Il peggio ha da tornare, per l'Italia.

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Qualche settimana fa, prima che Noemi fosse, in Italia si parlava ancora di economia. Berlusconi aveva dichiarato che l'Italia può uscire prima e meglio di altri dalla crisi economica. Se non ci fosse di che piangere verrebbe da ridere. Qui c'è poco da sgomitare, anche limitandosi solo ai cinque più popolosi paesi dell'Unione Europea. Primo, allo stato attuale del mercato del lavoro l'Italia tornerà sul trend più lentamente dei maggiori paesi europei, esclusa forse la Germania. Secondo, una volta ripresi saremo di nuovo su un trend piatto. Altro che prima e meglio. Ne usciremo dopo e peggio. Ecco perché.

Ogni recessione è associata ad un aumento della disoccupazione. La seguente tabella mostra il tasso di disoccupazione nei cinque più grandi paesi dell'Unione Europea riportato da Eurostat per il primo trimestre 2008 e il primo trimestre 2009.

 

Tabella 1. Tassi di disoccupazione



Trimestre I, 2008Trimestre I, 2009
Francia7.68.6
Germania7.67.5
Italia6.66.9*
Spagna9.216.5
UK5.16.3*

* ultimo dato disponibile, Trimestre IV 2008


Simmetricamente, durante ogni ripresa la disoccupazione si riduce. Tuttavia la velocità della ripresa -- cioé la velocità di ritorno al trend -- dipende dalla velocità con la quale i nuovi posti di lavoro vengono creati ed occupati: l'occupazione tornerà a crescere quando, esaurita la possibile capacità inutilizzata, le imprese vorranno di nuovo assumere e troveranno chi assumere.

La durata della disoccupazione è un buon indicatore della velocità di questo processo: se una persona che oggi diventa disoccupata trova un nuovo lavoro entro tre mesi, questo vuol dire che qualcuno ha creato un posto di lavoro che è stato rapidamente occupato. Se tra un anno questa persona è ancora disoccupata, questo vuol dire che i processi di creazione o occupazione (o entrambi) dei posti di lavoro sono lenti.

Un confronto della durata della disoccupazione tra paesi diversi simultaneamente in recessione permette quindi di speculare, sebbene in maniera imprecisa perché ci sono molti altri fattori da considerare, su dove la ripresa sarà più veloce e dove sarà più lenta.

La seguente tabella riporta l'incidenza della disoccupazione per durata negli stessi cinque paesi considerati sopra. Per ogni paese, la tabella indica la percentuale di disoccupati che trova lavoro entro tre mesi (< 3 mesi) dall'inizio della disoccupazione e la percentuale di disoccupati che impiega invece più di anno (> un anno). I dati provengono dalle statistiche OECD sul mercato del lavoro. Nella tabella li riporto ad intervalli di 5 anni dal 1990 al 2005, più l'ultimo anno disponibile.

 

Tabella 2. Incidenza della disoccupazione per durata

 

PaeseDurata19901995200020052007
Francia< tre mesi24.6917.6520.4622.6024.65
 > un anno38.0842.4642.5641.3940.36
Germania< tre mesi18.2718.1917.6415.5716.47
 > un anno46.7648.6751.4854.0656.63
Italia< tre mesi3.917.2911.1019.0719.78
 > un anno69.8263.5661.3052.1649.91
Spagna< tre mesi16.9414.9519.6235.4340.26
 > un anno54.0057.0547.5832.5527.62
UK< tre mesi66.4967.6463.0849.8943.69
 > un anno15.8817.2015.2315.8316.80


La tabella mostra che nel 2007 in Italia solo un quinto dei disoccupati impiegava meno di tre mesi a trovare un lavoro, con la metà del totale che impiegava oltre un anno. Solo in Germania la velocità di uscita dalla disocupazione era più bassa. Naturalmente questi numeri vanno presi con cautela, perché possono cambiare rapidamente con le condizioni economiche e non sappiamo (io almeno non so) quanto la variazione da cinque anni prima rifletta cambiamenti nella struttura del mercato del lavoro o semplicemente il ciclo economico. La mia opinione è che riflettono soprattutto la struttura del mercato del lavoro. Ad esempio, la drastica riduzione dell'incidenza della disoccupazione oltre l'anno in Italia dal 2000 al 2005 (quasi 10 punti percentuali) è probabilmente dovuta alla diffusione dei contratti che vengono comunemente chiamati precari. Questi potrebbero aver ridotto l'incidenza di una particolare forma di precariato, cioé il restare disoccupati per più di un anno. Stessa cosa per l'eccezionale performance della Spagna, dove come in Italia si è creato negli ultimi 10 anni un mercato del lavoro duale (parte dell'occupazione è iper-protetta e parte è altamente flessibile). Qui però, a differenza dell'Italia, una prolungata espansione ha plausibilmente contribuito alla forte riduzione della durata della disoccupazione.

Questi dati suggeriscono quindi la mia prima congettura, basata sull'osservazione che il processo di creazione e occupazione dei posti di lavoro in Italia è più lento che altrove.

Congettura 1. l'Italia non uscirà dalla recessione prima degli altri più popolosi paesi europei, eccetto forse la Germania.

Prima o poi tutti si riprenderanno, naturalmente. Siamo usciti dalla grande depressione degli anni '30, volete che non usciamo da questa? A quel punto tutti si risveglieranno dall'incubo e saranno di nuovo sul trend. Anche l'Italia, con la differenza che noi saremo gli unici ad essere dentro un altro incubo. La figura sotto mostra la stima del trend (per i tecnici: HP su serie annuale Eurostat con smoothing di 6.25) del prodotto interno lordo reale pro-capite negli stessi cinque paesi. Questo può essere ragionevolmente interpretato come un indicatore dell'andamento di lungo periodo del tenore di vita di una popolazione.

 

Figura 1. Trend del PIL reale pro-capite, scala logaritmica

HP trend of real gdp per-capita, 1974-2008

La traiettoria dell'Italia è davvero sconfortante, perché il trend non dà segnali di vita dall'inizio del decennio. In altre parole, siamo gli unici tra i più popolosi paesi europei ad essere, forse, all'inizio di una stagnazione di lungo periodo: se per dieci anni la crescita reale pro-capite è zero o quasi c'è qualcosa di molto profondo che non va.

Questo suggerisce la mia seconda congettura.

Congettura 2. Dopo che sarà uscita dalla recessione, l'Italia sarà l'unico grande paese europeo ancora in stagnazione e quindi in declino relativo.

In Argentina il trend del PIL reale pro-capite si appiattì alla fine degli anni 60 e ancora non credo si sia ripreso, con un default nel frattempo. Tutto è possibile, e spesso anche probabile. Il problema che un governo serio, quando ne avremo uno, dovrà affrontare è come creare le condizioni per tornare a crescere ed evitare altri dieci anni di encefalogramma piatto.

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Commenti

Ci sono 109 commenti

Scusa Giulio, tu pensi che il problema è sulle "regole" di accesso al mercato del lavoro, e quindi sarebbe necessaria l'ennesima riforma, o è strutturale, ovvero manca sia una qualità nell'offerta di lavoro tale da far crescere quel dato del PIL pro-capite, sia una offerta di lavoratori qualificati ? (pongo alla base della mia domanda il corollario che le imprese espellano, in tempi di crisi, prima i lavoratori meno qualificati o meno produttivi).

O sei proprio pessimista: facciamo talmente pena in tanti settori che il dato sul mercato del lavoro è indice di un paese senza futuro ?

Domanda molto interessante, Marco. La letteratura sulla durata della disoccupazione e' vastissima (vedi google scholar) e sappiamo che sono molte le possibili cause del fenomeno, sia dal lato dell'offerta sia da quello della domanda di lavoro.

Dal lato dell'offerta la teoria (search theory) suggerisce che differenze in variabili come la durata e l'ammontare dei sussidi/assicurazione di disoccupazione sono candidati naturali per spiegare le differenze nella durata della disoccupazione. L'evidenza empirica conferma questa predizione, vedi qui per esempio. In generale, minore e' la differenza tra quello che si puo' guadagnare lavorando e non lavorando maggiore sara' la durata della disoccupazione. Quindi altre variabili potenzialmente importanti sono i livelli di tassazione del lavoro (di cui stiamo discutendo in altro post) e la struttura familiare (posso prendermela comoda se genitori o parenti mi mantengono), ad esempio. Importante e' anche il grado di mobilita' geografica del lavoro e dei posti di lavoro (se i disoccupati sono al sud e i posti di lavoro al nord e nessuno si sposta verso l'altro, la disoccupazione durera' piu' a lungo). Potrebbe anche essere, come suggerisci, che la qualita' di un lavoratore disoccupato si deteriori piu' rapidamente in certi paesi che in altri.

Dal lato della domanda e' indubbiamente importante, come suggerisco nel post, la regolamentazione del rapporto di lavoro. La possibilita' di utilizzare contratti flessibili (cioe' di assumere e licenziare con relativa facilita') favorisce la creazione di posti di lavoro e quindi, a parita' di altre condizioni, riduce la durata della disoccupazione.

E sto sicuramente tralasciando molti altre spiegazioni, inclusa l'efficienza del sistema di intermediazione per l'incontro di domanda e offerta.

 

 

Questi dati suggeriscono quindi la mia prima congettura, basata sull'osservazione che il processo di creazione e occupazione dei posti di lavoro in Italia è più lento che altrove.

 

A me non sembra che la congettura segua logicamente dai dati che mostri, anzi, si potrebbe argomentare esattamente il contrario. E' evidente che la riforma del mercato del lavoro abbia abbattuto in modo sostanziale la disoccupazione di lungo termine, che e' passata da oltre il 60% del 2000 a meno del 50% del 2007. Bisogna vedere quali sono i posti di lavoro che vengono distrutti al momento, in recessione. Io scommetterei che sono i lavori a contratto, seplicemente perche' e' meno costoso disrtuggerli. Se cio' e' vero allora, nell'ottica di un mercato del lavoro duale, le percentuali del 2008/2009 potrebbero essere anche piu' favorevoli al lavoro a termine, ovvero ci potrebbe essere ancora piu' dinamicita' nel mercato del lavoro. Sarei veramente curioso di vedere questi dati se ci sono. In sostanza, potrebbe essere vero che la parte dell'economia che ora risente di piu' della crisi possa anche essere quella parte "meno regolata" e che quindi potra' aggiustarsi ad una nuova dinamica di ripresa piu' in fretta.

Sono pero' d'accordo sulla visione pessimistica di lungo periodo. E' indubbio che l'Italia abbia avuto una non crescita negli ultimi anni, e non c'e' nulla che ci possa fare pensare che una volta che la ripresa c'e' non si riposizioni su quel trend.

Altro che piccoli germogli di ripresa, miglioramenti e derivata seconda positiva. Credo che per avere alcuni "green shoots" e' necessario "shooting Silvio's" governemnt.

Basta con le conigliette del premier...non se ne puo' più!

mgiannini.blogspot.com/2009/05/g8-summit-in-abruzzo-case-for-shooting.html

 

 

Ah ah ah eccolo qua, questa è l'esemplificazione di cos'è oggi la sinistra in Italia: avete presente il moccioso della vostra classe di scuola elementare che glielo diceva sempre alla maestra?

Noto che l'ultimo dato medio della disoccupazione in Italia (ed in UK) si riferisce al IV trimestre 2008 mentre in Francia, Germania e Spagna al I trimestre 2009, quindi il confronto risulta un poco zoppicante, dal momento che la situazione è, nel frattempo, peggiorata.

Però, il dato italiano - qualunque ne sia la motivazione - è migliore di altri ed in particolare di quello spagnolo, il che conferisce una base di partenza meno difficile. Inoltre, non so quanto più omogenei sul territorio siano i dati di altri (e mi piacerebbe averne notizia e capire l'influenza della cosa sulle prospettive di ripresa), ma la zona economicamente trainante del Paese presenta, ancor oggi, una situazione di sostanziale piena occupazione, che mi risulta anche per esperienza personale, avendo grande difficoltà a trovare personale, in Veneto, se non tra "lavoratori che non vogliono lavorare"

Ora, pur concordando sulla presenza di problemi strutturali che da molto tempo ostacolano lo sviluppo del Belpaese, non sono così convinto che la rapidità di adattamento sempre dimostrata da un sistema produttivo formato da una miriade di piccole e medie imprese sia un atout trascurabile. Certo, vanno potenziate le strutture patrimoniali ed incentivate forme di aggregazione - non necessariamente fusioni - con provvedimenti fiscali ad hoc (se mai Tremonti lo capirà .....), ma il piccolo capitalismo familiare di queste zone ha già, da tempo, capito che son finiti i tempi nei quali le aziende avevano il ruolo - incentivato dal tipo di tassazione - di "bancomat" per la proprietà.

Inoltre, da queste parti la componente di export è molto forte. Ciò significa che l'aggancio ad una ripresa di altri mercati sarà abbastanza naturale - così come oggi la caduta della domanda internazionale ha qui maggiori ripercussioni - fermo restando che l'intero sistema-Paese dev'essere reso più efficiente per non costituire quella grossa palla al piede che è ora.

Insomma, i dati che riporti - pur rigorosamente disaggregati, per essere più adeguati a descrivere la realtà - vanno anche interpretati alla luce di altri elementi ed io mantengo un certo ottimismo di fondo. Magari è il mio mestiere guardare avanti e crederci, ma la fiducia serve, anche se non basta ...... :-)

 

?

Non ho capito niente. Fatto il salvo che sei di buon umore e che la PMI ti sembra una grande figata (comprensibile la seconda e gradevole a conoscersi la prima) tutto il resto mi risulta oscuro.

In che senso il dato italiano è meglio dello spagnolo? Il PIL, da quanto mi risulta, è caduto più in Italia che in Spagna, dove negli ultimi anni cresceva al ritmo del 3% e più (mentre in Italia non cresceva). Il tasso di disoccupazione è cresciuto maggiormente in Spagna, è a questo che ti riferisci? Intendi dire: ora il criterio di successo è avere un tasso di disoccupazione inferiore a quello spagnolo? BTW, la Spagna ha un tasso di partecipazione alla forza lavoro di molto superiore all'italiano, quindi occorre aggiustare per questo fatto: se confronti il tasso di OCCUPAZIONE, anche quella classifica si inverte ...

Ma queste son quisquiglie, pinzillacchere. La domanda vera è: what's the point, ottimismo personale a parte?

 

Senti un po', Ivan, che colpa abbiamo noi se tu devi fare gli esperimenti?

Dobbiamo proprio sopportare tutto questo solo perché c'è la cosidetta libertà di parola?

Prima la cosa era comica, ok: abbiamo gradito. Ora è un po' noiosa, no?

 

Dov'è Ivan ?

Non luminosa, diciamo.

Il corteo (Foto Emmevi)

 

(Foto Emmevi, ripresa - senza commenti - dal Corriere della sera del 30/5/2009)

 

 

 

I rivoluzionari e l'italiano ... unitTi (ed ignoranti) si vince. Cosa si vinca lo sanno solo loro.

Yup, il peggio ha ancora da venire ...

 

Ma dai,

magari c'è uno scherzo dietro...magari sono sardi che vivono a Roma e mettono qualche consonante in più...

magari è l'Onda dell'analfabetismo di ritorno...

PER IL CONCILIO DI TRENTO, TROVATEVI UN BUON AVVOCATO:

 

 

<em>Al Festival dell'Economia di Trento un "tribunale" giudicherà gli studiosi
accusati di non aver seguito gli sviluppi della finanza e di aver così fallito le analisi
<em>

<em>Gli economisti alla sbarra
"Non hanno compreso la crisi"
<em>

 

 

 

 

 

Ero lì e devo dire che è stato divertente, sebbene fosse un po' scontata la comunanza d'intenti tra accusa e difesa nello smontare le accuse che le persone "disinformate dei fatti" e non perfettamente in buona fede normalmente rivolgono agli economisti, volgarmente (termine usato da Perotti) imputati di non aver previsto la crisi e di vivere nella loro torre eburnea.

Anche la colpa ritenuta reale dall'accusa, la disinformazione relativa ai cambiamenti intervenuti nel modo di operare della finanza (che ha impedito di valutare correttamente i fatti), pare piuttosto l'attribuzione della responsabilità ai gestori della finanza, essi stessi incapaci di comprendere fino in fondo le conseguenze del loro agire.

Quanto alla mancanza ufficiale di autocritica che avrebbe caratterizzato il mondo accademico, mi sembra corollario piuttosto veniale, pur se meritevole di menzione in un'ottica di futura maggiore credibilità.

In sintesi, credo che il processo odierno, in attesa dei prossimi (ai quali non potrò assistere) a carico dei veri responsabili - regolatori e finanzieri - avesse il duplice scopo di evitare che qualcuno sostenesse lo strabismo di organizzatori che fanno parte della categoria e di fare un po' di chiarezza rispetto alla distorta informazione economica dei media, spesso mediata da operatori incompetenti o interessati a riportare il punto di vista dello schieramento politico di riferimento.

Credo che, finchè non ci saranno dati attendibili sul PIL e sull'evasione a livello territoriale, anche le deduzioni che se ne potranno trarre saranno sbagliate (pure a livello aggregato).

A tal proposito un articolo interessante sul tema: http://stampa.comune.pisa.it/rassegna/Viewer.aspx?ID=2009053112898887

Al di là del fatto che la divisione per province dà una misura inevitabilmente grossolana, l'articolo de "La Stampa" non fa che convalidare, con una diversa modalità d'indagine, quanto già è noto - anche all'Agenzia delle Entrate, come è stato confermato dai vertici veneti in mia presenza - e che pure qui in nFA si è spesso evidenziato e discusso: il fenomeno dell'evasione fiscale acquisisce sempre maggiore rilevanza via via che ci si sposta verso Sud.

Purtroppo, esattamente il percorso inverso compie l'intensità dei controlli.

Articolo interessante, Moreno, grazie per la segnalazione. I diversi livelli di evasione nelle diverse aree del paese pero' non invalidano, di per se', le speculazioni che stiamo facendo. Per due ragioni.

Primo, la stima del PIL tiene gia' conto dell'evasione. Vedi ad esempio questa nota ISTAT, di cui riporto i passaggi salienti:

Tale componente [economia sommersa] è già compresa nella stima del prodotto interno lordo e negli aggregati economici diffusi correntemente dall’Istat [...]. La contabilità nazionale italiana, al pari di quella degli altri paesi dell’Unione Europea, segue gli schemi e le definizioni dell’ultima edizione del Sistema europeo dei conti (Sec95) che impongono di contabilizzare nel Pil anche l’economia non direttamente osservata. 

Secondo, se l'evasione nel Nordest fosse minima questo minimizzerebbe anche la distorsione nella stima dei tassi di crescita in quell'area, sui quali stiamo speculando.

Nel merito dell'articolo, anche se la mappa riproduce grossomodo quello che gia' sappiamo dalle stime dell''evasione, ho qualche dubbio sulla rilevanza degli indicatori. Il tasso di crescita dei depositi bancari, ad esempio, e' da un lato una misura relativa (se ho dieci euro in banca quest'anno e quindici il prossimo anno il mio deposito e' cresciuto del 50% ma sempre poveraccio sono) e dall'altro e' semmai una misura (inversa) di sofisticazione finanziaria. Sui litri di benzina, a Ragusa i trasporti pubblici sono peggiori che a Milano e quindi la gente sostituisce trasporto pubblico con trasporto privato. E cosi' via per gli altri indicatori.

The post-crisis data indicate that Italy is faring worse than the rest of Europe, except Germany. Moreover, the Italian economy entered a period of hardships and disappointing growth well before the mortgage crisis developed. This column argues that Italy cannot afford to postpone reforms if it wants to resume faster long-run growth.



Francesco Daveri su Vox

Un grazie a Cazzullo che ci segnala, invece, quali sono le questioni su cui vale la pena concentrarsi.

 

E non e' nemmeno in prima pagina; sul corriere in prima pagina ora c'e' questo

Ora, finalmente, abbiamo anche il logo a certificare gli argomenti del post: Magic Italy.

Incredibile come gli auto-nominatesi campioni del design del globo, riescano costantemente a creare  i peggiori loghi.

 

L'Italia con le sue famiglie poco indebitate alla fine della crisi si posizionerà peggio dei Paesi responsabili della finanza creativa

 

NfA prevede il futuro, ormai è certo.

Pensa, se ne è accorta anche la Conf-commercio! :-)

Nell'articolo che citi la parte più divertente è quella finale, che riporta gli sproloqui di Renato Brunetta:

 

BRUNETTA - Quella della Confcommercio è l'ultima in ordine di tempo di tante voci autorevoli che testimoniano l'aggravarsi della crisi nel nostro paese. Una tesi che però non trova d'accordo il governo. «In Italia non si percepisce crisi sociale. Checché ne dicano la Cei e Bagnasco, l'economia è una cosa, la Chiesa è un'altra» sottolinea il ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta in contrasto con le recenti affermazioni della Conferenza episcopale. «Loro possono avere una percezione di tante aree di sofferenza che magari si proiettano all'universo, va loro il mio rispetto per questa loro percezione, però non è una percezione proiettabile - ha detto ancora il ministro - in Italia non c'è crisi sociale perchè il sistema regge e tiene, perchè ci sono al momento 15 milioni di lavoratori dipendenti che tengono, il cui potere d'acquisto in questi ultimi 12 mesi o si è mantenuto o si è incrementato».

 

L'uomo è sempre stato un men che mediocre economista (credo sia l'ora di dirlo in pubblico: sta facendo troppi danni) ma oramai sta arrivando a livelli ridicoli.

Renato: stai zitto, smettila di far ridere il mondo facendo finta di sapere ciò che non sai, che non hai mai studiato o che, se hai provato a studiare, hai capito così-così. Il fatto che a Tor Vergata ti abbiano dato una cattedra per meriti politici (a Tor Vergata son sempre stati attenti a coprire l'intero arco parlamentare) non ti autorizza comunque a straparlare. Stai zitto e studia, Brunetta, studia. Te lo consigliò qualcuno a Venezia 33 anni fa, ed è ancora un consiglio molto attuale!

 

Nell'articolo linkato da moreno si legge anche, citato dal rapporto Confcommercio:

"nel 2010 avremo un prodotto lordo pro-capite inferiore a quello del 2001: in breve, avremo perso dieci anni di crescita economica"

E questi dieci anni di crescita sarebbero? Dai dati Istat calcolo la seguente tabella:

 crescita PIL realecrescita PIL reale pro-capite
20010.45%0.14%
2002-0.02%-0.79%
20031.53%0.54%
20040.55%-0.19%
20051.84%1.26%
20061.46%0.72%
cumulata 2001-20065.95%1.67%

Anche non considerando le variazioni di popolazione residente, come fa la Confcommercio, 6 anni di crescita reale sono il 6% in Italia: nessuna sorpresa che una recessione come quella corrente li spazzi via. Il problema e' esattamente che non si cresce.

Se guardiamo alla crescita pro-capite il dato e' ancora piu' deprimente, con un misero 1.67% nei sei anni dal 2001 al 2006. Se il PIL reale italiano fosse cresciuto alla media dell'area Euro nell stesso periodo (circa 1.8% all'anno), la crescita cumulata 2001-2006 sarebbe stata dell'11% anziche' del 6%, e ci sarebbero volute due recessioni come questa per riportarci al 2001.

I campi nei quali il nostro paese offre il meglio: collezione primati e produce talenti, anche in tempi di crisi (corriere di oggi)

"La nostra storia, la nostra identità nel mondo globalizzato, sono una carta vincente per continuare a puntare in alto, magari con una maggiore consapevolezza delle qualità che in Italia ci sono: non servono fughe in avanti; basta sviluppare e modernizzare molte delle cose che già sappiamo fare."

Domanda 1: queste indagini giornalistiche sulle eccellenze nazionali sono incomprimibili esplosioni di amor patrio o sono utili campagne? Se sono utili, chi ne trae vantaggio?

Domanda 2: quali sarebbero le eccellenze nascoste che ci vengono svelate dall'articolo?

Domanda 3: qualcuno mi descrive l'"idendità italiana"? E' l'industria del nord o il turismo delle coste del sud? E' il mare o sono le Alpi? Quale la sua cucina? Quale l'architettura? Sono un'eccezione io, o quello che riconosco come "mia identità" non è una generica "identità (italiana) nel mondo globalizzato" bensì una ben più radicata identità territoriale (od al massimo regionale)?

 

Right on the mark. La riflessione era lì che si cucinava, ma credo valga la pena di farla ora, in occasione del "G8 italiano" ...

c’è un Italia che colleziona primati e produce talenti

un Italia che va, che resiste

mi pare ci sia soprattutto un'Italia che non sa usare gli apostrofi :-)

 

Solo per curiosità ed amor di discussione - e senz'alcun intento polemico - mi piacerebbe leggere alcune opinioni in merito a quest'analisi della situazione spagnola, che mi pare estremamente pessimista, dati alla mano.

La netta impressione è di conferma delle non poche voci critiche relative alla tanto sbandierata crescita spagnola, che pare sia stata, in realtà, in buona parte fasulla. Beninteso, non mi interessa punto quella sorta di malcelata soddisfazione - una rivincita, direi - che può appartenere solo alla politica miope ma, a mio avviso, si conferma che la carenza di manifatturiero non può che essere un guaio. Da questo punto di vista, non ritenete che le prospettive italiane - pur con tutti i problemi strutturali che debbono, comunque, essere risolti per non ritrovarsi a crescere meno della media come avvenuto negli ultimi 15 anni - siano più credibili di quelle spagnole?

Dato che non risponde nessuno, dico la mia anche se molto ignorante della situazione spagnola.

Credo che alcuni paesi (come la Spagna) hanno avuto un boom and bust molto piu' accentuato di altri (come l'Italia). Questo pero' deve essere considerato a parte dal long-term trend. La Spagna e l'Irlanda hanno avuto una crescita vera negli ultimi vent'anni.

Ho l'impressione che si cerchi di mescolare il recente crollo (magari maggiore in altre economie) per screditare la crescita sostenuta che altri paesi sono riusciti ad attuare, per giustificare l'inerzia e incapacita' del contenitore Italia.

Condivido l'analisi di Lodovico. Alcune affermazioni che girano, specialmente in Italia e nel mondo bancario inglese - che da quello spagnolo ha (in questi anni) preso tante lezioni di stile ed anche tante legnate in affari - sono francamente ridicole. Non so sulla base di che cosa, se non delle chiacchere da bar, si possa scrivere che la crescita spagnola 1994-2007 è "in buona parte fasulla"!

Il PIL per capita spagnolo è uguale e superiore all'italiano, mentre 15 anni fa era poco più di due terzi del medesimo. Fatevene una ragione.

I fatti che il rapporto linkato indica sono, parzialmente, veri (ma vanno qualificati e sono un classico caso di statistica usata per confondere) ma ve ne sono altri di fatti, altrettanto veri e positivi.

Il vero problema spagnolo, oggi come oggi, è la reazione governativo-sindacale, che è stata pessima. Niente riforme, chieste da ogni lato, interventi "keynesiani" sbagliati, sperperoni ed inutili, ritardi nell'affrontare il tumore chiamato "cajas" (ma finalmente, grazie al governatore della Banca di Spagna, qualcosa si muove nella direzione giusta), niente riforma di ricerca ed università, niente riforma fiscale e delle pensioni, oltremodo necessarie. Suona come l'Italia? Esatto, suona come l'Italia ma non così male come l'Italia.

Da due decenni vado ripetendo ai miei amici spagnoli: state attenti soprattutto a non fare la fine dell'Italia. Oggi più che mai corrono quel rischio: di diventare la seconda Italia, di fare oggi gli errori che l'Italia ha fatto dalla metà degli anni '70 (e soprattutto '80) in poi. Vederemo come andrà a finire ma, per il momento, stanno ancora molto meglio ed hanno molte più chances di uscirne bene e con rinnovato vigore. Vedremo come va a finire. Nel frattempo un consiglio a tutti i patrioti italiani che continuano ad illudersi che il boom spagnolo fosse "fasullo": fatevene una ragione, era reale. Hanno un reddito per capita come il vostro e che, al momento, è caduto meno. A Madrid e Barcelona la movida (quella vera, non la sciocca scimiottatura italica) vive ancora e continuerà. L'invidia penis è una brutta cosa ...

Ma no, Michele, l'invidia proprio non mi appartiene. E, poi, io son talmente poco nazionalista, che nemmeno quella è una spiegazione .....

Ritengo, semplicemente, che non sia indifferente la modalità della crescita economica, come le differenti cadute di GDP sembrano indicare. Nemmeno sarei così certo ch'esse siano più facili da recuperare nel caso spagnolo, troppo concentrato sull'immobiliare: a me pare che la solidità nel tempo - ovviamente a parità di contesto socio-politico, senza dubbio più favorevole da quelle parti e sul quale qui si dovrebbe, finalmente, lavorar sodo - possa essere maggiormente garantita in presenza di un manifatturiero diffusamente presente. Posso sbagliare, ci mancherebbe, ma questa è la mia opinione.

Poi, se la Spagna si dovesse trovare sulla stessa china dell'Italia - cioè in direzione Argentina - vorrà dire che balleremo il tango ...... ma, magari, prima di quella conclusione riusciremo a cambiar qualcosa: si sa, toccare il fondo aiuta a risalire .... :-)

By Sonia Sirletti and Flavia Krause-Jackson

Sept. 4 (Bloomberg) -- Nouriel Roubini, the New York University professor who predicted the financial crisis, is pessimistic about the future of Italy’s economy.

“I’m concerned about the prospects for the Italian economy,” Roubini said in an interview in Cernobbio, Italy. “Unless economic reforms and structural reforms are undertaken at a faster rate, economic growth is going to remain low and problems with unemployment and the job market will remain serious.”

While Germany and France both expanded 0.3 percent in the second quarter, Italy’s economy shrank 0.5 percent, its fifth-straight quarterly contraction. The pace of growth of Europe’s fourth-biggest economy has lagged its peers in the euro-region for more than a decade. The country’s unemployment rate rose in the first quarter to the highest since 2005.