L’omertà delle brave persone: il caso dei professori universitari

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Coraggio e senso civico in Italia, si sa, non abbondano. Pochi si espongono con denunce precise e circostanziate, mentre sono frequenti le invettive generiche, alla Grillo. I professori universitari non sfuggono a questa regola. Perché?

Qualche giorno fa, Michele Boldrin ha scritto

Eppoi, fra gli ordinari ed associati, il problema NON sono solo quei pochi che vanno in parlamento o quei molti di più (stima nasometrica: media del 30-40% con facoltà dove si arriva al 60%) che, mentre fan finta di fare il professore universitario passano il 90% del loro tempo nel loro studio professionale (medico, commercialista, fiscalista, consulente aziendale, consulente marketing, consulente statistico, consulente strategico, ingegnere, architetto, avvocato, notaio, editore, dentista, membro del consiglio d'amministrazione di a, b, c, d, assessore, ...). Il problema son anche quei (pochi) che non fanno i deputati, non hanno il secondo lavoro e, magari, fanno anche un po' di ricerca e didattica seriamente.

 

Sai perché sono anche questi il problema? Perché sono omertosi. Perché non hanno mai, assolutamente mai, avuto il coraggio di esporre pubblicamente le magagne degli altri e chiedere meritocrazia. Non hanno mai avuto il coraggio di organizzarsi e dire: noi siamo i docenti universitari che fanno ricerca e didattica, quelli (nome, cognome, indirizzo) non fanno ricerca e didattica ma usano l'università per farsi gli affari privati. Vanno cacciati o vanno, per lo meno, messi in un ruolo DIVERSO dal nostro. Altro che buffonata del tempo parziale: adjuct professors o lecturers, si chiamano a casa mia. Prendono due lire, insegnano quel che devono insegnare e non contano nulla, nulla, nella vita del dipartimento. Il loro lavoro è un altro, in facoltà vengono ad arrottondare.

E invece no: da sempre tutti assolutamente zitti, allineati e coperti! Ecco, quella è la "colpa" politica di fondo dell'ordinario medio: l'omertà. Come sta accadendo, appunto, fra i ricercatori. Come è successo a Roma 3 con il caso Valeria Termini ... L'elenco è infinito, infinito.

Omertosi, questo sono gli ordinari (e gli associati, ed i ricercatori) italici. Altro che dente avvelenato. They fit perfectly in the country they belong.

 


Boldrin ha ragione. Gli universitari italiani sono omertosi. In questo post, tenterò di spiegare perché, partendo dall’ipotesi che (nella media) i professori siano esseri razionali e che quindi la loro omertà sia razionalmente motivata.

Innanzitutto, specifichiamo cosa si intende per “denuncia”. Non si tratta, genericamente di “chiedere meritocrazia”.  Quello si fa ogni giorno, salvo poi definire “meritocrazia” in maniera tale da portare vantaggio a se stessi o ai propri amici ed allievi. Si tratterebbe di invece elencare per nome e cognome i colleghi incapaci e/o fannulloni, portando anche qualche pezza di appoggio (es. X non ha pubblicato un articolo da dieci anni, Y si fa fare lezione dal ricercatore). Raccogliere le informazioni necessarie è possibile, ma costa in termini di fatica e di tempo sottratto ad altre attività, magari più piacevoli. Inoltre, una denuncia individuale sarebbe poco utile. L’autore avrebbe ottime probabilità di essere emarginato e considerato un pazzo senza essere preso sul serio. Infatti, i casi di denuncia pubblica personale sono rari e in genere riflettono profonde rivalità personali, spesso derivanti dall’esito sfavorevole di un concorso.

Non a caso, Michele parla di “coraggio di organizzarsi”, ipotizzando quindi un’azione collettiva da parte di un gruppo di docenti che “fanno anche un po' di ricerca e didattica seriamente” (quelli “bravi”). Perché non lo fanno? La risposta è semplice, anche se triste: non lo fanno perché non servirebbe a nulla, almeno con la legislazione vigente.

In  primo luogo, i poteri sanzionatori nei confronti dei professori inadempienti da parte degli organi accademici sono praticamente nulli. Al massimo il preside della facoltà può richiamare un professore che non mantiene i propri obblighi didattici – senza alcun effetto, salvo far arrabbiare il fannullone e non essere votato la volta successiva. Ancora peggio per l’attività scientifica: i professori sono legalmente tenuti a far ricerca, non a pubblicare i risultati. Quindi, un accusato, se gentile e in vena di collaborazione, può sempre rispondere che non ha pubblicato nulla da vent’anni perché sta lavorando ad un opus magnum che cambierà la disciplina. E’ impossibile provare il contrario.

La situazione potrebbe cambiare, se venisse approvata la legge Gelmini. Nella versione passata al Senato [art.6], introduce una sanzione individuale per i fannulloni, nella forma di blocco degli scatti di anzianità (a giudizio delle università) e/o di esclusione dalle commissioni di concorso (secondo giudizio dell’ANVUR). E’ facile prevedere che queste sanzioni saranno applicate a pochissimi sfortunati.  Sarà molto facile pubblicare qualcosa. Il barone fannullone si limiterà ad apporre la propria preziosa firma ai lavori dei suoi collaboratori (ricercatori, borsisti etc.), come già spesso fa. Chi non ha collaboratori, potrà mettersi d’accordo con qualche amico: io ti faccio firmare il mio articolo oggi e tu mi fai firmare il tuo domani. In ogni caso, definire standard minimi assoluti di produttività individuale è operazione molto delicata. Le voci che girano in proposito suggeriscono che il ministero pensa ad una definizione molto elastica di “pubblicazione scientifica”. Si parla di includere praticamente qualsiasi lavoro purché stampato da riviste o case editrici riconosciute, comprese quelle locali, magari sponsorizzate dall’università stessa (o pagate con i soldi dei fondi di ricerca). Personalmente, ho qualche dubbio sull’utilità di costringere persone incapaci di pubblicare in sedi adeguate a scrivere qualcosa solo per soddisfare un requisito minimo. Sarei addirittura contrario a sacrificare preziosi alberi per produrre la carta necessaria. D’altra parte, introdurre criteri più stringenti solleverebbe delicati problemi di valutazione.

Consideriamo un caso concreto, Emiliano Brancaccio, l’animatore della famosa lettera degli economisti. Il suo sito, http://www.emilianobrancaccio.it/ricerca/, elenca una serie di pubblicazioni negli ultimi tre anni – due articoli su riviste in lingua inglese (a me sconosciute), un capitolo di libro pubblicato da una rispettabile casa editrice inglese, due articoli su riviste italiane ed un working paper. Sicuramente, Emiliano Brancaccio sarebbe definito uno studioso produttivo secondo gli standards ministeriali. Sono altrettanto sicuro che Michele Boldrin avrebbe fortissime obiezioni a valutare queste pubblicazioni come lavori scientifici.

L’organizzazione del sindacato dei “bravi” sarebbe comunque difficile, anche se le sanzioni individuali per i fannulloni fossero effettivamente efficaci. Quali vantaggi potrebbe avere un ordinario “bravo” a partecipare all’iniziativa? A legislazione vigente, quasi nessuno. Una volta vinta la cattedra, il suo stipendio è pre-determinato fino alla pensione. Certo, un’azione efficace contro i fannulloni aumenterebbe il prestigio del suo ateneo e dell’università italiana nel suo complesso, e quindi anche il suo status sociale. Ma in questo caso, si pone un evidente problema di free riding: se il vantaggio è collettivo ed indiretto, perché un singolo professore dovrebbe darsi da fare? Inoltre, i “bravi” si attirerebbero l’odio dei colleghi fannulloni, con un netto peggioramento della qualità della vita collettiva. I “bravi” potrebbero avere un vantaggio personale solo se le sanzioni contemplassero il licenziamento o la degradazione dei fannulloni ad “adjuct professor”, una sanzione estrema ed assolutamente non contemplata nella discussione attuale. In tal caso, infatti, potrebbero liberarsi risorse per assumere altri colleghi. Per gli ordinari, il vantaggio sarebbe indiretto: potrebbero  far assumere i propri allievi (tutti “bravi” per definizione). Per associati e ricercatori il vantaggio potrebbe essere più diretto in quanto si aprirebbero spazi per promozione interne. Ma una denuncia pubblica comporterebbe gravi rischi per la propria carriera se la pratica non si concludesse con il licenziamento dell’accusato. Infine, anche in questo caso, si porrebbe un problema di free-riding: nessuno dei “bravi” avrebbe infatti la sicurezza di poter gestire le risorse liberate.

Quindi, il comportamento auspicato da Boldrin è, allo stato delle cose, irrazionale e sarebbe frutto di un afflato di indignazione morale. Potrebbe diventare razionale se cambiassero gli incentivi. La nuova legge in teoria fa un passo decisivo in questa direzione, l’unico aspetto positivo di un provvedimento altrimenti molto discutibile ed orrendamente pasticciato. Infatti crea un incentivo diretto al controllo sociale attraverso l’attribuzione di una quota dei finanziamenti totali dell’università sulla base della produttività scientifica. Si noti che la sanzione sarebbe collettiva e comparativa, non individuale e basata su requisiti minimi. Non si tratterebbe più di valutare personalmente Brancaccio ma il suo dipartimento in confronto con altri dipartimenti e quindi, implicitamente, di affermare che il lavori di Brancaccio, pur “scientifici”, sono peggiori di quelli di Giavazzi. Quindi, la presenza di fannulloni danneggerebbe direttamente i “bravi”. Al minimo, ridurrebbe le risorse disponibili per nuove assunzioni, acquisto attrezzature etc... In casi più gravi, potrebbe addirittura mettere in pericolo il pagamento degli stipendi di tutti, se la percentuale dei finanziamenti dipendenti dalla produttività scientifica fosse elevata.

Il senatore Possa, ex compagno di banco di Berlusconi ed un tempo professore a contratto al Politecnico di Milano, aveva proposto un ridicolo limite massimo del 3%. Nella versione approvata dal Senato, si stabilisce un limite massimo del 10% complessivo. E’ poco, ma non pochissimo: potrebbe comportare una riduzione anche molto consistente del finanziamento delle università peggiori se la varianza degli indici di qualità fosse sufficientemente ampia. Tutto dipende però dai criteri di valutazione. Sta attualmente iniziando il secondo round del VQR (Valutazione della qualità della ricerca, 2004-2008) e si aspetta il mitico ANVUR. Non sono molto ottimista, ma per ora, piuttosto che niente, meglio piuttosto.

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Commenti

Ci sono 119 commenti

Boldrin ha ragione.

Be', stavolta no. Segue dimostrazione.

Io faccio il ricercatore a Bologna. Qualche mese fa i ricercatori a Bologna (e altrove) si sono mobilitati contro il disegno di legge Gelmini. Particolare preoccupazione destava la figura dei ricercatori a tempo determinato, detti anche "3+3". Come spiegava il Sole 24 Ore:

I contratti hanno durata triennale e possono essere rinnovati una sola volta, di altri 3 anni. Dopo i 6 anni di contratto, se il ricercatore ha lavorato bene, sarà confermato dall'ateneo, a tempo indeterminato, con il grado di professore associato. In caso contrario, terminerà il rapporto con l'università, maturando, però, dei titoli utili per i concorsi pubblici. La norma ricorda che il trattamento economico spettante ai ricercatori a tempo determinato è pari al trattamento iniziale spettante al ricercatore confermato a tempo pieno, incrementato del 20 per cento. 

Cosa c'e' in questo che disturbava i ricercatori a tempo indeterminato? Ovvio: il fatto che mentre loro per diventare associati devono sostenere un concorso (con tutta l'incertezza e la lentezza del caso: per dare un'idea, i concorsi banditi nel 2008 dopo diversi anni si stanno svolgendo adesso), i nuovi ricercatori a tempo determinato lo diventerebbero (a condizione che ci siano i requisiti, stabiliti a priori, in termini di pubblicazioni) per decisione della propria universita': niente concorsi, niente lungaggini, una procedure "tenure-track" di tipo anglosassone.

Sorvolo sull'insensatezza di questa norma in assenza di meccanismi che leghino i finanziamenti a un'universita' alla valutazione del lavoro delle persone che quell'universita' decide di assumere o promuovere. Il punto interessante e' che i ricercatori a tempo indeterminato si sentono scavalcati e questo e' inconcepibile in questo paese per vecchi dove una fondamentale componente del merito pare essere l'anzianita', il tempo speso in fila ad aspettare che venga il proprio turno alla promozione.

Questo si sentiva dire nelle assemblee dei ricercatori: noi siamo stati qui anni ad insegnare un sacco di corsi ogni anno (un ricercatore ha carico didattico obbligatorio nullo, come il nome "ricercatore" suggerisce), tappando i buchi per tenere a galla le facolta'. E ora ci trattate cosi'? Vogliamo, come minimo, che siano banditi contestulmente all'introduzione dei ricercatori a tempo determinato un numero sufficiente di concorsi da associato a garantire di fatto una promozione ope legis a tutti (o quasi) noi che abbiamo acquisito il merito di un'attesa piena di didattica -- non lo si diceva in questi termini espliciti ma questa e' la sostanza.

A me e altri tre colleghi (Elena Argentesi, Matteo Lippi Bruni, e Paolo Vanin) questa e' parsa cosa assurda, folllia pura. E non siamo stati omertosi, per niente. Siamo andati all'ennessima assemblea per dire che se bisognava fare una battaglia bisognava farla per il merito scientifico e non per difendere privilegi, e che (sostanzialmente) ci siamo rotti i coglioni di rivendicazioni che non abbiano come primo criterio quanto, cosa, dove hai pubblicato.

Essendo impossibile parlare in quelle assemblee abbiamo scritto una lettera di dissenso e di controproposta che abbiamo inviato a tutti i nostro colleghi della facolta' di economia e ai rappresentanti dei ricercatori dell'ateneo (che c'hanno ignorato e non poteva essere altrimenti).

Ve la mando se la volete, ma e' piuttosto banale. Si riassume cosi': per fare dell'universita' italiana un luogo di "eccellenza" e' necessario (e spesso sufficiente) selezionare e promuovere ricercatori e docenti in base a rigorosi criteri di merito nell'attivita' scientifica. Quindi va rigettato ogni automatismo nella progressione delle carriere e ogni confusione tra "merito" di un ricercatore e attivita' didattica svolta o peggio ancora anzianita'. L'idea di riservare "quote" per la promozione dei ricercatori a tempo indeterminato e' quindi marcia e rivelatrice di una mentalita' marcia. Proponevamo poi di coalizzarci per tagliare la testa al toro, chiedendo di:

 

  • aumentare la quota di finanziamenti che vanno alle università in base alla valutazione della produzione scientifica dei singoli, mantenendo una periodica valutazione della stessa in base a standard internazionali (gli stessi per tutte le università).
  • fissare dei requisiti minimi nazionali di produttività scientifica per la promozione ad associato e ordinario, coerenti con gli standard internazionali utilizzati per la valutazione.
  • prevedere una carriera separata per i "lecturers", quelli che preferiscono fare didattica piuttosto che ricerca.

 

 

Io personalmente volevo aggiungere la proposta di "scelta di regime" in modo che nessun ricercatore a tempo indeterminato si senta discriminato, ma non ho trovato consenso. L'idea e' semplice: i vecchi ricercatori hanno il vantaggio del posto fisso. Quelli a tempo determinato hanno salari piu' alti e carriera piu' snella (be', fino ad associato) come nella tenure track, ma non hanno garanzia del posto. Consentiamo allora ai primi che si sentono discriminati di rinunciare, chi vuole, alla garanzia del posto in cambio dei vantaggi degli altri che sarebbero la causa della discriminazione. Chiaro no? Indovinate cosa ci farebbe l'assemblea dei ricercatori con quest'ultima proposta.

La morale e' che non tutti i ricercatori sono omertosi, allineati e coperti. Queste cose io e altri continueremo a dirle ogni volta che ce ne sara' l'occasione.

Se questo andra' a nostro discapito in Italia emigreremo anche noi, che le lingue le conosciamo. No problemo.

 

Giulio, io contento come una pasqua di essere contraddetto in questi casi, specialmente se la contraddizione è dovuta ad un controesempio.

Ma, al momento, quanto racconti conferma purtroppo la mia stima "nasometrica". Vedremo se altri si aggregherano.

Mi domando, infine: com'è che non hai riprodotto qui la lettera ed usato nFA come strumento di propaganda e raccolta adesioni? Siete sempre in tempo per farlo, ovviamente.

 

Sono totalmente d'accordo, al mille per mille, mi hai tolto le parole di bocca.

Complimenti, ottima iniziativa.

Aggiungo che la riforma della semi-tenure 3+3 potrebbe funzionare, ma solo se ci sono per davvero i soldi per confermare i meritevoli dopo 6 anni e se i criteri di valutazione del merito saranno ben fatti.

Giulio, alcune osservazioni e domande (con un po' di ritardo...).

Dici:

 

Cosa c'e' in questo che disturbava i ricercatori a tempo indeterminato? Ovvio: il fatto che mentre loro per diventare associati devono sostenere un concorso (con tutta l'incertezza e la lentezza del caso: per dare un'idea, i concorsi banditi nel 2008 dopo diversi anni si stanno svolgendo adesso), i nuovi ricercatori a tempo determinato lo diventerebbero (a condizione che ci siano i requisiti, stabiliti a priori, in termini di pubblicazioni) per decisione della propria universita': niente concorsi, niente lungaggini, una procedure "tenure-track" di tipo anglosassone

 

Non dubito che ciò possa essere vero per alcuni (molti?). A me personalmente però disturba il fatto che nel testo del ddl licenziato dal Senato non vi sia (o almeno, io non vi abbia trovato) alcuna indicazione riguardo l'obbligo di accantonare i fondi necesserari per l'assunzione, in qualità di associati, dei ricercatori TD che risultassero corrispondenti ai desiderata della facoltà e/o ai (vaghi) requisiti ministeriali. Concorderai che, così come è scritta, questa norma definisce una fattispecie alquanto distante dalla tenure-track, o sbaglio?

La (proposta di) riforma appare poi ai miei occhi addirittura "schizofrenica" quando pretende di coniugare questo (vago) concetto di meritrocrazia e di valorizzazione della ricerca condotta su standard internazionali con i seguenti meccanismi di attribuzione dei fondi (cito dal testo del ddl):

 

4. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, lettera d), il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

[...]

o) attribuzione di una quota non superiore al 3 per cento del fondo di finanziamento ordinario delle Università correlata a meccanismi di valutazione elaborati da parte dell'ANVUR.

 

Mi pare un po' blando come incentivo ad assumere brillanti ricercatori...

Sulla base della lettera del ddl dunque, non mi sembra proprio che la protesta dei ricercatori sia da biasimare tout court. L'evidenza di cui dispongo (puramente aneddotica, si badi) testimonia inoltre che a mobilitarsi sono proprio quelli che questo mestiere lo fanno con riconosciuto successo: a Roma le manifestazioni di dissenso più forte si sono avute soprattutto nei dipartimenti di Fisica, di Matematica e di Chimica. In questi dipartimenti, indicati da molti con l'abusata espressione di centri di eccellenza, l'adesione al blocco della didattica ha rasentato il 100%! Possibile che alla base di tutto ci sia il fatto che:

 

i ricercatori a tempo indeterminato si sentono scavalcati[?]

 

ne dubito...

PS: ho letto della notizia delle "ritorsioni" del tuo ateneo verso i ricercatori dissenzienti, volevo sapere se avevi qualche novità in proposito.

 

Grande Giulio

ottima iniziativa ed ottima soprattutto l'idea del cambio di regime. quella sempice regoletta mette a nudo le contraddizioni dei ricercatori a tempo indeterminato. pubblica subito e fai circolare la lettera. Troverai altre sponde fuori da Bologna. te lo dice un rtd. (ricercatore tempo determinato ex-legge moratti)

Anch'io sono convinto che si tratti di un'ottima idea e appoggio senza riserve la vostra posizione. Solo che riguarda un problema diverso, la progressione di carriera di alcuni gruppi di docenti. Se volete ne parliamo e riesumo il mio post sulla storia dei concorsi in Italia, mai pubblicato. Ma il mio testo si riferiva alla possibilità, auspicata da Boldrin, di criticare e, possibilmente far punire, professori (possibilmente ordinari, altrimenti non c'è gusto) fannulloni. Tale critica non può che essere su base individuale (il prof X ruba lo stipendio perchè non pubblica e sta tutto il giorno nel suo studio a ricevere pazienti).

PS Giulio, mi ricordo che una volta, nel lontano 1978 o 1979, fui quasi linciato in un'assemblea di precari per aver sostenuto l'opportunità di un filtro qualitativo prima dell'assunzione indiscriminata di tutti i precari

PPS i ricercatori fecero una battaglia accesa per avere il diritto di insegnare, che fu loro riconosciuto solo nel 1990, dieci anni dopo l'istituzione del ruolo. Ora mi sembra ipocrita dire che devono fare solo ricerca

lo faro'.

e ti scrivero' per farti un po' di domande, giusto per essere sicuro di aver capito come funzionate voi altri :-)

Credo che la mia storia sia piuttosto tipica. Quando meritavo l'ordinariato (secondo il mio giudizio) ero Ricercatore, quando non lo meritavo più (per ragioni ovvie) ho vinto il “concorso di prima fascia". Il mio curriculum rimaneva ancora relativamente importante (secondo il mio giudizio) ma c'era un'evidente interruzione negli ultimi anni. 

Io non ho mai avuto il coraggio (la voglia sì) di tentare un'iniziativa come quella suggerita da Michele Boldrin, anche perché ero certo che non avrebbe sortito alcun effetto se non quello di danneggiare non solo la mia “carriera” ma anche la mia attività di ricerca.

Tuttavia, poco prima del mio pensionamento (per malattia) un giornalista che conosceva le mie tendenze da “cattivo picciotto” mi ha chiesto di abbozzare una valutazione dell'attività scientifica dei miei colleghi, alcuni dei quali erano a conoscenza dell’iniziativa e la approvavano.

Io mi sono dichiarato disponibile ad aiutarlo solo nel caso in cui avesse avuto l’intenzione di lanciare una “campagna” sull’argomento. Lui mi ha assicurato che sì e io ho cominciato con il fornirgli la somma degli impact factor e delle citazioni di ciascun docente della mia disciplina nella mia facoltà, me compreso.

L'ho avvertito che una "classifica" stilata un questo modo aveva i suoi difetti ma che il risultato era piuttosto aderente a quelle che erano le mie valutazioni personali.

Il risultato è stato un singolo articolo che è caduto nel disinteresse più generale della disciplina, della città, dell'Ordine, dell’Ateneo, della Facoltà e perfino del mio Dipartimento. Nessuna reazione, da parte di nessuno, inclusi i colleghi interessati, e il giornalista è scomparso. Mi sembra che un risultato analogamente deludente l’abbia ottenuto perfino Roberto Perotti, che si è occupato dell’argomento con molto maggiore impegno e autorevolezza di me.

Non è soltanto l’Università che respinge qualunque seria valutazione di merito, è l’intera società italiana, ed è per questo che quanto suggerisce Michele non potrebbe avere alcuna possibilità di successo se non, forse, con una campagna guidata sistematicamente da “emigrati” eccellenti come i redattori di noisefromamerika.

 

Non viene menzionato, con riferimento ai professori assenteisti, il fatto che la verifica dell' attività didattica viene effettuata tramite la tenuta di un registro che viene riempito dal docente senza possibilità pratica di controllo sulla sua veridicità. Ci si ricorda ancora a Pisa il caso di un docente residente altrove che chiese il registro al capo bidello a giugno per poterlo riempire, senza che nessuno l'avesse mai visto prima. Dato che il capo bidello era autorevole il registro glielo rifiutò... Tenuto conto che è rimasto a lungo in carriera evidentemente qualcuno il registro glielo deve aver dato (e tenuto per buono). E poi c' è la differenza fra osservare e verificare. C' era a Pisa un docente non residente, in tutt' altre faccende affaccendato, che, affrontato da colleghi non omertosi rispose: se vi permettete di dichiarare alcunchè vi denuncio per calunnia. Al che i colleghi non omertosi fecero immediatamente marcia indietro. Indipendentemente dall' esito possibile dell' azione giudiziaria il risultato immediato era la necessità di affrontare i costi ingenti dell' assistenza di un avvocato penalista, cosa che sicuramente non preoccupava il docente assenteista in quanto molto ricco di famiglia. In genere la struttura degli incentivi implica un chiaro vantaggio per la soluzione di laissez faire, laissez passer. Poniamo, ad esempio le commissioni di conferma. Se la commissione conferma qualcuno (cosa che corrisponde alla regola, indipendentemente dai meriti o demeriti del candidato) assolutamente nessuno si lamenta: non c' è nessuno che ha il compito di difendere l' interesse pubblico, tranne i commissari stessi. Ma nel caso che esercitino effettivamente la loro funzione e sconfermino qualcuno ritenuto immeritevole, apriti cielo, interventi irati dei suoi protettori e amici, ricorsi su ricorsi al Tar, in genere ben disposto verso i ricorrenti, noie e fastidi a non finire e e anche rischi giudiziari in caso di faux pas. In genere questo può essere generalizzato nei confronti di qualsiasi azione repressiva da parte delle autorita (presidi, direttori di dipartimento) preposti teoricamente a far osservare la disciplina. Se esercitano effettivamente i loro poteri disciplinari vanno incontro a noie a non finire, se non li esercitano vivono tranquilli e contenti. In parte l' omertà dipende dal costume, in parte invece dalla natura delle norme e degli incentivi.

In parte l' omertà dipende dal costume, in parte invece dalla natura delle norme e degli incentivi.

Questo e' vero, Alberto, ma non credo che questo spieghi le peculiarita' italiane. Voglio dire: norme e incentivi in Itallia per le cose che descrivi sono del tutto simili a quelli che ci sono in altre parti del mondo.

Uno puo' essere denunciato per calunnia in molti altri paesi: questo fatto non e' sufficiente a generare omerta'. Peraltro se uno riporta un fatto oggettivo cos'ha da temere? Se e' per il costo dell'avvocato, un avvocato d'ufficio va benissimo contro una denuncia pretestuosa.

Stessa cosa per le conferme. In tutte le universita' del mondo chi non da' conferma/tenure si attira la malevolenza del candidato e va incontro a possibili ricorsi. Eppure questo sembra generare conferme-farsa solo da noi.

 

Un intero articolo mosso dall'esclusiva finalità di tentare una scaramuccia (imbarazzante) con il principale artefice della lapide granitica apposta sulla scombussolata lettera contro i cento economisti (di cui non faccio parte, per togliere dubbi maliziosi sul mio intervento).

Niente male.

Cerchiamo di capirci, perchè dai fatti ai misfatti il passo pare essere più lungo della gamba. Brancaccio (il cui lavoro ho iniziato a seguire anche in virtù della divertente e micidiale risposta al vostro intervento brancaleonico sulla lettera di cui sopra) inserisce sul proprio sito alcune pubblicazioni senza ulteriore finalità dalla seguente: inserire sul proprio sito delle pubblicazioni. Da qui ad attribuirgli sedicenti (e seducenti) secondi fini che dovrebbero comprovare la tesi dell'articolo si raggiunge l'esasperazione metafisica.

Certo, ogni singola parola dell'articolo sembra plasmata sul fatidico "non volevo dire quello", ma in tal caso passeremmo dalla squallida malizia alla pura inettitudine logica: Brancaccio chiamato in causa così perchè ci piace.

Immaginando il supremo machiavellismo retorico dell'articoletto, data l'arditezza intellettuale, frutto del genio assortito di un conclave cerebrale, vorrei complimentarmi con suddetto sinedrio per l'eccellente opera informativa e l'irraggiungibile tenore accademico del post, perfettamente capace di spiegare (suo malgrado) i molteplici guasti che affliggono l'animale intellettuale italiano da circa duemila e trecento anni.

Continuate così, siete un ottimo caso di studio.

 

PS: non sono un docente universitario e guadagno uno stipendio sufficiente a farmi ipocritamente sentire in pace con il mondo.

frutto del genio assortito di un conclave cerebrale, vorrei complimentarmi con suddetto sinedrio

Gli autori degli articoli sono i soli responsabili di quello che scrivono, e' bene ricordarlo.

Cerchiamo di capirci, allora. Per ogni Brancaccio che pubblica 5 articoli l'anno pieni di logica incoerente, ce ne sono 100 che pubblicano zero in 15 anni. Zero articoli scientifici, zero articoli di giornale, zero posts su lavoce.info o altrove. Magari l'esempio è stato scelto male, ma questo era il senso del post, a mio parere. 

Arpazo, devi scusarmi ma sono persona limitata e non ho capito assolutamente qual è il tuo punto. Potresti spiegarmelo, se hai un po' di tempo, con parole semplici? Sono particolarmente curioso di sapere cosa è successo 2300 anni fa e come mi ha influenzato. Ma, ripeto, parole semplici per favore, che sono un povero di spirito.

 

Rispondo in ordine sparso nella speranza di evitare incomprensioni, sotterfugi, gabole.

Chiariamoci: il mio post nasceva dalla volontà di esporre una dovuta puntualizzazione, imprescindibile per una serie di ragioni. Prima di tutto, il contesto in cui questo post è maturato non è "neutrale": lo scrivo non tanto per chi è intervenuto fino ad ora, ma per chi potrebbe avventurarsi per la prima volta. Secondo, questa piattaforma, nonostante le pretese implicite di informale imparzialità, trae origine da presupposti ideologici dichiarati a piè sospinto ed è tuttaltro che imparziale. Ho usato l'espressione imparziale scientificità con la precisa volontà di evidenziare una contraddizione in termini più volte osservata nelle mie letture raminghe da queste parti. Perchè scientificità? Perchè gli articoli hanno l'ambizione di risultare oggettivi (altrimenti, perchè scrivere?). Ho apprezzato alcuni interessanti articoli (di solito provenienti dalla penna di Zanella), ma in genere, quando vedo sostituirsi all'ironia e alla causticità lo sbrodolamento eristico di chi ha finalità non dichiarate, mi indigno.

Delle due l'una: o si sceglie la via delle chiacchere da bar, dichiarandole come tali, o si persegue la strada dell'onestà. Capisco che la politica (italianissima, con buona pace dei nostri emigrati salterini) del cerchiobottismo sia la più conveniente, sempre, ma la scanzonatura ha un valore nel momento in cui assume su di se la responsabilità delle proprie azioni.

Detto questo, liquiderei in due parole la parentesi che avevo aperto (e chiuso) col primo messaggio. Come ho appena scritto, questa piattaforma non è neutrale, così come i plausibili moventi dell'articolo. Se tutto ciò fosse dichiarato apertamente non avrei scomodato questi dieci minuti del mio tempo per un messaggio che può essere accolto con una scrollata di spalle, o magari, come un invito ad una maggiore franchezza nell'uso che si fa della retorica, perchè, ripeto, spacciare attraverso un'immagine (artificiale) di oggettività un'idea personale (e in questo caso tutt'altro che inoffensiva) è una frode.

Mi è stato chiesto come fanno duemila anni di italianità a riversarsi in questa piccola questione. Risponderei (attraverso un esempio relativamente recente) con la polemica Orsi-Muratori- Beaubourg (1650), se il punto non fosse stato, nella mia iniziale volontà, una semplice coloritura. Esempi lì appresso ne troviamo in tutto il settecento (classicisti cattolici vs romantici nazionalisti). Per tornare (molto) indietro, ci sono Simmaco e Ambrogio. Ovviamente sono solo un paio di nomi nel mare magno che ha modellato la nostra meravigliosa lingua cortigiana, tanto abile in un ben determinato tipo di sottigliezza.

ave

Come autore del post posso confermare che di Brancaccio non me ne frega niente. Io volevo rispondere ad una domanda, mi sembra, più importante: perchè i professori (mediamente) bravi non si ribellano e denunciano il comportamento dei fannulloni?  La domanda mi sembra importante perchè se lo facessero, l'università italiana potrebbe essre molto migliore. Io sostengo che non lo fanno perchè le regole disincentivano la denuncia.

PS contrariamente a quanto sembra dalla discussione, io non sono "Federico" (nome?) ma "giovanni Federico" (nome e cognome).

PPS sarebbe opportuno che NESSUNO usasse psedudonimi o abbrevazionai

 

Guarda, è inutile tentare una difesa per quella via. Chi nulla sa di te, di Boldrin, di Bisin, di Brancaccio, o molto più facilmente, di economia, dal tuo pezzo ha imparato una sola cosa: B. è un poveraccio vestito di pezze che non meriterebbe neppure di possedere (o perchè tuffato in un dipartimento di fannulloni, o perchè, molto più semplicemente, stando alle tue parole, colpevole di scrivere articoli che michele boldrin difficilmente riterrebbe scientifici), e questo poveraccio sfigura non contro un generico titano della razza economa, bensì contro tale Giavazzi, ben noto per il preciso taglio accademico dei propri articoli.

Suvvia...

L'ha già detto Giovanni Federico, quindi forse è superfluo ribatterlo. Ma lo faccio lo stesso.

1) Mi rendo conto che per gente che vive in un mondo di complotti sia impossibile anche solo concepire che altri non complottino, ma ne' Giovanni ne' io complottiamo. L'articolo è a firma Giovanni Federico, Giovanni l'ha scritto in totale autonomia, punto. L'esempio l'ha scelto lui, buono o cattivo che sia. Fine.

2) Da tempo evito di perdere tempo con anonimi, specialmente quanto mestano nel torbido. Non ho nessuna intenzione di cambiare approccio.

Arpazo è così imbecille che non ha neppure capito che l'esempio era FAVOREVOLE a Brancaccio

Grazie per la rapidissima comparsata, dunque.

Sarebbe comunque un'ottima idea evitare di accoppiare lo sbeffeggiamento dei complottisti con la richiesta perentoria dei nomi e dei cognomi dei partecipanti alla discussione.

Le due cose stridono dolorosamente

Credo Giovanni abbia ragione: chiunque si celi dietro ad "Arpazo" è così denso che non capisce nemmeno quello che legge, almeno non in questa istanza.

Ad ogni modo, no matter.

Passo e chiudo: la Dibona alla Torre di Falzarego è molto più interessante di un labile anonimo, e devo svegliarmi prestino.

Immagino comprenderai le angustie di un ingenuo lettore: se infastidito da un uso raggirante della cattiva retorica mi ritrovo per giunta assediato dall'attitudine debolmente avvelenata di un bambino a cui hanno rotto la macchinina, mi sento in diritto di sollevare l'(ovvia) obiezione che è stata al più in grado di produrre affannosi tentativi di correzione dei vari messaggi. Poi, se uno vuole leggersi qualche (buon) confezionamento di livore e impotenza si volge piuttosto a Lotario di Segni o Bono Giamboni.

Senza dubbio, avendo trascorso metà vita a studiare con riconosciuta soddisfazione testi appena più intensi di questo prodigio, mi è preclusa la possibilità di comprenderne l'ardita trama interiore, la cui efficacia, evidentemente, è degna di altre maestose figlie di Polinnia presenti in giro per il sito.

Per chi intende: di Anselmo d'Aosta ne è bastato uno (a proposito dei carteggi di cui mi si chiedeva sarcasticamente esemplificazione), il mondo ne sta ridendo ancora oggi.

Probabilmente, più che domandare il codice fiscale dei vari utenti, sarebbe utile impedire la modifica maldestra dei post ed avvisare i malcapitati lettori degli intenti pretestuosi di vari articol con un bel tag aggiuntivo, "frustrazione". Ve ne fu uno in proposito tempo addietro di Bisin che mi infastidì al pari di questo, ma se non altro la rabbia era tanto cocente da obbligare l'autore ad una dichiarazione di intenti.

 

Per il resto, augurissimi per la (ancor latitante) risposta a B. e compagni(a), che immagino non sia ancora stata pubblicata per ragioni di tempo e virilità assortita.

 

Ovviamente tutto questo detto con un docile sorriso sulle labbra.

 

Ad usum Boldrini et Foederici: tale Arpazo altri non e' che uno stantio imitatore del gia' triste Geminello Alvi piu' volte quivi sbeffeggiato, sbugiardato ed uccellato. Sue iniziali sono FP.

 

 

Giovanni Federico, è una fortuna che tu dica di avere una grandissima fiducia te. Magari sarà talmente alta che non ti rendi conto che stai cadendo nel ridicolo. 

Prima scrivi un post in cui scegli come esempio uno dei migliori eterodossi italiani al chiaro scopo di mettere sotto tutta la categoria dei ricercatori eterodossi in Italia. Il tuo post era un chiaro avvertimento, in stile Capone: ''attenti, giovani ricercatori: potete studiare Sraffa anche con la massima serietà al posto di RBC, ma se lo fate noi vi segheremo''.

Che grande avvertimento! che dimostrazione di sensibilità verso la libera ricerca!

Poi però vedi che le reazioni al tuo post non sono delle migliori, forse ti rendi conto di essere entrato come un elefante in una cristalleria, e quindi scrivi che di Brancaccio non te ne frega niente. Che significa, che il suo nome era capitato nel tuo post li' per caso? Incredibile. Addirittura adesso inizi a tirare fuori il repertorio comico, scrivendo che il tuo esempio era ''favorevole'' a Brancaccio e dunque alle sorti accademiche di tutti i giovani eterodossi italiani.... Ma che gentilezza, da parte tua...! grazie davvero!!!! spero proprio di incontrarti un giorno per farti i complimenti dal vivo per questo balletto: un passo avanti e tre indietro.

Lasciamo perdere questa storia, che davvero è stata poco edificante per tutta la redazione di NFA. 

Piuttosto, aspetto con interesse la risposta di Boldrin a Brancaccio e agli altri eterodossi (Cesaratto, Stirati, Leon, ecc.). Forse Boldrin ritarda perché sarà stato costretto a studiarsi tutto il dibattito su Hahn per inventarsi qualche via di uscita dopo essere stato colto impreparato su Sraffa. Di sicuro Boldrin sarà un ottimo esempio per i suoi adepti: la sua vicenda sarà un monito per chi pensa in futuro di risolvere la complessa disputa tra ortodossi ed eterodossi essendo capace solo di biascicare livorosamente la parola ''boiate'', e illudendosi che l'immonda RBC sia davvero roba ''scientifica''. L'approssimazione di Boldrin crea i vari Giovanni Federico all'arrembaggio, questa è la verità.

Francesco Mauro

(se volete metto pure il numero di carta d'identità, così se mi beccate a un concorso mi segate più facilmente)

  

 

Francesco, ti ripeto la domanda; e la ripeto senza tono polemico. Ma con tutto 'sto livore che ce vieni a fa' qui su nFA?

E ripeto anche che se tanto odi Boldrin sul piano scientifico, e' proprio su quel piano che lo devi combattere. Non frasi tipo "l'immonda RBC" o "L'approssimazione di Boldrin", ma - se la hai - scienza. Metti il link a qualche articolo o libro. Possibilmente non alla roba di Brancaccio che, per quanto sia forse buona (non entro nel merito qui), di certo ha ben poco di scientifico (e lo dico da scienziato).

Ma li leggete i post?

Passo e chiudo con l'ultima informazione. Io sono professore di Storia Economica a Lettere (Pisa) e quindi non ho alcuna influenza sui concorsi italiani di Economia. E non ho alcuna interesse per i loro esiti. Io sarei interessato al miglioramento della situazione dell'università italiana e ritengo sia utile discutere delle regole che la governano. Se voi siete interessati ad un dibattito su questo, bene. Portate idee e proposte. Altrimenti, pensatela come volete

L'articolo di Federico è senz'altro self-consistent, mentre questa crociata combattuta a colpi di "eterodossia" e di "scientificità" sa di fuffa. L'esempio portato su Brancaccio calza a pennello perché si tratta di un semplice ricercatore (attaccare un proprio pari, un ordinario, è molto più "costoso"), che appartiene a un altro raggruppamento disciplinare (meglio non crearsi nemici nel proprio) e lavora in un ateneo lontano (perché avvelenarsi la vita nel luogo in cui si lavora?). Insomma, se si voleva una dimostrazione palese del perché tutti - eterodossi e neoclassici, bravi e scarsoni - tirano a campare, l'articolo di Federico è da mettere in cornice.

Da non economista, e da persona sicuramente povera di spirito ma pratica, a ma sembra chiara la situazione. Esiste un gruppo di studiosi che ha elaborato una linea di pensiero a partire da una matrice ideologica marxiana. Tale consesso si distingue per una certa combattività, ed ha un qualche impatto nelle discussioni politico-economiche italiote, mentre non pare avere una grande visibilità internazionale. Sembrerebbe probabile - se non si vuole ipotizzare un complotto - che l'accademia globale non dia grande valore a tale linea di ricerca. Inoltre - sempre da profano con indole pratica e deformazione mentale da studi scientifici - devo rimarcare di non aver visto dati a supporto delle conclusioni esposte da coloro che si definiscono eterodossi, mentre ne ho visti parecchi che paiono confutarne le tesi. La circostanza mi spinge a pensare che non sia utile un confronto, perché gli approcci dei due schieramenti sono affatto opposti: da un lato dati, dall'altro magniloquenza, talvolta anche sofisticata ma senza riscontri fattuali. Ciascuno ha, ovviamente, diritto di pensarla come crede, ma contese di questo tipo mi sembrano una perdita di tempo. Sempre tenendo conto, peraltro, che ci poteva anche stare una risposta al manifesto ideologico - intitolato, un poco presuntuosamente, "lettera degli economisti", come se fosse di tutti gli economisti - pubblicato sul Sole24ore a cura delll'ignorante parolaio che purtroppo lo dirige, ancora non per molto.

 

Il tuo non è un problema di povertà di spirito. Semplicemente non leggi.

Per esempio guarda qui: http://www.ofce.sciences-po.fr/pdf/dtravail/WP2010-13.pdf. Ce ne sono caterve di economisti, anche mainstream, che mettono in un modo o nell'altro la crisi in rapporto a fenomeni di sperequazione. Fitoussi e Stiglitz sono tra i mainstream che sono andati più vicini alla tesi della ''Lettera degli economisti''. Ma ce ne sono tantissimi altri.

La cosa ottima di questi dibattiti su NFA è che scopriamo che gli ortodossi molto spesso ignorano. Secondo me la ragione è semplice: sono talmente intruppati nelle logiche IF della citazione sulla citazione della citazione, che alla fine perdono di vista l'obiettivo vero di un ricercatore: quello di ''ri-cercare'', appunto, senza pregiudizi né condizionamenti.  

Se c'è qualcosa di veramente ideologico che ha prevalso in questi anni, è la logica da intruppamento nei processi di formazione dei giovani economisti ortodossi. Per fortuna sono molti i dipartimenti, in Europa e negli USA, che hanno saputo mantenere un profilo di indipendenza tenendo alto il livello della ricerca. Ma questo l'uomo ''pratico'' Franz non lo sa. L'uomo pratico ha solo la mano salda sul portafoglio e la croce a portata di mano, per difendersi dagli eretici marxisti che lo circondano. Non è colpa sua. Qui ci sono un sacco di studiosi ''professionisti'' che si comportano allo stesso modo. Hanno ancora tanto da imparare. Ne vedremo delle belle.

  

A me sembrano affermazioni piuttosto presupponenti.

Ci sono ragioni ben precise del perchè questo gruppo che tu chiami marxista, ma di cui solo alcuni si dichiarano marxisti (e non per mascherarsi), non costituisce un mainstream a livello internazionale. Sono ben dibattuti in un bel libro di Luigi Pasinetti uscito da poco in Italia per laterza "Keynes e i keynesiani di Cambridge".

Quanto alla discussione in corso, per meglio illustrare le cosiddette posizioni eterodosse (ma sono intervistati anche Boeri, Becattini, Ciocca) "Il capitalismo invecchia? Sei domande agli economisti" della Manifestolibri. Giusto per farsi un'idea e parlare con più cognizione di causa.

Mi voglio intromettere anch'io con una facezia.

Avevo letto questo articolo poco dopo la pubblicazione con solamente l'ottimo intervento di Giulio Zanella e mi era parso normale, anzi, abbastanza interessante per l'approccio e forse solo l'esempio con Brancaccio da calibrare meglio (non entro nei meriti della polemica, diciamo che io l'avrei evitato in quella forma ma non conta).

Ritorno dopo qualche giorno soprattutto per vedere gli sviluppi e trovo sto sfracello per cui mi sentirei di candidare l'articolo per il titolo di miglior articolo andato a put... ehm, donne di facili costumi :-)

P.s serio: Spero vivamente che Giulio voglia rendere pubblica la lettera; non sono direttamente interessato, ho detto no grazie ad un dottorato certo dopo aver visto come funzionava, ma continuo a seguire con passione le vicende universitarie.

"Emiliano Brancaccio [...] elenca una serie di pubblicazioni negli ultimi tre anni – due articoli su riviste in lingua inglese (a me sconosciute), un capitolo di libro pubblicato da una rispettabile casa editrice inglese, due articoli su riviste italiane ed un working paper. Sicuramente, Emiliano Brancaccio sarebbe definito uno studioso produttivo secondo gli standards ministeriali. Sono altrettanto sicuro che Michele Boldrin avrebbe fortissime obiezioni a valutare queste pubblicazioni come lavori scientifici."

La cosa più comica dell'articolo è che l'avvelenata la si manda con l'ombrello del Lord protettore. Non si dice che l'autore avrebbe da ridire, ma che Boldrin forse avrebbe da ridire, come a dire "Non prendetevela con me, io sono un ambasciatore".

Mah...

 

Boldrin viene citato in quanto rappresentante autorevole della parte avversa, cui certamente non fa parte Federico essendo egli uno storico economico.

Federico, a parer mio, benissimo ha fatto ad utilizzare l'esempio di Boldrin/Brancaccio: i due si erano gia' scontrati confrontando la rispettiva produzione scientifica ed era CHIARAMENTE emersa la superiorita' di Boldrin. Chi non riconosce questo, o mente o e' ignorante. TERTIUM NON DATUR, cari miei.

Avesse Federico utilizzato altri esempi, qui non ancora citati/trattati, allora si' sarebbe stato scorretto.

FINIAMOLA con QUESTO STUCCHEVOLE DIBATTITO e ANDIAMO alla SOSTANZA dell'INTERVENTO che invece e' CHIARO ed INTELLEGGIBILE.

Sarebbe stato meglio che Federico avesse fatto un esempio attinente alla sua materia, allora.

Invece no. Perchè ? Facendo questa riferimento "ad fallum" (da Tizio al posto di Caio perchè Sempronio intenda), tutto l'interesse sull'articolo in sé è come...svaporato.

Scusate, ma davvero questo confronto ideologico non lo si regge piu'. Ho chiesto piu' volte a Francesco di cercare di porre le sue critiche sul piano scientifico ma non mi sembra mi abbia voluto ascoltare, lasciando il tutto (e come lui i vari Arpazo, Italo e compagnia) su un piano di bieca polemica politica da osteria, con uso di tanti aggettivi la cui presenza, da sola, dovrebbe mostrare che si ha ragione. Non che le risposte siano state chissa' quanto diverse (con l'eccezione di alcuni, tipo DrFranz, subito tacitato dalla maleducazione degli altri).

Per favore, tutti, smettetela di insultarvi gratuitamente. Il dibattito puo' essere acceso quanto vi pare, ma cercate di dibattere, non state li' solo ad insultarvi. Non sono un redattore di nFA ed i redattori mi perdoneranno un intervento del genere, spero. Sono solo un professionista che legge (e talvolta scrive su) nFA perche' in genere c'e' roba sensata ed interessante da leggere, tanto negli articoli quanto nei commenti, scritta da gente in gamba. Questa discussione e' deprimente e dovrebbe esserlo per la maggioranza delle persone che vi partecipano.

Si, questa discussione e' deprimente, ma (per il momento) non c'e' nulla da fare. Mi pare che chi vuol discutere di contenuti e idee anziche' ringhiare, infatti, non stia partecipando. Ricordo le regole:

 

Ogni articolo puo' essere commentato liberamente dai lettori registrati e collegati al sito. I commenti vengono immediatamente pubblicati senza alcuna forma di "controllo". Vorremmo fare il possibile per evitare personalismi, insulti, e baruffe chiozzote piu' in generale. Non servono a nulla e non divertono quasi nessuno. Vorremmo essere un sito dove si discute rigorosamente di idee e fatti, non di questioni personali.

Non ci piace censurare, ma ci riserviamo il diritto di farlo in quei casi estremi in cui un commento possa apparire puramente ad-personam, senza nessun altro contenuto che, appunto, il mettere in evidenza una caratteristica specifica, positiva o negativa, d'un individuo determinato.

 

In questa discussione siamo ormai borderline e se necessario queste regole saranno fatte rispettare senza alcun (ulteriore) preavviso.

 

Mi rivolgo, ovviamente, a quel sottoinsieme di persone che qui ci viene per discutere seriamente e non per polemizzare e combattere battaglie ideologiche di nessun valore.

Lascerei stare. Per svariate ragioni:

- Il livello di questa discussione mi sembra imbarazzante. Non mi frega molto d'avere il mio cognome tirato in mezzo, ma questa cosa è insensata. Ancor più insensata è questa gara fra un pseudo-boldrin ed un pseudo-brancaccio trasformati in "paladini" di non si capisce bene quali grandi teorie. Tutte cazzate, a cui sospetto i titolari originali dei cognomi non siano per nulla interessati; per lo meno, io proprio non lo sono.

- Questa indegna gazzarra ha oscurato sia il tema del post, che era interessante, sia ciò che i primi commenti avevano fatto trasparire, ossia la possibilità di un'iniziativa autonoma di ricercatori che facesse proposte serie ed attuabili di modificazione del provvedimento Gelmini. Spero che questa parte, che era una cosa buona e utile, si possa recuperare da un altro lato con un post ad hoc.

- L'esempio che Giovanni ha utilizzato era forse, con il senno di poi di cui son piene le fosse, mal scelto perché era da aspettarsi che l'associazione dei due cognomi avrebbe scatenato la canea dei complottisti. Così è successo, ma la cosa mi fa veramente sorridere: io quando l'ho letto l'ho preso come una leggera presa in giro del sottoscritto e delle sue (mie) rigidezze intellettuali qua barone potenziale. Dice che, per i criteri italiani, il giovane è probabilmente al di sopra della media mentre il vecchio, nel giudicarlo, storcerebbe il naso. Sottolineava, così, il carattere totalmente soggettivo dell'idea di poter costruire "meritocrazia" sulla base di commissioni che fanno valutazioni pseudo-obiettive, dove ovviamente il pregiudizio ideologico e personale rischia sempre di prevalere. Non era un invito a confrontare i due CV, anche per la semplice ragione che io avrò almeno 10 forse 15 anni più dell'altra persona. Il che, ovviamente, si adegua all'esempio nel senso che sarebbe il barone-ordinario (io) a dover giudicare del giovane e brillante ricercatore che fa cose diverse dalle sue (quell'altro). Ma, evidentemente, un certo senso dell'ironia è meno diffuso di quanto l'autore dell'articolo e la redazione di nFA pensasse. Ah, proprio per questa ragione ho evitato di usare i due cognomi in questa parte del commento, proprio perché la questione nulla ha a che fare con i due soggetti reali i cui cognomi vengono utilizzati come esempio. Che poi qualche malato di complottismo non ci ricavi sopra diosolosa quale altra polemica inutile.

Bene, lezione appresa e le lezioni sono sempre utili. Ora diamoci un taglio che, quando gli si dà corda, i perdigiorno in vena di dire boiate vengono come le mosche alla merda.

 

Per quanto mi riguarda, ti invitavo solo a rispondere all'accusa di essere seguace di Prescott che mi pare alquanto ingenerosa e che lo stesso Brancaccio ti aveva originalmente rivolto (dopo aver sottolineato molto sibillinamente uno iato sul tuo cv rispetto a quando scrivevi "cose profonde", pero' (nesso avversativo nel ragionamento di Brancaccio) con il "contributo decisivo" di Montrucchio).

poiche' questa cosa gira e ri-gira nel sito, mi sembrava doverosa una tua precisazione.

Come, peraltro, preciserei il punto sulla critica di Hahn, che si continua a sottolineare che tu ignori.

Siccome tutti qui conosciamo la tua statura intellettuale (anche in quanto storico del pensiero, non me ne volere, "involontario"), non lascerei queste armi spuntate all'avversario.

Ma, sia ben chiaro, rispetto tue decisioni.

Benito

 

 

Dato che il capo bidello era autorevole ...

 

La figura del capo-bidello e soprattutto la sua autorevolezza, evocate da Alberto Chilosi, mi hanno ricordato l'insolita importanza di tali personaggi nell'università italiana. Credo che molti fra i frequentatori di noiseFromAmeriKa potrebbero raccontare le storie di questi individui. Anzi, benché del tutto fuori tema in questa sede, mi prendo una licenza, dato il periodo estivo, e vi propongo di raccontarci i "vostri" bidelli ;-))

A Firenze (Giurisprudenza) c'era tale Francesco, fonte di informazioni precisissime per tutti gli studenti e riferimento sicuro per i docenti; quando andò in pensione lo sbandamento nel flusso informativo fu visibile. Mentre a Scienze Politiche c'era il bidello Alfio, soggetto entrato a buon diritto nella mitologia del "Cesare Alfieri": quando morì, credo che l'intero corpo docente, preside in testa, abbia partecipato ai funerali; a suo tempo, se uno avesse voluto contattare Spadolini, credo fosse il canale migliore.

Ma all'estero esitono figure di questo genere? Io fuori d'Italia ho avuto esperienza solo di alcune facoltà di giurisprudenza in Germania: lì c'era lo "Hausmeister", che aveva una sua autorevolezza nel controllo dei luoghi, ma quelli che ho incrociato non si sarebbero mai permessi di intromettersi nelle questioni didattiche/di studio. Un ruolo di rilievo, semmai, lo avevano le segretarie "storiche" dei dipartimenti (a cui tutti comunque si rivolgevano con l'appellativo "Frau" + cognome, senza scadere nell'italianissimo classismo per cui i docenti/assistenti/ricercatori sono tutti prof e dott + cognome, mentre segretrie e bidelli sono signor/signora + nome di battesimo ... ma questa è un'altra questione), informatissime sull'organizzazione didattica e fidate "consigliere" per laureandi e dottorandi.

Bella, mi ci riconosco. Ca' Foscari era piena di bidelli: ce n'erano sempre mezza dozzina o più a fumare e chiaccherare all'entrata del palazzo principale. Gli altri apparivano a tarda sera per impedirti di studiare o di assistere ad una lezione oltre una certa ora ... erano tantissimi, tutti vestiti di grigio.

Ventisette anni fa, dopo qualche settimana da graduate student alla University of Rochester mi resi conto che mancava qualcosa in quell'università e non riuscivo a capire COSA. Tutto funzionava, i professori venivano a lezione ed erano in ufficio, cosa che a Ca' Foscari succedeva raramente, le aule erano pulite, le lavagne nere ed il gesso abbondante, i servizi perfetti, i cessi pulitissimi, tutto in ordine, una cosa splendida. Eppure mancava qualcosa ed io non capivo cosa fosse.

A turni alterni, per vari giorni, nei momenti di pausa (che erano pochi) fra una classe, un compito per casa (ah, i compiti per casa a 27 anni: lo shock iniziale fu mostruoso ...) mi chiedevo: ma cos'è che non c'è a UofR che invece c'era a Ca' Foscari? Cos'è?

Finalmente arrivò la risposta: non c'erano i bidelli! Non c'era, assolutamente, alcun bidello, zero bidelli! Eppure tutto funzionava perfettamente bene, anzi infinitamente meglio. Però: ZERO BIDELLI!

Allora, finalmente e per la prima volta, un lampo di luce mi illuminò: si vive meglio senza bidelli. E JMK perse parecchi punti nella mia personale classifica di quelli che avevano capito qualcosa di utile.