La nuova trasparenza targata Madia. La timida mimesi del "freedom of information act"

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Va in porto il primo atto della riforma Madia: è entrato in vigore il primo decreto attuativo di riforma di diritto all’accesso civico del cittadino - ex d.lgs. n. 33 del 2013 - sugli atti non secretati delle pubbliche amministrazioni (ulteriori a quelli per i quali già le norme fissano un obbligo di pubblicazione). Un istituto generalizzato che farebbe delle amministrazioni pubbliche, nelle migliori intenzioni dei propugnatori, una casa di vetro in cui nulla va riposto nel cassetto a fronte di una richiesta del comune cittadino o di associazioni per la tutela di interessi diffusi. Il modello è il FOIA – l’ormai cinquantenne Freedom of information act statunitense – cui il decreto Madia pare guardare con ammirazione e, nei fatti, con una mal celata diffidenza.

Va dato atto al governo di averci provato e di aver recepito i suggerimenti che la società civile aveva mosso al primo schema di decreto, ancor più timido e poco innovativo in punto di conoscibilità degli atti della pubblica amministrazione. Forse ancora qualcosa in più poteva essere fatto. Il decreto interviene sull’apparato normativo regolante l’accesso civico – il d. lgs. n. 33 del 2013 -, più simbolicamente caratterizzato dai bisogni di trasparenza del cittadino in confronto alla norma sull’accesso agli atti dell’amministrazione di chi già detiene un interesse qualificato – la l. n. 241 del 1990 -. I rispettivi ambiti applicativi finiscono per sovrapporsi, finendo probabilmente per svuotare la seconda norma a vantaggio della prima, il cui esercizio appare sin d’ora più agevole, se non altro perché non richiede alcuna motivazione a fondare la richiesta.

Se il cittadino è l’eletto beneficiario del decreto il cerchio, tuttavia, non si chiude. Come di sovente capita il legislatore prefigura con nuovi strumenti un istituto amministrativo e permane evasivo sulla responsabilità a carico del funzionario che quella norma non attua, di fatto mutilando l’interesse alla buona esecuzione della norma. Non mancano argomenti ostativi all’accesso alla pubblica amministrazione che non vuol scoprire le carte di quanto accade al proprio interno. Ai sensi dell’art. 5 bis d. lgs. n. 33 cit. può essere negato l’accesso quando l’atto riguarda la sicurezza pubblica e nazionale, la difesa e questioni militari, le relazioni internazionali e vicende penalmente rilevanti – il requisito pare però essere sostanziale e non formale, cioè l’avvenuta apertura di un procedimento penale. Il che lascia un forte margine di discrezionalità all'amministrazione. Nel caso in cui le carte richieste riguardino l’attività ispettiva interna l’accesso è parimenti negato – con provvedimento espresso e motivato, escludendo l’operatività del silenzio/diniego, la conquista più significativa del decreto. Fin qui potrebbe starci, anche se il “regolare svolgimento delle attività ispettive” finisce per includere un po’ tutto quanto possa interessare il cittadino attento a verificare comportamenti sospetti di funzionari, dirigenti e politici fra le mura amministrative – si pensi ai rimborsi spese -. Compresi quelli che dettano più scalpore fra le cronache nazionali.

Va riconosciuto lo sforzo in un ambito, quello delle pubbliche amministrazioni, in cui le prassi interne tendono ad anestetizzare quanto di nuovo si introduce. Qualcosa in più, però, poteva esser fatto. Ad ostare alla richiesta di accesso del cittadino stanno anche esigenze di privacy di terzi – che vanno previamente avvertiti -, di fatto impedendo di poterci vedere chiaro su vicende attinenti a fumosi rapporti dei funzionari con altri cittadini. Ad esempio, in caso di interessi convergenti pubblici e privati. La partita privacy contro trasparenza dei pubblici poteri pare, insomma, risolversi a favore della prima, visto il richiamo tout court alla normativa del T.U. n. 196 del 2003. Ostano all’accesso agli atti anche le esigenze di libertà e di segretezza della corrispondenza e di tutela degli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica a contatto con la pubblica amministrazione, di fatto calando il sipario su quanto economicamente rilevante in punto di servizi economici offerti dagli enti pubblici ove, più semplicemente, si annidano ipotesi di malaffare su cui vuol posarsi l’occhio del cittadino attento – si pensi alle offerte e alle condizioni pervenute a seguito dell’emissione di un bando per l’aggiudicazione di servizi e lavori pubblici -. Anche le esigenze di politica economica e finanziaria dello Stato ostano all’accesso civico, di fatto una coltre oscura fra il cittadino e le informazioni sensibili di Ministeri, Authority ed enti deputati alla vigilanza ed alla gestione delle cose dell’economia nazionale. Sugli affari piccoli e grandi dell’economia nazionale, insomma, il nuovo accesso civico mostra più di un pudore. Spetterà all’ANAC di Raffaele Cantone (per ora) – l’autorità nazionale anti-corruzione –, definiti dalla legge i (generosi) paletti, fissare le linee guida per comprendere cosa e quanto non ostensibile. Ci si augura prospetti una versione minimalista delle eccezioni all’accesso, che riesca a contenere l’area di discrezionalità che il decreto Madia pare concedere al funzionario/dirigente. Si tratterà tuttavia di norma secondaria destinata a soccombere ad altri interessi giuridicamente fondati nelle norme primarie di legge, quindi priva di un vigore cogente più forte.

Vi è altro. Quel che manca a questo primo decreto che, se mal attuato nelle regolazioni secondarie e nelle prassi applicative, finirà per produrre più danni alla trasparenza che giovamenti, sta l’assenza di un regime sanzionatorio a carico di chi prende in carica la richiesta di accesso del cittadino negando la visura dei documenti richiesti. Nulla di nuovo sotto il sole. Spesso il legislatore si fa bello quando fa la norma, si scorda poi di blindarne l’esecuzione. E si sa, è la sanzione a fare il comportamento, la sanzione debole determina l’affievolimento del diritto prescritto. S’è ampliato il novero delle notizie che se non pubblicate conducono alla sanzione pecuniaria specifica nei confronti del dirigente e del responsabile del procedimento – v. il nuovo art. 47 del d. lgs. n. 33 cit. in punto di dati sugli emolumenti del personale e di pagamenti delle pubbliche amministrazioni -. In altri casi la sanzione permane generica e soffusa e non fa paura all’attempato responsabile del procedimento – v. l’art. 46 del d. lgs cit. -. La violazione degli obblighi di trasparenza costituisce mero elemento (sic!) di valutazione della responsabilità dirigenziale, il cui regime normativo non ha mai brillato per speditezza e forza dissuasiva dei comportamenti illeciti – l’effettività della sanzione -. Tutt’altro che un fucile spianato in capo al funzionario. La sanzione potrebbe rientrare dalla porta di servizio. Il funzionario potrebbe rispondere delle spese legali occorse all’ente per difendersi inutilmente in giudizio dalla pretesa di accesso del cittadino che avesse adito il giudice amministrativo, ottenendo ragione. Un’ipotesi però remota, che sconta i passi lenti della magistratura contabile ogni qual volta va a verificare un danno alle casse pubbliche da parte del funzionario in caso di liti temerarie. Insomma, le calende greche potrebbero arrivare prima.

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Commenti

Ci sono 4 commenti

In realtà la legge prevede una via alternativa, una sorta di reclamo al difensore civico, se presente - comunque a raggio limitato, l'art. 5, nel solo caso di accesso per atti di Regioni ed enti locali  -, che sente il garante Privacy (a riprova di quanto la privacy conti per l'istituto, in senso ostativo, e che pare prevalere su altri interessi). Qualcosa è, ma il legislatore sembra non voler spingere sull'accelatore. Poi c'è il processo amministrativo, che per essere incardinato richiede contributo unificato (a che mi risulta non sono previste esenzioni) e la spesa di un amministrativista, che poca roba non è. Abbastanza per scoraggiare un toro. 

Qualcosa di più poteva essere fatto, certamente. Ormai tutto passa per via informatica nelle pubbliche amministrazioni, bastava rendere più intellegibili quelle informazioni.

sto cercando di sapere dal sindaco del mio comune, 3000 abitanti quindi non esattamente una metropoli, i risultati del primo anno di raccolta differenziata porta a porta. Nessuna risposta e nessun dato sul sito del comune e dire che dovrebbe essere motivo di orgoglio per l'amministrazione, non oso pensarese si chiedesse qualcosa di cui l'amministrazione si dovesse vergognare.

Si pero' nell' ambito di un FOIA mi pare che gli unici errori che si potevano fare li hanno fatti: dare discrezionalità all' ente e poche o nulle conseguenze per inadempienza... L' errore che forse non hanno commesso è quello relativo all' eccessiva burocrazia necessaria per la richiesta, ma sono sempre pronto ad essere smentito...

Detto questo sarebbe interessante accedere ai contratti di project financing...

 

Abbiamo fatto ancora un piccolo (e secondo me timido) passo in avanti nell'attuazione di un FOIA italiano (inteso nello spirito americano in cui la P.A. deve essere una casa di vetro ). Non mi voglia male il legislatore ma i motivi per cui molte persone non ricorrono contro la P.A., anche per un "semplice" accesso agli atti sono molteplici:
i) elevato costo di un ricorso contro il silenzio dell'amministrazione ( le spese giudiziaria, anche in caso vengono addebitate alla P.A. devono prima essere anticipate dal richiedente )
ii) mancanza di un "mediatore" che metta nelle stesse condizioni di valutazione P.A. e cittadino (attualmente se un'istanza viene rigettata l'unica possibilità è il processo amministrativo, basterebbe un potenziamento della figura del difensore civico)
iii)scarso uso della sezione "amministrazione trasparente" in molti enti che invece andrebbe enormemente potenziata nella parte inerente gli appalti inserendo ad esempio tutti gli atti endoprocedimentali (Progetti, validazione, Stati di avanzamento lavori, contabilità di cantiere ecc.). Questo non comporta un aggravio da parte dei lavori del RUP perchè i documenti adesso sono digitalizzati. Adesso invece c'è un semplice elenco sintetico che ha poco di utile.

Se si vuole diminuire la corruzione l'arma più potente è la trasparenza