Perché Obama sta(va) perdendo delle elezioni già vinte?

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Ovvero: perché ora le vincerà quasi sicuramente? Per paradossale che possa essere, un filo rosso collega le difficoltà di Obama tra agosto e settembre (quando rischiava di perdere) ed il fatto che ora viaggi con il vento in poppa verso la Casa Bianca. Once again: it is the economy, stupid!

Fino a sette mesi fa il partito repubblicano era il perdente certo delleprossime elezioni presidenziali e congressuali; l'unico quesitosembrava essere: una donna o un nero alla Casa Bianca? Tre mesi fa la cosanon era più così ovvia, e tale è rimasta sino a meno di un mese fa. Oggi le cose sembrano di nuovo decise: Barack Obama, come azzardatamente previsto, sarà il nuovo Presidente degli USA.

Ci chiediamo cosa siasuccesso durante gli ultimi sette mesi: la nostra risposta è che McCain non ha fatto nulla dieccezionale, né di tragico, mentre i democratici ed Obama hanno fatto molto per farsidel male. Non è che abbiano smesso un mese fa, loro hanno continuato: ci hanno pensato G.W. Bush e i suoi, assieme ai banchieri americani, ad affossare McCain per sempre e far risorgere Barack Obama dalla buca in cui si era infilato. Gli elettori, in preda a panico puro, oramai non vedono più Obama, ma (il mito di) Franklin Delano Roosevelt abbronzato e ringiovanito: contenti loro. Concludiamo suggerendo che l'esperienza americana dovrebbeessere attentamente studiata e meditata dal popolo di sinistraitaliano. Non dai suoi dirigenti, perché il virus raramente studia(menchemeno: cura) se stesso. Ma da chi ha a cuore le sorti di una possibile alternativa al peronismo imperante, sì.


Oramai siamo alle elezioni. Lasituazione non appare favorevole ai repubblicani.Le ragioni sono note: la fallimentare, almeno fino ad ora, invasione dell'Iraqe il peggioramento della situazione economica, in corso da un anno a questaparte e che nelle ultime settimane ha assunto tendenze catastrofiche. A questi fattori generali se ne accompagnano altri più circoscritti:dall'orrenda gestione della situazione causata dall'uragano Katrina al pessimo operato di questa amministrazione nel campo dei diritti costituzionali. Maal centro, senza dubbio alcuno, stanno Iraq e situazione economica. Con rilevanza molto diversa, però. Insoddisfazione profonda, comunque, per una presidenzaimpopolare. Eppure, sino ad un mese orsono, non era ovvio che il candidato repubblicano sarebbe uscito sconfitto dalle elezioni del 4 Novembre. Cominciamo da questa prima domanda: come si era potuta determinare la situazione del, diciamo, 15 Settembre 2008, con McCain in vantaggio su Obama (2.7 punti nei polls, il giorno in cui i Lehman Brothers hanno fatto fallimento)?

Nell'autunno 2007 la campagna per la nomination di McCain era inrovina. Ancora sei mesi dopo, nel marzo del 2008, si irrideva al suo viaggio inIraq, fatto per dimostrare che le sorti della guerra stavano migliorando quandole immagini della sua stessa visita dimostravano l'opposto. Un simbolo perfettodella medesima ottusità ed arroganza che aveva prodotto la disfatta inVietnam. A inizio primavera 2008, tutti e due i candidati democratici battevanoMcCain nei polls. La questione sembrava chi dei due sarebbe stato il prossimopresidente, da cui l'enorme attenzione per le primarie democratiche e la lorodurata "innaturale", con gli effeti non secondari che discuteremo piùavanti.

Finite le due convenzioni,ossia fine Agosto 2008, Obama era pari o sotto McCain. Perché? A questa sorprendetesituazione avevano senz'altro contribuito gli sviluppi recenti della guerra, che un anno fasembravano disastrosi e ora non lo sono più.Poiché la memoria degli elettori è corta, parlare di "guerrarovinosa" non è più ovvio: nell'estate 2008 il numero (125) dei mortiammazzati per arma da fuoco nella più grande città dello stato di cui Obamaè senatore è stato il doppio dei morti fra i militari americani in Iraq(65). Se Chicago da sola è più rischiosa di un intero teatro bellico, lasindrome Vietnam non morde più. L'Iraq, come tema elettorale, è irrilevante.Questo era vero due mesi fa, ed è vero anche ora, fine Ottobre 2008. Ma c’è, e c'era, molto di più. È lì che occorre guardare per capire gli ups ed i downs dei nostri due eroi.

Il blocco sociale della rucola

Nel luglio scorso, di fronte a una folla di agricoltori enel cuore del Midwest (Adel, Iowa, 3.435 abitanti) Obama esclamò indignato: "Ma avete visto che prezzi ti fanno a Whole Foods per la rucola?". La frasecadde nel silenzio: solo lui poteva dire una frase del genere. La rucola per gli agricoltori di Adel è un po' come le scarpe fatte amano per i lavoratori italiani: una cosa che comprano "gli altri".

Questo piccolo aneddoto è indice di un problemaprofondo. Istintivamente, e non solo istintivamente, Obama appartiene all'eliteprofessionale delle "centrocittà" democratiche, come Boston,Manhattan o Minneapolis. Un blocco sociale che mangia la rucola, che sipreoccupa dell'Amazzonia e che ha sostenuto generosamente, nelle lorosconfitte, Carter, Mondale, Dukakis, Gore e Kerry. Un blocco saldamentecollocato nel 25% per cento più ricco del paese e che, da solo, non basta pervincere un’elezione. Per vincere, Obama deve convincere i lavoratori di redditomedio-basso, ossia gli elettori di Hillary. Quelli che lui apostrofò, poiscusandosi malamente, come frustrati che scaricano le proprie frustrazionieconomico-sociali andando a caccia e faccendo i duri con il resto del mondo.Osservazione corretta, ma non molto utile per convincerli a votare in propriofavore: quando al frustrato spieghi con disprezzo che tale è, tende aprendersela. Per questo Sarah Palin apparse come un pericolo mortale per Obama: per purocontrasto, con la sua sola presenza e senza profferire una parola, rendeva ovvial'appartenzenza di Obama a una elite. Poi aprì la bocca e proferì parola, con le conseguenze note a tutti.

Sexy Sarah a parte, questo è un problema che è bene considerare davicino, perché è anche quello più direttamente interessante per i sinistri italiani. Una fetta sostanziale della popolazione, spesso quellameno educata, vota per meccanismi "identitari". Così facendo noncompie un'azione necessariamente stupida: quando, aldilà della retorica,entrambi le parti politiche non sono in grado di alterare la tua condizionemateriale di vita (discuteremo dopo il perché) allora tanto vale votare perquella parte politica che ti appare, culturalmente ed esistenzialmente, piùvicina. La maggioranza degli americani nemmeno sa cosa sia la rucola.

Il piano Obama: New o Old Democrats

Obama è oggi visto come un candidato di elite ed allasinistra dello spettro politico. Nonostante il suo messaggio di unitàe rappacificazione nazionale egli è percepito come estraneo da fetteampie dell'elettorato popolare perché comeportatore di tasse e spesa pubblica a go-go. Come questo sia potuto succederein soli sette-otto mesi merita essere considerato. Obama è entrato di forza econ fascino nel dibattito politico attraverso un messaggio di cambiamentobasato sul superamento delle divisioni razziali e ideologiche e sull'abbandonodella psicosi del terrore installata dal duo Cheney-Bush. Col passare dei mesi,la richiesta di dare corpo e sostanza alla visione si è fatta insistente, e idiscorsi pieni di speranza si sono fatti triti. Questo è avvenuto in duemomenti chiave. Il prolungarsi inusuale delle primarie democratiche ha portato,nella sua fase cruciale, ad una radicalizzazione del confronto. Come tutte leradicalizzazioni, anche questa ha funzionato a stereotipi. Lo stereotipo, inquesto caso, era che da un lato c'era una donna bianca e dall'altra un uomo nero. Giustoin questo periodo le affermazioni demenziali del reverendo Jeremiah Wrighthanno fatto apparizione, sigillando nell'immaginario di tutti (grazie anche aduna subdola ma efficace operazione mediatica della campagna Clinton) il fattoche Obama, alla fine, era di certo un nero molto arrabbiato e, solo forse, unprofeta. La cosa è stata superata, a parole: Obama ha vinto di misura leprimarie ed Hillary ha dichiarato che in nome dell'unità del partito lei e Billstanno con Obama. Ma nessuno ci crede ed è sugli umori politici delle "donne bianche" che McCain ha giocato la carta Palin. Il problema per Obama, e per i democratici,è che le primarie hanno contrapposto, una all'altra, due delle loro"constituencies" storiche. Ha perso quella numericamente più grossaed ideologicamente meno incollata al partito, il che è un guaio. Too much of agood thing, come direbbero qui, a volte è un problema: come candidati alleprimarie meglio un nero O una donna che un nero E una donna.

Questa è solo parte della storia, ma una parteimportante. La parte in cui Obama ha perso l'alone di intoccabilità messianica,ha visto scalfitto il teflon che - attraverso il suo messaggio di unità,speranza e cambiamento - lo rendeva impermeabile a qualsiasi critica e glipermetteva di promettere tutto senza specificare niente. Da aprile diquest'anno Barack Obama non è più un quasi-messia ma solo un mortaleintellettuale di sinistra che vuole diventare presidente. Ai mortali chevogliono diventare presidenti gli elettori di questo paese tendono a fare tredomande: Chi sei? Quali valori rappresenti? Cosa intendi fare? Davanti a questedomande, inaspettate solo sei mesi fa, Obama è sceso dalla montagna e, allaconvenzione democratica, ha chiarito con una lunga lista il suo programma.

Ci sono elementi, in quella lista, che sembranoconvincenti, quasi ammalianti, ma che a un esame più ravvicinato lascianoperplessi. Non ci riferiamo solo ai momenti da profeta (‘’Questo è ilmomento in cui gli oceani cominceranno ad abbassarsi, e il pianeta a guarire’’).Pensiamo ad esempi più specifici. Ricordiamo, per esempio, un momentotoccante: "Questo è il momento di mantenere la promessa di paga uguale perlavoro uguale, perché io voglio che le mie figlie abbiano esattamente lestesse opportunità dei vostri figli.’’ Come si può non essere d’accordocon questo elementare principio di giustizia? Eppure, non c’è nel discorso, onei suoi scritti, o in quelli dei collaboratori, e tanto meno nel programmademocratico (prolisso, come tutti i programmi e quindi illeggibile dagliabitanti di Adel) una indicazione di come questa principio possa realizzarsi.Forse si potrebbe richiederlo per legge. Ma non funzionerebbe, naturalmente: lalegge c’è già, dal lontano 1963, (Equal Pay Act), e impone: "Nessundatore di lavoro può discriminare fra dipendenti sulla base del sesso pagandomeno un dipendente di un altro del sesso opposto per un lavoro uguale [US Code,29, 8, 206, d].’’ Se non ha funzionato sino ad ora, perché dovrebbeadesso? Se allora le parole non sono bastate, perché dovrebbero farlo ora?

Un secondo esempio: "Giovani americani: se viimpegnate a servire la vostra comunità o il paese, vi metteremo di sicuro incondizione di pagarvi una formazione universitaria." Che vuol dire?Nel 1997, Bill Clinton approvò un piano che doveva facilitare l’accesso aglistudi universitari dei giovani di famiglie meno abbienti. L’incentivo eraquesto: il primo anno 1.000 dollari di contributi alle spese universitarie, e800 il secondo anno. Il contributo era un credito fiscale dedotto dalle tassepagate dallo studente, o dalla famiglia, fino al massimo delle medesime.Ovviamente, se la famiglia o lo studente sono veramente bisognosi le tasse nonle pagano (nemmeno a Princeton) e il credito della speranza non aiuta affatto.Il contributo è quindi perfettamente regressivo: più alte le tasse pagate sulreddito, più alto il contributo. Nella esperienza degli ultimi anni, ilcredito è servito a rendere l’accesso un po' piu’ facile a chi all’universitàci sarebbe andato comunque, e non ha cambiato nulla per chi all’università nonci sarebbe andato, circa il 30% della popolazione. Obama suggerisce diraddoppiare il totale (a 4000 dollari) e aggiunge la condizione che chi se neserve debba poi, alla fine degli studi, offrire cento ore di servizi civili perla comunità. Risultato: retorica per tutti, edificazione morale e contributifiscali per la classe media. Niente per chi ora all’università non può veramente andarci. Molti, fra coloro che non vanno all'università, sannonondimeno far di conto.

Ma veniamo al cuore della proposta fiscale di Obama: unaforte politica redistributiva, non dissimile (mutatis mutandis) da quellatentata dal recente governo Prodi. La versione più semplice è questa. Ridurrele tasse per il 95 per cento più povero delle famiglie; poi aumentare la spesaper sanità, ricerca di fonti energetiche alternative, istruzione. Tagli dialtre spese: nessuno. Ora, ossia dopo i disastri finanziari, Obama fa Roosevelt e promette lavori pubblici, ponti, autostrade, e altre cose senz'altro utili, ma costose. Le implicazioni sono due: o un deficit di bilancioinsostenibile, o il rimanente 5 per cento della popolazione paga il conto. Pocomale, penseranno alcuni lettori: il 5% è molto meno del 95% per cento. Nonnecessariamente, come molti hanno scoperto in Italia sei mesi orsono. Uningrediente del piano di Obama è l’aumento della tassa sui guadagni dicapitale. La tassa era, alla fine della presidenza Reagan, al 28 per cento;durante le amministrazioni Clinton e Bush era scesa al 15 per cento corrente.Obama propone di aumentarla; di quanto non si sa ancora di preciso.Nell’autunno scorso proponeva un aumento dal 15 al 28 per cento. Col passaredei mesi la percentuale è scesa intorno al 20. Perché? Perché da un lato aricevere redditi da capitale non è solo il 5% più ricco della popolazione e,dall'altro, Obama (o i suoi consiglieri) sanno che il reddito da capitale ètassato negli USA a livelli più alti che in Europa ed in molti paesi emergenti.Aumentarne ulteriormente la tassazione avrebbe il duplice effetto di farfuggire altrove il capitale e di non far crescere il gettito fiscale. Un secondoingrediente è un aumento dei contributi pensionistici sui redditi più alti(250 mila dollari). Un terzo ingrediente è l’aumento delle imposte suimedesimi redditi, riportando la tassazione federale marginale vicino al 40 percento, a cui vanno aggiunte le tasse statali e cittadine. Vedremo più sottoperché questi proponimenti siano irrealistici, ossia non credibili. Anche imeno abbienti sanno fare i conti.

La soluzione McCain

Il piano di McCain prevede una riduzione generalizzata epiù sostanziale dell'imposizione. Alcune riduzioni sono specificamente avantaggio dei più ricchi. Una è la riduzione del tasso massimo sul redditod'impresa dal 35 al 25 per cento (negli USA esiste ancora la doppia tassazionesul reddito da capitale). L’altra è la riduzione della tassa di successione,aumentando la quota esente a 5 milioni di dollari e riducendo il tasso dal 45al 15 per cento. I repubblicani usano argomenti "supply side" persostenere che la riduzione delle entrate da loro proposta non si tradurrà inulteriore deficit: anche negli USA, tagliare la spesa pubblica è tabù pertutti. Ovviamente pochi credono nei miracoli della supply side, ma per lepersone di basso reddito il debito pubblico non è mai stato un problema e lariduzione d'imposte promessa da McCain è uguale o superiore a quella promessada Obama.

Il sogno americano

Domanda: come è possibile che la maggioranza degliamericani preferisca il secondo piano fiscale al primo? Risposta: perchériducono le tasse della grande maggioranza degli americani di un uguale (emicroscopico) ammontare, ma il primo aumenta sostanzialmente le tasse pagate dauna minoranza; quella che, istintivamente, dovrebbe identificarsi con Obama e araggiungere il reddito della quale tutti aspirano.

Dati relativi al 2006, rilasciati in Agosto 2008dall’IRS (l'Agenzia delle Entrate statunitense), risultano utili. I percettori dell’unper cento più alto pagano il 40 per cento delle tasse federali sui redditi. Il20 per cento più alto paga l‘86 per cento ed il 50 per cento più alto paga il97 per cento. L’altra metà paga il 3 per cento. Morale a sorpresa: negli USAle imposte sul reddito sono già altamente redistributive, enormemente di più diquanto lo siano, per esempio, in Italia. Infatti, secondo il CBO, il contributonetto del 40 per cento con i redditi più bassi è negativo, ossia ricevonosussidi via "income tax credit" o meccanismi similari. Obama sostieneche la classe media è stata la vittima dei tagli di Bush. La classe media sadi non aver ricevuto vantaggi da Bush, ma neanche di esserne stata, fiscalmenteparlando, la vittima: se per classe media si prende, come pare sensato, ilquinto della popolazione con i redditi intorno a quello mediano (60 miladollari), allora nell 2005 la frazione di tasse pagata dalla classe media erail 4 per cento del totale. La classe "media" sa che poco può ricevereda sgravi fiscali, quella più povera sa che niente può ricevere. Il 25% piùricco, che mangia la rucola, si trova di fronte ad un serio problema: a quantarucola dovrò rinunciare se eleggo colui che abbassa gli oceani? Un caro amico,intellettuale europeo di sinistra stanziato a Manhattan, ci ha informatoche lui rinuncerebbe tranquillamente ad uno 0.5% aggiuntivo; altri sono stati leggermente più generosi ed uno, che però a Manhattan non vive più, è arrivato al 4%. La questione sta tutta lì, e la recessione in arrivo la rende ancor più drammatica: può Obama permettersi, fra sei-otto mesi, d'alzare le imposte per un ammontare pari al 5% del loro reddito sul 5% più produttivo della popolazione? Morale: quelli che non sanno cosa sia la rucola non vedono nessunvantaggio fiscale in Obama, mentre quelli che mangiano la rucola vedonochiarissime e sostanziali perdite.

Fuor di metafora: entrambi i piani fiscali sono sia incredibiliche irrilevanti per le condizioni materiali di una percentuale sostanziale deicittadini, quelli meno abbienti. Uno di essi danneggia sostanzialmente unaforte minoranza che viene invece avvantaggiata dall'altro piano. Questaminoranza è, sul piano identitario, favorevole a colui che la danneggerebbeeconomicamente, da cui le contraddizioni. Per quanto riguarda invece lamaggioranza degli elettori, a fronte dell'equivalente irrilevanza dei pianifiscali, il voto si decide sulla base di altri temi, quelli che abbiamochiamato "identitari". È qui che McCain e Palin hanno avuto gioco facile fino a quando non è crollata la borsa:nel bene e nel male, comprese le forme diverse d'essere ipocriti, le loroidentità sono molto più vicine a quelle dell'elettore mediano di quanto non losiano quelle di Obama e Biden.

Guardiamo la questione da una prospettiva storica,tornando al 1980, inizio dell’era Reagan. Da allora il reddito medio del quintopiù povero (in dollari 2005) è passato da 15 a 16 mila dollari. Quello delquinto più ricco da 132 mila è giunto a 231 mila. Prima conclusione: ladisguaglianza aumenta. Ma nello stesso periodo la frazione delle tasseeffettive nette è passata dallo 0 al meno 3 per cento per il quinto piùpovero, che quindi riceve trasferimenti. La frazione pagata dal quinto più ricco è passata dal 65 per cento all’86 per cento. Seconda conclusione: lapolitica redistributiva c’è stata. C’è stata come effetto di riduzionegenerale dell’imposizione, che però ha favorito in particolare i redditi piùpoveri. Mettendo insieme la prima e la seconda, otteniamo una terzaconclusione: ci sono severi limiti a quello che una politica redistributivapuò fare per ridurre la diseguaglianza. Ci sono ragioni strutturali profondeche spiegano perché il reddito dei più ricchi sale così piu’ rapidamente,ragioni strutturali che le politiche redistributive "classiche" nonsono proprio in grado di toccare. Anche i meno abbienti, e meno educati,conoscono la storia recente del loro paese.

Riassumendo

Ai mortali aspiranti alla presidenza gli elettori USA fanno tre domande: Chisei? Quali valori rappresenti? Cosa intendi fare? Le idi di marzo, per bocca diJeremiah Wright e manina di Hillary, hanno provato che Barack Obama è mortale.Hanno anche fornito, assieme alla rucola ed altri lapsus, una risposta(riportata sopra) alla prima domanda. Alla seconda domanda Obama avevainizialmente risposto in modo convincente, offrendo speranza. Ma la guerra inIraq è sparita dall'orizzonte mentre ai valori tradizionali (forse pocogradevoli e probabilmente ipocriti, ma certamente americani) che il duoMcCain-Palin ha messo sul piatto Obama e Biden non avevano contrappostonulla sino a metà settembre 2008. In attesa di uno scontro sui valori - posposto per sempre dall'esplosione della crisi -rimaneva sul terreno la terza domanda. La disuguaglianza è un fatto che morde eche, ricevendo una risposta convincente, avrebbe potuto far girare iltavolo dal lato del ticket Obama-Biden.

Non è stato necessario dare alcuna risposta convincente: è arrivato il crollo, G.W. Bush ha cominciato a spandereterrore e Hank Paulson ha coordinato, con Ben Bernanke, the "biggest grab ever attempted". McCain si è messoil piede, scarpone militare compreso, in bocca prima sponsorizzando ilpiano, poi cambiando idea, agitandosi, proponendo malamente un piano alternativo ma non troppo, insomma confermando che non sapeva chepesci pigliare, esattamente come G.W.B. a cui si è avvicinato sempre di più nel momento peggiore. Obama ha fatto il padre della patria: non ha detto assolutamente nulla, ma ha promesso ai "perdenti" che lui è e sarà dalla loro parte. Così facendo ha preso due piccioni con una fava: ha permesso che il piano Paulson si approvasse, cosa che ai suoi finanziatori di Wall Street stava molto a cuore, ma senza esporsi troppo. Anzi, lasciando capire agli "sfigati" che, una volta al potere, lui farà un altro New Deal 75 anni dopo ... qui oramai i media hanno costruito un consenso nazionale intorno al principio che dalla crisi si esce solo con un altro New Deal, il che rende McCain, di colpo, perfettamente improponibile a quei "bianchi poveri" da cui sperava ottenere il supporto decisivo. Questo ha cambiato lo scenario elettorale in modo drastico, ma non ha cambiato la sostanza del problema a partire dall'1 Gennaio 2009: il programma economico del futuro presidente promette, per il momento, più tasse per i più produttivi e spesa pubblica a go-go. Nient'altro.

Ma, abbiamo visto, la diseguaglianza non si risolve a mezzo di redistribuzionefiscale; men che meno l'ulteriore diseguaglianza che una seria recessione causerebbe. Essa ha cause strutturali molto profonde, comuni tanto agli USA quantoall'Europa, ed all'Italia. Per modificare queste ragioni strutturali profondeci vorrebbero nuove idee. La disuguaglianza di reddito non si elimina per leggepromettendo al 95 per cento più "povero" una trasferimento di 500dollari presi dalle tasche del 5 per cento più ricco. L’accesso all’istruzionedei più poveri non si realizza trasferendo fondi alla classe media. Non bastauna assistenza sanitaria generalizzata - anche se fosse fiscalmente possibile:negli USA la sanità pubblica è già più del 7% del reddito nazionale - pereliminare le differenze strutturali nelle condizioni di vita. L'uscita dalghetto della minoranza nero non si realizza a colpi di "affirmativeaction". Per ognuno di questi problemi - ed altri altrettanto impellenticome, per esempio, un "ribaltone e nuova regolazione" del settorefinanziario e bancario - occorrono idee drammaticamente nuove che dianol'impressione di poter funzionare. Queste idee nuove, nel programma di Obama,noi non le abbiamo viste e, forse, non le hanno viste neanche gli elettori menoabbienti. Per questo, se non avesse avuto l'aiuto di una crisi finanziaria seconda solo a quella del 1929, il futuro presidente degli USA avrebbe rischiato di perdere un’elezione già vinta.

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Commenti

Ci sono 129 commenti

Aldo e Michele, non potete cavarvela così. L'analisi è più che condivisibile, ma a questo punto quali sono i vostri suggerimenti sulle politiche che la sinistra, o il centrosinistra, dovrebbe adottare? Si, lo so, questo post è già lungo e ce ne vorrebbe un altro altrettanto lungo per rispondere, ma almeno qualche idea? Qualcosa che sia al tempo stesso politically feasible e economically sensible?

Come la vedo io ci sono tre possibili risposte:

1) La crescita della disuguaglianza è guidata da fattori strutturali ed è inevitabile, non c'è nulla che si possa o debba fare per contrastarla. Alternativa observationally equivalent: non ce ne importa nulla della crescita della disguaglianza, quindi non dobbiam far nulla per contrastarla.

2)  La crescita della disuguaglianza è guidata da fattori strutturali ed è

inevitabile, ma è indesiderabile. Si può contrastarla al massimo con modeste politiche redistributive che, almeno negli Usa, sono già state messe in atto. Ben poco altro può essere fatto.

3) La crescita della disuguaglianza non è inevitabile, perlomeno nelle proporzioni osservate negli ultimi trenta anni, e si può contrastare facendo.... (you fill the blanks).

A grandi linee, quali di queste tre alternative vi pare la più plausibile? Oppure avete in mente altre alternative che io non ho visto? 

 

 

Sandro:

la domanda che poni va al cuore di cosa vuol dire essere di sinistra. Io una cosa credo di averla capita, dopo tanti anni: politiche redistributive sul reddito (cioe', ex post, dopo che le differenze sono state determinate) non funzionano e anzi sono dannose, prima dit tutto perche' creano trappole di poverta'.

Questa e' la politica redistributive che non mi piace. Mi piace anche meno quando e' presentata come dovere morale. Nella famosa risposta a Joe, Obama non ha detto ``Bisogna redistribuire la ricchezza'' ha detto ``Redistribuire la rischzza e' bene per tutti''. Questo aspetto, che direi con termine da toscanaccio pretesco non mi piace.  

Delle alternative che poni direi che la terza e' piu' vicina alla verita'. Ma il welfare check di 500 dollari alle famiglie (sotto i 200 mila? non e' chiaro) mi pare al massimo la seconda.

 

 

 

 

L'articolo sembra dare l'impressione che i ricchi americani tendano a votare candidati democratici alla rucola.

Ma pare che non sia cosi': in ognuno dei 50 stati i ricchi votano a maggioranza per i repubblicani; e i poveri nel totale USA votano democratico a grandissima maggioranza

(fonte: http://redbluerichpoor.com/)

 

 

Ricchi e politica:

> L'articolo sembra dare l'impressione che i ricchi americani tendano a votare candidati democratici alla > rucola.

> Ma pare che non sia cosi': in ognuno dei 50 stati i ricchi votano a

maggioranza per i repubblicani; e i > poveri nel totale USA votano

democratico a grandissima maggioranza

Il libro di Gelman, che consiglio a tutti:

Red State, Blue State, Rich State, Poor State: Why Americans Vote the Way They Do

sostiene che qulle relazione (piu' ricco sei piu' alta la probabilita' che voti repubblicano) e' vera per gli stati del sud e falsa per gli stati della east coast. E per il midwest, lo garantisco io. Mi domando se c'e' una cosa del genere in Italia, fatte le dovute traduzioni.

 

 

Sara' che io mangio la rucola con la bresaola ogni tanto (comprata da trader joe's, dove mi schiera politicamente?) ma non sono d'accordo con una parola.

Intanto per spiegare gli andamenti propongo una teoria piu' semplice che secondo me salta all'occhio quando si correlano i dati dei sondaggi con la timeline degli eventi mediatici principali:

McCain ha avuto il vantaggio di vincere le primarie con 3 mesi di anticipo. Cio' vuol dire che da marzo a giugno, mentre obama e la clinton si tiravano per i capelli, lui poteva permettersi di fare campagna e cio' spiega perche' era in vantaggio. A fine maggio, inizio giugno inizia a diventare ovvio per tutti che obama vincera' e infatti quando la clinton lo proclama vincitore il 10 giugno lui inizia a raccogliere il consenso, che tiene ben saldo fino alla convention repubblicana (1-4/9). La convention repubblicana fa molto piu' casino mediatico di quella democratica per tre ragioni:

  1. e' il primo grande evento di partito dagli ultimi 6 mesi
  2. il contrasto della notizia e' molto alto perche' per mesi i media hanno dato molta piu' attenzione a obama per ovvi motivi (e' nero, e' nuovo, e' amato all'estero, etc)
  3. mccain tira fuori dal cappello la palin, a sorpresa, che "accende la base"

e infatti e' li che mccain inizia a guadagnare consensi, consensi che sono fisiologici in questa situazione e assolutamente attesi da qualsiasi osservatore. Ma che ovviamente spariscono nel momento in cui il dialogo ritorna. Iniziano i presidential debates e le interviste: nel momento in cui i repubblicani aprono bocca, in sostanza, tornano a deludere. Non solo la palin ma pure mccain (che in tutti e tre i dibattiti fa una brutta figura). La crisi economica ci ha messo lo zampino, forse, perche' ha posato l'accento sul fatto che di economia mccain non capisca un tubo, come egli stesso ha esplicitamente ricordato e sottolineato a piu' riprese. La storia delle tasse non mi dice nulla.

A proposito delle tasse: le tasse sono il prezzo che si paga per una buona governance. Perche' vi stupite (per la seconda volta) che ci sia gente che e' disposta a pagare di piu' per una governance che ritiene migliore? Mica son tutti genovesi.

Anche il discorso che fate sulla finta distribuzione non mi torna. Obama ha detto a piu' riprese che una delle mosse da fare e' ridurre i loopholes a tutti i livelli: ai livelli delle grandi corporates a quelli della middle class. Per esempio solo il 30% dei contribuenti itemize their deduction il che vuol dire che solo 1/3 e' in grado di sfruttare il meccanismo piu' semplice per pagare le tasse in maniera corretta. 

 

 

 

Grazie Giorgio, mi hai tolto le parole da bocca. Quoto il tuo intervento al 100 %. Io pagherei volentieri l'ICi che BS mi ha tolto, purchè riparino la strada che porta  a casa mia  (risposta del comune: non possiamo, non ci sono fondi, sa l'ICI...). La sanità e la scuola (quelle delle mie figlie) già le pago per intero, oltre a una grossa percentuale dei miei guadagni che se ne vanno in tasse, mi mancava solo di pagare per le banche (che già foraggio abbondantemente) e per Alitalia (che ho preso solo tre volte in vita mia) e il quadro è completo.

Voterei anche per il diavolo, purchè mi dia la speranza che in futuro (lontano ?) riparino le strade e la fogna, ripeto mi basta la speranza, forse è questo quello che vedono gli americani in Obama, visto che le loro tasse servono attualmente a pagare una guerra in Iraq (tremilamiliardi di dollari), la Halliburton, ma non a riparare le dighe che avrebbero dovuto proteggere New Orleans.

 

 

A proposito delle tasse: le tasse sono il prezzo che si paga per una buona governance. Perche' vi stupite (per la seconda volta) che ci sia gente che e' disposta a pagare di piu' per una governance che ritiene migliore? Mica son tutti genovesi.

 

Io ho notato una governance di gran lunga migliore nei 21 anni da cui vivo in Hong Kong (tasse: ~18% del PIL) che nei 33 precedenti in cui stavo nel Belpaese (tasse: ...beh, si sa). Sara' perche' meta' del mio DNA e' genovese... ;-) 

 

Secondo me la premessa e' errata: "it's NOT the economy". O almeno "it was NOT the economy".  Fino alla crisi, il successo (con alti e bassi) di Obama era per "change". Dopo la crisi, anche considerazioni economiche, che non favoriscono i tax and spend Democrats come Obama, hanno favorito Obama - perche' si tende a dare colpa della crisi ai Repubblicani. 

Io credo che "change" sia la chiave (non solo io, sia Obama che McCain ci hanno provato a dichiararsi "change"). Ed e' per questo che facendo i conti fiscali in tasca alla gente non arrivate altro che a un puzzle. Ed e' per questo che la tattica di sbeffeggiare il partito della rucola e gli intellettuali europei che vivono a Mahnattan (si' sono io) - karl rove lavora per voi? - non sta funzionando. Non resta che urlare al negro!!

 

 

Reazioni interessanti, comprese quelle un po' isteriche per lesa santità. Andiamo per ordine.

Sandro pone una domanda difficile, la mia  risposta è (2), oltre a quella che ho abbozzato in Horror Economics (specialmente il secondo) ed altre cose scritte qui su nFA ... non ho mai creduto che la diseguaglianza sia al 100% figlia della tecnologia né solo figlia della politica, ossia dei diritti di proprietà e del libero commercio. Il problema rilevante è capire quanta diseguaglianza è inevitabile e quanto costa in termini di conflitto sociale. Non ho la soluzione in tasca, ma credo vi sia un problema vero, su cui vale la pena ritornare seriamente, se se ne ha voglia.

Valter: non mi sembra diciamo quanto ci attribuisci, quindi non so che dire. C'è una sostanziale differenza fra "ricchi-poveri" e le elite professionali urbane versus la ex classe media industriale colpita dalla globalizzazione e che vive nei sobborghi o nelle piccole città. Basta guardare la distribuzione dei voti red/blu per counties per intendere quanto andiamo dicendo. La stampa, diciamo così, di sinistra intellettuale USA (New Yorker, Atlantic monthly, Harper's, New Republic ...) va dibattendo la questione da mesi: perché BO non ha maggior successo (meglio, perché ha poco successo) fra quella fetta di popolo lavoratore che dovrebbe stare dalla sua? Sono i "Reagan's democrats", tanto per capirsi. La domanda di fondo che poniamo, vedi alla fine, li riguarda alquanto.

Giorgio: propaganda e timeline. Se è sempre e solo la propaganda e l'esposizione mediatica, l'argomento si morde la coda non ti pare ? Strano che tu attribuisca il recupero di BO ai dibattiti che, ad avviso di chi li ha guardati, son finiti pari e patta. Strano che sia stata l'esposizione mediatica della protratta campagna elettorale che ha fatto danno a BO e non quello che in quel momento emergeva di lui o ne diceva Hillary. McCain era inesistente in quei mesi, si agitava ma nessuno gli faceva caso. Com'è che si guadagnano consensi quando nessuno ti fa caso? Mettiamola diversamente; senza il crollo dei mercati, secondo sarebbe ora ovvio che BO vincerà il 4 Novembre? Comunque, fosse anche corretto, l'argomento "it's all the media" non risolve la domanda fondamentale che ci poniamo Aldo ed io (vedi sotto).

Alberto: vogliamo discutere seriamente o facciamo i risentiti perché abbiamo

osato toccare l'uomo che abbasserà gli ocerani? Suvvia, ti facevo un

po' più navigato e meno suscettibile. Ad ogni buon conto: è l'economia o non è l'economia? Ovvero, gli aspetti economici del programma sono rilevanti per gli elettori in genere, oppure no? Ci sono tre questioni: (1) cosa è importante per gli elettori, (2) cosa propongono i candidati, (3) qual è la situazione esterna, che fa interagire (1) e (2). A nostro avviso, (1), l'economia è sempre importante per gli elettori e, (2), quanto i candidati proponevano e propongono li rendeva e rende non molto differenti. Questo, assieme a (3) che sembrava buona sino a pochi mesi fa, faceva sì che i lavoratori bianchi nei tre quartili più bassi avessero sostanziali difficoltà a trovare Obama interessante. Ora, (3) di nuovo, la situazione è drammaticamente cambiata e credo che anche una parte di costoro trovi Obama più attraente di McCain, ma lo trovano tale perché fa finta di fare FDR e promette tasse per i ricchi e pane e lavoro ai poveri. Ora, la domanda interessante è: son promesse da marinaio o le può mantenere? Detto altrimenti: c'è qualcosa che Obama ha detto sull'economia che ti convince e ti pare più credibile di quanto abbia detto McCain? La nostra risposta è: assolutamente no. La tua, qual'è?

Change: tutti, sempre, offrono change. Meglio, lo promettono. L'idea che Obama abbia avuto successo perché prometteva "change", per se, mi sembra alquanto ingenua. È come dire che BS vince in Italia perché dice "Forza Italia" ... Se, invece, si vuol dire che la gente non ne può più di GWBush e che Hillary era poco credibile per il suo passato e per il bagaglio familiare, quindi Obama appariva l'unico change credibile, allora è un'altra cosa completamente e coincide con quanto diciamo noi. Grazie agli orrendi anni 2001-2008 di amministrazione GWB, i Democrats sono entrati in queste elezioni come vincitori dichiarati perché una fetta molto grande dell'elettorato chiedeva un cambio no matter what. Avessero anche fatto scendere in campo Edwards, a mio avviso, i Democratici rischiavano di vincere. Persino Gore vinceva, va ...

Which begs the main question we ask: a fronte di un'amministrazione repubblicana uscente così mostruosamente fallimentare e financo tragica, com'è possibile che ci sia voluto ANCHE il crollo (almeno mediatico e finanziario, se non effettivo) dell'economia mondiale perché il candidato democratico guadagnasse una solida maggioranza nei sondaggi? Questa è la vera, ed a nostro avviso interessante, domanda da porsi. Perché il messaggio dei democratici, e di BO in particolare, ha così poca valenza positiva di per se, ha così poco contenuto proprio, che riesce a vincere SOLO quando contrastato con i risultati veramente drammatici e fallimentari di una delle peggiori amministrazioni da sempre?

A questa domanda proviamo a dare una risposta. Qualcuno ne ha un'altra di risposta, possibilmente migliore? Ripeto la domanda: com'è possibile che - a fronte del peggior presidente da un secolo circa e ad un candidato del presidente che gli si avvicina sempre di più, che è vecchio, che da segni di rimbambimento e che sceglie come partner una persona molto medriocre - si arrivi ad un mese e mezzo dalle elezioni (Sept 15) che si è indietro di un paio di punti nei sondaggi? PERCHÈ? 

Ecco, se avete voglia di discutere di questo tema (che forse permette di capire perché dopo i disastri di BS gli italiani continuino a preferirlo alle alternative che la parte avversa loro offre) possiamo farlo. Alternativamente possiamo anche fare battute su Rove che lavora per noi (non sarebbe male, è uno intelligente se ben capisco ...) ed altre cosuccie amene.

P.S. Marco, scusami se non ti ho risposto ma non so cosa dirti. Se a te piace pagare le tasse, "beato" te, vivi nel paese giusto. Comunque l'idea che BO vince perché propone alla gente di pagare più tasse così lui fa strade e ponti è, credimi, abbastanza risibile.

 

 

Io credo che il paese sia sostanzialmente a maggioranza repubblicana. Il fatto che Bush sia orribile non vuol dire che gli elettori non vogliano votare repubblicano. McCain e' persona ragionevolissima; magari avesse vinto lui invece di Bush. Questo spiega perche' non sia facile per i democratici vincere. Se lo fanno, la crisi aiuta, ma anche il fascino del "change". Capiscono che tutti dicano "change" sempre e comunque, ma questo e' nero, ha 45 anni, insomma qui si tratta di "change" epocale. Questo secondo me ha un effetto emotivo enorme su tanta gente. Ovviamente non sui blue collar bianchi, che sono infatti quelli che Obama fa fatica ad avere dietro. 

La premessa che Obama avrebbe dovuto averla facile secondo me non regge. Proprio perche' la politica economica dei democratici non ha la maggioranza nel paese (almeno non l'aveva prima della crisi). Su questo il fatto che Bush e' stato pessimo e' irrilevante, io credo. Io credo che nonostante questo Obama fosse vicino alla vittoria (prima della crisi) per via dell'effetto emotivo del percepito cambiamento epocale.  La crisi sta dando un altro colpo. 

 

 

Siccome ora vado di corsa, rispondo solo ai commenti un po' sopra le righe, usando il tono che loro compete.

A me non sembra proprio di essere andato sopra le righe.

 

propaganda e timeline. Se e' sempre e solo la propaganda e

l'esposizione mediatica, l'argomento si morde la coda non ti pare ? Ci

ritorno con un attimo di calma ma, comunque, l'argomento "it's all the

media" non risolve la domanda fondamentale che ci poniamo Aldo ed io

(vedi sotto).

 

Io con tutta onesta' l'argomento che avete posto tu e Aldo non l'ho capito. Cioe' credo di aver capito che c'e' un messaggio che vorresti dare tu in questo post e uno che vorrebbe dare Aldo e quando lo fate insieme viene fuori un po' una maionese.

Comunque, se la domanda chiave secondo te e':

 

a fronte di un'amministrazione repubblicana uscente cosi'

mostruosamente fallimentare e financo tragica, com'e' possibile che ci

sia voluto ANCHE il crollo (almeno mediatico e finanziario, se non

effettivo) dell'economia mondiale perche' il candidato democratico

guadagnasse una solida maggioranza nei sondaggi?

 

Allora permettimi di dire che la domanda e' almeno malposta. Obama ha avuto un vantaggio solidissimo dal momento in cui e' divenuto chiaro che sarebbe stato il candidato democratico. L'unico scivolone che ha avuto lo ha avuto immediatemente dopo la repubblican convention, esattamente come previsto da quello che in gergo chiamano convetion bounce (qui). Se poi vogliamo speculare che senza i bail out non si sarebbe piu' ripreso, speculiamo pure ma siamo nel campo della fantapolitica.

Allora alla luce di questo, provo a rigirare la domanda, la tiro fuori dalla fantapolitica e la parafraso cosi:

a fronte di un'amministrazione repubblicana uscente cosi'

mostruosamente fallimentare e financo tragica come e' possibile che ci sia ancora tanta gente che vota repubblicano?

La mia risposta e': perche' le persone che cambiano radicalmente schieramento politico in un sistema bipartisano sono pochissime e il paese e' sostanzialmente un paese a maggioranza repubblicana (non dimentichiamo che negli ultimi 40 anni ci sono stati soltanto due presidenti democratici). Inoltre sai benissimo che il sistema elettorale rende difficili i ribaltoni per un sacco di motivi. Gia' i primi4 anni i Bush erano stati disastrosi eppure ha preso piu' voti al secondo mandato che al primo.

 

 

 

 

Change: tutti, sempre, offrono change. Meglio, lo promettono. L'idea che Obama abbia avuto successo perché prometteva "change", per se, mi sembra alquanto ingenua.  

Sembra strano che, anche in un blog in italiano, questo blog, si abbia il pudore di chiamare le cose con il loro nome. Il change che promette Obama non e' la sua retorica messianica. Il change di Obama avviene senza che egli debba proferire una sola parola o firmare una sola legge. Il change e' il colore della sua pelle. Ci siamo dimenticati tutti che Obama e' NERO? Io credo che stiamo tutti sottovalutando il significato profondo della discontinuita', della rottura con il passato che avverra' il 4 novembre. E' questa rottura che gli americani attendono con orgoglio. Non lo dicono, non lo dice nessuno, perche' ammetterlo significa ammettere che sino ad ora l'elemento razziale aveva sino ad ora  rilevanza; si preferisce pensare, mentire a se stesi di essere color-blind e di votare per il migliore, ma cosi' non e'. 

Per questo motivo, all'altalenare ciclico dei sondaggi non darei troppa attenzione. Io credo obama vincera' con una landslide superiore alle previsioni di qualsiasi sondaggio. 

 

Un commento tangenziale: che Chicago sia piu` pericolosa di Baghdad mi sembra una boutade. In Iraq ci saranno piu` o meno 130 mila americani, di cui 65 sono rimasti vittima di morte violenta nel mese di settembre. A Chicago ce ne sono 3 milioni, di cui 125 vittime di morte violenta. Fate un po' i conti. Per di piu`, gli americani in Iraq se ne stanno nella zona verde o se ne vanno in giro in colonne corazzate. Secondo voi, se uno va in giro a Chicago con un scorta di marines armati fino ai denti, quali sono le probabilita` che finisca morto ammazzato?

 

 

Osservazione corretta. ERA una boutade. Stavamo parlando di campagna elettorale e di cosa faccia (o non faccia) effetto in campagna elettorale, non di corretta rappresentazione statistica dei dati. La tua osservazione è senz'altro corretta, quindi. A nostra discolpa va ricordato il fatto che le campagne elettorali si fanno a basi di boutades ...

Non solo, è corretta^2: agli americani interessano solo i morti americani, quindi il resto di "marmaglia" che muore a Baghdad, non fa molta differenza a fini elettorali. Sia chiaro, con questo non voglio trasformare gli americani in mostri particolari, anche agli italiani interessano solo le morti di italiani, ai francesi quelle dei francesi, eccetera.  It's politics, babe, amano dire i cinici.

 

E' tragico, e triste, ma Chicago e la South Side hanno una pulsione distruttiva. Dalla cronaca di oggi:

CHICAGO - Nella Chicago dove è nata, la Chicago capitale degli omicidi d'America, si infrange il sogno della star di Dreamgirls

Jennifer Hudson: suo madre e suo fratello sono stati uccisi a colpi di

pistola dopo una furibonda lite nella loro casa del South Side.

 

 

Ho lavorato per un "corporation" americana del michigan circa 7 anni . Stazionavo nella sede  in italia e andavo in america con una cadenza trimestrale. In questi mie viaggi ( a cui collegavo spesso le mie vacanze), ho scoperto che l'america della vita reale è molto diversa da quella televisiva .In america se uno di colore fa una cazzata e viene ripreso è razzismo se la fa un bianco paga il prezzo pieno ( il bianco se del sesso opposto può provare con le molestie sessuali ) .Nessun americano bianco della classe media dirà apertamente quello che pensa di obama .Perche se no la comunità lo taccerebbe di razzismo o quantomeno di essere non "politycally correct" . Ma quanto saranno politically correct nelle urne ?. Tutta la stampa radical chic è con BO. Mi ricorda tanto la stampa italiana schierata con Prodi 2 anni fa che doveva stravincere e alla fine stava per vincere berlusconi .

P.s. Michele di la verità sei un po invidioso di Alberto che ormai è una star dei programmi nazionali radio e televisivi  ( anche il sole 24 ore lo chiama per avere lumi )   :-)

 

Ho letto l'articolo e mi è sembrato particolarmente obbiettivo.

Qui in Italia arriva un'immagine di Obama pulita senza l'appoggio di lobby ma dall'articolo emerge che comunque anche lui ha un'area di influenza.

Mi è capitato di ascoltare diversi suoi discorsi e l'impressione è che soffra un po' di Veltronismo.

D'altra parte Mc Cain non sembra perlomeno da qua avere grosse alternative da proporre.

Non voglio sapere le vostre questioni personali però mi piacerebbe sapere per chi di voi voterà in America , chi voterà e perchè.

 

Ecco la mia replica alla domanda di Tommaso: io ho, infatti, gia` votato (cosi` il 4 novembre mi evito la fila e me no sto tranquillo a guardare le proiezioni). La California permette di votare un paio di settimane prima dell'apertura ufficiale delle urne presso seggi elettorarali appositi, e permette a chiunque di votare per posta, basta farne richiesta.

Ho votato per Obama, per una serie di motivi, anche se il mio voto non conta molto: Obama si prendera` i 55 voti elettorali della California e non c'e' niente che nessuna possa farci, in un senso o nell'altro. 

Ho votato per Obama principalmente perche' vuole mettere fine a una guerra stupida, che e` gia' costata enormemente agli Stati Uniti, sia in termini finanziari (sui 10 miliardi al mese) che di prestigio internazionale. Per non parlare delle violazioni dei diritti umani, tortura, Guantanamo ecc. (So naturalmente che tutti gli imperi della storia hanno fatto cose simili, e che se il Canada o la Svizzera avessero la piu` grande economia del mondo e l'esercito piu` potente farebbero le stesse cose, ma questa non e` una giustificazione.)

In secondo luogo, ho votato per Obama perche' mi da` qualche speranza di instaurare in America un sistema sanitario degno di una nazione occidentale. Non solo perche' credo che il diritto a un minimo livello decoroso di assistenza sanitaria sia un diritto fondamentale, ma anche perche' la situazione attuale e` un freno allo sviluppo economico. Come gia` notato Starbucks spende piu` in sanita` che in chicchi di caffe`, e la Ford piu` in sanita` che in acciaio. Dovrebbero essere le grandi aziende americane a proporre un sistema sanitario nazionale, ma sono preda a convulsioni ideologiche (come se il Canada fosse un faro del socialismo reale). 

In terzo luogo, ho votato per Obama per il suo programma  economico: a comiciare dal ripristino delle

infrastrutture: in America i ponti, le autostrade, i porti e gli aeroporti, le

ferrovie cadono tutte a pezzi, una delle ragioni per cui gli USA

perdono terreno in termini di competitivita` internazionale. Da un

punto di vista ambientalista sono d'accordo con l'idea di riportare

l'America in linea con le altre democrazie occidentali, sulla base del trattato di Kyoto o quale che ne sia il successore, e credo che Obama abbia ragione che ci sono grandi possibilita` di sviluppo in tecnologie "verdi".  

Per quando riguarda l'educazione secondaria e universitaria, il mio voto per Obama e` stato dettato dal puro interesse personale. Come docente universitario ho tutto l'interesse a vedere sviluppato il settore, e come padre di due teenagers ho tutto l'interesse a usufruire delle agevolazioni (sono naturalmente d'accordo che tali agevolazioni sono dirette principalmente alla classe media, ma questo e` un altro discorso).

Infine ho anche votato per Obama per il forte valore simbolico dell'elezione di un nero alla casa bianca (avrei naturalmente votato per Hillary se avesse vinto). 

 

 

Chi voterei (naturalmente non voto, ma non mi sottraggo alla domanda):

1. Se avesse vinto la Clinton avrei votato per lei,

Siccome ha vinto Obama:

2. Almeno farei split vote (cioe' non darei lo stesso voto per il congresso e per il presidente). Il problema di un presidente e un congresso su posizioni ancora ignote ma di stampo estremo e' preoccupante.

3. Votando diciamo a Minneapolis non voterei certo per quell'insopportabile coglione isterico di Al Franken... 

 

 

Non volevo rispondere a questa domanda, anche perche' non posso votare quindi si tratta di puro esercizio speculativo, ma una breve chat con Michele, riguardante l'interpretazione di certi miei commenti, mi ha convinto a farlo. 

Premetto che fino a circa due anni fa ero convinto che McCain sarebbe stato il prossimo candidato repubblicano e che gli avrei dato il mio endorsement contro qualsiasi candidato democratico. La candidatura di Obama pero' ha cambiato le carte in tavola. Come ho scritto sopra, trattasi di evento epocale che permettera' non solo di cominciare a mettere sotto il tappeto la questione razziale, ma anche di riproporre con credibilita' una leadership internazionale persa dopo i disastri dell'amministrazione Bush. Un'America che sa cambiare radicalmente, riuscendo ad eleggere a presidente chi  4 anni fa era politicamente nessuno: una cosa del genere non puo' che fare bene. 

Io credo che questo pensiero sia condiviso da un sacco di elettori americani, anche da molti di quelli che voteranno Mccain. Il fatto che McCain sia uno dei migliori candidati repubblicani da 20 anni ed il migliore proponibile ora spiega il puzzle di Michele, e cioe' perche' Obama vincera' con il 55-60% dei voti piuttosto che con il 70%. 

Io non voto, sono un turista. Se votassi voterei Obama. Voterei Obama, nonostante un programma economico che non mi piace, per il "cambiamento" che rappresenta - perche' e' giovane, nero, intelligente. Credo che il paese abbia bisogno di "aria fritta" con l'olio giusto. E' "aria fritta" comunque, ma non con l'ipocrisia religiosa degli stati rossi tradizionali. Questo e' un paese pragmatico e forte, credo che Obama abbia "the vision thing" per indirizzarlo nella direzione (semi) giusta. 

E poi spero che il le extra tasse non siano poi molte e che gli extra soldi buttati sui (dai?) ponti non siano troppi. Vedo questo come il costo della "vision thing". 

Questo olio sa molto di behavioral :)

 

 

Questo:

> E poi spero che il le extra tasse non siano poi molte e che gli extra

soldi buttati sui (dai?) ponti non

> siano troppi. Vedo questo come il

costo della "vision thing".

e' il punto principale. Io NON credo che gli elettori americani siano incerti perche' non sanno se vogliono pagare un po' piu' di tasse. Anche io, quando considero una scelta ipotetica, non penso se mi seccherebbe pagare un 4 per cento in piu' sull' ultima fascia. Non mi cambierebbe nulla.

Io credo che siano molto piu' sofisticati. Gli elettori americani stanno considerando se, per cambiare le cose dopo una amministrazione disastrosa, valga la pena rischiare una espansione di dimensioni storiche del welfare state. Una espansione delle dimensioni di quelle del New Deal o della Great Society. Ma anche senza andare a Roosvelt e Johnson: Carter in quattro anni ha

creato due dipartimenti, Education e Energy, che non saranno mai

aboliti. Sanno che questo e' un rischio concreto, e che questo significherebbe uno spostamento del paese storico, e ne favorirebbe l'immobilita' nel futuro.  

Questa e' la vera incognita Obama. 

 

 

 

Con questo chiudiamo il cerchio. Sono completamente d'accordo. Credo che molti abbiano deciso che si', che valga il rischio. Spero anch'io in un Congresso meno blu di quanto non si preveda. Il blocco democratico a Casa Bianca e Congresso fa paura anche a me. 

Pero' se mi facessero un ponte chiuso per andare in ufficio, che fa freddo d'inverno,... sono solo 3 blocchi, non sarebbe nemmeno molto costoso.  

Interessante calcolo sull'effetto differenziale  delle proposte di tassazione dei due candidati

L'avevo visto. Ma un tasso di rendimento del 10% non è troppo alto? Notare che, per avere senso, i calcoli vanno fatti in termini reali. Il 10% reale medio per 35 anni mi sembra alto assai. Se invece assumiamo l'8% investendo un dollaro oggi si ottengono circa 15 dollari, non 28, in 35 anni. Con il 5% se ne ottengono circa 6. E se facciamo un investimento al risk-free rate, assumendo una media del 2% (che mi pare alta) i dollari diventano solo 2. Diventa tutto assai meno drammatico.

Faccio fatica anche a valutare l'ipotesi che si applichi per intero in ogni periodo la corporate profit tax. Purtroppo non conosco molto bene i dati ma avevo l'impressione le aziende disponessero di varie strategie contabili per ridurre parecchio le tax liability. Poi, perchè devo investire solo in imprese? Se compro muni bonds i rendimenti sono tax free, per esempio. 

Abbastanza eccessivo anche il ruolo della tassa sull'eredità. Ci sono un'infinità di strategie per eluderla almeno parzialmente; la più banale è non aspettare di morire per trasferire almeno parte della tua ricchezza ai figli.

Mah, ho l'impressione che Mankiw abbia voluto un po' esagerare per impressionare.

 

Per chi vuole fare ipotesi diverse da Mankiw, ecco il calcolatore

 

mi pare [si puo donare] 10K all'anno

 

Si, quest'anno sono 12K a persona all'anno.  Avendo 3 bambini, il prof. Mankiw puo' donare 36K all'anno.  Non e' una grossa somma.

 

 

 

 

l'idea che alte aliquote marginali delle tasse sul reddito (o le tasse

in generale) siano un disincentivo all'offerta di lavoro non credo si

possa buttare nello stesso angolo dove sta la congettura di laffer sul

trovarsi a destra della U rovesciata del gettito

 

E non era mia intenzione farlo. Pero' siccome l'esempietto da blog era diretto all'uomo  della strada, io da uomo della strada dico che non mi dice nulla perche' troppo marginale. Posso? Sara' perche' appartengo a quel 95% per cui le tasse scendono (income tax e estate tax van giu', capital gains e dividendi rimangono invariati). 

E da uomo della strada noto che mankiw potrebbe aggiungere ai suoi calcoli la tassazione attuale che, per la sua fascia di reddito, equivale a 91.64%. Quindi, ricapitolo e mi viene fuori che

  • McCain 82.9%
  • Bush 91.64%
  • Obama 93.19%

Siccome non mi sembra affatto che il problema dell'economia americana negli ultimi 8 anni fosse da collegare alle tasse, da uomo della strada mi chiedo quale e' quel numero magico che sta tra 91.64 e 93.19 che rende tutto folle e che, ahime', annullera' tutti i benefici che mi verranno in tasca con la riduzione delle tasse che avro' con obama.

edit: il commento e' finito in fondo, doveva essere in replica a filippo. chiedo scusa.

 

 

 

Ci mancherebbe che tu non possa (anzi, sorry per la spocchia - l'unica cosa che la maggior parte degli studenti di economia impara piuttosto in fretta e bene). Mankiw ha fatto un esempio anche un po' moralista (cosa lascerà il buon padre di famiglia fortunato ai suoi poveri figli? quasi commovente) e con numeri non troppo realistici, ma non dice una bugia (che le tasse sono una brutta bestia).

In ragione dei calcoli che fai te sull'aliquota marginale dell'era Bush, mi chiederei se la ragione "tasse" non sia molto sottovalutata, più che pensare che la crisi finanziaria alla fine dei conti l'ha creato il moral hazard indotto da Greenspan (credo tu ti riferisca a questo quando parli dei problemi degli ultimi 8 anni): quanti punti di occupazione in più il paese avrebbe senza una tassa sui profitti delle imprese che è GIA' più alta di quella italiana (in Irlanda, in cui la crescita è vigorosa da anni e anche più che negli stati uniti, è 0)? Più in generale e riguardo il piano di Obama, aumentare le tasse ai ricchi vuol dire aumentare le tasse alla parte più produttiva del paese (soprattutto in un paese in cui non ci sono le rendite clamorose di cui certe categorie godono qui dove vivo io). E' sano, perché la torta si allarghi, che lavoratori super produttivi come il Mankiw di turno siano ultra tassati (non sono solo 10 CEO di wall street a guadagnare tanto)? Mi risulta che un tempo i democratici dessero una risposta diversa a quella che da Obama ora...

 

 

Il programma di Obama e' folle non solo a livello economico, come dice MB, ma anche a livello della politica estera. Io lo dico, e scrivo da mesi.

Qui in Europa e' Obanomania. In Francia da un sondaggio sembra che sia per Obama quasi il 90% della popolazione. In Italia la situazione non dovrebbe essere molto diversa. Basta leggere un post come questo, tratto da un portale berlusconiano (ma e' casuale): "Spero per gli americani che vinca Obama. Lo dico da anti-americano convinto e militante della Fiamma Tricolore. Quantomeno Obama potrà aiutare miglia di famiglie a curarsi senza aver bisogno di stipulare assicurazioni stra-costose e per molti impossibili... E poi la politica stra-imperialista, guerrafondaia e capitalista degli U.$.A avrebbe finalmente un freno!!".

Ma a scrivere qualcosa di fatto pro-McCain, ma del tutto in buona fede e argomentando a dovere, qui si rischia di perdere, per dire, anche qualche collaborazione giornalistica.

A mio avviso e' sbagliato, in genere, separare l'analisi ecnomica da quella estera. Non sarebbe male quindi affrontare anche quest'ultimo aspetto. Mi pare infatti -da una lettura frettolosa- che qui si tenda ancora a privilegiare il facile precotto del Bush guerrafondaio, degli errori di politica estera di Bush, ecc., trasferendo poi il discorso a McCain. Quindi al massimo McCain va bene in politica economica ma non in quella estera. Il che' non regge.

 

Le cose sono ovviamente infinitamente piu' complicate di come si possono sintetizzare con una battuta: comunque -e l'ho gia' scritto qui in un altro post- la politica estera di Obama oscilla tra l'arrendevolezza e l'avventurismo.

 

Qualcuno l'ha chiesto, ma i commenti a questo post son troppi e non riesco a trovarlo.

Allora, visto che io sono anche cittadino americano, la domanda nel mio caso non è puramente virtuale.

A casa mia tutti voterebbero Obama, con diverse intensità: sospetto maggiore quella di mio figlio (se sbaglio, mi scorreggerà), mediana quella di mia moglie (che ha votato per Hillary nelle primarie) ed ultima la mia (che ero tentato di firmare il piano economico di McCain, e poi ho deciso di no).

Detto questo: nessuno dei tre voterà. To avoid jury duty, mostly, which is a royal pain in the working class neck.

Personalmente perché - anche se McCain mi fa un sostanziale orrore, specialmente dopo che s'è accoppiato con la impomatata soubrette dei pinguini - è pur sempre vero che Obama, il suo messaggio e le sue proposte non mi piacciono proprio. Uno che ha James Galbraith mischiato a Larry Summers, Robert Rubin e Alan Blinder per economic advisors (fra gli altri), che fiducia di 'steadiness' mi può dare? Nessuna. 

Colore della pelle a parte, non vedo proprio nessun change venire da Obama, anzi: qui si rischia di tornare indietro (ci sarà un effetto psicologico sul paese, questo sì e bisognerebbe parlarne specialmente rispetto alla crisi, ma è un altro discorso ...). Siccome del colore della pelle non me n'è mai fregato un piffero, non me ne frega nulla neanche ora.  Io vengo da una famiglia di schiavi, non di proprietari di schiavi, e non ho nessuna colpa storica di cui lavarmi l'anima, anche perché ho qualche difficoltà a trovare dove sia (l'anima, non il colore della mia pelle che è nero anche se a volte può sembrare bianco). Poiché appartengo per nascita alla sua stessa razza (anzi, lui è nato molto meglio di me, molto molto meglio) non vedo perché dovrei votarlo perché mi sento in colpa per le malefatte di altri. Le malefatte sono di altri, non mie. Io in colpa non mi sento proprio.

 

non è che buttando lì ottomila concetti si contribuisca a fare chiarezza.

per la mia personalissima e modestissima opinione rispondo che se obama perde questo accade perchè le banche e i poteri forti che governano il mondo hanno già deciso.

ma anche se obama vince vale lo stesso concetto.

mi spiego...

ricordo a tutti il voto amricano vinto da bush su kerry.

e ricordo a tutti il nome di una azienda informatica ACCENTURE. e il nome di clinton curtis...

di fronte alla commissione parlamentare questi testimoniò la commissione di un pacchetto di programma utile a far vincere uno schieramento sull'altro 49% a 51%.

per mano di chi?

mi ripeto forse...ma le banche.

le banche e le lobby.

se proprio volete un nome ve lo faccio. tom feeney. il politico di "raccordo" con chi ha commissionato la cosa.

sarebbe utile in certi giorni importanti per la vita non solo degli americani ma del mondo intero di levare di torno le partigianerie a buon mercato, e di mettere dentro al piatto uno spirito critico e attento. distaccato per un attimo dagli interessi di parte. e vedere le cose con il dovuto giusto distacco.

correre non aiuta.

non sostengo la teoria del complotto ma penso che abbiamo tutti il dovere di fare chiarezza. 

questo link forse aiuterà anche noi italiani per quel che ci riguarda ma in america non è che stiano messi meglio.

mi chiedo come mai non ci fù scandalo e reazione. come da noi peraltro...nessuno disse nulla quando prodi perse le sue...ebbene nessuna meraviglia se obama perdesse le sue di elezioni!

sarebbe solo l'ennesimo colpo alla democrazia.

tu voti ed io ti dico chi ha vinto. e fa che questo ti basti.

dico solo una cosa... vigilate e siate onesti.

c'è tutto il resto del mondo e non esiste solo il vostro interesse personale nel voto americano.

avete una doppia responsabilità.

non permettete questi soprusi e non siate timorosi di dire che questa non è la vita che vorrei.

è naturale ammetterlo. siamo solo presi dal mantenere lo status acquisito nel tempo e con fatica...questo è vero ma...se scoprissimo che potremmo essere senza pensieri per la card scaduta lo stipendio dimezzato e le tasse troppo alte, che sceglieremmo?

auguri a tutti coloro che credono nell'uomo.

 

E' un commento entusiasta il mio, NFA è la mia pausa caffè, e poichè mi diverte tirar fuori delle sintesi ci provo, attenendomi ai fatti.

1. Il piano sulle tasse di Obama è diventato un atto di fede, o comunque di incredibile partigianeria, ci sarà una maggiore tassazione,  ma molti ne vedono un beneficio, addirittura qualcuno è felice di pagare di più (sindrome di TPS la chiamarei), non mi tiro indietro, anche io sono fra questi, ma essendo italiano e non amerikano, non parto dal17,2 %, ma dal 42,1 %, per cui anche io pagherei il 21 % volentieri.

2.  Mi sembra chiaro che, al di là del tifo da stadio, Obama stava subendo una rimonta, peraltro lieve, ma poi è arrivata la crisi e il bisogno di change è esploso, Mc Cain non è sembrato credibile, non solo in quanto repubblicano, ma con una politica troppo uguale alle altre dell'amministrazione Bush.

3. Avrei giurato che Boldrin avrebbe votato chiunque, ma non Obama, il suo outing mi ha sorpreso.

4. Sulle lamentele per il tifo da stadio, per le attese messianiche anche su NFA non me ne preoccuperei troppo, dopo un post sul capitale ci voleva qualcosa di più leggero, a me è stato risparmiato un bel mal di testa, non tutti siamo economisti.

5. Last but not least, per Michele: Greenspan è stato messo lì da RR, non da Clinton, il Glass Seagall era già stato messo sotto attacco dal Board della FED con continue interpretazioni, dare a Clinton la colpa della sua fine (che ha comunque firmato) mi sembra ingeneroso, la fonte delle mie informazioni su questo è stata:

Penso sia un bene leggere attentamente quelle pagine, forse è anche perchè Obama è visto più lontano da quel sistema di potere che si può leggere la chiave del suo successo.

 

 

 

 

Last but not least, per Michele: Greenspan è stato messo lì da RR,

non da Clinton, il Glass Seagall era già stato messo sotto attacco dal

Board della FED con continue interpretazioni, dare a Clinton la colpa

della sua fine (che ha comunque firmato) mi sembra ingeneroso, la fonte

delle mie informazioni su questo è stata:

Penso sia un bene leggere attentamente quelle pagine, forse è anche

perchè Obama è visto più lontano da quel sistema di potere che si può

leggere la chiave del suo successo.

 

Il Chair of the Board viene rinnovato ogni 4 anni. Clinton ha avuto non una, ma due opportunità per mandare a casa Alan Greenspan.

Nella Fed che, a detta della pagina di PBS che citi, contribuì a far sparire il GS act, c'erano consiglieri di nomina democratica quanto repubblicana. Non solo, Clinton firmò la legge determinante, ma larghe componenti del partito democratico erano a favore di quell'atto. Il quale, by the way, se seguito da regolazione appropriata e da una SEC ed una Fed operanti in modo adeguato sarebbe stato un'ottima idea. Aggiungo anche, visto che ci siamo, che è di Carter prima e di Clinto poi il "push" politico e legislativo per introdurre e legitimizzare sub-prime loans, come è di parte democratica (anche repubblicana, ma soprattutto democratica) la difesa strenua della folle combinata Fannie&Freddie.

Ti ricordo che l'affermazione a cui il mio remark si riferiva era se fosse ragionevole attribuire all'amministrazione Bush la responsabilità completa, o anche solo principale, per la crisi finanziaria. I fatti dicono che non è ragionevole per nulla farlo. La responsabilità è, direi, almeno 60-40 fra democratici e repubblicani.

Infine, uno che ha Larry Summers, Bob Rubin ed Alan Blinder come advisors è tanto lontano da Wall Street quanto io lo sono dalle mie scarpe.