Riflessioni sulla moneta fiscale

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L'idea di una moneta parallela all'euro attrae molte forze politiche. Ma l'impalcatura attraverso cui si cerca di costruirla è instabile ed esposta ai crolli.

La proposta di creare dei certificati di credito fiscali (CCF), da utilizzare come moneta parallela all'euro, ha riscosso di recente l'interesse di diverse forze politiche. In particolare del M5S, dal quale viene considerata come un'alternativa all'uscita dall'euro.

L'idea consiste nel conferire al Ministero dell'Economia e della Finanze (MEF) il potere di emettere dei titoli, i CCF, al fine di finanziare un cospicuo incremento di spesa pubblica (fino a 200 mld. di euro, secondo i suoi proponenti). Tali titoli saranno poi utilizzabili, da coloro che ne entreranno in possesso, per la risoluzione di oneri fiscali con lo stato italiano in sostituzione dell'euro, in un rapporto fisso di 1 ad 1. Non sarebbe quindi possibile presentarli allo Stato per l'incasso in cambio di euro, ma lo Stato li accetterebbe per il pagamento delle imposte dovute ad un cambio fisso con l'euro. Secondo i suoi ideatori, tale operazione sarebbe priva di rischio e permetterebbe di rilanciare l'economia italiana.

Tralasciamo l'ipotesi, dubbiosa, secondo cui l'economia italiana si rilancia con altri 200 mld o più di spesa pubblica ... La proposta presenta diverse complessità nella sua formulazione strettamente finanziaria.

Rischio e CCF

In  Bossone et al. (2014) si afferma che i CCF non dovrebbero essere compresi nel Fiscal Compact (in parole povere: non sarebbero debito pubblico addizionale) in quanto non sarebbero a rischio di default. Infatti, dicono i propositori, i CCF sono esercitabili solo qualora il debito fiscale futuro dei soggetti in loro possesso sia sufficiente a coprirne l'ammontare emesso. Cioè, secondo i propositori, i CCF mantengono con “certezza un valore” perchè utilizzabili per pagare tasse e altre obbligazioni finanziarie verso la pubblica amministrazione. Questa interpretazione è estremamente fuorviante per diversi motivi.

Il primo deriva proprio dalla ragione secondo cui i CCF non sarebbero a rischio default. Al contrario del debito pubblico essi non hanno scadenza e non impegnano lo stato italiano a pagare in euro, su richiesta del portatore, un ammontare predeterminato; lo stato italiano si impegna solo di accettarli in cambio d'imposte dovute. E se vi fossero in giro più CCF che non tasse da pagare, che succede? Un detentore di CCF per un ammontare X sarà ben felice di detenerli se si aspetta di dover pagare almeno X di imposte in un prossimo futuro ma, quando così non fosse, egli cercherà di disfarsene in cambio di euro. Questo per la semplice ragione che, quando divenisse conoscenza pubblica che circolano più CCF di quanto sia il credito fiscale dello stato italiano nei confronti dei suoi detentori alcuni di essi comincerebbero a chiedersi: e con questi che ci faccio, visto che non ho tasse da pagare? Certo, potrebbero continuare a circolare ed essere accettati al cambio di 1 a 1 con l'euro se tutti gli agenti economici "si fidano" ma se anche solo qualcuno di essi cominciasse a dubitare allora inizierebbe la corsa per disfarsi della patata bollente. Ed in questo caso non circolerebbero più ad un cambio fisso con l'euro ma a quello determinato dalla fiducia nella loro futura accettazione.

Il secondo motivo è che la loro emissione influisce sul rischio del debito complessivo emesso dallo stato italiano. Infatti, i possessori di CCF entrerebbero in concorrenza con i possessori di titoli di debito tradizionali per l'attribuzione del gettito fiscale, esattamente come accadrebbe se venisse emesso nuovo debito al posto dei CCF: se paghi le tasse con euro il tuo pagamento può essere usato per ripagare il debito in essere (che è espresso in euro) mentre invece se paghi le tasse in CCF i CCF NON possono essere usati per ripagare il debito in essere. Quando il MEF emette debito impegna parte delle sue entrate future (in euro) per il servizio del medesimo; per esempio per pagare interessi ai creditori o, ipoteticamente, per ripagare il debito stesso. Se tali entrate vengono cedute ad altri soggetti, la probabilità attesa di default aumenta  e il valore atteso per i creditori si riduce, a meno che non vi sia un aumento atteso delle entrate complessive tale da compensare l'emissione di CCF. 

In  Bossone et al. (2014) si asserisce però che l'emissione di CCF e il conseguente aumento di spesa comporterebbero un forte incremento del PIL grazie all’effetto positivo del moltiplicatore. Ciò determinerebbe un aumento del gettito complessivo (atteso) tale da compensare la sua riduzione dovuta all’esercizio dei CCF, e permetterebbe addirittura una trasformazione del deficit pubblico in surplus. A dimostrazione di ciò, nel primo capitolo viene presentata la seguente simulazione di un piano di emissione di CCF partendo dal 2014.

In questa tabella si assume che il governo emetta 90 CCF nel 2015, 150 nel 2016 e 200 dal 2017 in poi. Questi CCF verrebbero utilizzati dal governo per spesa pubblica aggiuntiva (cioè in più rispetto agli 835 mld. di euro già impiegati) e che i CCF potranno essere esercititati (utilizzati) dai loro possessori per pagare imposte con un differimento di 2 anni rispetto alla loro emissione. Notiamo, anzitutto, che tutto questo funziona se e solo se i "dubbi sulla fiducia" illustrati precedentemente non si materializzano. Ma non solo. Questa simulazione presenta infatti diversi problemi.

In primo luogo, si noti che la tabella assume una spesa pubblica nominale (in euro) costante, nonostante la presenza d'inflazione, il che è una chiara imprecisione. Semplicemente aggiustando le spese pubbliche per l'inflazione si ottengono risultati molto diversi (si veda la tabella 2).


Tuttavia anche alcune assunzioni sottostanti risultano problematiche. Ad esempio è stato utilizzato un moltiplicatore fiscale costante pari ad 1.2, laddove la maggior parte degli studi lo colloca tra 0.5 e 1. Tale valore inoltre è condizionale. Infatti, è vero che durante periodi di stagnazione può essere superiore ad 1, ma bisogna tenere in considerazione anche altri fattori. Ad esempio, in paesi sviluppati e aperti ai mercati (come l'Italia), il moltiplicatore si colloca attorno allo zero e per paesi con debito elevato risulta addirittura negativo.

Inoltre, la motivazione di quest’operazione sembra caratterizzata da un'incoerenza di fondo. Gli autori della proposta presentano i CCF come un'alternativa all'uscita dall'euro. Tuttavia, se si crede che la semplice creazione di moneta abbia proprietà tanto miracolose, non si capisce perchè converrebbe restare nell'euro o perchè fermarsi all'emissione di soli 200 mld di CCF all'anno. Perché non stamparne 400 miliardi o 800 o ...?

Il problema è che qualsiasi sia il moltiplicatore fiscale, andrà aggiustato per il valore dei CCF rispetto all'euro, che può essere notevolemente inferiore ad 1 come abbiamo già osservato. Infatti, non è vero che i CCF sono titoli privi di rischio. Il loro valore rispetto all’euro (che determina la quantità di beni che possono essere acquistati utilizzandoli al posto di euro nelle transazioni di mercato) è incerto e dipende dalla sostenibilità del debito pubblico ma sopratutto dalle aspettative circa la sostenibilità di quest’ultimo. È vero che colui che si trova in possesso di un CCF potrà utilizzarlo per pagare imposte ad un tasso di cambio fisso di 1 ad 1 con l’euro, ma questo non è sufficiente a caratterizzare il loro valore come “certo”, perchè l’ammontare d’imposte future e il tempo in cui potrà avvenire l’esercizio del CCF sono incerti. Maggiore è la crescita della “base monetaria” dei CCF rispetto al gettito fiscale, minore è la probabilità di poterli esercitare per pagare imposte nel breve periodo. Se i CCF in circolazione dovessero superare l’ammontare di oneri fiscali dovuti allo Stato in un anno, solo una parte dei CCF potrebbe essere esercitati in quell’anno, il resto dovrebbe essere differito ad anni successivi. Per cui, più l’ammontare dei CCF cresce in proporzione al gettito fiscale, più il differimento atteso aumenta e questo fa ridurre il valore dei CCF. A questi fattori occorre aggiungere anche la possibilità che venga scontato il rischio che lo Stato decida di non rendere più validi i CCF o  una porzione di essi per far fronte ad esigenze di bilancio.

Questo vuol dire che coloro che dovrebbero accettare i CCF come forma di pagamento (commercianti, esportatori, istituti finanziari) applicheranno un tasso di cambio (di mercato) inferiore rispetto al tasso di cambio accettato dallo Stato (1 ad 1). Ciò vuol dire che saranno necessari più CCF che euro per acquistare lo stesso ammontare di beni. Chiaramente se lo Stato s’impegnasse a convertire in ogni momento CCF in euro o se ci fosse certezza sul fatto di poter utilizzare CCF per pagare imposte nel breve periodo il tasso di cambio di mercato dovrebbe essere vicino al tasso accettato dallo Stato, altrimenti ci sarebbe un’opportunità di arbitraggio. Ma come detto in precedenza maggiore è la crescita di CCF in porpozione al gettito, minore è la fiducia circa la possibilità di poterli esercitare nel breve periodo. Inoltre, va specificato che chi accetta CCF in cambio di beni non è obbligato ad accettarli ad un tasso di cambio prefissato con l’euro perchè i CCF non possono avere valore di “legal tender”, in quanto questo sarebbe apertamente in violazione dei trattati europei.

È importante quì sottolineare il ruolo fondamentale che giocherebbero le aspettative sul deficit. S’immaggini che l’Italia decida di finanziare deficit crescenti emettendo CCF. Maggiore è il deficit atteso, maggiore è la crescita dei CCF in proporzione al gettito fiscale e quindi minore è il valore dei CCF. Minore il valore dei CCF, maggiore è l'ammontare da emettere per convertirli in euro e pagare i debiti denominati in euro e finanziare la spesa. Maggiore l'offerta di CCF, maggiore il deficit atteso (perchè i CCF riducono l’ammontare in euro incassato dallo Stato). Si rischierebbe d'innescare un circolo vizioso. La sola aspettativa che il deficit possa aumentare a seguito dell'emissione dei CCF, aumenta la possibilità effettiva che ciò si realizzi, una sorta di "self-fulfilling prophecy” come quelle studiate in modelli di economia monetaria a mercati incompleti. 

In sostanza, l'emissione di CCF non esonererebbe lo Stato dal mantenersi credibile circa la sostenibilità del suo bilancio. Il rischio default si trasforma in rischio svalutazione per i CCF e tale svalutazione sarà tanto maggiore quanto minore sarà la credibilità dello Stato. Il problema è che mentre la riduzione di euro incassati, dovuta all'emissione di CCF, è certa (se li hai emessi possono essere utilizzati per pagare imposte al posto degli euro) l'incremento del PIL dovuto all'effetto del moltiplicatore è incerto (come già evidenziato da Giuseppe Maria Pignataro). L'incremento del PIL determina l'incremento del gettito fiscale, il quale è fondamentale per determianare il valore dei CCF. Per cui agenti economici avversi al rischio richiederanno un premio per sopportare l'incertezza a cui si esporrebbero accettando CCF al posto di euro [i]. 

Dato che l'emissione di CCF non è quindi priva di rischio, se si crede che l’aumento della spesa pubblica abbia effetti tanto positivi gli stessi risultati  potrebbero essere ottenuti anche se l'incremento di spesa venisse finanziato tramite emissione di nuovo debito. Chiaramente però un'emissione così elevata di debito pubblico rappresenterebbe una violazione delle regole europee e, soprattutto, creerebbe tensione sul debito pubblico in essere. Perché mai, alla luce di questa equivalenza, tali tensioni (in parole semplici: aumenti sostanziali dello spread sul debito) non dovrebbero presentarsi a fronte dell'emissione di CCF?

Quindi l'unico motivo che sembrerebbe giustificare quest'operazione sarebbe quello di aggirare le regole sulla finanza pubblica. Il che sarebbe quantomeno improbabile, dato che già nel 2015 il governo greco provò a proporre alle istituzioni europee l'emissione di IOU[ii] fiscali senza ottenere successo. Inoltre, è mia opinione che un paese serio dovrebbe cercare di concordare nuove regole con i propri partnter commerciali e non cercare d'ingannarli.

Un esperimento simile: le bond-notes dello Zimbabwe

Nel 2008, dopo un periodo di iperinflazione [i], il governo dello Zimbabwe decise di adottare il dollaro come moneta ufficiale e, per un breve periodo, i prezzi si stabilizzarono. Non essendo riuscito a contenere il deficit, verso la fine del 2016 il governo decise di avviare l'emissione di bond-notes convertibili in dollari. Dato che i bond-notes non venivano accettati per importare beni dall'estero (come prevedibile per i CCF), gli abitanti dello Zimbabwe erano costretti ad utilizzare dollari per le importazioni e per ripagare debiti denominati in valuta estera. Il risultato è stato che, in poco tempo, i bond-notes si sono svalutati fino al 50% rispetto al dollaro e che quest'ultimo è diventato sempre più raro nelle transazioni interne. Ad aprile di quest'anno il governatore della banca centrale ha deciso di bloccare l'emissione di bond-notes.

Conclusione

Lo Stato è sempre soggetto ad un vincolo di bilancio: che decida di finanziarsi tramite emissione di moneta o di debito, i rischi indotti dall'incertezza sulle spese ed il gettito fiscale futuri non si possono eliminare. Tengo a precisare che l'intento di quest'articolo non è quello di dissuadere da eventuali aumenti di spesa o sconti fiscali. Queste sono scelte politiche sulle quali non intendo soffermarmi. Il mio fine è piuttosto chiarire che non esiste un metodo di finanziamento privo di rischio o costi e che è forse possibile creare moneta dal nulla, ma la creazione di ricchezza richiede ben altra sostanza. 

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Commenti

Ci sono 57 commenti

è considerare la proposta come una CRETINATA. Non c'è la matematica sottostante (senza infrangere la legge) atta a garantire "l'apertura del circuito", per usare un termine popolare.

 

1) "L'idea consiste nel....emettere dei titoli, i CCF, al fine di finanziare un cospicuo incremento di spesa pubblica (fino a 200 mld. di euro). ...Tralasciamo l'ipotesi, dubbiosa, secondo cui l'economia italiana si rilancia con altri 200 mld o più di spesa pubblica.."

Sia nel libro di Micromega del 2014 citato (che ha una decina di autori) che nel libro di Hoepli del 2013  che nella versione adottata dall'ufficio studi di Mediobanca del 2015 (http://www.syloslabini.info/online/wp-content/uploads/2015/11/report-Mediobanca-sui-CCF.pdf) si parla di riduzione di tasse e non di aumento di spesa pubblica. Nel libro di Hoepli  è persino evidenziato nel sottotitolo di copertina che si tratta di ridurre le tasse (www.hoepli.it/libro/una-soluzione-per-leuro/9788820359164.html), in quello di Micromega si parla di usare i 3/4 dei crediti fiscali differiti (CCF) per ridurre le tasse e nel report di Mediobanca (di Angelo Guglielmi) di ridurre le tasse.  Bruno invece scrive che è solo per aumentare la spesa pubblica.

Per Bruno ridurre le tasse e aumentare la spesa pubblica sono equivalenti (in termini di effetti su inflazione, deficit estero/competività, crescita del PIL..) e quindi la sua non è una svista perchè sono termini intercambiabili ? La sua analisi si applica anche nel caso (vedi report Mediobanca) si ipotizzi di emettere questa "moneta parallela" perridurre le tasse e di una cifra più modesta (40 mld) ?

2) Sia nel testo di Micromega che in quello di Hoepli che nel libro di Ruffolo e S. Sylos Labini e negli articoli usciti intorno alla proposta si fa riferimento come ispirazione di questo schema alla Germania che tra il '33 e il '38 creò i "Mefo Bonds". Ci sono ovviamente differenze nel meccanismo (nel caso tedesco era finanziamento di spesa pubblica per investimenti tramite titoli poi scontati dalla BCentrale...), ma le condizioni economiche della Germania di allora,  in depressione e senza credibilità sui mercati finanziari, sono più confrontabili con quelle dell'Italia di quelle dello Zimbabwe (dove il problema sembra esser stato l'esproprio improvviso e violento dell'intera classe imprenditoriale).

A conferma del fatto che l'ispirazione è più tedesca che africana si può menzionare che nell'ebook di Micromega e altrove si sono citati come riferimento studi sull'introduzione di una "moneta parallela" all'Euro presentati nel 2012 alla conferenza della Confindustria tedesca delle medie imprese a Berlino (BVMW, Bundesverband Mittelstandische Wirtschaft, conferenza "Parallel Wahrung" www.bvmw.de/uploads/media/die_parallelwaehrung.pdf) In Germania infatti c'è stata una proliferazione di studi, anche da parte ad es di economisti non marginali come Thomas Mayer ex capo economista Bundesbank, su come ovviare alla crisi dell'Euro nel 2012 introducendo una moneta parallela in paesi del Sud-Europa. Questa urgenza per i tedeschi si è allentata da quando la BCE  ha creato 2mila miliardi di Euro per TLTRO e QE allontanando il rischio di default e rottura dell'Euro. Però chi provi a consultare la letteratura su schemi di moneta parallela, sia durante la Grande Depressione che di recente, è costretto a usare Google translate dal tedesco perchè è da lì che arrivano le esperienze e le idee.

In sintesi: 1)  non è vero che si parla di aumentare la spesa pubblica, ma piuttosto di ridurre le tasse, 2) sia l'esperienza storica che gli studi sulla moneta parallela vengono dalla Germania piuttosto che dall'Africa subshariana


1) non è una riduzione di tasse;  a quanto è dato di capire da  una più che sospetta vacuità sul punto, i CCF verrebbero regalati soprattutto a chi già non paga tasse, per incapienza o per brutale evasione. dopo due anni, si conteranno i noccioli...nel frattempo, molti avranno fatto le valige.

2) è peggio paragonare l'economia italiana del 2017, alla germania di hitler o allo zimbabwe di mugabe? parliamone! o meglio, rileggiamo il quesito e vergognamoci tutti.

Nel confronto tra questa proposta di Certificati di Credito Fiscale ed i ME.FO direi che vi sono delle lacune di fondo in termini di consapevolezza, di comprensione, più ancora che di conoscenza storica dello strumento ideato in Germania con l'avvento del nazionalsocialismo. Al di là delle differenze tecniche che ha sottolineato e al fatto che se si parla di utilizzarli per ridurre la pressione fiscale, allora già stiamo andando in una diversa direzione perché, come anche qui ha fatto presente, i ME.FO sono stati utilizzati per pagare commesse pubbliche, quindi per aumentare la spesa.

Ma quello che invece vorrei sottolineare è il grande errore di considerare i ME.FO come lo strumento attraverso il quale la Germania ha potuto risollevarsi. Attenzione, perché se così è stato, la ragione è un'altra e ha a che fare con una serie di misure adottate dal regime e dove i ME.FO hanno avuto il solo scopo di essere un semplice mezzo di pagamento. Occorre infatti rammentare che la dittatura nazista proibì i licenziamenti ed allo stesso tempo gli scioperi. Che la banca centrale fu nazionalizzata, ma non per 'stampare a go go' come i sovranisti de noantri oggi invocano, esattamente il contrario: per regolare l'emissione della moneta! Inoltre il regime fissò gli obiettivi industriali strategici, una sorta di 'business plan' nazionale al quale le varie aziende private dovettero attenersi pena la nazionalizzazione. E poi altre misure ancora, misure che sono state studiate da soggetti che hanno pianificato, sebbene all'interno di un regime sanguinario, una macchina iperefficiente. Intendo quindi dire che se i ME.FO fossero stati gestiti da soggetti incompetenti, se non addirittura farabutti, come quelli che si sono avvicendati nella nostra di storia, non avrebbero raggiunto nemmeno la metà di quello realizzato. La morale è che bisogna finirla di pensare che la questione riguardi i finanziamenti, cioè dove e come trovare soldi da spendere, ma l'avere un piano strategico nazionale globale. I soldi ci sono già se si vuole, ci hanno scritti libri coloro che sono stati chiamati ad occuparsi della spending review, ma se la politica cialtrona, da destra a sinistra, li usa per scopi elettorali o propagandistici o comunque del tutto inefficace, allora di miliardi non ne bastano nemmeno 1.000, altro che 200.

Voodoo economics in salsa moneta complementare?? Bah ...

Grazie a Giammarco Bruno che dedica del tempo a smontare queste idiozie che vengono puntualmente abbracciate dalla nostra classe politica!

Carissima Fatima, ti ringrazio per la tua lettura critica dell'articolo e per il tuo contributo alla discussione. Cercherò di rispondere punto per punto.

Per quanto riguarda il punto 1:

Secondo quanto riportato nel libro pubblicato su Micromega, lo Stato assegnerebbe “gratuitamente” 200 mld. di CCF all’anno divisi tra aziende, lavoratori, disoccupati, pensionati e investimenti diretti. A pagina 28 infatti si legge :

 

“Su 200 miliardi totali massimi assegnati ogni anno, all’incirca 80 andrebbero alle aziende private, 70 ai lavoratori e 50 ad altre forme di spesa”.

 

Tralasciando commenti sul meccanismo di assegnazione dei CCF, che prevede ad esempio un assegnazione maggiore ad aziende che riducano maggiormente la disoccupazione, creando un pericolo di distorsione dei correttivi incentivi all’innovazione ed alla “distruzione creatrice“, è evidente che gli stessi autori della proposta considerano l'utilizzo di questi titoli come spesa. Si legge inoltre

Gli ulteriori massimi 50 miliardi annui (le «altre forme di spesa» sopracitate) potranno essere utilizzati per varie operazioni di sostegno della domanda: integrazione di reddito alle categorie disagiate (inclusi cassaintegrati, pensionati a basso livello di reddito e disoccupati), investimenti pubblici, spesa sociale, interventi di ricostruzione in aree colpite da calamità naturali ecc.

Da un punto di vista contabile tali titoli andrebbero riportati nel passivo e portati a riduzione dell’entrate al momento del loro esercizio.


Per quanto riguarda il punto 2:

 Non credo che l’Italia sia comparabile allo Zimbawe, per quanto abbia attraversato diversi anni difficili, l’economia italiana ha ancora molti settori forti e competitivi ed è una delle più importanti in Europa. Il punto di quell’esempio era semplicemente mostrare che questo genere di operazioni non sono prive di rischi come viene sostenuto dagli autori della proposta della “moneta fiscale”, il rischio svalutazione esiste e non va taciuto quando si vuole fare un’analisi di una misura così importante per le finanze pubbliche. Gli autori della proposta infatti si approcciano al problema in modo quasi del tutto deterministico, si fanno assunzioni molto forti, come ad esempio sul moltiplicatore fiscale, e non viene tenuto in giusto conto il ruolo che l’incertezza gioca nell’economia.

Per quanto riguarda i MEFO bills. Nella mia versione iniziale di quest’articolo avevo dedicato una sezione propio anche a questo tema ma ho poi deciso di eliminarla per evitare di dilungarmi troppo.

I MEFO bills erano dei titoli emessi dalla "MetallurgischeForschungsgesellschaft", una società fittizia creata appositamente dal Terzo Reich nel 1934. Questa società non aveva operazioni reali, ma emetteva titoli convertibili in Reichsmark (la moneta ufficiale).

Come dichiarato dallo stesso ideatore (Hjalmar Schacht presidente della Reichsbank nel periodo in cui Adolf Hitler era al potere) si trattava di una frode, un artificio contabile, congegnato con l’intento di aggirare il Trattato di Versailles al fine di permettere il riarmo della Germania nazista. Il Trattato di Versaille infatti vietava alla Germania il riarmo e imponeva un interesse massimo del 4.5% sul debito. La Germania aveva quindi bisogno di un sotterfugio per finanziare il riarmo senza che le altre nazioni se ne accorgessero. A questo scopo, la Metallurgische Forschungsgesellschaft emetteva i così detti MEFO bills, che venivano ceduti all’industria militare, la quale li poteva convertire in Reichsmark attraverso le banche, che a loro volta potevano cederli alla Reichsbank. Dato che la Reichsbank controllava la società emittente, con tale meccanismo riusciva a finanziare in maniera indiretta il riarmo del governo tedesco, senza che apparisse evidente dal punto di vista contabile. Siccome in quel periodo la disoccupazione tedesca calò drasticamente, secondo gli autori della proposta dei CCF, questo rappresenterebbe un esempio positivo. A questo proposito vanno fatte alcune precisazioni. In primo luogo la Germania passò da un surplus di bilancio nel 1932 ad un deficit di 10mld. di Reichsmark nel 1938. Per cui l’aumento di spesa non venne compensato da un incremento del PIL tale da annullare l’effetto negativo sul bilancio, cosa che invece viene prevista dagli autori della proposta dei CCF. Per quanto riguarda il tasso di occupazione, è importante rimarcare che esso non rappresenta una misura sufficiente per valutare lo stato di salute di un’economia. Infatti, al fine di evitare la svalutazione, furono prese drastiche misure che influirono negativamente sul livello di qualità di vita della popolazione tedesca. Furono imposti razionamenti su beni primari come cibo e vestiario. Le importazioni non furono sospese (la Germania necessitava d’importare materie prime per la costruzione di armi) ma vennero controllate al fine di destinarle ai bisogni dell’industria bellica. Il motivo è che se le importazioni fossero state lasciate ad un sistema di libero mercato, la popolazione avrebbe potuto aumentare gli acquisti di beni primari dall’estero, rischiando di creare pressioni inflattive. Tale politica viene bene espressa dal famigerato slogan nazista di quegli anni "Guns not butter". Vennero inoltre, sospesi i movimenti di capitale all’estero, il che, insieme al controllo sulle importazioni, suggerisce che tale esempio non sia comparabile ad un sistema di mercato aperto come quello in cui ci troviamo oggi (a meno chenon vi sia un intento di chiudere l’Italia al mondo).

Inoltre il costo del lavoro venne ridotto, tramite misure come l’abolizione del diritto di sciopero o l’introduzione dell’obbligatorietà per tutti i giovani in età scolare di due mesi estivi di lavoro non retribuito. In sostanza l’aumento dell’occupazione venne pagato con una drastica riduzione delle libertà dei cittadini tedeschi. Infine, per scongiurare ulteriormente pressioni inflattive l’ammontare di MEFO bills emessi venne tenuto segreto. Infatti, si temeva che se si fosse venuto a sapere il loro valore sarebbe crollato. È comunque difficile ipotizzare che tale situazione avrebbe potuto protrarsi per lungo tempo. Anche l’Unione Sovietica aveva un tasso di disoccupazione molto basso, ma quando le inefficienze vennero alla luce la crisi fu inevitabile.

 In sostanza anche l’esempio della germania nazista è difficilmente comparabile ad un paese come l’Italia che si torva in un sistema di mercato aperto.

Come ho già chiarito nell’articolo il successo dell’operazione dipende in maniera cruciale dal moltiplicatore fiscale. L’Italia è comparabile alla Germania degli anni 30’ per lo stato di stagnazione, ma come ho già detto nell’articolo ci sono altre variabili che influenzano in maniera determinante tale moltiplicatore, tra questi l’apertura dei mercati e il livello di debito preesistente. Inoltre ripeto che è veramente difficile riuscire ad ipotizzare un moltiplicatore costantemente alto in tutti gli anni in cui si prevede di attuare questa operazione.

Giovanni Bruno

Si può cambiare in banca? Se "sì" qualcuno ha capito dove prenderebbero gli euro le banche senza infrangere la normativa? Già capire questo passaggio farebbe chiarezza.

oppure, sì:-) ma non si sa a che prezzo.

la banca sarà intermediaria,  se ne farà mercato come di ogni moneta e avrà una quotazione rispetto alle  altre valute influenzata dalla fiducia che ispira chi l'ha emessa.

Dall'articolo mi sembra chiaro.
I certificati di credito fiscale non si possono cambiare in niente, si possono solo usare per estinguere un debito fiscale (cioè per pagare tasse dovute).
Eventualmente si possono vendere, ma se c'è qualcuno che li vuole comprare, a un prezzo di mercato: lo stato si impegna solo ad accettarli per il pagamento di imposte.
Questo fatto dovrebbe garantire la loro tenuta di valore, dicono, e fin qui l'ipotesi pare sensata.

 

E se vi fossero in giro più CCF che non tasse da pagare, che succede?

 

Questo si può facilmente evitare, basta non emettere CCF senza criterio. Il gettito fiscale dell'anno prossimo non può essere noto, ma se si emettorno CCF per 1/10 del gettito dell'anno passato, la probabilità che si verifichi la circostanza descritta pare trascurabile.

L'articolo dice anche che il CCF verrebbero usati dallo stato per una spesa pubblica aggiuntiva rispetto agli 835mld, quindi non per pagare stipendi dei dipendenti pubblici o pensioni, che sarebbero ancora pagati in euro e non verrebbero svalutati in alcun modo.

Però l'impatto sul debito, e sul rischio default, lo si ha comunque, perché chi paga le tasse in CCF non le paga in euro, e quindi il MEF riduce le sue entrate "reali", cioè quelle utilizzabili per il servizio del debito.
Si tratta di una riduzione delle imposte per via indiretta, operata al fine di aumentare le disponibilità per la spesa discrezionale. Ma non vedo che differenza ci sia tra distribuire dei buoni fiscali, e ridurre direttamente le imposte.

Bisogna vedere cosa lo Stato paga coi CCF.
E' evidente che i CCF avranno un valore di scambio al massimo pari, ma molto probabilmente sensibilmente inferiore all'euro.
Se lo Stato coi CCF paga pensioni e stipendi dei dipendenti pubblici (visto che i fornitori privati sconterebbero il costo di cambio, è l'ìipotesi più probabile), in soldoni [lol] quello che fa è svalutare questi redditi.
Se il popolo italiano non vuole l'austerità col taglio delle spese pubbliche, ma vuole prenderla in quel posto in modo più... creativo: che così sia!

lo stato inizialmente non paga nulla coi CCF, li stampa e li regala e poi spera che quando saranno portati all'incasso due anni dopo, il PIL, così generosamente annaffiato, sia cresciuto tanto da colmare il drammatico buco di gettito che si avrebbe coeteribus paribus. se poi le cose andassero male, è ovvio che con nuovi CCF si comincerebbe a pagare pensioni, stipendi ed investimenti pubblici. amen.

aggiungo solo che un lasso di tempo di due anni deve sembrare ai promotori un periodo lunghissimo, sufficente a far scomparire le loro responsabilità in caso di catastrofe. gli stessi due anni erano più o meno alla base della scommessa cinica di renzi: vado al governo adesso, mi prendo la ripresa ineluttabile e rinvio un paio di volte le clausole di salvaguardia, tanto le cose si aggiustano. infatti le clausole di salvaguardia sono ancora lì e ci aspettano a settembre, fra due mesi.

dal manifesto dei proponenti:

 

proponiamo che sia lo Stato italiano ad emettere e distribuire gratuitamente, a favore dei lavoratori dipendenti e autonomi, delle imprese, dei disoccupati e dei pensionati, non della moneta ma della quasi-moneta, ovvero dei titoli di stato sotto forma di Certificati di Credito Fiscale ad utilizzo differito.

 

pare bello (la parola "gratis" è in grado di smuovere le folle) però si glissa anche sulla ripartizione di questa manna, sul "come e quanto": uno stesso mucchietto per persona fisica? anche ai non occupati che non cercano, le casalinghe, i neet etc? ok, e anche per le imprese? ENI avrà gli stessi CCF di una società di comodo o inattiva o in liquidazione?

 mi è ben chiaro che non è questo il difetto principale della geniale proposta, però è evidente  dalle prime righe e per chi non ha tempo da perdere, già sufficente per non proseguire nella lettura.

Mi interessa sapere se è possibile stimare l'inflazione creata dall'emissione di monete complementari (SCEC, Sardex e compagnia) e da questi CCF. 

PS: a proposito: 
"Nel 2008, dopo un periodo di iperinflazione [i], il governo dello Zimbabwe decise, ..."
La nota sarebbe la [iii]. 

La Sardex è una moneta che si avvale di un circuito di credito privato. I CCF sarebbero emessi dallo Stato e quindi influirebbero sui conti pubblici a differenza della Sardex. 

Esperimenti simili ai CCF come i Bond-notes dello Zimbabwe hanno visto una svalutazione fino al 50% in pochi mesi dopo la loro emissione (vedi articolo "Economist").

Resta comunque difficile dire quale sarebbe la possibile svalutazione in Italia, come ho già detto in un commento precedente l'Italia di certo non è lo Zimbabwe, ha un'economia decisamente più solida ma ciò non garantisce la stabilità del valore di questi titoli. Come ho già detto nell'articolo il valore dei CCF sarebbe dipendente dalle condiozione delle finanze pubbliche, l'apertura ai mercati e in particolare dalle aspettative degli agenti economici.

Certo è che l'utilizzo di un modello deterministico come quello utilizzato dagli autori della proposta nel libro pubblicato su Micromega è piuttosto limitato per valutare i possibili effetti.   

I dati della tabella sono di anni fa.

Nell'Annuario statistico della Ragioneria dello Stato di questo mese, Conto di cassa settore pubblico, gli incassi e le spese sono diversi. E il deficit per gli anni 2014, 2015 e 2016 è stato rispettivamente di 70, 52 e 46 mld. 

Capisco la variabilità dei dati per il futuro, ma il passato è consolidato. Credo che le tabelle del lavoro di Bissone ed altri debbano essere riviste, considerato che per tre anni su nove ci sono dati certi.

Si farà slittare tutto più avanti, ma servirà a verificare l'attendibilità delle ipotesi formulate allora, e di conseguenza anche quelle che si fanno adesso. 

Invece i 200 mld di CCF sarebbero dati gratuitamente. Poteva farlo Draghi col QE, invece di acquistare titoli governativi ed attività finanziarie? 

Dalla tabella risulta che l'incremento delle entrate dal 2018 in poi sarebbe del 3% circa, un punto in più dell'inflazione prevista. Che si ridurrebbe per il costo di gestione di questa moneta parallela, in circolo a regime per una montagna di 400 mld, come è scritto nel Manifesto, pari a circa la metà delle entrate dello Stato.

La valutazione del rischio mi pare che porti ad annullare gli ipotetici vantaggi.

Cioe' a questa domanda 

"Invece i 200 mld di CCF sarebbero dati gratuitamente. Poteva farlo Draghi col QE, invece di acquistare titoli governativi ed attività finanziarie?"

No, non poteva. E sarebbe folle farlo. Vede, la moneta non si crea cosi', stampando pezzi di carta con su scritto qualcosa e facendoli cadere con un elicottero sulle persone (o inviandoli con un metaforico drone nei conti di questo o quello). 

Mi devo scusare ma non ho proprio il tempo per scrivere qui un piccolo trattato su come le banche centrali creino "fiat money", ma puo' trovarlo spiegato in dozzine di manuali, anche in rete. Come al solito Wikipedia puo' aiutarla almeno a iniziare lo studio

it.wikipedia.org/wiki/Moneta

nel paragrafo "La moneta nel bilancio della Banca Centrale" ha un punto di partenza chiaro. 

In genere consiglio la versione inglese, sempre molto piu' precisa e curata dell'italiana.

per essere efficace bisognerebbe svalutare le moneta in cui sono nominati i debiti , svalutare una moneta interna non porterebbe ad alcuna riduzione del debito , la strada percorsa da nixon di rinominare il debito nella nuova valuta e' l'unica cosa "sensata" ( non risolverebbe i problemi strutturali ma almeno darebbe una boccata d'ossigeno )

Se si crede che ciò che blocca la crescita italiana sia l’appartenenza alla moneta unica e che semplicemente stampando più moneta si possano sfruttare i “miracolosi” effetti del moltiplicatore fiscale, allora si, ha certamente più senso uscire dall’euro piuttosto che utilizzare questo sotterfugio contabile dei CCF. 

Io però non sono convinto che l’uscita dall’euro sia la strada da seguire. Il punto è che in Italia si è per anni preferito prendere la strada del risolvere il problema di oggi senza preoccuparsi delle conseguenze che quelle soluzioni contemporanee ponevano per il futuro (una boccata di ossigeno oggi per morire di asfissia domani). Per anni l’Italia ha giocato con la svalutazione monetaria per rendere più competitivi i suoi prodotti, questo ha corrotto gli incentivi degli investitori e degli operatori di mercato, perchè hanno preferito utilizzare la leva politica per guadagnare competitività piuttosto che investire in tecnologia ed innovazione che avrebbero permesso di aumentare la produttività reale e ottenere una crescita sostenibile, piuttosto che una crescita malata accompagnata da livelli inflazione molto alti. Io penso che stare all’interno della moneta unica possa far tornare gli incentivi giusti nell’economia italiana per ottenere una crescita sostenibile e non malata. 

(commento precedente andato perso cancellato dal commento di 2 gg fa riesumato...?)

1) Partiamo dallo Zimbabwe che ha PIL di 14 mld, tasse per 2,8 mld, spesa pubblica per 3,8mld esport 3,2 mld, import 5,1 mld e debito estero per 10 mld (https://en.wikipedia.org/wiki/Economy_of_Zimbabwe) cioè ha poche tasse, alto deficit estero (e cronico) e elevato deficit pubblico (ma niente debito pubblico, solo 1 miliardo). E' lecito assumere che i numeri non fossero molto migliori nel suo periodo di iperinflazione. L'Italia è quasi il contrario in termini macro: surplus estero pari a quello della Cina (attualmente yes, sul 2% PIL...), tasse quasi al 50% del PIL, alta ricchezza finanziaria (10mila mld),   debito totale (privato+pubblico) un po' sotto la media OCSE, posizione finanz netta sull'estero nella media OCSE. E poi produzione industriale collassata del -20% e rotti , investimenti privati -30% dai livelli precrisi, tasso di occupazione più basso dell'OCSE (3 milioni di disocuppati e 12-13 milioni di "inattivi"). E poi 3-400mila espatriati per cercare lavoro all'estero.

Che cosa mai possa far pensare di confrontare l'Italia a questo paese africano che ha espulso/espropriato 300mila europei che gestivano l'economia di punto in bianco è un mistero.  L'iperinflazione in Zimbabwe è dovuta al collasso del funzionamento dell'economia seguito all'esproprio improvviso dei bianchi, così come quella di Weimar a riparazioni di guerra pari al 900% del PIL tedesco dell'epoca. Lo Stampare Moneta era la conseguenza e non la causa, come ad es Schacht spiega in dettaglio nel caso tedesco

E' un vero mistero come un paese in Depressione come l'Italia attuale venga paragonato a due casi particolari di iperinflazione dovuta a fattori esogeni (guerre, rivoluzioni, espopri) e non alla situazione nella GRANDE DEPRESSIONE ad es appunto della Germania (o anche dell'italia stessa se proprio si vuole). I numeri dell'Italia ricordati sopra sono quelli di un paese in Depressione per cui devi trarre insegnamenti da altri paesi (se vuoi) che in simili situazioni depresse si sono risollevati. Questo in termini della logica per cui trai insegnamenti dalla Germania degli anni '30 (ma anche il Giappone sarebbe interessante perchè fece politiche simili). Purtroppo le discussioni storiche diventano lunghe e dovresti andare a citare dati e fatti che mostrano che il riarmo tedesco vero è dal 1936 e quindi non è vera la facile obiezione che era solo questione di armamenti (Hitler entra in Renania nel '36 bluffando, l'esercito francese lo spazzerebbe via e i suoi generali sono terrorizzati...). Invischiarsi con Hitler però qui è l'ultimo dei problemi

2) come è possibile che un meccanismo di CREDITI FISCALI a favore di imprese e famiglie, per cui ricevi un "buono" che ti consente ad es di pagare l'IMU evitando di spendere euro divenga nell'articolo di Bruno un meccanismo per aumentare la Spesa Pubblica ? L'unica cosa che non manca nella proposta dei CCF è il dettaglio, tra libri (due) e articoli in giro (su riviste e giornali), anche tralasciando il we, ci sono centinaia di pagine (a differenza ad es del ritorno alla Lira sulle cui modalità i dettagli mancano). Anche se gli autori che si sono esercitati a scriverne ora sono diversi (ultimi Gennaro Zezza e due suoi colleghi che poi sono stati "adottati" (forse) dal M5S), il nocciolo è SCONTI FISCALI. Cioè il meccanismo di base è che emetti crediti fiscali, ma differiti di due anni per scavalcare le regole UE, e li regali a famiglie e imprese le quali hanno uno sconto fiscale. Prendiamo le versioni della proposta 100% riduzione di tasse e niente 1/4 per spesa pubblica (as report Mediobanca). Come puoi sostenere che aumenti la spesa pubblica se i 100 miliardi (o qualunque altra cifra ritieni opportuna) sono sconti di tasse per famiglie e imprese le quali poi si ritrovano 100 miliardi in più che possono spendere ma anche risparmiare o usare per pagare debiti ?

Restiamo un attimo nell'ipotesi che emetti 100 mld (un 7% del PIL attuale) di crediti fiscali e li allochi solo a imprese e famiglie. Niente allo Stato. Supponiamo che tu voglia ridurre i rischi di inflazione, per cui ne allochi una fetta importante a riduzione di tasse indirette come quelle sull'energia (IVA non è legalmente possibile se ricordo bene). Ci sono sondaggi che mostrano che circa metà di questi soldi verrano spesi (o investiti da imprese) e l'altra metà risparmiati o usati per ridurre debiti. Qui ovviamente si apre il campo alle simulazioni e si da lavoro ai centri studi se si vuole, ma è evidente che non è un aumento di spesa pubblica e neanche un aumento di spesa tout court. Sono soldi in più in tasca a famiglie e imprese. Che non è quello che ha fatto Mugabe o Chavez mi sembra. Si potrebbe persino richiamare Reagan invece. O anche quello che hanno fatto di recente diversi paesi dopo il 2008.

Il punto è che in Italia il credito alle imprese è stato ridotto da 910 a 800 mld circa e le tasse aumentate da 730 a 780 mld (circa, arrotondo...). L'ordine di grandezza con il segno meno è di 150 miliardi di euro in un economia che nel 2008 era di 1,530 mld circa. Se non rimetti in circolo e in particolare non ridai a famiglie e imprese una parte o la maggior parte di questo denaro l'Italia rimane in depressione. L'unico modo è crearli da parte dello Stato approfittando del fatto che ora BCE e Bankitalia hanno ricomprato circa 300 miliardi di debito pubblico neutralizzandolo di fatto. A parte però qualche bonds come quelli di Ferrovie dello Stato con cui ha ordinato treni a Finmeccanica questi miliardi della Banca Centrale non arrivano all'economia se non sotto forma di capital gain e riduzione di tassi sui mutui e per i clienti da R1 a R5. La logica di questo ragionamento allora è che devi creare come Stato italiano tu direttamente una cifra di queste dimensioni e come riduzione di tasse. Se la Ue avrà delle obiezioni discuterai, ma anche sul QE c'erano e sono state superate e qui la differenza è che emettere crediti fiscali rientra nei poteri dello Stato italiano per cui non devi aspettare l'autorizzazione  

1) Ho già chiarito nei commenti precedenti che l'Italia non è lo Zimbabwe. Il punto è che l'Italia non è neanche la Germania nazista a meno che non si voglia portare l'Italia sotto un regime autarchico. Inoltre i numeri riportati nello studio citato nell'articolo sono caratterizzato non solo da un errore MADORNALE che è quello di non aggiustare le spese per l'inflazione ma anche da assunzioni eroiche sul moltiplicatore fiscale senza le quali i numeri non tornerebbero. Lei fa riferimento alla Germania nazista solo per il periodo di stagnazione, ma io le ho citato studi economici pubblicati su peer-reviewed journals che mostrano che il moltiplicatore fiscale sia influenzato anche da altre condizioni come il livello di debito, deficit e apertura ai mercati internazionali ad esempio.

2) I CCF sono titoli che rappresentano sconti fiscali, si, certo, ma il punto è che secondo il programma dei suoi propositori lo Stato dovrebbe cedere questi sconti per pagare ad esempio investimenti pubblici, si veda la citazione fatta nel precedente commento. Il punto è che non bisogna fermarsi all'interpretazione letterale ma cercare l'interpretazione economica. Ad ogni modo qualsiasi interpretazione lei voglia dare resta il fatto che questi CCF influiscono pesantemente sul bilancio dello stato e quindi sulla sostenibilità del debito, perchè come ho già spiegato, parte del gettito futuro destinato a ripagare il debito viene alienato dai debitori per cederlo a nuovi soggetti. Quindi a meno che il moltiplicatore fiscale non faccia miracoli, resta sempre il pericolo di un forte deterioramento delle finanze pubbliche.  

Giovanni, questo/a scrive cazzate a go-go celandosi dietro al nomignolo dei miracoli. Se hai tempo da buttare, fai pure ma roba del genere e' buona solo per secchio della spazzatura.

 

1) Partiamo dallo Zimbabwe che ha PIL di 14 mld, tasse per 2,8 mld, spesa pubblica per 3,8mld esport 3,2 mld, import 5,1 mld e debito estero per 10 mld ... cioè ha poche tasse, alto deficit estero (e cronico) e elevato deficit pubblico (ma niente debito pubblico, solo 1 miliardo).

 

Solo 1 miliardo? Ma come mai? Vuoi che, come per la Russia, nessuno se la senta di prestare soldi a chi è in bilico e quindi il debito pubblico è inesistente?  Non è che chi ha poco debito sia per forza "sano". Puo' invece essere del tutto inaffidabile. Ma nel caso, chi crede diversamente puo' prestare miliardi allo Zimbawue e diventare miliardario. Avanti: c'è posto per tutti. 

A me dispiace che il povero Giovanni Bruno abbia dovuto impiegare quasi 14,500 caratteri per confutare una proposta talmente insensata che non avrebbe meritato nemmeno di essere pensata.

Se passi da Londra e ti va una birra, se proprio vuoi dedicarti a smontare congetture eterodosse, saró felicissimo di raccontarti le mie.

Eh si Alessandro hai ragione forse 14,500 caratteri sono un po troppi per una cosa del genere, il fatto è che non me ne sarei neanche occupato se non avessi riscontrato l'interesse di alcuni partiti italiani. 

Il fatto è che la "soluzione semplice" ha sempre un grande appeal sull'elettorato, ma la materia economica è complessa e richiede molto studio per capirla e non tutti hanno la volontà di spendere tanto tempo su questi argomenti. Si preferisce fermarsi all'illusione della "soluzione semplice"  perchè è facile da capire e non richiede tanto studio e non ci si domanda sui trade-off sottostanti tali proposte ad esempio. 

Per questo ho deciso di scrivere un articolo così lungo, per cercare di spiegare al meglio passo per passo gli aspetti che non erano stati chiariti dai suoi propositori. Il mio obiettivo principale era provare almeno in parte a chiarire che non esistono "free lunch" e che qualsiasi manovra finanziaria si adotti lo Stato è sempre soggetto ad un vincolo di bilancio, perchè questo era a mio parere l'aspetto maggiormente sottaciuto dai propositori di quest'idea.

A Londra mi capita di andare di tanto in tanto per conferenze, mi farebbe piacere bere quella birra in tua compagnia quando capiterò di nuovo lì.

Il bugiardino dei CCF con uno sforzo notevole. Difficile trovare un concentrato di inesattezze similare.  Vediamone qualcuna:

 

Il titolo CCF

può essere considerato come un titolo zero coupon con scadenza biennale a circolazione prevalentemente interna. Infatti 100 euro di CCF equivalgono a una banconota da 100 euro che il possessore non può utilizzare se non tra due anni. La monetizzazione anticipata comporterà ovviamente uno sconto finanziario. Il tasso di sconto sarà presumibilmente assai contenuto, essendo il CCF un titolo a breve

completamente garantito per il pagament

o fiscale. Il CCF sarà quindi uno strumento appetibile e competitivo rispetto agli altri titoli sul mercato monetario. I venditori di CCF saranno tutti quei soggetti – famiglie e aziende (soprattutto medio-piccole) – che hanno necessità immediata di liquidità per

le loro spese e per ripagare i debiti pregressi. Considerando le attuali forti esigenze di liquidità (dovute alla drammatica crisi

in corso) da parte delle famiglie e delle aziende, è presumibile e auspicabile che ci sarà un significativo incentivo a convertire i CCF in euro. In questo modo sarà possibile aumentare

il reddito e quindi la spesa delle famiglie e delle aziende, e uscire dalla trappola

della liquidità. Anche la pubblica amministrazione cederà i CCF per remunerare i lavori pubblici appaltati ad aziende private. Gli acquirenti dei CCF saranno tutti quei soggetti che hanno liquidità e che intendono cedere euro per ottenere a scadenza sconti fiscali: aziende ben patrimonializzate, istituzioni finanziarie, investitori e privati benestanti e facoltosi.

Le banche opererebbero primariamentecome intermediari di mercato.

dAllora: "gli acquirenti di CCF saranno aziende ben patrimonializzate, istituzioni finanziarie, investitori e privati benestanti e facoltosi" Questi acquirenti dovranno: 1) assumersi il rischio cambio ovvero, dovranno decidere di usare i CCF ESCLUSIVAMENTE COME CREDITO FISCALE. Acquistando i CCF poco dopo l'emissione, escluderanno la possibilità di godere di un apprezzamento della moneta unica sui mercati internazionali (compro x 100CCF poco dopo l'emissione con 100 euro a 1.04 contro dollaro, dopo due anni ci pago le tasse ma l'euro è a 1.3 contro dollaro, mi trovo con un -25% secco in mano); questo comporta una serie peculiarità nell'acquirente generico che personalmente faccio fatica a considerare diffuse. Comprando CCF si incamera un rischio difficilmente quantificabile che ha un costo elevatissimo, costo che si riversa ovviamente sulla proposta(prezzo) di acquisto. Questa è un'iniziale osservazione che spero sarà corretta se errata. "Iniziale osservazione" in quanto il bugardino è un concentrato di assurdità tali da renderne persino difficoltosa la lettura se deboli di stomaco.

(............)

La monetizzazione anticipata comporterà uno sconto finanziario, in quanto 100 euro di CCF equivalgono a una banconota da 100 euro che il possessore non può utilizzare se non tra due anni. Ma il valore finale è certo, addirittura più di quello di un titolo destinato a essere rimborsato in euro. Lo Stato potrebbe, infatti, andare in default sui suoi impegni di pagamento di euro, mentre il CCF avrà sempre e comunque un valore. Lo sconto finanziario sarà determinato dal mercato, ma approssimativamente si può stimare che non sarà molto diverso da quello di un tasso CTZ a due anni.

Ma direi che qualcosa non quadra; i CTZ possono essere comprati\venduti sul MOT\MTS dove soggetti preposti al Market Making garantiscono liquidita ed esecuzione in un range di prezzo(spread) accettabile. Con i CCF, che non sono titoli di debito  ma certificati di un ipotetico credito la cui sola garanzia è l'accettazione statale per pagamento mirato, come potrebbe essere garanita un'operazione similare? (Consideriamo anche che i CTZ sono euro a scadenza garantiti dllo Stato Italiano, acquistabili da chiunque e per i più svariati motivi, nel mondo;i CCF avrebbero un mercato non comparabile e limitato al paese emittente)  Ovvero: se tutti decidessero di vendere i CCF, dove troverebbe la provvista necessaria a copertura la controparte? E se questa copertura risultasse(come probabile) insuffciente( vi è tutto l'interesse ad incamerare valuta pregiata spendibile ovunque nel mondo piuttosto che detenere valuta domestica spendibile esclusivamente per il pagamento di imposte generiche) nazionali, quanto questa illiquidità influirebbe sul prezzo? Più leggo più sono confuso..colpa mia sicuramente

(....)

Se ho ben capito le implicazioni del progetto descritto nell’articolo, vorrei far presente che ci sono modi più semplici per fare le cose.

Negli Stati Uniti si sta facendo un’interessante operazione commerciale – una mom-and-pop shop gestita in una stanza sopra un garage di una suburban home - nell’ambito di una partnership pubblico-privato, che riesce a realizzare un abbassamento delle tasse con conseguente aumento del reddito disponibile dei consumatori.

La società in questione fa accordi con town hall e propone la distribuzione fra gli abitanti della città di una card che, se accettata dai negozianti che intendono partecipare al programma, consente a chi spende nei negozi convenzionati di ricevere un premio erogato da questi ultimi che è portato direttamente in detrazione, al netto della fee della società, alle tasse sulla casa dovute dall’acquirente. Il premio varia da negozio a negozio.

In altre parole, una famiglia attenta che spende nei posti convenzionati, supponiamo, 50-60K dollari all’anno, risparmia migliaia di dollari di tasse sulla casa.

Il comune è interessato a vedere cittadini che risparmiano sulle tasse e che hanno un maggiore reddito disponibile, i negozi sono interessati a promuovere i loro prodotti e la società realizza un guadagno su tutte le operazioni.

Direi che è una situazione win-win-win per tutti e costituisce un importante stimolo per l’economia.

Due anni fa la società è stata annoverata fra le 25 imprese più innovative degli USA dalla Harvard University.

 

 

Il comune è interessato a vedere cittadini che risparmiano sulle tasse e che hanno un maggiore reddito disponibile.

 

questa non l'ho capita. anche il resto, ma cominciamo da questa: il comune incassa meno e ha meno soldi da spendere nel riparare le strade ad es. e c'è il rischio che l'elettore si ricordi solo di questo, non dello sconto.

cmq,al netto delle giravolte, qui l conto lo paga invece chi vuole risparmiare, che paga tasse piene, anzi con ogni probabilità più alte di quelle che ci sarebbero senza giochini vari. allora, che vinca l'ideatore, non 'cè dubbio, non ha spese o rischi che giustifichino la sua fee, i negozi e consumatori faranno patta, e il bieco speculatore che insiste ad accantonare in un fondo pensione per la vecchiaia, viene mazziato.