e 1978). Ragione per cui, quando si parla di mondo arabo, ciò che conta sono la stabilità e le relazioni diplomatico-commerciali che possiamo stabilire con il despota di turno. Il deal è chiaro, dopotutto: loro hanno petrolio e gas che possono vendere solo a noi (a dire il vero neanche questo è piu vero ed anche di questo l’Europa sembra non essersi accorta, ma andiamo avanti). Quindi basta che ci vendano il petrolio e noi gli diamo in cambio i nostri beni di consumo ed armi per opprimere le loro popolazioni. L’unica questione è il prezzo e quanto sforzo mettono nel controllare i più riottosi fra i goat-fuckers che governano. Ma questi sono affari loro, alla fine: a noi basta che arrivi l’olio. Quindi non venite a molestare con l’esportabilità di democrazia e libertà: tranquilli, tutto il Nord Africa è sotto controllo, tutto funziona bene, avanti come sempre. La posizione diplomatica europea era questa nel 2002-03, quando si opponeva all'invasione dell’Irak, lo è ora, quando si dibatte se dare o meno una mano dal cielo agli insorti contro Gheddafi, e lo era sei mesi fa, prima che tutto questo iniziasse. Tanto che si proclamava a destra ed a manca quanto bravo era diventato Gheddafi, quanto stabile era Mubarak e quanti begli affari si potevano fare con i loro regimi e con quelli dei loro colleghi. E non solo nell’Italia del bunga-bunga e delle tende beduine in piazza San Pietro e paraggi ma anche in distinti cenacoli accademici.

Tutte queste "teorie" vengono oggi radicalmente contraddette dai fatti, però occorre ricordarsi che queste, non altre, erano e sono le teorie che si contrappongono a quella che noi difendiamo, secondo cui libertà e financo democrazia sono esportabili. Detta un po' provocatoriamente: all'esportabilità di libertà e democrazia si contrappone, per il momento, la politica estera che ha in Silvio Berlusconi il suo rappresentante più coerente, anche se non il più socialmente presentabile. Prima di lui c'era Giulio Andreotti, che sembrava socialmente più presentabile.

Partiamo quindi da questa constatazione per iniziare a rispondere alla domanda che abbiamo posto nel sommario.

In questi ultimi giorni qualche giornale ha cominciato a scriverlo e persino qualche comissario europeo ne allude, ma ci permettiamo di ricordare che da qualche parte lo si va dicendo da tempo. Quanto accade in Nord Africa è la prova che il sistema della diplomazia e l'armata di “esperti” di politica internazionale europei (ed americani) che con tale sistema interagiscono sono composti di persone che, in media ovviamente, parlano a vanvera tanto quanto i macroeconomisti delle banche centrali, e forse anche di più.

L’incapacità di percepire e capire quanto andava preparandosi nel mondo arabo ha dell’incredibile alla luce degli eventi recenti. Ancor peggiore è l'incapacità di imparare dagli eventi mentre accadono. Le rivolte hanno colto tutti perfettamente di sorpresa, cosicché nessuno ha idea di chi le organizzi e guidi e di dove possano sboccare. Da qui anche, la grande paura del cambio, che attanaglia un po' tutti ma è particolarmente forte in Italia. Per 40 anni le nostre elites, con Agnelli ed Andreotti in testa, hanno fatto affari con Gheddafi e la sua cerchia ignorando il resto della Libia. Ora sono tutti terrorizzati perché non hanno la più vaga alba di chi potrebbe prendere il potere e di con che occhio guarderebbe alle imprese italiane e ai loro comportamenti passati. Questa, oltre alle relazioni personali e di affari di BS con Gheddafi, sembra la ragione principale per l'ambiguità, a esser gentili, italiana. Ma l'idea che gli interessi materiali delle elite economico-politiche italiane in Libia siano l'unica ragione dietro all'atteggiamento italiano durante queste settimane non sembra convincente perché, dalla società civile non sembra venire una visione diversa del problema. Proseguiamo, quindi.

Il fatto chiaro sembra essere che il mondo arabo è in movimento in direzioni molto diverse da quelle passate, direzioni che sino ad ora i "realisti", che dominano l'elaborazione (teorica e pratica) della politica internazionale europea ed USA, non erano neanche stati in grado di immaginare. Esattamente come non riuscirono ad immaginare il 1989 ... In opposizione alla preoccupazione per un possibile rafforzamento dell’estremismo islamico - peraltro da attendersi visto il vuoto di riferimenti alternativi che la politica "realista" di appoggio agli autocrati non può non aver determinato - questa imprevedibilità è almeno ragione di ottimismo. Gli slogan che hanno portato la gente in piazza non sono quelli del passato. Abbiamo visto zero attacchi agli USA ed al suo ruolo di Grande Satana; non abbiamo visto grandi appelli a temi religiosi; nonostante molti insistano a dire che le rivolte sono motivate dalla crescita dei prezzi dei beni alimentari, nemmeno abbiamo visto rivendicazioni esplicitamente economiche ... persino il problema palestinese (o israeliano) è al momento in secondo piano. Le rivolte nei vari paesi sono, anzitutto, rivolte per la libertà. Ricordiamo, da questo punto di vista, le rinnovate manifestazioni in Egitto o le manifestazioni in Baharain, un paese dove il reddito per-capita in PPP è uguale a quello italiano: quelli che vaneggiano di rivolte per il pane hanno qualche idea della realtà delle cose? Il movimento è di giovani, spesso anche educati, che guardano al mondo occidentale non solo con sospetto ma anche con speranza. Questo è un mondo che, probabilmente, ha visto la presidenza di Obama come una promessa di cambiamento che li riguardava nella forma di un atteggiamento diverso dell'amministrazione USA nei confronti del mondo arabo e degli autocrati che lo governano. La risposta che, sino ad ora, è arrivata da Washington non è negativa, ma decisamente ambigua ed incerta, prova che neanche all'interno di questa amministrazione si era riusciti a prevedere tali fenomeni, nemmeno fra i "possibili" piuttosto che "probabili". Il punto è che queste proteste, insurrezioni e rivolte, financo la guerra civile in corso in Libia, provano che il mondo arabo NON è popolato solo, neanche maggioritariamente, da goat fuckers, rimbecilliti adoratori di Allah e ciarlatani ultra-sciovinisti che perdon tempo nei bazaar. E questo, per l'occidente tutto ma per l'Italia in particolare, è un fatto con cui si fatica a fare i conti.

In questo quadro l’Italia ha un ruolo di speciale arretratezza, infatti un ruolo reazionario. Le uniche preoccupazioni, sia delle elites politiche che dell'opinione pubblica, sembrano essere le due seguenti. La prima, vera ma non particolarmente nuova, è quella di garantire che l’Italia non venga sommersa da immigrati clandestini. La seconda, dichiarata sempre più esplicitamente mano a mano che la situazione libica si evolve ed aggrava, è che questi avvenimenti non siano occasione per interventi occidentali, men che meno per interventi armati in cui l'Italia debba partecipare. Il messaggio che, da Berlusconi a Maroni passando per il Corriere della Sera, arrivava sino all'altro giorno dalla patria lontana era che in queste situazioni è meglio lasciar fare e dare un colpo al cerchio ed uno alla botte, permettendo che il conflitto si risolva "internamente" ad ogni singolo paese, attrezzandosi per essere benvoluti da chiunque vinca. La speranza, riposta ma visibile, è che alla fine Gheddafi vinca e si torni allo status quo ante, che quello sappiamo come gestirlo. Gheddafi, che conosce i suoi polli europei e quelli italiani e francesi in particolare, non a caso sbandiera la versione brutale di questi stessi argomenti per confermare, strizzando l'occhio, che la segreta speranza è infatti ben riposta.

Vale la pena osservare, a questo punto, che le due preoccupazioni sono fra di loro in conflitto. E la speranza è sia suicida che stupida.

La ragione tattica per cui le due preoccupazioni sono in conflitto è banale: da circa un decennio Gheddafi ed il suo regime utilizzano il flusso dei disperati sub-sahariani come arma di ricatto con l'Italia. Il regime di Gheddafi gestisce quel flusso non solo per guadagnare, in stile mafioso, da questa tratta degli schiavi ma per aprire e chiudere il rubinetto delle partenze (non vi sono sbarchi in Italia senza partenze dalla costa libica) al fine di ricattare il governo italiano. Utilizzando tale strumento Gheddafi ha guadagnato aiuti, armi, forniture d'ogni tipo e contratti di favore, oltre che una sostanziale presenza finanziaria in alcune grandi imprese italiane. La crisi di questi giorni ha rivelato palesemente come l'Italia sia ostaggio di Gheddafi (fra gli altri: siamo ostaggio anche di Putin e qualcun altro, ma non allarghiamoci). A questa realizzazione la maggioranza dell'opinione pubblica italiana sembra aver reagito palesando una versione tutta mediterranea della sindrome di Stoccolma ... Invece, anche tatticamente, far fuori Gheddafi conviene! Questo è vero, in particolare, se davvero siamo timorosi del flusso d'immigranti che da lì potrebbe arrivare e che comunque continua ad arrivare. Detto altrimenti, il popolo leghista avrebbe dovuto prendere a pernacchie il signor Maroni mentre profferiva il suo demenziale discorso a Bergamo perché quella è la posizione che maggiormente li danneggia. Ma, di nuovo, che la Lega sia il cancro del Nord lo abbiamo già abbondantemente provato altrove, quindi andiamo avanti.

La ragione strategica è anch'essa banale: l'immigrazione, clandestina o meno, di masse di diseredati dal Nord Africa rallenterà solo quando vi sarà sviluppo economico vero in quelle regioni. Non estrazione di olio e gas e costruzione di palazzi e monumenti per il regime, ma sviluppo economico alla cinese o all'indiana, tanto per capirsi. Ossia, industrializzazione a mezzo di produzioni labor intensive. Questo non succederà mai, come gli ultimi 50 anni ci hanno insegnato, fino a quando i paesi del Nord Africa saranno governati dai pari di Mubarak e Gheddafi. Farli fuori è solo il primo step per poter sperare che (ed operare affinché) si instaurino in quei paesi regimi simili al cinese, se non all'indiano o al brasiliano. La questione, qui, non è illudersi che la Libia diventi la Svezia una volta fatto fuori Gheddafi ma che, semplicemente, si approssimi alla Cina di oggi o a Taiwan e alla Corea del Sud degli anni '50 e '60.  Questo è il realismo che sarebbe il caso di avere e di cui, invece, la nostra diplomazia e la nostra classe politica sembrano completamente prive.

Ma questo tipo di riflessioni, in Italia, non le fa nessuno. L'unico tema a dibattito, un'autentica ossessione, è il fondamentalismo islamico, il cambio inatteso, la paura del nuovo, i goat fuckers che si agitano rifiutandosi d'obbedire agli ordini, come avevano sempre fatto. Paralizzata da queste fobie - a tutti i livelli: non si tratta solo della destra oscurantista - l'Italia fa la politica furba di far fare agli europei (criticandoli, perché non ci aiutano abbastanza, quando ci chiedono d'assumere per una volta un ruolo attivo) i quali a loro volta seguono la politica furba di far fare agli Stati Uniti (criticandoli a loro volta, se per caso qualcosa va storto). La furbizia si ammanta di alti ideali - come per esempio quello della diplomazia come metodo di risoluzione dei conflitti internazionali in alternativa allo scontro armato - e di grandi saggezze storiche - come quelle di Panebianco (il quale altro non fa in questo periodo, che dire ad alta voce ciò che 2/3 d'Italia pensa in silenzio) secondo cui le rivolte potrebbero portare al potere gente che ci vuole meno bene perché il "conflitto di civiltà", alla fin fine, c'è e non è superabile. Sino ad ora la posizione italiana più esplicitamente interventista è quella di Veltroni che ha invitato a ... scendere in piazza per fargli vedere tutta la nostra ferma risolutezza!

La nostra analisi, invece, dice che, grazie anche alla posizione assunta dal nostro paese oltre che da altri, rischiamo di avere una dittatura più sanguinaria di prima al potere in Libia assieme alla tragedia di migliaia di disperati che nei barconi fuggono verso le nostre coste.

In conclusione: la posizione del governo - condivisa, per una volta, da gran parte dell'opposizione e dell'opinione pubblica italiana - è dannosa degli interessi nazionali sia nel breve che nel lungo periodo. Essa sembra frutto, da un lato, del controllo sulle nostre relazioni con il Nord Africa esercitato da gruppi d'interesse economico che vivono al bordo fra pubblico e privato (Eni, Unicredit, Fiat, Impregilo, Finmeccanica ..) e, dall'altro, da una mistura culturale antica di timore del cambiamento, razzismo verso l'arabo, imperialismo d'accatto, malintesa furbizia e ben intesa vigliaccheria. Se le cose fossero lasciate in mano nostra sembra, insomma, che anche questa volta noi le gestiremmo con la mortale miscela di codarda miopia che ha segnato, sin dal glorioso Risorgimento, la nostra storia diplomatica e militare. Ma forse, come è successo già svariate volte nel corso degli ultimi 150 anni e segnatamente nel 1943-45, ci penseranno gli altri "partners" europei e gli USA a cavarci le castagne dal fuoco ed a proteggerci dalle tragiche conseguenze delle nostre decisioni politiche, dei nostri atti diplomatico-militari, delle nostre scelte d'alleati. Lo stellone d'Italia, probabilmente, ha le sue punte altrove: Washington e Londra, Parigi e Bruxelles e forse financo Madrid. Roma è solo il palo a cui rischia continuamente d'impiccarsi.

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Commenti

Ci sono 109 commenti

perfetto e convincente. Il miglior pezzo letto sull'argomento in questi giorni.

 

 


“la libertà è sia esportabile che contagiosa” NON implica ritenere che, per esempio, la maniera in cui la guerra in Irak è stata condotta sia quella giusta

suona tanto come: "il socialismo non ha mai funzionato ma se proviamo con le persone giuste funzionerà". L'unica differenza è che qui si parla di "condotta" diversa. Mentre la storia della "libertà esporatabile e contagiosa" ci ha imapantanati in Afghanista e Irak conflitti che ormai stanno durando da piu' tempo di quello del Vietnam. Questi sono i fatti

Preliminarmente poi vi inviterei a chiarire a voi stessi il significato di "libertà" sia perchè non mi sembra che i nostri regimi siano particolarmente "liberali" sia perchè mi sa che imporre a ad altri manu militari qualcosa non sia precisamente un approccio "liberale" 

La questione, qui, non è illudersi che la Libia diventi la Svezia una volta fatto fuori Gheddafi ma che, semplicemente, si approssimi alla Cina di oggi o a Taiwan e alla Corea del Sud degli anni '50 e '60.  Questo è il realismo che sarebbe il caso di avere e di cui, invece, la nostra diplomazia e la nostra classe politica sembrano completamente prive.

Questa poi...davvero credete che siamo in grado di esportare il "modello" per garantire un simile sviluppo? Non siamo in grado di implemetare in patria un modello di sviluppo, siamo prossimi alla bancarotta con una classe politica corrotta e parassitaria ormai inamovibile e dovremmo fare una guerra o rischiare di esservi impelagati per insegnare ai libici qualcosa che non sappiamo nemmeno lontamante come fare...

Auguri!!

 

La nostra analisi, invece, dice che, grazie anche alla posizione assunta dal nostro paese oltre che da altri, rischiamo di avere una dittatura più sanguinaria di prima al potere in Libia assieme alla tragedia di migliaia di disperati che nei barconi fuggono verso le nostre coste.

Cerco di riassumere: mi sembra di capire che la situazione in Libia abbia ormai raggiunto una sorta di "punto di non ritorno". Anche se alla fine vincesse Gheddafi, usando tutti i mezzi che ha a disposizione, non potrebbe più essere come prima. Il Raiss di Tripoli, come ogni "bravo" despota sa che, una volta riconquistato il controllo, non potrà permettersi nessuna benevolenza verso i rivoltosi. Quindi è probabile che cerchi di farli fuori oppure di farli emigrare (anche se qs seconda opzione mi sembra improbabile, dal suo punto di vista, perchè si tratterebbe comunque di una opposizione in esilio). Sicuramente gli insorti, dal canto loro, cercheranno di fuggire dal paese.

In aggiunta è verosimile che la sanità mentale del colonnello, che era già dubbia, possa peggiorare ulteriormente, con buona pace di coloro che vorrebbero tornare asap al bau (business as usual).

Tutto ciò dovrebbe convincere i dubbiosi che la bilancia del rischio non pende più dalla parte di prima e, una volta tanto, avrebbe senso appoggiare la rivolta, anche sapendo che non ha ancora vinto. Dubito invece che i lacché domestici del Raiss di Tripoli si facciano convincere da qs argomenti.

Credo che la situazione, per l'Italia, sia già abbastanza compromessa, se a Tripoli esiste questo:

it.paperblog.com/manifesto-a-tripoli-di-berlusconi-con-gheddafi-256691/

se Gheddafi cadrà, pensate che Berlusconi si potrà presentare di nuovo in Libia? Ci vorrà un duro lavoro di diplomazia dei futuri governi per far dimenticare il rapporto "da baciamano" del Cavaliere con il Colonnello.

 

L'articolo mi pare molto convincente, ma ho un dubbio sull'ultima parte:

l'immigrazione, clandestina o meno, di masse di diseredati dal Nord Africa rallenterà solo quando vi sarà sviluppo economico vero in quelle regioni. (...) Questo non succederà mai, come gli ultimi 50 anni ci hanno insegnato, fino a quando i paesi del Nord Africa saranno governati dai pari di Mubarak e Gheddafi. 

In realtà di immigrati libici in Italia risulta che ce ne siano pochissimi: 1532 secondo dati del 2004; in quelli del 2010 non la Libia non è nemmeno citata fra i paesi di origine perché evidentemente non è fra i primi 16.

 

 

In realtà di immigrati libici in Italia risulta che ce ne siano pochissimi: 1532 secondo dati del 2004; in quelli del 2010 non la Libia non è nemmeno citata fra i paesi di origine perché evidentemente non è fra i primi 16.

 

Aspetta solo che il Colonnello inizi la derattizzazione in grande stile ...

 

Infatti! Noi diciamo che:

- Ora come ora gli immigrati vengono dai paesi del sub-Sahara e che è il regime che li manipola/sfrutta come arma di ricatto con l'Italia. Una Libia governata da un regime meno criminale probabilmente userebbe meno questo strumento di ricatto.

- Visto che Gheddafi minaccia l'Europa dicendo che saremo "invasi" se perde e che in Italia tutti sembrano molto preoccupati, leghisti per primi ovviamente, dall'invasione libica, noi osserviamo che l'invasione di profughi libici è molto più probabile se vince Gheddafi! Se vince, migliaia di persone fuggiranno. Se perde avranno ragione di restare nel proprio paese, i libici.

Questa storia della liberta' contagiosa mi puzza un po': come lo spiegate allora il TG1 di Minzolini?
:)

Personalmente penso che la liberta' non sia affatto contagiosa, e tantomeno un bene da esportare: e' una conquista, e, a differenza dei diamanti, non e' per sempre.

L'impressione che ho e' che buona parte dei libici si stia impegnando in una lotta di liberazione (che in questo caso vuol dire, in prima istanza, scrollarsi di dosso il rais e la sua corte di parassiti e mercenari). Questo processo si e' innescato grazie ad un meccanismo di emulazione (che non viene certo da Iraq o Afghanistan) ma le premesse c'erano tutte ed e' probabilmente irreversibile.

Per questo io penso che l'istituzione di una no fly zone sarebbe una decisione saggia: eviterebbe possibili cruenti colpi di coda del regime.

 

Questa storia della liberta' contagiosa mi puzza un po': come lo spiegate allora il TG1 di Minzolini?
:)

 

Si spiega che la libertà è contagiosa, ma si può comunque guarire :-)

 

 

"Quanto accade in Nord Africa è la prova che il sistema della diplomazia e l'armata di “esperti” di politica internazionale europei (ed americani) che con tale sistema interagiscono sono composti di persone che, in media ovviamente, parlano a vanvera tanto quanto i macroeconomisti delle banche centrali, e forse anche di più"

 

Come già argomentava Tetlock, 

press.princeton.edu/chapters/s7959.html

 

Non so, però, quanto ciò riveli circa gli esperti in genere e quanto, invece (e mi pare il punto di Tetlock, in certa misura), circa la natura stessa di un esercizio, "seeing the future", che sembra esserci precluso, se nn, appunto, per chiacchierare. 

 

 

Grazie per l'interessante articolo. Solo una nota: la posizione più esplicitamente e - aggiungo - seriamente interventista in Italia è quella dei radicali, tra l'altro gli unici che possono vantare di essere stati gli unici anti-Gheddafi da sempre...

 

Articolo con cui non si può non essere d'accordo.

Aggiungo pure che la situazione libica è una di quelle in cui l'Italia non può permettersi di stare alla finestra

La Libia è notoriamente fondamentale per i nostri interessi nazionali, dato che una quota rilevante del nostro fabbisogno energetico dipende dal suo petrolio. Pensare oggi di poter continuare a commerciare con Tripoli indipendentemente da chi sono i suoi governanti e indifferentemente alle modalità con le quali questi sono al potere è una illusione.

Vediamo le due ipotesi:

a - Gheddafi rimane al potere. Se ci riuscirà, sarà solo grazie ad una repressione militare verso la sua popolazione ed a quel punto sarà nuovamente un reietto sul piano diplomatico: potremo pure continuare a comprar petrolio, ma ci scordiamo ogni rapporto privilegiato di "amicizia" ed ogni "affare" per le nostre imprese, che è stata la politica italo-libica deli ultimi anni

b - Gheddafi viene deposto, i nuovo governanti fanno la conta degli amici e di chi li ha aiutati e ne traggono le conseguenze. Se l'Italia nulla ha fatto o, peggio, è stata connivente col colonnello, torniamo alla situazione sub a): potremo pure continuare a comprar petrolio, ma ci scordiamo ogni rapporto privilegiato ed ogni "affare" per le nostre imprese.

L'opzione migliore per i nostri interessi, oggi, non può che essere quella di assecondare il cambiamento: essere amici dei nuovi governanti ci permetterebbe di continuare a comprare pertrolio e di sfruttare un rapporto privilegiato nato durante la transizione.

Questa opzione include anche la partecdipazione ad un intervento militare di qualche natura, tipo no-fly zone o altro ?Mi pare di si.

L'intervento militare deve rispettare due condizioni:

- essere moralmente accettabile

- essere nell'interesse del paese

La prima condizione credo proprio che sussista: Gheddafi è un dittatore che sta sparando sul suo popolo ed è stato sanzionato dall'ONU

La seconda condizione è ugualmente rispettata. La situazione libica è una di quelle in cui ha un senso per l'Italia avere delle forze armate: c'è un chiaro interesse nazionale da difendere, vale a dire la sicurezza delle fonti energetiche.

 

 

dalla società civile non sembra venire una visione diversa del problema.

 

 

la posizione del governo - condivisa, per una volta, da gran parte dell'opposizione e dell'opinione pubblica italiana

 

La "mistura culturale antica di [di tutto di più]" spiega probabilmente bene perché l'opinione pubblica sia sostanzialmente appiattita sulle opinioni espresse (più o meno esplicitamente) dai partiti, ma viene anche da chiedersi quanto la prima dipenda dai secondi.

Le mie ipotesi sul perchè dell'ambiguità del governo sono queste:

1. come dice l'articolo, la politica "furba"

2. cercare di stare sempre dalla parte dei vincitori

3. come glielo spiego io agli italiani che mi tocca andare a bombardare quello a cui ho baciato la mano poco tempo fa (anche uno come B con la faccia come il culo potrebbe avere qualche problema)

4. 'sta benzina non smette di crescere e vedrai che alla fine ci rimetto io, che 'sti ignorantoni danno la colpa a me.

5. meglio un uovo oggi che una gallina domani, se Gheddafi regge un altro po' sistemo le ultime faccende con lui e poi peggio per chi viene dopo, posso sempre dire che con B certe cose non succedevano.

A questo elenco manca il bene dell'Italia, ma che vuoi che sia? B è uno statista e se i conti non tornano è perchè è stato male interpretato.

L'argomentazione degli autori è forte e, prima facie, convincente. Però, ripensandoci, sembra diretta verso un obiettivo improprio: quali che siano le carenze della nostra classe politica e magari anche della c.d. società civile, non vi è dubbio che un intervento militare in Libia non dipenda dall'iniziativa italiana (c'è sempre la questione dell'art. 11 della Costituzione). D'altra parte, se non sbaglio, Frattini ha dichiarato che le basi italiane sono a disposizione degli alleati se sarà deciso un intervento: pertanto, mi sembra esagerato rimprovevare l'attuale situazione al governo italiano (anche se si è dimostrato alquanto incerto nel prendere posizione).

L'intervento - che potrebbe effettivamente rispondere all'interesse dell'Italia e dell'Europa - resta subordinato alle deliberazioni dell'ONU, che difficilmente saranno dirette ad un regime change, o all'improbabile decisione della NATO di agire anche senza un'espressa autorizzazione del Consiglio di Sicurezza.

Mi sembra che, in realtà, si attenda di capire il grado di probabilità di un successo di Gheddafi nel "ristabilire l'ordine": se non vi riuscirà nel giro di pochi giorni, un intervento occidentale diventerà più probabile.

 

 

Eccellente e lucido articolo, che ho letto anche con un pizzico di compiacimento in quanto certe vostre valutazioni coincidono con quelle che avevo espresso giorni addietro in un commento al 1° vostro articolo. Nello specifico, che l'UNICA tecnica che può risultare premiante a lungo termine per evitare la temuta invasione di disgraziati provenienti dall'Africa è quella di favorire in ogni modo l'affermazione locale di condizioni di vita e di sistemi politici un minimo decenti e accettabili. Andiamo per gradi, il Parlamento all'inglese verrà, accontentiamoci che la gente abbia da mangiare e bere, qualche tutela sanitaria, e non rischi angherie e detenzioni e torture per il solo fatto di esistere.

Quando da giovane bazzicavo l'Africa per lavoro, il continente aveva 400 milioni di abitanti, trent'anni dopo sono 900 milioni, e non c'è determinazione leghista di mitragliare a vista che tenga, una volta che masse simili decidessero seriamente di muoversi.

Quanto al concetto o meglio, come giustamente precisate voi, allo slogan della esportabilità della libertà e della democrazia, penso che vada maneggiato con cautela. Ma non perchè non sia valido in sè, quanto perchè non si tratta dell'esportazione di beni materiali, ma della trasmissione di valori che devono radicarsi nelle coscienze. E se è vero che "i tempi della coscienza sono lunghi" per gli individui, lo sono ancora di più per la coscienza collettiva che è alla base della coscienza politica.

Quindi penso che si debba incoraggiare, favorire, seminare. La democrazia non è una tecnologia, è appunto una coscienza, che richiede di essere inseminata e coltivata con attenzione e pazienza.

Per poter fare questo occorre impostare i rapporti su basi radicalmente diverse dai semplicismi tattici a breve termine delle Cancellerie che voi avete così ben rappresentato, e che sono risultate grottescamente inadeguate e a lungo termine impotenti e controproducenti. Un boomerang micidiale che oggi è diventato difficilissimo parare.

Venendo alla Farnesina, l'Italia ha sempre brillato per l'assenza di una qualsiasi politica culturale verso la sponsa sud del Mediterraneo. Per politica culturale intendo, per esempio, favorire la formazione di una classe dirigente locale formata in Italia, nelle migliori scuole che tutto sommato non mancherebbero. Perchè non abbiamo pensato a educare in Italia, allettandoli con borse di studio e altri incentivi, ingegneri, primari, archeologi, giornalisti, avvocati? Meglio ancora se con sostanziali "quote rosa"?

Come è stato giustamente rilevato, i libici (ma anche i tunisini, algerini, egiziani etc.) che studiano in Italia sono rari. E si è persa così l'occasione di coltivare uno strato di personaggi che saprebbero non solo come deve funzionare un reparto ospedaliero, o come si può diffondere la salute sul territorio, ma anche come un sistema politico e sociale (relativamente) aperto può essere gratificante e produttivo a confronto con gli sclerotizzati rituali di poteri dispotici e senza futuro.

Utopia? Non credo. La chiamerei ragionevolezza e capacità di prevedere a lungo termine, come si richiederebbe alla vera politica. L'alternativa è solo il penoso cortocircuito che ci brucia oggi le mani, quando ci rendiamo conto che, col comodo pretesto della cosiddetta stabilità, ci siamo invece consegnati (inclusa la nostyra inesistente politica energetica) ad una roulette russa vivente come il "sinistro pagliaccio". E non sappiamo oggettivamente più cosa fare, ogni alternativa operativa oggi, nell'urgenza,  è peggiore dell'altra. Le cannoniere? Non è detto che funzionino, e comunque non sono nelle nostre corde, non siamo capaci. La diplomazia? Ma quale? Per avere rispetto e credibilità presso i libici dovremmo avere rispetto anzitutto con noi stessi, e non mi pare che l'ineffabile coppia Berlusconi/Frattini ne sia una dimostrazione. Non ci resta che stare a vedere, facendo la figura dei mona, o altro equivalente dialettale.

 

 

dell'intervista di Gheddafi al JDD che voi linkate é interessante la sua risposta all'osservazione che le democrazie non sparano sui propri cittadini, dopo avere negato di averlo fatto dice

  ....Et vous ne croyez pas que le régime algérien depuis des années combat l’extrémisme islamiste en faisant usage de la force! Et vous ne croyez pas que les Israéliens bombardent Gaza et des victimes civiles à cause des groupes armés qui s’y trouvent? Et en Afghanistan ou en Irak, vous ne savez pas que l’armée américaine fait régulièrement des victimes civiles? Est-ce que l’Otan en Afghanistan ne tire jamais sur des civils?

Cioè, sono come voi, nè più nè meno. Quando vi fa comodo ignorate (algeria), deplorate con discrezione (israele), quando ci siete di mezzo direttamente ve ne fate una ragione. Il più curioso è il riferimento a israele, insolito per un leader (o ex-leader) arabo. Un riferimento così me lo spiego solo con il fatto che sta per mollare....

 

Perchè hai trovato strana la citazione di israele? Mi sembra prassi comune tra i leader arabi "anti-occidentali" denunciare che l'occidente permette ad Israele cose che a loro vieta, e le vittime citate da Gheddafi son tutte mussulmane (palestinesi, afgani, Iraqeni, algerini).

Se Il raìs riuscisse a riprendere il controllo del territorio e a "purgare" gli insorti, ci troveremmo - come dicevo nell'altro post- a dover fare i conti con un nuovo Saddam a due metri da casa.

sarebbe paradossale ed amaramente ironico se chi oggi si straccia le vesti alla sola ipotesi di un intervento armato della Nato, tra 2,3, 5 anni spingesse affinchè si "spodestasse il crudele tiranno" attraverso l'esercito.

PS un ricordo:tra i vari comportamenti adottati dai diversi governi italiani nel contesto delle missioni militari Nato, come non citare il caso degli "interventi occulti", quando il governo Dalema che nel '98 faceva alzare i nostri tornado, per spedirli a bombardare Belgrado, dichiarava " noi non partecipiamo attivamente. cediamo solo le nostre basi" , al fine di accontentare gli alleati, senza però  scandalizzare la base elettorale.

 

Insomma per i politici anche la licenza di mentire e di affermare il falso. Un altro bell´esempio di democrazia da esportazione :-)

Quanto al contagio di democrazia, non so quanto appropriatamente, mi vengono in mente i moti del 1848 che si svolsero in diversi paesi europei. Non vedo perchè con le potenzialità attuali delle comunicazione, sia pure con i limiti di quei paesi non possa verificarsi un contagio. Dopotutto si tratta di rendersi solo conto che si può farla finita con un capo o dittatore che sia che ti prende a calci e ti mortifica.

Circa l'imprevedibilità delle rivolte ma con riguardo a quella libica, ci si sarebbe aspettati che l'essere storicamente culo e camicia co Gheddafi ed altri suoi pari, ci avrebbe consentito di disporre di reti informative, di una qualche antenna che segnalasse quanto accadeva all'interno.

Per il resto, sentivo via radio che le autorità rivoltose della Libia avrebbero sollecitato la no-fly-zone mentre i nostri beneamati fanno come Badoglio dopo il 25 Luglio 1943: "la guerra continua" tanto per pararsi le chiappe e perchè Gheddafi essendo stato strapagato con i soldi dei contribuenti viene ritenuto l'unico interlocutore in grado di impedire le partenze di migranti dalla Libia. Supporre l'eternità di questo despota assassino non dovrebbe meravigliare gli italioti ma gli chiude gli occi rispetto al fatto che oggi o comunque tra non molto si sarebbe dovuto fare i conti con la fine o la morte di gheddafi. Farlo oggi, assumendo la posizionie giusta concordando con almeno con la nofly-zone sarebbe commendevole e non ritengo pregiudicherebbe l'afflusso di petrolio e gas una volta finito Gheddafi.

 

Scusate, non ho letto tutti i commenti quindi non so se qualcuno lo ha già segnalato.

In una intervista alla Padania Maroni dice che se l'occidente interviene contro Gheddafi scoppia la terza guerra mondiale

newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp

Il titolo è meno esplicito del contenutoi dell'intervista

 

beh certo, già per l'eventuale messa sotto chiave della nipote di Mubarak dovevano verificarsi scontri diplomatici tra Italia ed Egitto, puoi immaginarti la Terza guerra mondiale che partirebbe dalla Libia...

NB: non dico per la tua segnalazione come se fosse il tuo pensiero Sandro!

 

newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp

Il titolo è meno esplicito del contenutoi dell'intervista

ma la chicca dell'intervista ( e di molte altre che ha rilasciato in questi giorni) è la straordinaria idea di "un nuovo piano Marshall per il Magreb"! 

In caso di permanenza al potere di Gheddafi, come intenderebbe pianificarlo e adottarlo in Libia  il nostro ministro degli interni?

ma soprattutto: quanti soldi sarebbe disposta ad investire direttamente l'Italia in detto Piano? data la politica del governo italiano rispetto all'elargizione di fondi per la cooperazione allo sviluppo, mi pare che si tratta di un nuovo scarica barile verso l'europa

 

Impressionante.

Credo lo dica sinceramente, in un certo senso.

Il livello intellettuale dell'uomo e dei suoi elettori quello è. E questo è di gran lunga quello meno stupido ed ignorante.

 

In una intervista alla Padania Maroni dice che se l'occidente interviene contro Gheddafi scoppia la terza guerra mondiale.

 

Sì: in Italia.

Evidentemente il nostro governicchio ha molto da temere dal tramonto del bastardo: forse, tra le altre cose, potrebbe rivelare particolari imbarazzanti.

 

FUD: creare paura nelle masse per poter giustificare il non intervento a tutti i costi di noi italiani, sperando che il Gheddafi torni al potere per poter continuare a interloquire con un "pari onesto"

 

Scusate, non ho letto tutti i commenti quindi non so se qualcuno lo ha già segnalato.

In una intervista alla Padania Maroni dice che se l'occidente interviene contro Gheddafi scoppia la terza guerra mondiale

newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp

Il titolo è meno esplicito del contenutoi dell'intervista

 

E guarda un po' cosa c'e' sulla Stampa di oggi:
http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/392351/

Che sia solo una bizzarra coincidenza?

 

La vostra analisi, a mia opinione, è giustissima se si guarda unicamente a quelli che sono gli interessi della popolazione locale.

Ma il compito della politica estera è un altro:

"la politica estera rivendica a se la difesa dell'interesse nazionale" attraverso gli strumenti diplomatici, economici e militari di un paese. Questo e solamente questo è il motivo per cui abbiamo il Ministero degli Esteri e le sedi diplomatiche, nonchè oggi il 99% delle ragioni per cui manteniamo delle Forze Armate.

In linea generale come "interesse nazionale" si definisce innanzitutto la sovranità, poi il benessere economico della popolazione e la sicurezza negli approvigionamenti di tutte le risorse necessarie al paese e non presenti nel paese stesso.

La Libia ovviamente non è una minaccia alla sovranità nazionale dell'Italia, ma può costituire una minaccia sia al nostro benessere economico sia alla sicurezza degli approvigionamenti di gas e petrolio.

Ora USA e UK hanno pochissimo da perdere: non hanno grossi interessi economici in Libia, la Libia è lontana dal loro territorio e dipendono solo marginalmente (o non dipendono per nulla) dal gas e dal petrolio di Gheddafi. Perciò il rischio che, al termine di tutta questa giostra, il regime change portasse al potere qualcuno non democratico (quindi nulla cambierebbe) e sgradito (irrilevante se islamista o semplice fanatico) non comporterebbe grosse perdite per questi paesi, mentre ovviamente se il regime change andasse a buon fine (dittatore amico o democrazia) i guadagni sarebbero ampi.

Per l'Italia il discorso è ben diverso. Andare a rompere l'equilibrio attuale comporta grandi rischi, visto che è:

- è oggi impossibile prevedere l'esito di un regime change (e vi sfido a darmi una probabilità del 100% che, stanti soltanto le azioni dell'occidente o comunque cose su cui un Ministero degli Esteri ha il controllo, al termine di tutto ci sarà una democrazia)

- a differenza delle rivolte in Egitto e in Tunisia non abbiano nessuna conoscenza su quali siano le vere motivazioni degli insorti (e la Libia, sempre a differenza di Tunisia ed Egitto, non è mai stata uno stato unitario)

- la Libia è il nostro cortile di casa, per cui un eventuale regime change negativo o, peggio, un failed state, andrebbe contenuto

- mettiamo naturalmente a rischio i nostri interessi economici (nostri perchè se ENI, Finmeccanica, Impregilo ecc... perdono gli investimenti in Libia dove pensate che andranno poi a ridurre i costi per far fronte ai mancati guadagni?)

Di contro i guadagni, in termini economici e di approvigionamento, sarebbero ridotti visto che già oggi abbiamo (avevamo) un interscambio importante con Gheddafi.

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Con ciò non sto di certo dicendo che dobbiamo sostenere Gheddafi.

Non c'è più un equilibrio oggi, e, con le informazioni pubbliche a disposizione, è impossibile individuare secondo me una scelta ottimale per il nostro paese; non esiste una strategia perfetta, stante la quale noi comunque vada abbiamo compiuto la scelta giusta. Da qui l'incertezza dell'Italia e il tentativo di aprire canali di collegamento con gli insorti (si parla addirittura di riaprire il consolato di Bengasi) senza però scaricare del tutto Gheddafi.

Però questa vostra fede che "tutto andrà bene" mi sembra un po ingenua.

Voi correttamente avete individuato i guadagni se il regime change va a buon fine, ma non avete detto nulla sui rischi ne avete dimostrato di poter garantire che con probabilità uno e stante soltanto le scelte del nostro paese il regime change andrà bene.

 

OTTIMO ARTICOLO:  www.affarinternazionali.it/articolo.asp

 

 

 

Andare a rompere l'equilibrio attuale comporta grandi rischi,

 

Quale "equilibrio" scusa? c'è in corso una guerra civile!

Poi, tu, esattamente cosa proponi?

"E' pericoloso intervenire, aspettiamo, vediamo chi vince e soccorriamolo?"

Secondo te è logico che USA e UK intervengano "perchè hanno pochi interessi e sono lontani", mentre noi che "ne abbiamo tanti e siamo vicini" non dobbiamo fare niente, per evitare di sbagliare?

Ora, tralasciando tutte le motivazioni morali per cui un atteggiamento del genere mi fa schifo, te ne do una pratica, parafrasando Watzlawitck: "non si può non fare diplomazia"

Non fare nulla politicamente equivale comunque ad una scelta e, anche questa, potrebbe rivelarsi  sbagliata!

La Libia ovviamente non è una minaccia alla sovranità nazionale dell'Italia, ma può costituire una minaccia sia al nostro benessere economico sia alla sicurezza degli approvigionamenti di gas e petrolio.

I rischi esistono, ma non vanno sopravvalutati, come spiega efficacemente Carlo Stagnaro qui e qui

Guardando più avanti nel tempo il gasdotto Greenstream puó portare il gas soltanto a Gela e non altrove: qualunque cosa i governo libico pensi dell'Italia, la scelta è solo fra esportare e non esportare, ma se non esportano non incassano, e la Libia importa praticamente tutto, e lo paga con i proventi delle esportazioni.

Mi ha colpito questa analisi di Furio Colombo, riportata dal notiziario radicale di oggi:

notizie.radicali.it/articolo/2011-03-08/editoriale/libia-il-trattato-c-ancora

che illustra molto bene le vischiose pastoie in cui l'Italia ha deciso di infilarsi per compiacere il sinistro pagliaccio e i suoi aventi causa italiani. Adesso tirarsene fuori sarà un bel problema, a restarci dentro si è sputtanati, a uscirne si ritorna allo stereotipo delle contorsioni badogliane...Cosa avremo fatto per meritarci questo?

"Il fatto chiaro sembra essere che il mondo arabo è in movimento in direzioni molto diverse da quelle passate, direzioni che sino ad ora i "realisti", che dominano l'elaborazione (teorica e pratica) della politica internazionale europea ed USA, non erano neanche stati in grado di immaginare. Esattamente come non riuscirono ad immaginare il 1989"

Sono pieno di lavoro, quindi premetto che non potrò seguire il dibattito che seguirà al commento. Solo un appunto: dire che i "realisti" dominino l'elaborazione teorica e pratica in Europa ed USA non è accurato. Questa survey lo dimostra: (andate a p. 31).

irtheoryandpractice.wm.edu/projects/trip/Final_Trip_Repo

 

Il link che dai ha qualche parte erronea, non porta da nessuna parte.

Ad ogni modo, anche senza la survey, hai ragione e la frase e' sbagliata o perlomeno ambigua.

Il grosso di quanto gli accademici che si occupano di relazioni internazionali scrivono NON e', effettivamente, "realista" nel senso in cui il termine viene strettamente inteso nell'ambiente di international relations. La mia impressione (non so cosa ne pensi Aldo) e' che la grande maggioranza di cio' che si scrive in accademia sull'argomento sia semplicemente gran una perdita di tempo in confronto alla quale il macroeconomista medio e' come un meccanico terra terra ...

Sul piano pratico, invece, la condotta delle varie diplomazie europee (e, con oscillazioni, anche di quella USA) mi sembra arguably realista. Tanto per essere esplicito, io classifico come "(iper)realista" la politica estera di Cheney, oops sorry volevo dire GWBush ...

 

1. Sostenere lo slogan “la libertà è sia esportabile che contagiosa” NON implica ritenere che, per esempio, la maniera in cui la guerra in Irak è stata condotta sia quella giusta. E nemmeno quella in Afghanistan. Infatti, non implica nemmeno ritenere che le due guerre, nella forma in cui si sono svolte e si stanno svolgendo, siano legittime e siano una buona idea. Lo slogan - che è uno slogan non scordiamolo - vuol dire che una politica attiva di sostegno dei movimenti democratici e delle rivolte popolari contro i dittatori, che abbondano nel terzo mondo ed in quello arabo in particolare, è utile e può dare dei frutti. Lo slogan vuol dire che a volte vale anche la pena di intervenire militarmente per aiutare tali domande, che esse vi sono e che anche le popolazioni di religione musulmana, nel caso specifico, esprimono domande di libertà e democrazia non molto dissimili da quelle che esprimevano le popolazioni europee un secolo e mezzo fa, decennio più decennio meno.

Il che vuol dire, fra le altre cose, che tali popolazioni sono probabilmente in grado di autogovernarsi secondo criteri vagamente “democratici” e che il loro esser musulmane non deve considerarsi di ostacolo a tale domanda/potenzialità. Infine, lo slogan vuole anche dire che l’esistenza di tale domanda di libertà e di democrazia genera un incentivo a una politica attiva in quell’area, invece di un’accettazione dello status-quo. Politica attiva vuol dire politica disposta a rischiare, talvolta anche militarmente, cercando di far cadere regimi particolarmente repressivi e corrotti nella speranza/credenza che un effetto di imitazione - questo è l'effetto domino e, francamente, alcuni dei commenti sul tema sono così fuori del seminato ed incoerenti che eviteremo di ritornarci - sia possibile e permetta un rapido cambio dello scenario politico nei paesi arabi.

 

Sottoscrivo interamente. L'unico mio dubbio (espresso nei commenti al primo articolo) riguarda il fatto che secondo me le azioni intraprese dagli USA (e alleati) in Irak e Afghanistan a partire dal 2001, anche volendo presumere la buona fede di chi le ha perorate e condotte, non hanno avuto l'effetto di innescare l'effetto domino. Infatti le loro conseguenze per la popolazione civile e l'instaurazione della democrazia sono state tutt'altro che positive. Difficile quindi ipotizzare che qualcuno a Tunisi, Bengasi, Sanaa, Cairo ecc. si sia sentito ispirato da quelle vicende quando si e' ribellato ad un despota.

Cio' non esclude che le rivolte si siano estese dalla Tunisia ad altri paesi una volta diventato chiaro che l'America di Obama (e l'Europa) non avrebbe sostenuto i despoti. Anzi gradulamente l'Occidente si e' schierato a favore dei rivoltosi e quindi l'azione di repressione a Riad come a Manama ha dovuto fare i conti con una netta avversione della comunita' internazionale.

In tutto questo l'Iran continua ad essere un caso a parte. Le tensioni si erano gia' sviluppate in modo virulento l'anno scorso dopo le elezioni generali. Comunque i capi della rivolta a Teheran non sono figure che propugnano una democrazia occidentale, ma rappresentano semplicemente una fazione del regime che era stata esclusa dal potere. Magari i giovani che sostengono Mussavi hanno altre idee e altre aspirazioni, ma per quel che ne so mi e' difficile asserirlo con certezza.

 

Su Iran la mia visione è che ogni volta che cade un dittatore folle si fa un passo avanti. La probabilità che il successivo sia peggio è bassa, per ragioni di mean reversion ...

Sull'intervento sempre più ritardato in Libia, invece, vorrei far notare che questo è, chiaramente, un altro prezzo che siamo costretti a pagare alle politiche criminali di Bush e Cheney.

I timori USA ad intervenire, il fatto che la Clinton anche oggi abbia ripetuto che senza approvazione del Consiglio di Sicurezza ONU non se ne fa nulla, sono il frutto dei tragici errori commessi in Iraq ed Afghanistan. Senza quei precedenti, che rendono ora impossibile qualsiasi azione indipendente della NATO in un paese arabo o anche altrove, gli aerei della NATO starebbero già facendo in Libia ciò che Gilberto Bonaga giustamente si augura si arrivi a fare presto (che tardi non serve). Basti pensare al Kosovo. Invece non lo si sta facendo e si rischia di non farlo a causa delle politiche di Bush e Cheney. Altri morti ed altre distruzioni da mettere nel conto dei due grandi bastardi.

I morti accertati in Libia da (non meglio specificate) fonti sanitarie sarebbero sui 400 dall'inizio della rivolta. Quanto quelli di una guerricciola di mafia italiota...

Ancora tutti per invasione e no-fly zone??

 

 

Come credo di aver ben dato prova nell'altro post, sono a favore di un intervento immediato a sostegno dei Libici.

Penso, tuttavia (lasciando stare per un attimo le meschinità italiote) che molta della resistenza sia degli Usa che dell'Europa nell'intervenire, possa essere anche attribuita al timore di un "effetto incoraggiamento" o effetto emulazione.

I paesi interessati a questi fenomeni di rivolta spontanea nei confronti di regimi oppressivi decennali, non sono, come sappiamo, solo Tunisia, Egitto e Libia, ma vi si affiancano, con intensità e modalità di espressione differenti, Marocco, Algeria, Bahrein, Yemen (marginalmente l'Iran e L'Arabia Saudita). Le proteste in piazza sono state in questi paesi finora timide e circoscritte; spesso si sono svolte lontano dalla capitale.

Se è vero, però, come sostengono Boldrin e Rustichini, che queste manifestazioni di insofferenza e di scontento sono state rese possibile, forse anche indirettamente, dall'onda lunga creata dall'intervento Amerikano in Iraq ( ed io, come altri,mi sento di aggiungere dall'aperto sostegno dimostrato recentemente da Obama) allora quale può essere l'effetto di un attivo, aperto ed armato sostegno della NATO nei confronti dei rivoltosi, rispetto a queste ulteriori realtà pronte ad esplodere?  

Certo noi tutti ci auguriamo, umanamente ( e con molteplici motivazioni di carattere anche razionale) che i vecchi despoti vengano spodestati il prima possibile. Ma è lecito pensare che per il dipartimento di stato USA e per le cancellerie europee, il contemporaneo aprirsi di più scenari di conflitto civile, in zone dall'equilibrio instabile come quello nord africano e mediorientale, possa costituire un notevole problema di gestione. Si può aggiungere che se si venisse a crere un vuoto di potere di tale estensione, forse, il pericolo Qedista - ma non solo- non sarebbe, in questo caso, veramente remoto.

 È vero che la Lega Araba ha appena dato il suo assenso all’istituzione di una  No Fly-Zone, ma non so fin quanto questo sia motivato da un vero desiderio che si intervenga o piuttosto dalla speranza che la spada di Damocle della VI Flotta, costituisca un monito necessario ma soprattutto SUFFICIENTE perché Gheddafi si tolga dai maroni (sic)

 

 

http://www.corriere.it/esteri/11_marzo_18/yemen-arabia-tensioni-medio-oriente_11def08a-5157-11e0-b0a4-77b20470b36e.shtml

 

come argomentavo nel mio commento qui sopra, questa è la naturale conseguenza collaterale dell'intervento diretto dell'occidente in Libia. Se le manifestazioni dal Marocco sino al Bahrein prendessero maggiore consistenza e vigore, la situazione comincerebbe a diventare piuttosto ingestibile sul piano delle relazioni internazionali (specie per quest'ultimo paese, assolutamente strategico per l'Arabia Saudita).

Il che non toglie che l'intervento sia necessario, ne che lo sviluppo di tale eventualità possa condurre a qualcosa di positivo.

 

  •  

    reason.com/archives/2011/03/09/to-the-shores-of-tripoli

     

    "It's not hard to understand the impulse here. Qadaffi is an evil sonofabitch mowing down his own people, and we have the most powerful military in the history of the world. There's a particularly rusty and nasty-looking nail sticking up right in the middle of the footpath, and we happen to have this marvelous hammer nearby. What kind of heartless and/or gutless bastard can stand idly by as the bodies pile up?

     

    This kind: The one who worries about the myriad unintended consequences of war.

     

    Look around the historic North African and Middle East uprisings of 2011, and what's missing? The Great Satan, that's who. The United States has such an outsized role in the world's affairs, and such an overwhelming military advantage, that it cannot help but massively distort any internal situation it gets involved in, and sponge up responsibility for the affairs of people who for too long have been spectators in their own lives. By mostly removing itself as the central protagonist of the Arab Spring, Washington is devolving that responsibility to the people who deserve it, and letting the focus remain instead on the brutal misgovernance of the region's dictators". 

     

 

 

Sono certo che in Kosovo ed in Bosnia, se avessimo lasciato mano libera all'esercito Serbo, le popolazioni che avrebbero massacrato più di quanto non abbiano fatto e che, ora, sarebbero ancora sotto il giogo di Milosevic e compagnia, ci sarebbero state eternamente grate.

Avremmo evitato di mettere la NATO al centro dell'attenzione ed avremmo permesso a tutti loro di capire, morendo massacrati, quanto cattivo fossero Milosevic ed i suoi generali.

Sono certissimo che anche le migliaia di libici che l'esercito di Gheddafi sta massacrando e massacrerà faranno lo stesso ragionamento e diranno

"Ah, certo! Ora che non riceviamo un mezzo aiuto militare dalla NATO mi rendo conto quanto criminale sia Gheddafi! Prima mica me n'ero reso conto, offuscata com'era la mia vista dagli stormi di freedom fighters americani! Graziaddio hanno lasciato massacrare la mia famiglia e distruggere il mio villaggio, ed ho capito tutto. Un vero peccato che, avendo appena ricevuto una pallottola in piena fronte, io stia morendo. Che sfiga morire giusto quando finalmente capisci tutto.Grazie comunque, Mr. President: you are the change we could not believe in."

Abbiamo scelto il nano megalomane sbagliato! Ovviamente lo dico a nome di quei 4 che, come me, gradirebbero una politica più "interventista" in Libia.

I cervelli fuggiti in Francia che commentano su nfA saprebbero dirmi come l'opinione pubblica francese valuta queste esternazioni di Sarkozy?

 

Purtroppo le crisi si succedono a un ritmo tale che è difficile seguirle tutte.

G. purtroppo si sta riprendendo ad una ad una le città perse e l'occidente non parla più nemmeno di no fly zone.

Il bahrein (G. ha fatto scuola?),inoltre, ha dichiarato la legge marziale.

 

La passività della NATO nel caso libico è non solo folle, è suicida.

Devo dire che rimango basito di fronte all'incapacità di agire per pura paura di perdere voti. Ulteriori danni collaterali dell'invasione dell'Iraq da parte di Bush.

Ma come si fa ad aggredire la Libia senza nemmeno una dichiarazione di guerra? Possiamo davvero decidere di imporre una no-fly zone cioè commettere un deliberato atto di guerra contro una nazione vicina in base a una riunione di un po' di politici e burocrati? Questo è quello che succede sotto una junta non sotto un sistema repubblicano o anche solo democratico

In che società volete vivere?

 

http://www.corriere.it/esteri/11_marzo_17/onu-risoluzione-intervento-libia_3ba1922a-50ac-11e0-9bca-0ee66c45c808.shtml

 

quale sarà la posizione dell'Italia domani? Come si tirerà indietro Frattini dal nostro inpegno quale membro della nato, che ospita tra l'altro basi strategiche? Sono curioso, visto che so che al ridicolo non c'è limite.

 

[edit]

e queste le reazioni a caldo

 

L'importante è che, almeno i paesi seri, abbiano deciso di fare qualcosa contro Gheddafy (le notizie danno Parigi e Londra già pronte ad effettuare raid).

Comunque son curioso anch'io. Frattini cercherà di non sbilanciarsi, facendo l'equilibrista finche non sarà chiaro chi vincerà.

la posizione italiana e' tradizionale: barcamenarsi.

Per quel che riguarda Khaddafy prima se ne va meglio e'. a questo punto voterei perfino per mandarlo a Sigonella in vacanza.

Il tempo passa in fretta e le previsione di poche ore or sono rapidamente gettate nella pattumiera della storia: a quanto pare, siamo pronti a bombardare i radar e la contraerea libica. Qualcuno potrebbe vedere in ciò un ennesimo voltafaccia, peraltro bipartisan.

In ogni caso, almeno parte dell'estrema sinistra è già pronta: dopo settimane di silenzio, domani pomeriggio a Milano si manifesta a sostegno delle rivoluzioni arabe ma contro l'intervento imperialista.

27 - marzo - 2011

non è passato neppur un anno!

ECCO

Qualcuno dei commentatori/redattori saprebbe spiegare cosa sta succedendo in Barhain?

Sembra che là la maggioranza sia scita cioè la stessa setta prevalente in Iran. Protestare e chiedere di votare va bene ma bisogna essere dalla parte giusta altrimenti non vale. Quindi i sauditi li spianano prima che sia troppo tardi 

Non so quanto dettaglio le interessi ma il nocciolo duro e' semplicissimo.

La piu' grande religione del mondo (in numeri di adepti) e' divisa ( e profondamente divisa) tra shia e sunn'ah-

Il bahrain ha una dinastia (sunnite) e una popolazione larghissimamente shia.

il governo piu' shia (dipende da come giudica i dati) e' Hizbullah (Lebanon)  o la repubblica iraniana.

La tradizione shia (iper difesa dalal dinastia di al Saud)  ha gia' detto che mandera' i carri armati a massacrare i cretini con le tovaglie in testa (e' il gentile epiteto con cui descrivono i mullah iraniani)

 

se le interesse vi e' un rapport  enorme su memri (mermi.org)

 

a modesto avviso del sottoscritto, l'eguale di quel che hanno fatto i cristiani che si son massacrati per 4 secoli (la riforma, la guerra dei trenta, centro, centoventi, ira vs- England [i.e. the catholics with the bombs vs the anglican with the paras)

etc.

 

http://channel6newsonline.com/2011/03/reports-french-fighter-jets-enter-libyan-airspace-on-reconnaissance-mission/

però bisogna avvertirli del maggior pericolo che incombe su di loro

 

Caso Libia, Frattini: «Pronti a colpire
Il coordinamento tocca a noi»

 

Invitiamo Sarkò a rileggersi questo.

 

[Dernière minute] Des avions français ont ouvert le feu sur un véhicule militaire libyen à 17h45, selon le ministère de la défense.

Al Baḥrayn è un casino forse più religioso che altro (simile, in 13esimo, all'Irak, senza i curdi) e l'Iran ovviamente lì c'entra assai. Da decenni gli USA appoggiano, per l'ennesima volta, un regime minoritario e parecchio autarchico in cambio delle basi militari. Così facendo son finiti per schierarsi con una delle parti coinvolte in una guerra religiosa. Pessima idea, ma la situazione è meno drammatica sia di quella libica che di altre, specialmente dello Yemen.

In Yemen il problema è davvero sostanziale ed a mio avviso insolvibile senza costi molto seri, o ben per la libertà ed i diritti umani o ben per gli USA che ne hanno fatto un pezzo chiave del proprio sistema militare mondiale.

Gli USA pagheranno pesantemente, di riffe o di raffe, per le conseguenze della solita politica "It may be a son of a bitch, but it's our son of a bitch" ... Ali Abdullah Saleh è roba tutta loro, a mio avviso.

Per chi vuole cominciare ad informarsi, FP offre svariati articoli. FP è abbastanza biased nelle analisi, ma i fatti fatti sono e si possono apprendere lo stesso.

 

Yemen e' un test interessante dell'amministrazione Obama. e' LA guerra contro alQaida, il resto e' mescolato a tutti i problemi del mondo (dai Waziri fino al maccartismo anti islam)

ma il problema e' serio. per battere bin Laden si sono alleati con autocrati del 15 esimo secolo...

 

<em>Yemeni Comedian Adre'i Raps About the Revolution; Crowd Chants 'The People Wants to Topple the Regime'<em>

Non ci smentiamo mai.

Anche stavolta riusciamo a bombardare senza sparare, a combattere un dittatore mostradogli solidarietà (qui)

Anche all'epoca del kosovo si dicevano le stesse cose mentre l'ami bombardava (qui unbilancio delle bombe sganciate).

E per non parlare delle liti da comari con la Francia. In realtà, Sarko ci ha "fregato" alla grande ed ora è inutile fare i bimbi offesi.

Mahmoud Jibril è il capo del governo provvisorio dei rivoltosi.

Non so quanto peso abbia questo governo, ma è un fatto che è stato nominato dopo aver fatto visita a Sarko e la Clinton  (qua si dice che sia un uomo USA).

Viste pure le foto delle manifestazioni a Bengasi, non credo che all'ENI saranno molto tranquilli.

Pessimismo tra gli esperti occidentali sulle capacita dei ribelli:

 

“The rebels are too disorganized to march on Tripoli and overrun it at any time soon,” Mats Berdal , a professor in the Department of War Studies at King’s College in London, said in an interview.

 

 

 “The rebels are a pretty disorganized pack and they were blinded by their early success,” Karl-Heinz Kamp, research director at the NATO Defense College in Rome, said in an interview. “My gut feeling is this could end in a stalemate.”

 

 

 

...ma le democrazie sono piu' pericolose dei regimi che bombardano e davvero il welfarismo non è altro che l'altra faccia del warfarismo. Uno stato che dispone a piacimento della ricchezza e quindi della vita dei suoi sudditi presto o tardi userà quel potere anche fuori dai suoi confini

 

Deraa, nella mia ignoranza, sempre rimase associata alla ignota tortura (stupro? incontro in club BDSM? fustigazione alla turca? bastiando del piede? vi rammentate Jose Ferrer che fa il bey incredulo alle origine circasse di 'cirri=birri-bin che bel biondin'?) di LC T.E. Lawrence, CB Dso etc...

ma adesso e' l'urlo di meta' della popolazione sirian che ha le scatole piene delle famiglie 

(succitate

 

http://wn.com/Union_of_Syrian_Tribes_Declares_Revolution_Against_President_Bashar_Al-Assad

http://www.corriere.it/esteri/11_marzo_26/proteste-londra_b6c873f6-57b4-11e0-8a3c-34dcb0202b47.shtml

PS

Informate prima Sarko' che qui di perolio non ce n'è mentre c'hanno la bomba H

 

Mi pare che nessuno l'abbia indicato prima, quindi indico io il link a questo "Arab revolutionary index" interattivo pubblicato dall'Economist:

http://www.economist.com/blogs/dailychart/2011/03/arab_unrest_0

Modificando gli indici a me risulta che i maggiori fattori correlati con le rivolte sono: la percentuale di giovani con meno di 25 anni e il numero di anni al potere del leader. Sembra proprio un vero scontro generazionale, ai giovani non piacciono i vecchi leader (alcuni dei quali saliti al potere prima che quei giovani nascessero!), o meglio, alcuni vecchi leader sfruttano il cambiamento generazionale per mandare "fuori dai coglioni" (è un'espressione oramai sdoganata in questo blog, vero?) altri vecchi leader. Sarà interessante vedere cosa succede quando i giovani noteranno che i nuovi leader sono vecchi tanto quanto quelli che c'erano prima.

In più c'è anche la percentuale di utilizzatori di internet che manda giù l'Iraq e tira su il Baharain. Indicatori quali il PIL, la corruzione, la democrazia, la libertà di stampa sembrano non influire un granché

P.S.

può essere che se altri si cimentano nel cambiare i fattori salta fuori tutta un'altra cosa

 

 

può essere che se altri si cimentano nel cambiare i fattori salta fuori tutta un'altra cosa

 

Ecco, appunto.

Not every correlation requires an explanation let alont implying a causation ...

P.S.  "salti fuori", che l'italiano è importante ... :-)

http://video.corriere.it/islam-politico-muore-alleanze-si-frantumano/a2e3c7da-e797-11e2-898b-b371f26b330f

certo la nostra situazione interna ci da da pensare molto di piu' di quello che accade al di la del mare nostrum . Credo comunque che ci sia bisogno di parlare e confrontarsi anche su questo