Pensioni: Repubblica dà i numeri OECD

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Ieri ci è capitato di leggere, su Repubblica.it, un paio di articoli che si occupavano delle pensioni italiane.

Primo articolo: Riporta in maniera piuttosto lineare un breve rapporto dell'OECD (quasi un copia-incolla). L'OECD, in sostanza, dice che le pensioni contributive e di sopravvivenza (ci sono anche quelle d'invalidità ed assistenziali) assorbono un 30% del bilancio dello stato italiano (14% del PIL) rispetto ad una media del 16% dei paesi OECD (ed una relativa quota dimezzata dei vari PIL nazionali). Inoltre, i contributi pensionistici in Italia sono il 33% delle retribuzioni (33% of earnings, nella versione inglese) rispetto ad una media del 21% negli altri paesi OECD.

Insomma, niente di particolarmente nuovo od originale: chiunque si sia anche solo lontanamente occupato di pensioni sa benissimo come le medesime costituiscano, fra le molte, la peggior palla al piede dell'economia italiana. A questi dati andrebbero poi aggiunti quelli relativi alle pensioni d'invalidità ed altre non contributive, ma finiremmo fuori tema e l'argomento si farebbe complesso e lungo. Il tema, questa volta, non sono le pensioni per se. Il tema è un altro.

Secondo articolo: analisi della notizia di cui sopra e del rapporto OECD, a firma di Carlo Clericetti (CC, in ciò che segue). Questo articolo è sia meno banale che, almeno per noi, meno condivisibile, quindi lo descriveremo più attentamente ed a mezzo di citazioni dirette. Anticipiamo ciò che noi abbiamo inteso essere il succo del messaggio: non c'è molto da preoccuparsi ed occorre evitare gli allarmismi sulle pensioni; le differenze così abnormi notate dall'OECD nel suo rapporto sono dovute ad un mix di confusioni statistiche e di numeri male interpretati.

Vediamo dunque il ragionamento di CC, che inizia con

 

I numeri sono una cosa da maneggiare con cura ...

 

e finisce con

 

Nel frattempo, questi numeri prendiamoli per quello che valgono: poco.

 

Nel mezzo, dopo una lunga prolusione sull'utilizzo distorto e di parte delle statistiche prodotte dalle grandi agenzie internazionali, CC svolge un ragionamento che si compendia in questa sentenza:

 

Nello stesso rapporto, qualche riga più avanti, risulta che anche la tassazione sulle pensioni in Italia è il doppio della media. In altre parole: lo Stato con una mano dà, ma con l'altra prende.

 

Anzitutto: noi questa statistica non siamo riusciti a trovarla, né qualche rigo più in là né sul sito dell'OECD dedicato al report 2009. È vero: non ci siamo letti le 280 pagine del rapporto, come probabilmente CC avrà fatto, quindi magari lì (nel librone che è appena uscito ed occorre ordinare) quel dato è accuratamente documentato. Ma ci sembra improbabile perché, mentre è relativamente facile calcolare contributi e spesa pensionistica effettiva, calcolare in modo non arbitrario la tassazione effettiva del reddito da pensioni pubbliche è alquanto più complicato. Ad ogni buon conto, facciamo finta che l'affermazione sia vera, ossia che l'imposta media applicata sul reddito da pensioni sia in Italia il doppio di quella OECD. Notiamo due cose: questo non implica quanto CC vorrebbe che implicasse e, anche se lo implicasse, l'argomento economico che ne segue sarebbe comunque assurdo.

Non implica quanto CC vorrebbe implicasse. Considerate due paesi, uno si chiama Italia, ha un reddito per capita di 100 e spende 14 di esso in pensioni. L'altro si chiama OECD, ha anch'esso un reddito di 100 e spende 7 in pensioni. Questi dati corrispondono a quanto OECD dice essere il caso. Ora, assumiamo che in Italia la tassazione media sulle pensioni sia del 30%, mentre nell'OECD è del 15%, come CC dice essere il caso. Questo implica che di quei 14 euro il "pensionista italiano medio" ne trattiene 9,8, mentre 4,2 li restituisce sotto forma di tassazione sul reddito. Il "pensionista OECD medio", invece, trattiene 5,95 dei suoi 7 euro e ne restituisce 1,05. Al netto, il rapporto fra Italia e OECD non è più di 2 volte, come nel caso del lordo, ma di 1,65 volte! Non male, no? E non è che abbiamo preso numeri che favoriscano la nostra tesi, ma piuttosto abbiamo fatto l'opposto. Se provate ad usare numeri più realistici, tipo 30% versus 20%, vedrete che l'effetto diminuisce rapidamente.

Insomma, da una statistica che non documenta CC "deduce" un'implicazione che comunque non seguirebbe ... Ma andiamo avanti.

Argomento assurdo. L'autore non si rende conto che quanto dice è, comunque, assurdo. Egli assume, come nella peggior macroeconomia da libro di testo per undergraduates, che il lavoratore italiano che paga i contributi pensionistici sia la stessa persona che riceve la pensione e paga le tasse sul reddito pensionistico ed anche la medesima persona che riceve gli stipendi ed i benefici che il governo con tali imposte finanzia! Dice CC: se lo stato eleva contributi doppi per pagare il doppio di pensioni che poi tassa il doppio, che male c'è? È tutta una partita di giro! E spiega:

Siccome i soldi escono ed entrano dalla stessa cassa, basterebbe il buon senso - senza neanche tirare in ballo la razionalità economica - per capire che i conti dovrebbero essere fatti sul saldo. Quanto si spende per le pensioni al netto delle tasse sulle medesime?

Questa affermazione, pubblicata sul quotidiano più letto in Italia, non sta né in cielo né in terra, davvero. CC immagina che la critica a questa sua analisi sia:

 

Conosciamo già la risposta a questa obiezione: le convenzioni internazionali prevedono che le statistiche si facciano in questo modo e non in un altro.

 

Il problema non è la metodologia statistica, ma la logica con cui i numeri vengono interpretati. Il fatto che il saldo tra spesa totale per pensioni e tasse totali (ottenute come somma dei contributi pensionistici pagati dai lavoratori più le tasse sul reddito pagate dai pensionati) sia leggermente positivo è un fatto contabile irrilevante. Di nuovo: non è ovvio che sia un fatto perché, per fare questa affermazione, CC cita uno studio di un signore che insegna economia pubblica a Roma, studio che non siamo riusciti a rintracciare in rete e la cui metodologia, da quanto disponibile, non sembra proprio trasparente. Ma fa lo stesso: facciamo comunque finta che sia tutto vero e lo studio in questione sia perfetto.

Immaginate che questo fatto, che tanto impressiona CC, sia così descrivibile nella sua versione estrema. Il reddito nazionale è 100, di cui 90 viene preso via contributi sociali e pagato in pensioni. Sulle medesime cala poi una scure fiscale del 100%, cosicché ai pensionati non rimane una lira. Ignoriamo il tragico destino di questi pensionati: secondo voi, in questo paese, i lavoratori che producono quel 100 di reddito da cui tutto inizia, stanno meglio o stanno peggio di quelli di un altro paese dove il reddito è lo stesso ma i contributi sono 10 e le pensioni, esentasse, analogamente 10? Ovviamente i lavoratori del primo paese sono in condizioni molto peggiori di quelli del secondo. Perché? Dai, davvero occorre spiegarlo?

Ciò che CC non sembra capire è che una buona notizia per i conti dello stato, perché non fanno acqua anche in questo frangente, non è assolutamente una buona notizia dalla prospettiva del cittadino lavoratore. Il fatto che l'Italia spenda il doppio della media per le pensioni e sia costretta a tassare il doppio è una notizia molto triste. Non esiste il cittadino rappresentativo che da una parte viene tassato e dall'altra riceve un contributo finendo pari e patta. Esistono gruppi sociali diversi, con interessi diversi: alcuni pagano, altri ricevono, alcuni mangiano, altri lavorano, alcuni sudano, altri si approfittano. È il mondo reale, non quello dei manuali semplificati per le classi del primo anno, di diploma!

Da una parte ci sono tanti cittadini pensionati che ricevono "poco" (secondo i calcoli di CC e Pizzuti) reddito da pensione. Dall'altra ci sono pochi cittadini lavoratori che sono costretti a pagare "tanto" (secondo i dati OCDE). Questa è la realtà, realtà che si vuole occultare parlando di partite di giro.

La realtà è tale, fondamentalmente, per due ragioni: perchè i contributi della generazione ora in pensione sono stati evidentemente sperperati invece d'essere investiti e perché le persone che ora ricevono una pensione sono troppe rispetto a quelle che la finanziano con i loro contributi e le loro imposte. Ma sia quale che sia la causa storica di questa situazione, il fatto è che questa situazione fa molto danno ad una fetta molto ampia d'italiani: quelli che lavorano e producono reddito in regime di concorrenza.

Quel 33% di contributi sociali fa crescere il costo del lavoro, quindi le imprese cercano di ridurre l'occupazione, renderla occulta, andarsene all'estero. Quel 33% riduce il reddito dei lavoratori peggiorando le loro condizioni di vita, riduce il loro incentivo a lavorare, accresce il loro incentivo ad andare in nero o ad emigrare, o a pensionarsi! Le alte tasse che lo stato estrae dai redditi pensionistici NON vanno a compensare i lavoratori che avevano versato i contributi sociali - ossia: NON è una partita di giro! - ma vanno invece a pagare altre pensioni (tipo quelle d'invalidità) o a pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici o a finanziare altri trasferimenti o a pagare i servizi pubblici che i pensionati usano! Non tornano alla fonte da dove venivano, diventano altra spesa pubblica!

Il fatto che l'Italia abbia, come abbiamo visto per l'ennesima volta in questi giorni, una pressione fiscale sul reddito complessivo (sul reddito da lavoro specialmente) fra le più alte (la più alta) della zona Euro mentre AL CONTEMPO spende il doppio di questo gettito in pensioni IMPLICA che rimane MENO per le altre spese, specialmente per quel poco di spesa pubblica produttiva che sarebbe possibile! Quel 30% (percentuale della spesa pubblica che va in pensioni) è un numero da cui non si può sfuggire: al denominatore c'è tutto il gettito fiscale, anche quello che proviene dai redditi pensionistici. Se te ne mangi il doppio degli altri in pensioni, del tuo gettito fiscale, ti rimane (ceteris paribus) meno per il resto!

Come fa CC a non capire tali banalità? Questo è il punto: come è mai possibile che il maggior quotidiano nazionale pubblichi editoriali così?

Questo è, dunque, il tema dell'articolo: secondo voi perché un giornalista che fa parte del Club dell'Economia non riesce ad intendere che, da un lato, quanto ipotizza non implica il "bilanciamento contabile" che lui teorizza e che, dall'altro, anche se il bilanciamento contabile vi fosse sarebbe IRRILEVANTE perché l'argomento economico che egli utilizza è platealmente assurdo?

Questa la domanda. Ai commenti l'ardua risposta.

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Commenti

Ci sono 102 commenti

scalfari aveva una mezza paginetta da riempire, e l'ha affidata al suo miglior commentatore economico, consigliandogli di andarci leggero.

facile.

e desolante, per chi s'illude ancora di un minimo di qualità giornalettaia italiana.

Ci dev'essere qualcosa tra i media e i politici italiani che impedisce di ragionare in modo schietto appena si parla di pensioni. Forse è un riflesso semplice e banale della gerontocrazia che attanaglia il paese. Forse è la generale ignoranza delle più elementari tecniche quantitative. Forse è, ancora più banalmente, la malafede e la paura di affrontare un elettorato a cui si continuano a raccontare balle sulla sostenibilità del sistema pensionistico.

Sta di fatto che l'imbarazzante articolo di Repubblica, il cui nonsenso hanno così ben documentato Lodovico e Michele, sembra essere la regola piuttosto che l'eccezione tra i media italiani. Io stamattina, dando un'occhiata alla rassegna stampa di notapolitica, ho notato due editoriali due sul rapporto Ocse. Ora, pazienza per l'editoriale del Manifesto, sul quale non vale nemmeno la pena di perder tempo. Ma anche l'editoriale del Foglio è un concentrato di vaneggiamenti da far impallidire anche il pur volenteroso giornalista di Repubblica.

Comincia con il dire che il problema è strutturale, visto che

 

l'Italia è il paese dove la speranza di vita è più alta e l'età del pensionamento la più bassa.

 

Che l'età di pensionamento sia bassa è fuor di dubbio. È vero che in Italia si vive a lungo ma è falso che la vita media sia la più alta di un ammontare significativo. In buon stile italiota il Foglio non documenta, non cita fonti e non mette numeri. Consigliamo quindi il World Factbook della CIA, dove si mostra che l'Italia è 19esima, non prima, ed è preceduta in life expectancy da altri paesi Ocse come Australia, Canada e Francia. Peraltro, la nostra life expectancy di 80,2 anni è veramente di poco superiore a quella spagnola di 80,05. Solo che in Spagna la spesa pensionistica è l'8,1% del PIL, non il 14%. Quindi, per favore, niente balle disoneste su quanto a lungo vivono gli italiani. Il problema è l'età del pensionamento che è ridicolmente bassa, punto.

L'editoriale prosegue affermando che in realtà la situazione è già in via di miglioramento e poi dice una cosa che non può che essere una bufala assurda.

 

Ancora più significativa, perché esprime un cambiamento di atteggiamento sociale e non una coazione legislativa, è la riduzione consistentissima delle richieste di pensionamento di anzianità, diminuita di tre quarti nel primo semestre rispetto all'anno precedente.

 

Occorre una totale mancanza di buon senso, oppure la più totale malafede, per credere una cosa del genere. La questione, molto banalmente, è quanto sono stabili le preferenze degli individui. Se veramente ci fossero i cambiamenti epocali di ''atteggiamento sociale'' (whatever that means) che l'editorialista del Foglio ritiene siano accaduti in meno di un anno, ci troveremmo di fronte a un caso di instabilità che credo non abbia pari nella storia dell'economia. Oppure, invece di credere alle streghe e a Cappuccetto Rosso, potremmo più umilmente contemplare l'ipotesi che, anche se l'''atteggiamento sociale'' è esattamente lo stesso, sono cambiate le regole di accesso alla pensione di anzianità. E in effetti la riduzione è stata largamente anticipata dall'INPS, cosa che non sarebbe stata possibile in caso di cambiamento repentino dell'atteggiamento sociale verso il lavoro.

Ci avviamo mestamente verso la conclusione. Dopo averci spiegato che non c'è problema e tutto va bene, che di provvedimenti legislativi non c'è alcun bisogno dato che gli italiani di loro sponte hanno improvvisamente e repentinamente sviluppato un attaccamento al lavoro che neanche Stakhanov, il prode editorialista da' il meglio di se nell'affrontare il tema della tassazione, che tanto aveva attratto anche l'attenzione del giornalista di Repubblica. Il pezzo finale merita di essere riportato per intero.

 

Lavorando pochi anni si percepiscono pensioni più basse, il che vale soprattutto per le donne, continuando a privilegiare la tassazione diretta per il suo carattere progressivo (considerato ingiustamente ''progressista'') si colpiscono anche le pensioni italiane in modo più pesante di quelle degli altri paesi Ocse. Tutti problemi da risolvere, ma che non dovrebbero rendere impossibile un dialogo sociale costruttivo.

 

Che il ''dialogo sociale costruttivo'' ci sarà, non abbiamo alcun dubbio. Sarà esattamente di questo tenore:

Governo: va tutto bene, non dobbiamo fare alcun tipo di intervento.

Sindacato: siamo d'accordo.

Fine del dialogo, con ampia e reciproca soddisfazione delle parti sociali. I rompicoglioni che si ostinano a predire sventura vadano a scrivere su nFA e non scoccino le persone pratiche che sanno come gestire queste cose.

Ma al di la' del dialogo, voglio solo notare il grottesco non sequitur sul livello di tassazione. Allora, caro editorialista del Foglio, ''imposta progressiva'' vuol dire che l'aliquota pagata cresce con il livello del reddito. Il ché significa che se parti dalla premessa che le pensioni sono basse, l'imposta progressiva riduce le tasse sulle pensioni. Ti puoi lamentare che le pensioni sono basse, oppure ti puoi lamentare del fatto che la tassazione progressiva leva troppi soldi ai redditi (e quindi anche alle pensioni) medio-alti. NON ti puoi lamentare di tutte e due le cose al tempo stesso. It's really simple math. Try it.

 

Mi piace la simulazione di dialogo sociale costruttivo. :) E mi piace anche l'articolo e i commenti.

E' di oggi la notizia che l'Europa vuole che l'Italia equipari (a rialzo) l'eta' in cui uomini e donne dipendenti pubblici vanno in pensione. Leggiamo la Repubblica, visto che abbiamo iniziato da li':

www.repubblica.it/2009/05/sezioni/economia/pensioni/procedura-infrazione/procedura-infrazione.html

Il nostro beniamino, ministro Brunetta dichiara che il Governo se ne vuole occupare, e in particolare lui vorrebbe

 

la perequazione dell'età pensionabile della Pubblica amministrazione in un decennio, i fondi risparmiati saranno dedicati al Welfare familiare

 

Ho due domande per gli economisti:

1. Quanti soldi risparmierebbe lo Stato se mandasse le donne dipendenti pubbliche in pensione alla stessa eta' degli uomini? Come fareste questo conto? Magari possiamo fare un caso ideale, tipo se dal 2009 tutte le donne andassero in pensione alla stessa eta' degli uomini, per avere un'idea di che ordine di grandezza stiamo parlando

2. Come spendereste i soldi risparmiati? Secondo l'articolo, il ministro Brunetta, appoggiato dalla Carfagna e dal PD, vorrebbe spenderli in welfare famigliare. Viste le autorita' che appoggiano questa proposta, per il principio di autiorita', sono scettico e mi chiedo se non ci siano modi migliori. Eccone alcuni che mi vengono in mente:
- Diminuire le tasse sul lavoro che pagano le aziende, in particolare abbassare i contributi che pagano per ogni dipendente, al fine di combattere la disoccupazione
- Ripagare una parte del debito pubblico, in modo da diminuire le spese per gli interessi sul debito per gli anni successivi e con l'obiettivo a medio termine di alzare il rating dell'Italia per diminuire anche il tasso di interesse che ci applicano sul debito. Tuttavia mi pare di aver capito che in un periodo di recessione come questo, c'e' chi dice che e' meglio far circolare questi soldi a beneficio dell'economia reale piuttosto che per abbassare il debito
- Diminuire le tasse sul reddito. In questo caso, diminuireste prima le aliquote piu' alte, in modo da beneficiare chi ha redditi piu' alti oppure diminuireste l'aliquota di base, in modo da beneficiare un po' tutti quanti?

Visto che purtroppo i politici e i giornali non parlano di queste cose e visto che ci sono tanti professori di economia qui, sono curioso di sapere cosa fareste voi e perche'. :)

Ogni volta che si parla di pensioni sarebbe bene ricordare come è nato il sistema italico, quello retributivo, che faceva felice chi andava in pensione con l'80% dell'ultima retribuzione media, oltre al fattore "anzianità lavorativa", che per alcune categorie era di 18 anni 6 mesi e 1 giorno. Nacque negli anni '50 quando demograficamente l'Italia era una piramide, la platea (vastissima) di chi versava  contributi manteneva anche chi i contributi non li aveva mai versati (gli agricoltori, giusto per fare un esempio) o ne aveva versati pochissimi alla cassa di appartenenza.

Poi, demograficamente, l'Italia è diventata una pera, poi una botte, adesso è quasi un rettangolo, fra un pò sarà una piramide rovesciata. Se ne sono accorti per primi i sindacati, per cui i pensionati sono la maggior parte degli iscritti, lo sa la politica che è votata dai pensionati e lo sanno i giornali.

Ecco perchè chi tocca i fili (le pensioni) muore: ci mangiano in troppi, è un osso troppo bello (il 14 % del Pil, stiamo parlando di 300 mld di euro a occhio e croce, 30 ponti sullo stretto di Messina, all'anno..). Poi sono arrivate le "riforme", adesso si parla dell'ennesima riforma, volete che "repubblica" non parli al suo bacino di riferimento ? Una tiratina di qua, una strizzatina di là, et voilà, i numeri dicono quello che si vuole: le pensioni stanno bene così come sono...

Dopo un "riassuntino politico" dico anche un'altra cosa: quel 14% di Pil o 30 % di spesa dello Stato rappresenta anche una quota di consumo interno che altrimenti non ci sarebbe, è vero che potersti spendere in altro modo, ma se non si dice chiaramente: vi levo il 50% delle pensioni perchè non è nella media OCSE, perchè non ce lo possiamo permettere, perchè svantaggiamo il lavoro in Italia, perchè etc., etc.,però con quel 7% di Pil o 15 % di spesa statale recuperata vi dò xzy (possono anche essere meno tasse, o aumenti di stipendio) , avreste una sollevazione popolare dei pensionati (quasi la maggioranza della popolazione oramai) senza alcun appoggio degli altri.

Ovvero nella guerra civile che si scatenerà fra nonni e nipoti converrebbe essere appoggiati almeno dai nipoti.

Oppure c'è una soluzione "economista" che al momento mi sfugge, essendo io un povero fesso che al momento mantiene i pensionati (e tante altre cose, in verità), ma a 65 anni e un giorno...

Il problema non è la metodologia statistica, ma la logica con cui i numeri vengono interpretati. Il fatto che il saldo tra spesa totale per pensioni e tasse totali (ottenute come somma dei contributi pensionistici pagati dai lavoratori più le tasse sul reddito pagate dai pensionati) sia leggermente positivo è un fatto contabile irrilevante.

Non è irrilevante, è un fatto contabile. Quanto è "contributi" e quanto è tasse dei pensionati ? Anche questo è interessante, e ci potrebbe dare delle indicazioni su cui argomentare, altrimenti è la stessa metodologia di CC: ti dico una cosa e fidati.

 

 

Purtroppo mi viene da pensare che tutti possono inopinatamente parlare di questioni economiche: fra gli altri il buon CC. Secondo me, non si rende nemmeno conto dei danni che produce con simili articoli. A meno che non tenga bordone al ministro Sacconi che miete consensi al grido . Almeno Brunetta, ieri sera alla tele, diceva che ha in animo di proporre un percorso di perequazione fra maschi e femmine per fronteggiare la procedura di infrazione iniziata oggi in materia dalla UE.

Credo anche io che alla base dei calcoli del giornalista di Repubblica e del Professore suo ispiratore ci sia pura malafede. Il loro discorso è del tutto illogico: le tasse che i pensionati pagano sul reddito da pensione servono (almeno in teoria) a pagare i servizi che essi ricevono dallo Stato, non si capisce perché solo per i pensionati il prelievo ficale andrebbe eliminato ed è considerato una sorta di appropriazione indebita da parte dello Stato.

Peraltro, sarebbe interessante avere qualche dato in più. Come già osservato, poichè il valore medio delle pensioni pagate in Italia è piuttosto basso, è molto probabile che per effetto dell'imposizione progressiva il gettito derivante dalla tassazione delle pensioni non sia poi molto elevato.

Che in una Italia povera, ma giovane e con interessanti prospettive di crescita la generazione che aveva fatto la guerra decidesse che una parte delle loro pensioni sarebbero state pagate dai loro figli (che avevano ampie possibilità di diventare ben più ricchi di loro) non mi sembra neanche tanto sbagliato. Non so se ho contribuito a pagare un pò di pensione a mio padre, ma anche fosse, ben contento. Ma che oggi si tenti lo stesso trucchetto.... francamente, mi sento molto in colpa nei confronti delle mie figlie.

Secondo voi i "giovani" quando si renderanno conto di dover lavorare per 40-50 anni pagando contributi (lasciamo perdere le tasse per ora) pari al 32,7% del loro salario lordo (a occhio e croce sarà la metà del salario netto?) per poi andare in pensione con il 40-50% dell'ultimo stipendio, e tutto questo per pagare le pensioni di chi c'è andato a 50-55 anni (ma in qualche caso anche molto prima come la celebre bidella friulana ( http://archiviostorico.corriere.it/1994/ottobre/10/Elisa_gli_altri_figli_del_co_0_9410104303.shtml )  con il 70-80% dell'ultimo stipendio si incazzeranno?

A proposito non gli dite niente della "legge Mosca" ( http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1995/11/03/la-legge-sulle-pensioni-stravolta-dai.html ) che puó darsi che gli sfugga...

 

Credo che i trasferimenti tra generazioni all'interno delle famiglie stiano almeno per ora tenendo "i giovani" buoni e allineati, e' un tema di cui capita di parlare spesso con dei coetanei. Poi ci sono quelli che non se ne rendono conto e che vanno in piazza a manifestare contro l'innalzamento dell'eta' pensionabile. E ci sono quelli che hanno fatto due conti, hanno visto che aria tira e fanno di tutto per lasciarsi l'Italia alle spalle.

 

"Questa affermazione, pubblicata sul quotidiano più letto in Italia"

Repubblica ha superato il Corriere?

 

Repubblica ha superato il Corriere?

 

A quanto dice Audipress, sì. Comunque, googlando un po', sembra che negli ultimi anni Repubblica e Corriere siano sempre stati lì ad inseguirsi. Credo che invece non ci sia partita per quanto riguarda i siti web.

Lodovico Pizzati e Michele Boldrin mi fanno pelo e contropelo per il mio commento ai dati Ocse sulle pensioni. Bene, vediamo se riesco a dare qualche risposta alle critiche.

Prima di tutto, il dato sulla tassazione. Il rapporto dice che in Italia il prelievo sulle pensioni, fra tasse e contributi, è il 24%, contro il 12,7 della media Ocse. Il dato è riportato nel terzo capoverso dell’articolo riassuntivo, “qualche riga più in là” di dove si parla del peso complessivo sul bilancio.

Prima di fare della facile ironia sulla lettura del rapporto integrale dovreste forse considerare la specificità del medium. L’informazione su Internet pretende di essere quasi in tempo reale e anche notizie importantissime stanno in home page al massimo qualche ora. Non ne sono felice, ma se vuoi dire qualcosa la devi dire nel giro di un’ora, massimo un’ora e mezzo, altrimenti semplicemente non viene pubblicata, perché quella notizia ormai è diventata “vecchia” e in home ci vanno quelle più recenti. Si rischia di dire baggianate? Certo: tutti i giorni, più volte al giorno. Non mi pare che sia avvenuto in questo caso però. Vediamo se riesco a spiegarmi.

L’Ocse diffonde uno studio il cui obiettivo è esaminare i sistemi previdenziali e confrontarli con quelli degli altri paesi membri. E’ legittimo chiedere che le basi del confronto siano omogenee? Pizzati e Boldrin dicono che il rapporto con la spesa media degli altri forse non è 2 ma 1,65: embè, è la stessa cosa?

Inoltre il problema può (deve) essere affrontato da diversi punti di vista.  P. e B. parlano di quello economico generale, ma c’è anche quello della sostenibilità. Dal punto di vista della sostenibilità non mi sembra irrilevante se il saldo del settore previdenziale è attivo o passivo. Dopo di che possiamo discutere se sia o no comunque un peso per il buon funzionamento dell’economia.

Sarà un mio limite, ma faccio fatica ad immaginare un paese dove le pensioni sono tassate al 100%. I paradossi vanno bene come artifici retorici, ma non mi sembra che servano a molto per discutere del livello di benessere sociale. Nel mondo reale, a cui P. e B. mi richiamano, ci sono i lavoratori e ci sono i pensionati. Come si divide la ricchezza prodotta tra questi gruppi è problema della politica. Come sarebbe meglio dividerla è materia di discussione per gli economisti. E’ stata raggiunta, tra questi ultimi, la certezza teorica ed empirica che il 30% di spesa previdenziale è troppo e il 15% è il livello ottimale?

Le tasse sulle pensioni, osservano P. e B., non tornano ai lavoratori che pagano i contributi, ma vengono destinate a “pagare altre pensioni (tipo quelle d'invalidità) o a pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici o a finanziare altri trasferimenti. Non tornano alla fonte da dove venivano, diventano altra spesa pubblica”. Va bene, ma qui non stiamo più parlando di pensioni, stiamo parlando di spesa pubblica in generale. Argomento anch’esso avvincente e fondamentale, ma è “un altro” argomento. Io volevo contestare all’Ocse che il confronto sulle pensioni è metodologicamente viziato. Tra l’altro, non l’ho scritto perché non ne sono sicuro e non avevo il tempo di controllare, ma credo che in quel 14% del Pil l’Ocse continui a conteggiare anche il Tfr: mi sembra che sia stato raggiunto un accordo sul fatto che il Tfr non è previdenza, ma salario differito. Fa circa un punto e mezzo di differenza, anche questa non trascurabile. Inoltre nel bilancio dell’Inps ci sono varie poste (come gli assegni familiari, l’indennità di malattia, la cassa integrazione) che in altri paesi sono invece fuori dal bilancio della previdenza. Un ulteriore fattore di disomogeneità del confronto. D’altra parte, se allarghiamo il discorso alla spesa sociale e non solo previdenziale, non siamo più fuori linea: spendiamo meno dei paesi comparabili, come Francia e Germania (non mi parlate, per favore, della Romania o della Lettonia!).

Infine c’è il discorso della tax expenditure. Nel regno Unito la spesa previdenziale risulta attorno al 5% del Pil: quanto diventa se ci aggiungiamo gli sconti fiscali alla previdenza privata? E quanto diventa lì in Usa? Ademo docet.

“Quel 33% di contributi sociali fa crescere il costo del lavoro, quindi le imprese cercano di ridurre l'occupazione, renderla occulta, andarsene all'estero.”  Questo sarebbe vero se il costo del lavoro in Italia fosse alto. Lo è senz’altro rispetto alla Cina e anche alla Romania, ma nella graduatoria Ocse è invece verso il fondo della classifica, sia che si parli di netto che di lordo. Poi, è vero che le imprese fanno tutte quelle brutte cose, ma lo fanno perché non sono capaci di competere sui prodotti e sulla qualità.

Per concludere. Le critiche che mi fanno Pizzati e Boldrin mi pare che poco c’entrino con il tema dell’articolo, che era: l’Ocse ci presenta un confronto delle spese previdenziali, ma il confronto è fatto con una metodologia sbagliata. Che si possa disporre di conti attendibili mi pare una cosa importante per poter poi discutere di macroeconomia. O no?

 

 

Dal punto di vista della sostenibilità non mi sembra irrilevante se il saldo del settore previdenziale è attivo o passivo. Dopo di che possiamo discutere se sia o no comunque un peso per il buon funzionamento dell’economia.

 

Certo, il saldo e' importante, ma il saldo dipende da come si comportano i lavoratori, come si comportano coloro che stanno per andare in pensione, e quanto vivono quelli che sono in pensione, e di conseguenza sono importanti gli incentivi che costoro si trovano di fronte. In particolare, maggiori contributi hanno un effetto sull'offerta di lavoro sia nel breve periodo che nel lungo periodo (tasso di partecipazione), ERGO per considerazioni di sostenibilità si devono tenere in conto gli effetti economici delle politiche previdenziali. La critica di Lucas, ce la vogliamo ricordare?

 

Nel mondo reale, a cui P. e B. mi richiamano, ci sono i lavoratori e ci sono i pensionati. Come si divide la ricchezza prodotta tra questi gruppi è problema della politica. Come sarebbe meglio dividerla è materia di discussione per gli economisti.

 

Non so neanche da dove iniziare. Primo, i pensionati non producono ricchezza, i lavoratori si'. Secondo, i pensionati ricevono trasferimenti finanziati tramite imposte distorsive sul reddito prodotto dai lavoratori, ed è questo il problema: piu alte (e quindi piu distorsive) sono queste imposte, più piccola sarà la torta anche per i pensionati. Anche volendo (e le assicuro che non è proprio la cosa migliore da fare, ma sorvoliamo), la politica può decidere come dividere la torta sino ad un certo punto (di nuovo critica di Lucas, ma anche Tiebout di cui molti di noi sono un esempio vivente). Non voglio nemmeno iniziare sulla questione di chi decide come dividere la ricchezza, che senno partono le male parole. quindi mi fermo qui, sono sicuro che altri aggiungeranno degli spunti.

Il fatto che lo stato riesca a bilanciare l'enorme spesa sulle pensioni con delle tasse stratosferiche non e' motivo di rallegrarsi.

Il paragone fatto dall'OECD (Italia tassa al 33%, e la media OECD al 21%) va sottolineato e non denigrato. C'e' bisogno di confrontarsi con paesi industrializzati perche' l'Italia lo e' sempre di meno.

Questa e' la bottom line: il mondo del lavoro viene soffocato rispetto ad altri paesi.

 

Le tasse sulle pensioni, osservano P. e B., non tornano ai lavoratori che pagano i contributi, ma vengono destinate a “pagare altre pensioni (tipo quelle d'invalidità) o a pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici o a finanziare altri trasferimenti. Non tornano alla fonte da dove venivano, diventano altra spesa pubblica”. Va bene, ma qui non stiamo più parlando di pensioni, stiamo parlando di spesa pubblica in generale. Argomento anch’esso avvincente e fondamentale, ma è “un altro” argomento. Io volevo contestare all’Ocse che il confronto sulle pensioni è metodologicamente viziato. Tra l’altro, non l’ho scritto perché non ne sono sicuro e non avevo il tempo di controllare, ma credo che in quel 14% del Pil l’Ocse continui a conteggiare anche il Tfr: mi sembra che sia stato raggiunto un accordo sul fatto che il Tfr non è previdenza, ma salario differito. Fa circa un punto e mezzo di differenza, anche questa non trascurabile. Inoltre nel bilancio dell’Inps ci sono varie poste (come gli assegni familiari, l’indennità di malattia, la cassa integrazione) che in altri paesi sono invece fuori dal bilancio della previdenza. Un ulteriore fattore di disomogeneità del confronto.

 

E tutte queste belle cose non poteva scriverle prima ? E poi il TFR non esiste anche in altri paesi ? Perchè sarebbe conteggiato per l'Italia e non per gli altri ?

 

“Quel 33% di contributi sociali fa crescere il costo del lavoro, quindi le imprese cercano di ridurre l'occupazione, renderla occulta, andarsene all'estero.”  Questo sarebbe vero se il costo del lavoro in Italia fosse alto. Lo è senz’altro rispetto alla Cina e anche alla Romania, ma nella graduatoria Ocse è invece verso il fondo della classifica, sia che si parli di netto che di lordo. Poi, è vero che le imprese fanno tutte quelle brutte cose, ma lo fanno perché non sono capaci di competere sui prodotti e sulla qualità.

 

Ho più volte contestato queste affermazioni, la produttività è l'unica cosa che interessa agli imprenditori, la invito inoltre a rivedere il costo del lavoro rivisto a parità di potere d'acquisto (PPP nelle tabelle OCSE), scoprirà tante cose interessanti.Chi si sposta all'estero è, in genere, un produttore di merci in settori maturi, come ad esempio il tessile, o ha necessità di essere presente con produzioni in loco in mercati lontani. Poi i costi "esterni" alle imprese sono, in Italia, altissimi. Parlo di PA, banche, trasporti, oneri impropri derivanti dalla struttura burocratica, tutte cose che all'estero non sono presenti. Il costo del lavoro (totale) in una azienda manifatturiera è raramente superiore al 30-35%, talvolta anche intorno al 20 %, e il restante 80 % che spaventa.

Scusi, ho scantonato, rimane il fatto che, come anche da lei rimarcato, la spesa sociale italiana è addirittura inferiore in taluni casi ad altri paesi europei, quindi una minore spesa pensionistica non potrebbe significare una diversa ripartizione della spesa sociale ? In spesa sociale lei cosa ci mette?

Mia madre avrebbe detto: pezo el tacon del buzo.

Qui spiego perché.

Cos'è? A la repubblica si sono rimessi a fare giornalismo e hanno abbandonato il gossip??! E io ora come faccio? Devo tornare a novella 3000?

Caro Carlo, non ci conosciamo di persona ma FB genera effetti di cameratismo, quindi andiamo tranquilli e pacati. Mi permetto di darti del tu.

Vorrei evitare, per quanto mi riguarda, di discutere di tutto e del contrario di tutto. Ho firmato un articolo che critica in modo preciso un tuo specifico articolo, quindi siccome i temi che sono lì affrontati sono complicati abbastanza mi concentro su quelli e su quanto sollevi in questa risposta, evitando di divagare sul resto. Altrimenti si finisce a parlare di tutto e non si conclude niente. Le discussioni utili, oltre che serie, sono quelle che hanno temi definiti ed estremamente limitati. Quelle sul sesso degli angeli le lascio allegramente ai politicanti.

Veniamo al dunque. Seguo l'ordine della tua replica. Se qualcosa rimane fuori lo riprendo alla fine.

1.

 

il dato sulla tassazione. Il rapporto dice che in Italia il prelievo sulle pensioni, fra tasse e contributi, è il 24%, contro il 12,7 della media Ocse. Il dato è riportato nel terzo capoverso dell’articolo riassuntivo, “qualche riga più in là” di dove si parla del peso complessivo sul bilancio.

 

Potresti dare l'URL? Sia chiaro, io a questi numeri ci credo, ma vorrei vedere cosa includono e come sono calcolati. Tu capirai che, viste le conclusioni che ne trai, sia essenziale sapere cosa queste percentuali includono. Nei files pdf a disposizione sul sito (links nell'articolo nostro) non sono riportati. Grazie.

Detto questo, rifacciamo i calcoli usando l'esempio del paese Italia e del paese OECD ed i numeri che ora fornisci. Allora:

- in Italia reddito 100, pensione lorda 14, tasse 24% => pensione netta 10,64, ossia 10,64% del PIL.

- in OECD reddito 100, pensione lorda 7, tasse 12,7% => pensione netta 6,111, ossia 6,11% del PIL.

Quindi:

- Rapporto fra pensionenetta/PIL in Italia versus OECD = 10,64/6,11= 1,74 volte.

Conclusione No. 1: anche se il tuo argomento fosse logicamente corretto (non lo è, vedi sotto) l'aggiustamento che suggerisci ridurrebbe l'eccesso italico sulla media OECD dal 100% al 74%. Still a long way to go, o no?

Conclusione succedanea: siccome i due conti che ho fatto io mi son costati un minuto e mezzo, sarebbe stato utile che tu pure li riportassi, spiegando ai lettori di La Repubblica che, se si fa l'aggiustamento che a te sembra ragionevole (ed a me sembra assurdo) l'Italia rimane COMUNQUE del 75% al di sopra della media OECD. Il testo del tuo articolo, invece, non solo NON informa il lettore di questo fatto ma dà CHIARAMENTE l'impressione che, una volta compiuto il tuo aggiustamento, la differenza svanisca. Questo NON è vero, ossia è FALSO.

Andiamo avanti.

2.

 

P. e B. parlano di quello economico generale, ma c’è anche quello della sostenibilità. Dal punto di vista della sostenibilità non mi sembra irrilevante se il saldo del settore previdenziale è attivo o passivo.

 

Domanda difficile: cos'è la "sostenibilità" di un sistema pensionistico?

La letteratura economica ha, giustamente, osservato da decenni che questa parola non ha alcun significato preciso ed andrebbe evitata. Il fatto che politici, sindacalisti ed opinionisti continuino ad usarla prova solo che non fanno alcuna attenzione, mentre dovrebbero, alla ricerca scientifica. La ragione per cui "sostenibilità" è una parola da evitare in questo contesto è molto semplice: sia quanto si paga di pensioni sia quanto si raccoglie in contributi è frutto di decisione politica. Poiché per decisione politica lo stato può sia aumentare i contributi che ridurre le pensioni, proiettare nel futuro i valori di un certo momento è operazione priva di senso. Per due ragioni: lo stato può rendere "sostenibile" (nel senso di "balancing the budget") pagamenti pensionistici molto alti semplicemente aumentando i contributi per via legislativa, o viceversa. Non solo, siccome qualsiasi proiezione nel futuro, necessaria per il calcolo di sostenibilità, deve fare ipotesi coraggiosissime su demografia, occupazione, speranza di vita, crescita della produttività del lavoro, età di pensionamento (e tante altre cose) qualsiasi calcolo di "sostenibilità" è fondamentalmente arbitrario o, al più, vago.

Quindi, il criterio della sostenibilità è arbitrario, altamente impreciso e, soprattutto, altamente manipolabile. Avendo fatto decine di simulazioni di sostenibilità, per ragioni di lavoro, ti posso garantire che con piccoli aggiustamenti si ottiene tutto ed il contrario di tutto.

Detto questo, aggiungo due punti ancora più importanti nel caso specifico.

- Nel tuo articolo il tema sostenibilità non è proprio affrontato. Lo tiri fuori ora. Se volevi parlare di sostenibilità allora andava confrontata la sostenibilità, propriamente definita, del sistema italiano con quello di altri paesi. Avendolo fatto ti posso garantire che non ci sono né santi né madonne: l'Italia ne esce regolarmente massacrata.

- TUTTI i calcoli di sostenibilità si fanno, per definizione, su [pensione lorda - contributi pensionistici]. NON si usa la pensione netta delle imposte sul reddito (perché solo sul reddito? Perché non sottrarre anche l'IVA, l'ICI o quant'altro?) per la semplice ragione che così facendo si distrugge anche quel minimissimo ammontare di senso residuo che la parola sostenibilità potrebbe avere in tale contesto. Se l'idea (idea vaga ed imprecisa, come da poco sopra) è calcolare se un certo programma sociale è in grado di autofinanziarsi date le regole in essere ora, allora è un requisito minimo confrontare spese e risorse specifiche a quel programma. Usare le risorse che vengono raccolte attraverso la fiscalità generale è assurdo perché le tasse pagate da ogni cittadino attraverso la fiscalità generale sono, in ogni sistema di finanzia pubblica non folle, adibite al pagamento dei servizi pubblici generali!

Conclusione No 2: la sostenibilità non c'entra nulla in questa discussione. Fa solo confusione. Comunque, il tuo criterio non è adatto a discutere di sostenibilità. Inoltre, nemmeno usando il tuo, assurdo, criterio di calcolo si può provare che il sistema pensionistico italiano sia sostenibile. Esso è del 75% più costoso della media degli altri: quindi se gli altri sono sostenibili l'italiano non lo è, ANCHE secondo il criterio, assurdo, che tu vuoi usare!

Continuiamo.

3.

 

Sarà un mio limite, ma faccio fatica ad immaginare un paese dove le pensioni sono tassate al 100%. I paradossi vanno bene come artifici retorici, ma non mi sembra che servano a molto per discutere del livello di benessere sociale.

 

Qui, ed in quel che segue nella tua replica, si nota che non hai capito la ragione per cui il tuo criterio è assurdo. Ci riprovo. Stiamo cercando di evidenziare che la logica che usi porta a conclusioni insensate. Normalmente per rendersi conto se un principio logico regge o meno lo si testa in situazioni semplici ed esemplari, come l'esempio da noi scelto dove le pensioni sono tassate al 100%. Spiego in dettaglio

- CC dice: il costo delle pensioni italiane per l'economia italiana è inferiore a quanto dice l'OECD con il suo 14% perché le pensioni sono tassate in quanto reddito, quindi il costo vero è minore.

- MB ed LP dicono: errato, perché il costo delle pensioni per l'economia non dipende tanto dal reddito netto che rimane ai pensionati ma dal modo in cui quel reddito viene determinato. Prendiamo, per paradosso, il caso in cui le pensioni nette sono addirittura zero (quindi, secondo la logica di CC, NON COSTEREBBERO NULLA). Ebbene, pensioni nette uguali a zero si possono ottenere in due maniere: o con pensioni lorde uguali a zero o con pensioni lorde positive ma tassazione del 100% sul reddito da pensioni. Comparando questi due casi si capisce, o si dovrebbe capire, che il costo per un sistema economico non dipende dal netto ma dal lordo e dalle modalità della sua determinazione.

- Le modalità della determinazione conta perché le imposte che - per due volte: contributi prima, tassazione sul reddito poi - gravano sui lavoratori li impoveriscono, riducono l'incentivo a lavorare, fanno andare via i lavoratori più produttivi, li spingono nel nero e nell'evasione, eccetera, eccetera.

Non solo, vi è di più. Considera la tua logica applicata ai dipendenti pubblici. Come ritieni si debba calcolare il costo dell'impiego pubblico? Al lordo o al netto delle imposte sul reddito? Davvero ritieni logico calcolare il costo dei dipendenti pubblici al netto di tutte le imposte che essi pagano? Prova a pensare che si faccia così, ossia che si decida che il costo dei dipendenti pubblici è il loro reddito netto, non lordo. Questo implica una forma estrema di discriminazione e di trattamento ineguale fra dipendenti pubblici e privati.

Infatti: i dipendenti privati ricevono un reddito lordo di 100 e, diciamo, 35 del medesimo viene loro tolto per pagare i beni pubblici che TUTTI i cittadini (dipendenti pubblici e privati) usano. Infatti, parte di quel 35 va a pagare proprio gli stipendi, lordi, dei dipendenti pubblici. Quindi i dipendenti privati pagano i servizi pubblici, tutti: dalla polizia all'inquilino del Quirinale. Ma, secondo la tua logica, lo stesso non vale per i dipendenti pubblici: il loro costo, quindi il loro reddito, è solo quello netto. Essi quindi, nella tua visione del mondo, non contribuiscono né devono contribuire ai servizi pubblici. La costruzione delle scuole corre a carico dei privati, in questo tuo mondo, non dei pubblici. Idem per ospedali, strade, fognature, esercito, polizia, ambasciate, organi costituzionali, ... Ti sembra sensata questa logica?

Forse che anche i pensionati non godono dei beni e servizi pubblici? Forse che non concorrono alla loro determinazione, votando e favorendo questo o quello? Perché non dovrebbero essere responsabili dei medesimi e pagare per essi?

Conclusione No. 3: il criterio contabile che suggerisci è assurdo perché implica un trattamento diseguale dei cittadini. Implica fare dei pensionati dei privilegiati all'interno del paese. Se esteso, come logicamente è naturale fare, all'intero settore pubblico, il tuo criterio porta a conclusioni assurde ed a diseguaglianza ed ingiustizia.

Conclusione succedanea: la tua critica ai criteri OECD è perfettamente immotivata.

Infine,

4.

 

Va bene, ma qui non stiamo più parlando di pensioni, stiamo parlando di spesa pubblica in generale. Argomento anch’esso avvincente e fondamentale, ma è “un altro” argomento. Io volevo contestare all’Ocse che il confronto sulle pensioni è metodologicamente viziato.

 

Anche qui fai confusione e dici cose errate. Il criterio OECD NON è viziato, per nulla. Lo è il tuo, che è completamente assurdo per le ragioni esposte sopra. Non solo, stiamo parlando dello STESSO argomento: la composizione della spesa pubblica è un tutt'uno con la composizione fiscale delle risorse che la finanziano! C'è un vincolo di bilancio, anche se sembra che te lo scordi.

Conclusione No. 4: se TU SOSTIENI che una parte delle risorse fiscali che dovrebbero andare (ed oggi vanno, ossia: le tasse sul reddito dei pensionati) a finanziare la spesa pubblica netta di pensioni andrebbero conteggiate/attribuite al finanziamento delle pensioni ALLORA TU DEVI dirmi quali parti di spesa pubblica attuale vanno tagliate per mantenere il vincolo di bilancio! Non puoi avere la moglie ubriaca e la botte piena! Ripeto: SE vuoi sostenere che le imposte sul reddito dei pensionati vanno viste come parziale pagamento delle loro pensioni lorde ALLORA devi dirmi quale parte della spesa pubblica attuale, altra che le pensioni, va ELIMINATA! Il bilancio pubblico italiano è già in deficit anche prima di questo tuo aggiustamento! Dopo di esso è ancora più in deficit, lo capisci o no? Allora, dimmi: cosa vuoi fare con questo deficit aggiuntivo (pari a circa 3,4% del PIL, secondo i calcoli precedenti)?

Note tecniche aggiuntive.

5.

Credo tu abbia torto sul TFR, perché credo che il calcolo venga fatto sulla spesa pensionistica pura e dura, escludendo anche quella di invalidità, eccetera. Non ho visto le note tecniche ma, prima di instillare nei tuoi lettori i dubbi pesanti che instilli sulla competenza di chi lavora all'OECD dovresti almeno fare la cortesia di verificare.

Loro insistono che i confronti sono omogeneizzati, il che implica che la stessa osservazione critica vale rispetto ad assegni familiari e tutto il resto. Magari hai ragione, non lo escludo, ma prima di avanzare tali dubbi sarebbe meglio verificare, visto che sembri avere accesso al testo completo.

Infine, ti rendi conto di cosa dici quando sostieni che al costo della previdenza privata vanno aggiunti gli sgravi fiscali? Il reddito da cui quel risparmio si origina e che quegli investimenti generano viene tassato o all'atto dell'investimento o all'atto della riscossione ... ma viene tassato. Inoltre, di nuovo, prova ad adottare questo criterio per calcolare il costo di qualsiasi attività che abbia un trattamento fiscale differenziale dalle altre. Per esempio, prendi i beni di consumo primario che hanno un'IVA più bassa del normale: secondo il tuo criterio il costo di questi beni è maggiore di quanto si calcoli perché andrebbe aggiunto al loro prezzo il "differenziale IVA"! Ma quale differenziale? Quale aliquota IVA è quella "giusta" per calcolare il costo del pane? Quella delle televisioni o quella dei gioielli di Bulgari? Quella dei libri o quella del ristorante? La contabilità nazionale ha delle regole, Carlo. se vuoi cambiarle, fai pure, ma prima dovresti cercare di elaborare delle coerenti alternative, e spiegarcele.

Poi ci sarebbe la collana di perle finale:

 

Questo sarebbe vero se il costo del lavoro in Italia fosse alto. Lo è senz’altro rispetto alla Cina e anche alla Romania, ma nella graduatoria Ocse è invece verso il fondo della classifica, sia che si parli di netto che di lordo. Poi, è vero che le imprese fanno tutte quelle brutte cose, ma lo fanno perché non sono capaci di competere sui prodotti e sulla qualità.

 

Ma la tralascio. È tardi, e davvero qui non saprei dove cominciare. Comunque, quanto dici non è vero oltre che logicamente incoerente (se non sono capaci non sono capaci: cosa ci guadagni ad ammazzarle?). Ma questo nell'articolo originale che Lodovico ed io abbiamo discusso non c'era, quindi mantengo la mia promessa e per il momento mi astengo.

 

A proposito (lo scrivo sottovoce) di sostenibilità. Le nuove pensioni contributive essendo legate al tasso di crescita del PIL e alla demografia dovrebbero essere sostenibili, purchè si accettino le conseguenze delle premesse e vengano aggiornati periodicamente i coefficienti di trasformazione dei montanti contributivi in rendite annue. In realtà ci sarebbe anche il problema del preconto di un tasso di crescita reale del PIL al momento della determinazione della rendita, che non è necessariamente compatibile con la crescita futura del PIL. Sicuramente non lo è con quella presente. Il punto è proprio questo: l'attuale performance economica nazionale (-5% reale, o giù di lì, -4% nominale) determinerà, seppure in media mobile a 5 anni, ma cambia poco, una riduzione dei montanti contributivi e delle pensioni future della stessa entità, ma solo di quelle contributive. Le pensioni retributive invece rimarranno intatte, ma sono proprio quelle che determinano il principale squilibrio. In realtà se il sistema fosse tutto (o in gran parte) contributivo, cosa che si sarebbe potuta ottenere se la riforma del 1996 fosse stata applicata a tutti, perlomeno pro-quota, oggi sarebbe  più facile abbassare l'aliquota contributiva dal 33% al 25% e spostare un po' di risorse in più verso i salari.

Hai ragione da vendere. È una delle cose che gridano vendetta al cospetto degli dei e su cui, in Italia, c'è censura totale da parte della stampa SIA di destra CHE di sinistra! Altro che dati OECD!

Il danno che stanno facendo alla loro economia in generale ed ai giovani in particolare, rispetto ai quali poi si riempiono ipocritamente la bocca con stuccosa retorica, è enorme.

La cosa divertente è che da entrambi i lati si continua non solo a mentire tacendo ma anche a non applicare la legge del 1996: squallido paese dove leggi di tale entità vengono violate dai governi in primis. Poi ci si chiede perché la gente evada, quando i governi sono i primi evasori.

 

Da giovane, non sono contento di questo meccanismo pensionistico e non sono contento di come sono trattato. Penso che arrivera' il momento in cui i nodi verranno al pettine. Per esempio voglio vedere come qualcuno spieghera' tra 10 anni ai figli degli immigrati che devono pagare tasse cosi' alte per pagare le pensioni di quelli che non volevano neanche che i loro genitori venissero in Italia...

La nostra classe dirigente (e copn questo intendo un insieme piu' grande della classe politica) ha dimostrato di essere veramente scarsa. E' fatta di un sacco di persone che sono campate di rendita, pensando forse che il boom dell'Italia sarebbe durato per sempre, indipendentemente da quello che loro avrebbero detto e fatto (vedi il modello superfisso). Questa classe dirigente non e' stata in grado di creare condizioni perche' gli Italiani di talento potessero emergere e contribuire a migliorare il proprio paese e ha tollerato il brain drain. Questa stessa classe dirigente ha coerentemente bastonato i giovani, all'universita', al lavoro e nella societa'. Per questo sono fiducioso che la gente della mia eta' fara' meglio di quelli che adesso hanno 60 anni: un po' e' difficile pensare di fare peggio di cosi', e un po' tutte queste bastonate ti temprano e ti fanno crescere con spirito pratico. Noi ventenni non abbiamo potuto permetterci il lusso di crescere giocando a fare i terroristi, per poi finire a fare gli editorialisti o i parlamentari...

Mi rendo conto sia un colpo basso, ma non posso non evidenziare la concordanza.

Sintomo dell'atmosfera che si respira nel bel paese, e di una cultura che oltrepassa da tempo le divisioni fra destra e sinistra.

È la (sub) cultura storica delle elites italiane: la perfida Albione, le cospirazioni pluto-giudaiche, gli interessi stranieri, le grandi potenze che non ci vogliono riconoscere il meritato posto al sole, il tappare la bocca ai disfattisti ... manca solo la grande proletaria che si muove, e poi il cerchio si chiude. Arriverà, arriverà: peronismo, versione ridicola del fascismo.

 

 

Mi rendo conto sia un colpo basso ...

 

La sub cultura per cui le cose non dette non esistono. Ed i fatti non contano.
Ma tra le varie cose va detto che i primi a gettare il panico furono proprio quei governi che per esaltazione interventistica operarono in tutta fretta per salvare banche e estendere le garanzie, mandando il segnale che le cose non andavano affatto bene e che la situazione era molto piu' seria di quanto si pensasse. Lo fecero anche per poter staccare più in là le cedole che ogni potere salvifico richiede. Poi si sono resi conto di aver esagerato ma cosi' potevano anche aggiungere la spilla di salvatore di varie aziende automobilistiche e poi migliaia di PMI. ma siccome non possono salvarle tutte, ora si dice che è tutta una invenzione psicologica.

FF

 

 

Caro Michele,

 

la url è questa

www.sourceoecd.org/upload/pensionsprel.pdf

ma non so se ti fa entrare. Io ho l’accesso come giornalista. Volevo farti almeno un copia-incolla ma stasera quando clicco mi dà errore ed esce una pagina bianca. Riproverò in seguito.

 

Cominciamo dalla tassazione. Dove hai letto, nel mio articolo, che secondo me i pensionati non devono essere tassati? Io dico un’altra cosa, e cioè che se sono tassati in modo diverso nei diversi paesi una statistica che si propone un confronto dovrebbe tenerne conto. Salto quindi a piè pari la contestazione che mi fai sui dipendenti pubblici che - di conseguenza - non dovrebbero essere tassati neanche loro, perché non c’entra nulla con quello che ho scritto, anche se potrei farti notare qualche illogicità anche nel tuo ragionamento. Detto di passaggio, comunque, il criterio "assurdo" di non tassare le pensioni è effettivamente applicato in Germania. Trattasi di constatazione senza alcuna aggiunta di giudizi di valore.

 

Ma, tu dici, quello che conta è la spesa lorda per pensioni, perché una spesa lorda alta comporta comunque tasse più alte e dunque un handicap per il sistema economico. E perché questa relazione dovrebbe essere accettata come il Vangelo? Quando vengono diffuse le varie classifiche sulla competitività vedo sempre ai primi posti i paesi scandinavi, che hanno la pressione fiscale più alta del mondo. Evidentemente non sono indifferenti i modi con cui queste tasse si prelevano e si usano. La Germania ha una pressione fiscale più o meno come quella italiana (e salari ben più alti), ma è il primo paese esportatore del mondo. I fattori che entrano in gioco nel funzionamento di un’economia sono molteplici e l’equazione "più tasse = più danni" è quantomeno semplicistica.

 

Sostenibilità: lo so anch’io che è un concetto vago e che quando si fanno proiezioni a 50 anni la differenza di mezzo punto di Pil nelle ipotesi di base cambia i risultati da così a colà. Però è anche vero che non può essere uno strumento usato a senso unico: quando serve per dire che siamo sull’orlo del baratro va bene, altrimenti non vale più niente. Ci hanno fatto una testa così ripetendo che il sistema previdenziale era in deficit: non ricordo di aver letto interventi dove si dicesse che non era quello il modo corretto di porre il problema.

 

Devo dirti io quali poste andrebbero tagliate per mantenere il vincolo di bilancio? Veramente è dai tempi di Monorchio che io sostengo che bisognerebbe fare un’operazione di zero-based budgeting. Posso solo immaginare quante porcherie spreca-soldi si siano stratificate negli anni, si rinnovino automaticamente e nessuno le andrà mai a cercare perché sono poste troppo piccole (prese singolarmente) e magari compaiono solo in voci più generali e aggregate, che nessuno si prende la briga di controllare nel dettaglio. Poi ci sarebbero quei 100 miliardi di evasione fiscale (stima di ieri della Corte dei conti, ma più o meno corrispondente ad altre stime fatte in passato, anche dall’Agenzia delle entrate): se se ne recuperasse almeno la metà basterebbe per aggiustare i nostri conti e ne avanzerebbe per ridurre la pressione fiscale su chi le tasse le paga. O il patologico livello di evasione italiano va considerato come un disastro naturale irreparabile?

 

Tfr: non ho potuto controllare perché, come ti ho detto all’inizio, stasera non mi si apre lo studio Ocse. Sono certo però che in passato il Tfr veniva conteggiato dall’Ocse (e da altri organismi internazionali) nella spesa previdenziale italiana. Con Affari & Finanza ne facemmo una polemica con Ignazio Visco quando era direttore della ricerca economica dell’Ocse. Mi dicono - confesso: con mia sorpresa - che è ancora così. Però, ripeto, non ho ancora potuto controllare direttamente e infatti nell’articolo su Repubblica non l’avevo scritto.

 

Sulle agevolazioni fiscali dici il contrario di quello che hai detto sulla detassazione delle pensioni. Lì dici che conta il lordo, qui dici che conta il netto, visto che non dovrebbero essere considerate perché il risparmio così generato poi viene tassato. A parte che viene tassato "poi", e non è la stessa cosa; a parte che magari c’è un’aliquota più bassa di quella sugli altri redditi (in Italia, sui redditi da Fondi pensione dopo i 15 anni di permanenza l’aliquota è al 9%). Ma lasciamo perdere questi particolari, sui quali già immagino quali contestazioni mi faresti. Di grazia, la tax expenditure va considerata spesa pubblica o no? Perché mi pare che è questo il punto su cui non siamo d’accordo. Sai comunque che non sono il solo a pensare che lo sia. E se lo è, va conteggiata.

 

Tralascio anch’io la discussione su quella che definisci "la collana di perle finale". Mi stupisco solo che la tua impostazione, che mi sembra piuttosto da darwinista sociale, cambi se si tratta di lasciare in vita imprese inefficienti.

M'inserisco nel contenzioso, ma non per esprimere una valutazione personale, pur non nascondendo di condividere le critiche espresse da MB, LP ed Antonio Mele.

Intervengo, invece, per stigmatizzare la consueta introduzione - un po' a gamba tesa, in quanto non strettamente attinente alla questione dibattuta - di un tema mitico: l'evasione fiscale. Sembra quasi un riflesso pavloviano, al quale non si resiste nella foga di un benaltrismo piuttosto diffuso, nel momento in cui si voglia trovare la responsabilità di tutti i mali italiani. Insomma, il colpevole è il maggiordomo ...

Intendiamoci, nessuno vuol negare la consistenza del fenomeno, la sua immoralità e le conseguenze che ne derivano. Onestà intellettuale vorrebbe, però, la definizione della questione per quello che è (se proprio la si vuole inserire - e non ritengo sia il caso, per non confonder le acque - in ogni dibattito). Limitarsi a scrivere:

 

Poi ci sarebbero quei 100 miliardi di evasione fiscale (stima di ieri della Corte dei conti, ma più o meno corrispondente ad altre stime fatte in passato, anche dall’Agenzia delle entrate): se se ne recuperasse almeno la metà basterebbe per aggiustare i nostri conti e ne avanzerebbe per ridurre la pressione fiscale su chi le tasse le paga. O il patologico livello di evasione italiano va considerato come un disastro naturale irreparabile?

 

non ha alcun significato, se non l'apparente tentativo di sviare populisticamente il discorso. Allora, a me pare fondamentale ricordare ciò che dovrebbe essere noto a tutti - e certamente non può non far parte del bagaglio di conoscenze di un operatore professionale dell'informazione economica - e che qui, in nFA, più volte è stato rimarcato: non è corretto e considero imperdonabile parlare di evasione fiscale italiana. Infatti, gli stessi studi dell'Agenzia delle entrate dimostrano l'indubbia e sesquipedale differenza tra i comportamenti in tal senso che caratterizzano le diverse zone del Paese. In particolare, da essi si evince un tasso di evasione - supposto, per carità, sempre supposto .... - nelle medie europee per tutto il Nord Italia ed addirittura a livello dei più virtuosi per la Lombardia, in contrapposizione a risultati francamente sempre più inaccettabili man mano che si scende di latitudine. Si dovrebbe avere la decenza di farlo presente, ogni volta che si tira in ballo l'argomento, onde evitare una gravissima scorrettezza espositiva, che induce - troppo spesso - i fruitori dell'informazione a ritener la cosa equamente diffusa e, quindi, da un lato - come suggerisci - quasi inevitabile e dall'altro non imputabile ai decisori, a prescindere dal colore politico (che distingue solamente la maggiore o minore burocratizzazione dell'azione, senza incidere sulla natura del fenomeno). Ciò detto, lo ribadisco, la questione nulla ha a che fare con il giudizio relativo ai dati OECD, né con la querelle generale in merito al costo delle pensioni: evitiamo di cambiar discorso, please.

 

 

Tralascio anch’io la discussione su quella che definisci "la collana di perle finale". Mi stupisco solo che la tua impostazione, che mi sembra piuttosto da darwinista sociale, cambi se si tratta di lasciare in vita imprese inefficienti.

 

Cambia in che senso? A me pare esattamente il contrario: Michele parla di ammazzare proprio le imprese inefficienti, mica chi ci lavora! E su questo sito abbiamo un po' tutti criticato ferocemente operazioni di socializzazione delle perdite, dal caso Alitalia alla gestione della crisi finanziaria da parte di FED e Tesoro.

 

una spesa lorda alta comporta comunque tasse più alte e dunque un handicap per il sistema economico. E perché questa relazione dovrebbe essere accettata come il Vangelo?

Quando vengono diffuse le varie classifiche sulla competitività vedo sempre ai primi posti i paesi scandinavi, che hanno la pressione fiscale più alta del mondo. Evidentemente non sono indifferenti i modi con cui queste tasse si prelevano e si usano.

 

Ma se sono rilevanti "i modi con cui queste tasse si prelevano e si usano", e se l'Italia ha una spesa abnorme per le pensioni rispetto ai paesi competitivi menzionati, perche' non iniziare a pensare che sia bene ridurre la spesa pubblica per pensioni?

Se proprio preme poi tenere invariata la pressione fiscale, non ci sono altre spese che si potrebbero indicare, fra l'altro molto di sinistra, che vengono fatte nei paesi competitivi menzionati? Per esempio sostegno agli indigenti, a chi perde il lavoro, alla ricerca universitaria.

Sarebbe ora di rendersi conto a chi va in Italia l'eccesso di spesa pensionistica: va a beneficio di:

  • chi non ha pagato i contributi corrispondenti, specie col sistema retributivo, vigente il quale era uso nel settore pubblico specie nell'esercito promuovere a stipendio piu' elevato senza merito l'ultimo anno di servizio il pensionando per fargli pagare la pensione piu' elevata, coi contributi degli operai
  • portaborse dei politici e politici trombati (legge Mosca)
  • politici eletti, le cui scandalose indennita' e coperture previdenziali dubito siano coperte da contributi non figurativi
  • (indirettamente) politici e sindacalisti che vivono in case di lusso nel centro di Roma ad equo canone o comunque svendute dagli Enti previdenziali puibblici
  • pensionati baby del settore pubblico, effetto di leggi demenziali
  • prepensionati delle grandi industrie, che col concorso dello Stato si sono liberate dei lavoratori piu' costosi per anzianita' stipendiale
  • tutti quelli che hanno acceduto alla pensione di anzianita' per dedicarsi ad una attivita' in nero
  • fruitori di pensioni di invalidita' false

Davvero questi beneficiari e questi meccanismi meritano abbastanza da rendere abnorme la spesa previdenziale italiana? Ritengo che chi difende questa abnormita' vada veramente contro il progresso civile.  Ovviamente poi la spesa va ridotta colpendo le malefatte appena elencate e non riducendo le pensioni minime.

 

Poi ci sarebbero quei 100 miliardi di evasione fiscale (stima di ieri della Corte dei conti, ma più o meno corrispondente ad altre stime fatte in passato, anche dall’Agenzia delle entrate): se se ne recuperasse almeno la metà basterebbe per aggiustare i nostri conti e ne avanzerebbe per ridurre la pressione fiscale su chi le tasse le paga. O il patologico livello di evasione italiano va considerato come un disastro naturale irreparabile?

 

Secondo le stime di Schneider et al, in 5 anni di governo dell'Ulivo/1996-2001 il livello dell'evasione fiscale in Italia e' rimasto costante, quindi suggerirei di abbandonare come irrealistico questo mito del recupero dell'evasione fiscale, anche per non andare fuori tema.  Poi la pressione fiscale italiana e' gia' al 42-43% del PIL, come e piu' che in Francia e Germania, che hanno la meta' dell'evasione fiscale: non c'e' alcuna ragione di recuperare ulteriori soldi a favore dello Stato, tantomeno per spese anomale come quella delle pensioni, ci sarebbe solo bisogno di spostare parte dell'imposizione fiscale dal Nord dove l'evasione e' ai livelli tedeschi e francesi, se non nettamente meno come in Lombardia, e la pressione fiscale e' uguale o maggiore a quella scandinava in cambio di servizi pubblici miserabili, verso dove c'e' evasione fiscale molto maggiore di quella europea, cioe' le regioni centrali (Toscana, Marche ed Umbria) e soprattutto le regioni meridionali.

 

 

Quando vengono diffuse le varie classifiche sulla competitività vedo sempre ai primi posti i paesi scandinavi, che hanno la pressione fiscale più alta del mondo. Evidentemente non sono indifferenti i modi con cui queste tasse si prelevano e si usano.

 

Non so quali statistiche tu prenda in considerazione. Io su www.imd.ch trovo il loro rapporto 2009 www.imd.ch/research/publications/wcy/upload/scoreboard.pdf ed ai primi 4 posti trovo nazioni che hanno una bassa fiscalità ed un basso carico contributivo. Poi vengono i paesi scandinavi e del nord europa in generale, con una tassazione piu' elevata ma che rispetto a noi hanno un prelievo contributivo molto piu' basso. Ribadisco il concetto: prelievo fiscale = progressivo, prelievo contributivo = proporzionale = regressivo. Con tutte le conseguenze del caso, soprattutto nelle zone di sottosviluppo.

Francesco

 

Da una conversazione con un collega australiano ho appreso ieri che quasi tutte (ma non tutte) le pensioni australiane non sono soggette a tassazione. In particolare non ci sono tasse per le pensioni dei docenti universitari, sono invece tassate quelle dei militari. Il mio collega mi diceva che proprio per questo a lui conviene andare in pensione appena possibile e cioe´a 60 anni, che compira´entro lánno, visto che la sua universita´ gli garantisce la possibilita´di continuare come prima la sua attivita´, eccetto che per la titolarita´dei contratti di ricerca. Gli chiedero´oggi se la convenienza deriva dal mancato cumulo del reddito di pensione con altri redditi ai fini delle imposte.

Va pur notato che la passione degli italiani per Pirandello non scema mai.

Vedo oggi, ahime' in viaggio, che il loro capo del governo sostiene che la recessione o non c'e' o se c'e' e' prodotta dal pessimismo degli organismi (i batteri? i kakanumeri di Bloomberg? Oecd che non sa usare la statistica? ad ogni modo essi sono stipendiati dall' internazionale demoplutogiudaicomassonica e dal suo organo di stampa detto Economist.)

Il suo indice di gradimento e' del 62% (sostiene), la RAI lo osanna, quelli che seguono il calcio oltremodo, ed e' geniale nella presentazione delle sue posizioni politiche (che sono ottime, come dicono i risultati elettorali). Se queste ultime incappano in qualche realta' in qualche luogo, essendo passate di moda le (otto milioni di) baionette, si possono raccontare otto milioni di barzellette. L'ultima trattasi di impegnare l'opposizione in una affascinante guerriglia intorno a cosa succede nelle feste a casa sua. L'opposizione, cosidetta, essendo impegnata ad un grande rinnovamento, si appresta a combattere sull'ultima spiaggia (mi dicono sia locale ameno in quel di Capalbio) una tenzone tra Veltroni e D'Alema (la voce scorata del sindaco di Venezia che nota semplicemente come una generazione politica abbia fallito e avrebbe tutte le ragioni per andare a portar a spasso il volpino ai Giardinetti Reali non venne udita.)

 

 

Eh! che volete? Costruiscono senza logica, beati loro, i pazzi! O con una loro logica che vola come una piuma! Volubili! Volubili! Oggi così e domani chi sa come!

 

 

 

 

Luigi Pirandello, Enrico IV

 

E infatti, mentre nella parte privata dell'economia la Lombardia evade si stima il 13%, il Veneto il 20-25%, le regioni del Sud evadono si stima dall'60% all'80%. Le regioni rosse centrali invece evadono il 35-40%.

 

I conti continuano a non tornare, anzi. Le regioni del Sud fra il 60 e l' 80 % di evasione nell'economia privata ? Significa che siamo tutti evasori, il paese di Bengodi, altrocchè ! Significa che se la GdF ferma uno in mezzo alla strada è sicuramente un evasore, indipendentemente da quello che fa o dice di fare..

Quindi qui al Sud ci dovrebbe essere ricchezza, benessere (nessuno paga le tasse..) addirittura la dimostrazione teorica per chi dice che abbassando le tasse (al Sud le evadrebbero, ma sarebbe lo stesso) si innalzi l'economia, poi ci sono i trasferimenti dello Stato, insomma il paradiso in Terra ! Fatti un giro e dimmi dove vedi il paradiso.

 

Quindi il reddito evaso recuperabile e' 0% al Nord

 

Questi dicono di no.

Non ho voglia, tempo e capacità di discutere quei famosi (famigerati ?) numeri dati da TPS, ma a me sono sembrati, da sempre, incongrui. Per tornare a Carlo Clericetti vorrei vedere come sono stati elaborati. Agenzia delle Entrate e OECD 1 a 1 ?

 

I conti continuano a non tornare, anzi. Le regioni del Sud fra il 60 e l' 80 % di evasione nell'economia privata ? Significa che siamo tutti evasori, il paese di Bengodi, altrocchè ! Significa che se la GdF ferma uno in mezzo alla strada è sicuramente un evasore, indipendentemente da quello che fa o dice di fare..

 

Ma no, ma no ... occhio alle statistiche ed a cosa significano!

Ricordo quel dibattito e quei numeri, se non vi fidate cercatevi il documento sulla pagina dell'Agenzia delle Entrate. All'AdE fecero un lavoretto banalissimo, che non richiedeva loro alcuna stima particolare, solo sottrazioni e divisioni.

La stima del 60% esce cosi (la media di Sud e Isole era un po' meno del 60%, tipo 55%):

Loro prendevano il VA dichiarato via IRAP (quindi, solo del privato che paga IRAP) e quello stimato dall'ISTAT, sempre per il settore privato, per i dati di contabilità nazionale. Loro, quindi, non stimavano NULLA! Semplicemente, calcolavano, regione per regione,

EVASO= PRIVATOISTAT - IRAP

%EVASO= EVASO/IRAP

Vado a naso: l'evaso è 80 miliardi e il valore aggiunto dichiarato via IRAP e'140?

80/140 = 57%

Detto altrimenti: al Sud poco più di un euro ogni tre euro prodotti dal settore privato viene evaso. Siccome al Sud il privato è meno della metà del VA totale, diciamo 4/10, ti viene che circa un 15-20% del PIL del Sud non viene dichiarato al fisco. Non mi sembra una stima così assurda, Marco ... o no?

Sul fatto che poi al Nord non ci siano margini di evasione recuperabile, non starei a scannarmi. Certo che ce ne sono, ovvio che ce ne sono. Sono semplicemente minori che al Sud, tutto lì. Cerchiamo di non rendere questo dibattito stucchevole prendendo posizioni estreme, ragazzi!

La cosa insopportabile era la campagna di demenziale odio scatenata ai tempi del governo Prodi da TPS, VV e rifondaroli contro i maledetti piccoli imprenditori del Nord che erano la fonte di tutti i disastri e che occorreva punire a botte di tasse perché non ne pagavano una. A quella demenziale campagna (che fece solo danno, incluso a chi la propugnò!) Alberto L ed altri, io compreso, si rispose mostrando i dati che dicevano: state raccontando balle! Balle raccontavano.

Mettiamoci una pietra sopra: in termini relativi al Sud si evade più che al Nord. Basta guardare i consumi reali per capirlo. Quindi, per affrontare il problema dell'evasione, meglio partire dai fatti reali, non dalle fantasie. Fine.

 

 

E infatti, mentre nella parte privata dell'economia la Lombardia evade si stima il 13%, il Veneto il 20-25%, le regioni del Sud evadono si stima dall'60% all'80%. Le regioni rosse centrali invece evadono il 35-40%.

 

I conti continuano a non tornare, anzi. Le regioni del Sud fra il 60 e l' 80 % di evasione nell'economia privata ? Significa che siamo tutti evasori, il paese di Bengodi, altrocchè ! Significa che se la GdF ferma uno in mezzo alla strada è sicuramente un evasore, indipendentemente da quello che fa o dice di fare..

 

A me i conti tornano, mi spiace. Queste sono le stime che si ottengono con le indagini estensive compiute sotto il governo dell'Ulivo del 1996-2001, e pubblicate su Repubblica Affari e Finanza del 2 giugno 1997, e riportate su nFA. Te le ricopio di seguito:

 

Evasione 1993 stimata per industria e commercio (reddito evaso / reddito totale):

Regioneevasione/PIL privato
Basilicata83.2%
Calabria70.8%
Campania64.2%
Molise62.4%
Sardegna57.2%
Puglia54.4%
Sicilia54.4%
Abruzzo43.5%
Val D'Aosta40.6%
Marche35.2%
Toscana34.0%
Umbria29.8%
Liguria28.3%
Lazio27.5%
Veneto24.1%
Friuli-Venezia Giulia23.3%
Trentino-Alto Adige22.9%
Emilia-Romagna20.1%
Piemonte19.1%
Lombardia13.1%

Nel servizio di Repubblica si legge:

 

"La ricerca delle Finanze è il più attendibile tentativo di ricostruire la mappa della produzione sommersa in Italia. Lo studio è stato effettuato con i più sofisticati mezzi tecnici oggi a disposizione: si pensi che milioni di dati inseriti nella banca dati dell'Anagrafe Tributaria sono stati confrontati con quelli dell'Istat e dell'Inps."

"Lo studio è stato fatto da un'agguerritissima commissione composta da membri del Secit, il servizio dei superispettori fiscali, esponenti dell'INPS, della Banca d'Italia, dell'ISTAT, dell'Anagrafe Tributaria".

 

Queste stime che indicano evasione fiscale del 60-80% dei redditi nel Sud Italia sono confermate dalla successiva indagine sull'evasione IRAP, che ritengo includa anche i redditi dei dipendenti pubblici (dove non ci dovrebbe essere evasione).  A me sembra che l'evidenza aneddotica sia consistente con le stime appena esposte, e mi sorprende che a Sud non ve ne sia una sufficiente coscienza.  Se capisco bene tu lavori su commessa della Fiat o di grandi imprese del Nord: probabilmente la tua e' una delle molto poche attivita' meridionali che si svolgono senza significativa evasione fiscale, oltre agli stipendi dei dipendenti pubblici.

Quello dell'articolo di CC è ragionamento tipico di un paese rassegnato ad un elevatissimo tasso d'intermediazione statale, in cui si ottiene il risultato di scontentare tutti.

In realtà l'unica cura per le pensioni italiane sarebbe il passaggio totale al metodo contributivo, con una quota di solidarietà per i casi sociali, e la conseguente liberalizzazione dell'età pensionabile e l'eliminazione dei contributi figurativi.

Interessanti commenti sul tema pensionistico su http://pensioni.manageritalia.it/

Vorrei sgombrare il campo da un probabile equivoco. A me non piace affatto il sistema previdenziale così com’è, sempre ricordando, peraltro, che stiamo parlando di un sistema residuale, il retributivo, perché per il contributivo l’unica questione in comune è quella del livello dei contributi e poi i problemi sono altri. Sono completamente d’accordo con quanto dice Francesco Forti sulla qualità delle pensioni. Aggiungo che secondo me non dovrebbero esistere pensioni pubbliche elevate. La previdenza pubblica obbligatoria è una componente fondamentale del welfare, ma il suo compito dovrebbe limitarsi ad assicurare una pensione che permetta di vivere dignitosamente. Quindi, tetto agli importi erogabili (e ovviamente anche ai relativi contributi: la redistribuzione si fa con le imposte) e chi vuole di più si rivolga alla previdenza complementare. In Italia non è così e negli anni scorsi abbiamo dovuto leggere delle “pensioni d’oro” da 50 milioni di lire al mese: pazzesco, come erano pazzeschi i baby pensionati, eliminati da relativamente poco tempo; come è sbagliato mettere i prepensionati dentro l’Inps, cioè fare politica industriale con la previdenza (sempre parlando della Germania: lì i prepensionati non stanno dentro i conti della previdenza, ci entrano quando arrivano al requisito di vecchiaia).

 

Perché allora me la prendo con l’Ocse? Perché partecipa anch’esso al gioco mondiale di “privatizzazione dei rischi sociali”. Io penso che la pensione di base debba essere pubblica, a ripartizione e a risultato garantito e che poi vada benissimo una componente privata (Fondi o, per chi si vuol male, le carissime assicurazioni), ma complementare, cioè per chi può e chi vuole. In Italia le riforme degli anni ’90 hanno drammaticamente abbattuto il tasso di sostituzione e di fatto aumentato di 8 punti i contributi (il TFR nei Fondi pensione) per sperare di avere quanto si prendeva prima, ma aggiungendo il rischio finanziario a carico del pensionando. Magari si parlasse di una riforma seria delle pensioni (le aliquote diverse DENTRO l’Inps sono tuttora una trentina!); qui invece il gioco è di privatizzare quanto più possibile la previdenza, e se funzioni bene o male non gliene frega molto a nessuno.

 

Su una cosa non sono d’accordo con Forti. Il sommerso al Sud non è conseguenza dei contributi troppo elevati (e allora perché al Nord no?), ma di cause storico-sociali.

 

Franco Bocchini mi attribuisce l’intenzione di “mai ridurre le spese, sempre incrementare le entrate”: non è affatto la mia posizione, però bisogna vedere COSA, DOVE e COME si taglia. Sull’evasione fiscale, insisto, non ho cambiato discorso: ho risposto a una domanda di Michele che non era sulle pensioni, ma sul vincolo di bilancio.

 

Alberto Lusiani: sono d’accordo con gran parte di quello che dice sulle pensioni. Ricordo soltanto che l’invalidità è stata usata come sostituto di un “reddito minimo garantito” (fino a qualche anno fa tra i requisiti per ottenerla c’era quello della difficoltà di trovare lavoro nella zona di residenza). Un’altra misura assistenziale che – pur necessaria – non c’entrava niente con la previdenza, da cui avrebbe dovuto rimanere separata.

 

Per Sandro Brusco. Bisogna ricordare che dalla metà degli anni ’90 il saldo primario del bilancio pubblico è in attivo e in alcuni anni è addirittura arrivato al 5% del Pil (non mi chiedete quali, lo so che non è “scientifico” ma sto andando a memoria). Il Berlusconi-Tremonti del 2000 e seguenti è riuscito ad azzerarlo, ma poi fino all’anno scorso (pre-crisi) è tornato in attivo del 2-2,5%. Il problema dunque (lasciando ovviamente da parte come si arriva a quel saldo, su cui tutti noi avremmo molto da dire) è il debito con i relativi interessi. Se il recupero dell’evasione non venisse usato come occasione per aumentare la spesa, io dico che sarebbe accettabile qualche anno di sofferenza macro per risolvere il problema del debito e poi ridurre la pressione fiscale.

 

Su una cosa non sono d’accordo con Forti. Il sommerso al Sud non è conseguenza dei contributi troppo elevati (e allora perché al Nord no?), ma di cause storico-sociali.

 

Perché no al Nord? Per l'effetto regressivo. Al Nord si guadagna mediamente bene e su un reddito lordo di 100'000 euro se il 42% va in contributi quello che rimane non è da fame. Al sud su un reddito lordo di 24'000 euro il 42% di prelievo contributivo lascia un netto che non basta per vivere. Anche se le imposte fossero a zero, la ragione per evadere sono i contributi. Si deve evadere per forza. Le imposte indirette ad aliquota fissa elevate sono a malapena accettabili in un contesto molto ricco, con una forte produttività. In un conteso sottosviluppato e con bassa produttività già un IVA al 20 è criminale, figuriamoci contributi al 42%. Io non credo che al Sud siano cosi' scemi da evadere (rinunciando a pensione e parte del welfare state) solo per "cause storico-sociali". Lo fanno perché quel prelievo non è umanamente sostenibile in quella economia. Se potessero vorrebbero essere tutti in regola. Chiaramente ci sono anche altre cause che spiegano il fenomeno del sommerso, come dicevo, ma la pressione fiscale e contributiva è una della maggiori. Una info su tutte per chiarire la questione: Svezia, Norvegia e Danimarca: Il sommerso sta tra il 18 ed il 19% del PIL. Meno che da noi (27%) ma assai piu' che la media OECD (16%) o della Gran Bretagna (12%). A cosa è dovuto quel sommerso "nordico" alla pressione fiscale elevata oppure a non meglio precisate "cause storico-sociali"?

Francesco

 

Caro Clericetti, rispondo solo per la parte che mi compete. Il mio punto era molto semplice. Dal punto di vista macroeconomico, pensare di ridurre il debito mediante repressione dell'evasione è equivalente a ridurre il debito mediante un aumento della pressione fiscale. Non mi pare che questa osservazione venga contestata, e d'altra parte è difficilmente contestabile. Ora, quando si afferma

 

Se il recupero dell’evasione non venisse usato come occasione per aumentare la spesa, io dico che sarebbe accettabile qualche anno di sofferenza macro per risolvere il problema del debito e poi ridurre la pressione fiscale.

 

entriamo ovviamente nel campo delle preferenze. Io preferirei che, anziché imporre ulteriori sofferenze a chi produce reddito, le sofferenze venissero imposte a chi gode della spesa pubblica improduttiva, mediante un taglio della stessa. Per quanto riguarda l'evasione, io preferirei che la sua repressione venga vista semplicemente come un atto di buona amministrazione e di elementare giustizia, piuttosto che come una manovra macro.

Le preferenze sono soggettive e non ci possiamo far molto se le abbiamo diverse. L'importante però è che si capisca esattamente quali sono le conseguenze delle politiche che si propugnano. L'impressione che ho io è che molto spesso si presenti la repressione dell'evasione come un provvedimento senza costi, tranne che per pochi cattivi evasori. Non è così. In particolare, mi preme sottolineare tre cose:

1) Trovo abbastanza singolare questa attitudine che si riscontra in Italia di promuovere l'aumento della pressione fiscale come risposta alla recessione. Franceschini ha chiesto esplicitamente un aumento delle aliquote per i redditi superiori a 120.000. Tremonti ha imposto la tassa aggiuntiva su petrolieri, banche e assicurazioni (la ''Robin tax'', il nome più scemo mai sentito). Da più parti si levano grida per la repressione dell'evasione fiscale, praticamente mai accompagnate da richieste di riduzione in parallelo delle aliquote. Non è che io sia un keynesiano convinto, ma esattamente qual è la teoria che sta dietro a questa pratica? Perché è una buona idea tassare di più la gente quando c'è una recessione?

2) Aumentare le tasse, sia esso mediante aumento delle aliquote o mediante repressione dell'evasione, significa meno occupazione e meno reddito prodotto. Quando si aumenta il prelievo non si colpisce solo il cattivo imprenditore che guida il SUV. Si colpisce anche il garzone del meccanico che finisce per restare disoccupato. Ribadisco, a scanso di fraintendimenti, che l'evasione va combattuta, non fosse altro perché non c'è ragione per cui il garzone del meccanico non paghi tasse e contributi mentre l'apprendista che va nella fabbrica medio-grande si. Ma teniamo sempre a mente che quando si parla di ''sofferenza macro'' a seguito dell'aumento della pressione fiscale stiamo anche parlando della sofferenza di tanta gente che perde il lavoro.

3) Aumentare la pressione fiscale ed evitare di ridurre la spesa improduttiva ha conseguenze non solo per l'immediato ma anche per il lungo periodo, ossia per il tasso di crescita dell'economia. Ci sta bene continuare a crescere ai ritmi anemici dell'ultimo decennio? Allora pagare il debito mediante tasse più alte va bene. Basta saperlo.

Una ultima osservazione sull'avanzo primario. Ovviamente è importante che si inizi ad avere un avanzo primario, se vogliamo sperare di evitare un'esplosione del debito, e il governo delle destre nel periodo 2001-2006 fu decisamente devastante da questo punto di vista. Certo, senza debito staremmo tutti meglio e potremmo avere pensioni più alte, sanità e scuola migliori e tasse più basse. Prendiamocela pure con Craxi e la banda del buco che negli anni 80 mangiava a quattro palmenti, più o meno con il consenso elettorale degli italiani.

Detto questo, i debiti fatti nel passato vanno pagati, non è che possiamo far finta che non ci siano. E la spesa per interessi non si può tagliare. Ragione per cui, l'unica cosa che veramente conta è se lo stato è in deficit o no, non quanto si spende per interessi. Quindi, piaccia o no, la scelta rimane sempre la stessa: o aumenti le tasse o tagli le spese.

 

Quindi, piaccia o no, la scelta rimane sempre la stessa: o aumenti le tasse o tagli le spese.

 

Qui poi subentra la perfidia politica: dire che saranno abbattute le spese è lo sport della destra, salvo mai farlo. La sinistra non ci prova nemmeno a tagliare le spese, riflesso pavloviano: secondo loro le spese sono  tutte "giuste", e le tasse "sono bellissime".

Da questo momento in poi ognuno (italicamente) si arrangia come può: chi evade, chi elude, chi si appoggia. Discorso lungo, che ci porta alla dimensione culturale: se manca quella è uno svuotare il mare con il cucchiaino. Novità in vista per "Il liberista liberato" (forse).

 

Qui poi subentra la perfidia politica: dire che saranno abbattute le spese è lo sport della destra, salvo mai farlo. La sinistra non ci prova nemmeno a tagliare le spese, riflesso pavloviano: secondo loro le spese sono  tutte "giuste"

 

Nulla da eccepire.

Però, da profano in economia e abbastanza ignorante nella Funzione Pubblica, una domanda: sono mai stati fatti studi seri ed un minimo indipendenti su quanto, dove e come tagliare di spesa pubblica dello stato italiano?

Perchè suppongo ci siano tante spese che magari a tanti piacerebbe fossero tagliate (pensioni d'oro, baby pensioni, assegni a finti invalidi, personale in enorme esubero qua e là, enti totalmente inutili) ma che magari sia un tantino difficile eliminare se non addirittura impossibile e illegale. Cioè, realisticamente, quanto si può abbattere la spesa pubblica? Perchè se non si conosce neppure un ordine di grandezza di quanto si possa ridurre la spesa diventa pure difficile giudicare in maniera obiettiva i risultati dei vari governi.

 

 

Anche se la spesa pensionistica è lorda, per valutare la sostenibilità del finanziamento a ripartizione (pay-as-you-go) non la si deve portare al netto. Il volume della ripartizione è dato, infatti, dal totale delle risorse che devono essere estratte dagli occupati per finanziare le pensioni lorde in erogazione. L'Ire/Irpef poi corrisposta dai pensionati non ritorna "in tempo reale" agli occupati che contribuiscono.

Altrimenti, se così fosse, sarebbe da subito percorribile una ipotesi di totale detassazione delle pensioni con corrispondente riduzione dell'aliquota contributiva sugli attivi. Dubito che il bilancio pubblico accomoderebbe facilmente una tale modifica. Forse può essere questo un modo alternativo per raccontare la storia e spiegare che non c'è partita di giro, come giustamente sostengono Pizzati e Boldrin, e che l'effetto distorsivo sul lavoro, sulla produttività, sugli investimenti è pieno.

E, di fronte all'invecchiamento della popolazione, sarà sempre peggio. Perchè la possibilità di ricorrere alla ripartizione (cioè, semplificando, a "spalmare i costi su tutti") non è infinita ma ha una soglia massima, al di sopra della quale gli effetti depressivi diventano sovrastanti. E se agli andamenti prospettici della spesa per pensioni (stabilmente al 14% del Pil) si aggiungono quelli della spesa sanitaria, le difficoltà della ripartizione appaiono ancora più lampanti.

La ripartizione è una cosa preziosa e scarsa, che andrebbe (re)indirizzata verso quegli strumenti in grado di fare buona redistribuzione delle risorse e di promuovere sia welfare che crescita, non a caso strumenti sottosviluppati in Italia (ammortizzatori lavoro, conciliazione vita-lavoro, maternità, famiglia/minori, casa, riqualificazione capitale umano, etc.). Le pensioni, invece, sono un cattivo strumento di redistribuzione.

Trasformazione multipillar del finanziamento delle pensioni e diversificazione degli istitui del nostro welfare sono due cose intrinsecamente connesse.

V'è poi da dire che, se il confronto internazionale lo si vuol fare tenendo conto del trattamento fiscale delle pensioni, allora bisognerebbe anche tener conto del trattamento fiscale dei contributi, che in Italia sono deducibili dal reddito (sia da lavoro che d'impresa). I due trattamenti fiscali (la tax expenditure sui contributi e l’assoggettamento a imposizione delle pensioni pubbliche) sono collegati tra di loro (è una scelta di tax deferral).

Saluti, ns

 

V'è poi da dire che, se il confronto internazionale lo si vuol fare tenendo conto del trattamento fiscale delle pensioni, allora bisognerebbe anche tener conto del trattamento fiscale dei contributi, che in Italia sono deducibili dal reddito (sia da lavoro che d'impresa). I due trattamenti fiscali (la tax expenditure sui contributi e l’assoggettamento a imposizione delle pensioni pubbliche) sono collegati tra di loro (è una scelta di tax deferral).

Vorrei approfondire questo punto.

Mi parrebbe strano se, laddove le pensioni sono esenti da imposizione, fossero totalmente esentati da imposizione anche i contributi (totale deducibilità dal reddito).

Qualcuno sa darmi qualche dritta su che cosa avviene fuori Italia?

Tnx, ns