Lo stop alla riforma Gelmini

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Si ferma la riforma Gelmini. Nulla di male (anzi!), se questo stop offrirà l’occasione per accogliere qualche suggerimento e per qualche correzione di rotta. Certo però che la dialettica politica in Italia non smette di stupire.

L’opposizione all’attuale governo ha fortemente premuto e il presidente Fini ha accettato lo slittamento dal 4 al 14 ottobre della presentazione in aula alla Camera della riforma Gelmini. La discussione in aula sarebbe stata troppo sacrificata, causa l’avvio il giorno successivo della sessione di bilancio. No a baratti legge-finanziamenti: questi sono stati gli argomenti vincenti della pressione del presidente dei deputati PD Franceschini all’interno della conferenza dei capigruppo di Montecitorio. L’ampio fronte di consenso alla riforma si è naturalmente subito risentito. La CRUI si è molto dispiaciuta. La stampa ritenuta più qualificata, in particolare il quotidiano vicino a Confindustria, ha espresso analogo rammarico. In effetti, data la disponibilità di un solo giorno dell’aula, la riforma non sarà approvata e i tempi di approvazione slittano a un futuro incerto.

Avendo sollevato molti dubbi sulla forza innovativa di questa riforma (si veda qui e qui) e avendo sottolineato i nuovi pericoli a cui essa apre la strada, considero questo stop un’occasione guadagnata, non un’occasione persa. Coltivare grandi speranze sull’occasione guadagnata è difficile, considerati la storia e l’iter della riforma, ma oggettivamente una ulteriore possibilità di denunciarne i limiti e di suggerire miglioramenti si è creata.

Ma, ciò che colpisce sempre è lo spettacolo della politica italiana. Le idee e i progetti di legge che l’opposizione ha espresso in tema di università non sono affatto distanti da questa riforma. La documentazione dell’iter parlamentare e il varo del testo del Senato lo mostrano chiaramente (con un suggello di particolare significato: “le università – si legge all’art 1 del testo uscito dal Senato – sono luogo di apprendimento ed elaborazione critica delle conoscenze...”). Del resto poi, il responsabile PD Università e Ricerca, nel festeggiare il “bel giorno per l’università italiana”, avanza solo e ancora la vera, unica richiesta dell’opposizione: “prima il parlamento decida di passare dalle parole ai fatti, con l’attribuzione di risorse adeguate nel bilancio dello Stato…”. Insomma, viene un sospetto, malizioso. Non sarà che l’opposizione, la quale condivide l’impianto della riforma, salvo poi votarle contro, frena la riforma perché vuole impedire ciò che sarebbe considerato un successo del governo?

Naturalmente nessuno può dirlo, e non vale la pena insistere oltre sul gioco delle parti, sempre dominante nella nostra politica. Una preoccupazione emerge d’altro lato anche dalle dichiarazioni del ministro. Esprimendo il proprio disappunto, ella ha sottolineato la possibilità di un emendamento alla riforma che offra una soluzione ai ricercatori. Si tratta di un particolare stanziamento per concorsi di professore associato, a favore degli attuali ricercatori. Sicuramente tanta gente validissima e assolutamente meritevole di riconoscimento esiste nella categoria, ma che l’operazione si risolva in una sostanziale ope legis è un rischio, da scongiurare. Sarebbe un passo iniziale piuttosto deludente per una riforma che, nel commento del Sole24Ore “legava l’autonomia universitaria al merito della produzione scientifica...”. Che lo volesse fare è indubbio; che lo faccia davvero è alquanto dubbio; che non lo faccia, imboccando la strada delle promozioni di massa, è certo.

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Commenti

Ci sono 48 commenti

Segnalo all'interessato lettore di nFA che sono in corso pressioni e simili maneggi politici per ri-calendarizzare l'arrivo in Aula del ddl all'11. In ultima analisi la decisione spetterebbe a Fini, se volesse.

Comunque entro domani, lunedì, alle 19, si possono presentare emendamenti che almeno la Commissione farà in tempo a discutere la settimana prossima. Se uno legge tutto il testo del ddl (come uscito dal Senato) e i carteggi preparati dal Servizio Studi della Camera si rende conto che si tratta di un provvedimento complesso che un Legislatore serio dovrebbe studiare con più attenzione, anche per non fare errori e pasticci vari.

Per parte nostra, abbiamo tratteggiato qui qualche spunto di riflessione e approfondimento (come suggerito nel post) in materia di valutazione.

RR

 

Una domanda per i bene informati.

Quando il governo parla di 10.000 bandi di PA nei prossimi 5 anni, pensa a bandi riservati ai RTI? Temo che la risposta sia si', nel qual caso avrebbe ragione Paola.

Comunque il clime pre-elettorale si fa sentire; il vento che tira non e' favorevole alle riforme. Ora si comincia a parlare di dare un contentino ai ricercatori, in cambio di didattica:
www.corriere.it/cronache/10_ottobre_04/universita-riforma-a-rischio-salvia_f94f0326-cf7d-11df-8a5d-00144f02aabe.shtml

 

 

Che la riforma si sia arenata e rischi di morire non è una bella notizia. Per quanto (molto) imperfetto, questo testo è stato l'unico tentativo sincero di girare dalla parte giusta, da sempre. Lasciatemelo dire visto che, come ricercatore T.I., da questa riforma avrei ricevuto solo bastonate. Però amo dire pane al pane. Se la riforma si arena è un male per l'università.

Continuiamo a parlare d'altro. Lo sconcio vero sta nell'art. 6 (stato giuridico dei professori e dei ricercatori). Paola- prima di seguirti su eventuali scambi e promozioni di massa, il merito, l'ope legis etc.- rispondi (non qui magari, nei tempi che vuoi) ad alcune semplici  domande sullo stato giuridico dei professori?

1. Cosa ci fanno nella "sede primaria di libera ricerca e approfondimento delle consocenze... bla bla" soggetti che fanno un altro mestiere ? Come è possibile che- in deroga ad ogni buon senso-  si permetta che

(Art. 6 comma 8)

"I professori e i ricercatori a tempo pieno possono
altresı` svolgere, previa autorizzazione
del rettore, funzioni didattiche e di ricerca,
nonche´ compiti istituzionali e gestionali
senza vincolo di subordinazione presso enti
pubblici e privati, purche´ non si determinino
situazioni di conflitto di interesse con l’universita`
di appartenenza e purche´ cio` sia compatibile
con l’adempimento dei loro obblighi
istituzionali."

2. Ma che deve fare un dipendente che va a lavorare per un altro prendendosi lo stipendio per stare in conflitto di interessi con il datore? Quali sarebbero gli obblighi istituzionali (didattica e ricerca) garantiti da un ricercatore o un professore a tempo pieno che se ne va a fare il consigliere comunale?  Quante autorizzazioni di questo genere può dare un rettore? Sulla base di quali criteri? Prima di prendere una decisione così importante e confermare queste rendite qualcuno sa quanto ci costano? Qualcuno tira fuori  dati anche solo sulla frequenza di questo andazzo? Non chiedo un paper. Che ne so un articolo sul Corriere della Sera di Stella già mi andrebbe bene.

 

Art. 6 comma 10:

"I professori e i ricercatori a tempo definito
possono svolgere attivita` libero-professionali
e di lavoro autonomo anche continuative,
purche´ non determinino situazioni di
conflitto di interesse rispetto all’ateneo di appartenenza.
"

3. Quale sarebbe l'allineamento degli interessi di un ateneo con "il docente a tempo definito" che gestisce uno studio di avvocato, notaio, commercialista, radiologo?

 

Per quanti decenni dobbiamo continuare a permettere ai professori di iscriversi agli ordini professionali ed esercitare continuativamente- direttamente o per interposta persona- attività professionali che con la ricerca e la didattica non c'entrano nulla? Stravolgendo contemporaneamente il mercato delle professioni e quello accademico.   Ma ci si rende conto di quello che si sta facendo passare come riforma non è altro che il mantenimento degli equilibri esistenti salvaguardando la facciata? Che l'attuale governo presenti una legge in cui permette qualcosa a qualcuno salvo nel caso in cui si configuri conflitto di interessi è di per sè una barzelletta. Che questo abbia l'appoggio (tiepido condizionati etc. etc.) di persone colte intelligenti e perbene e' una tragedia.

Credo che questo articolo della legge (in origine, peraltro, la questione era stata delegata a decreti successivi, guarda caso al Senato siamo voluti andare sul sicuro, giusto qualcuno avesse avuto intenzioni di affrontare seriamente la questione in tempi ancora peggiori di quelli correnti) e voi mi continuate a parlare dei ricercatori e ope legis?

Per banalizzare, ma neanche tanto: Chi glielo deve fare il corso e gli esami all'ordinario che va in tribunale o in consiglio comunale? Il ricercatore immagino. In cambio di cosa? di un ope legis immagino. Immagino male? E ci meravigliamo che i ricercatori italiani non accettano la proposta di Giulio Zanella nell'altro intervento di qualche giorno fa?

Ho la forte impressione, direi- a questo punto- la certezza, che tutto il dibattito a cui ho assistito in questi mesi abbia nei casi migliori  inavvertitamente invertito la causa con gli effetti, l'ordine di importanza delle posizioni da tutelare. Ha collocato le rendite da abbattere nel posto sbagliato. Nella peggiore delle ipotesi si è solo trattato di un giochino di chiacchiere per riaggiustare vecchi equilibri minacciati da qualche scomodo entrante, prontissimo peraltro a trovare un punto di accordo sul nuovo (NUOVO?) stato giuridico dei professori e dei ricercatori. Se c'è un progetto illuminato in questa legge è il seguente:  le nuove procedure di reclutamento dissuaderanno in futuro incentivi e comportamenti volti a riprodurre le rendite attuali. E' programmata (per lo meno nelle intenzioni degli illuministi che hanno contribuito) per essere una riforma con il timer: dovrà avere effetto sulla prossima generazione di professori, salvaguardando un minimo di decenza ove possibile in questa generazione. Ammesso che nel frattempo la barca non affondi. 

 

Arrivo alla domanda cruciale:

4. Perchè le nuove procedure di reclutamento dovrebbero essere sufficienti a produrre professori  diversi da quelli che hanno prodotto questo stato di cose (almeno nei settori dove questo accade in misura così spropositata, che sono poi quelli che governano gli atenei) se nel frattempo gli stiamo dando il modo di salvaguardare le rendite? Credete davvero che ci rinunceranno? Ma cosa mi avete raccontato per mesi?

 

 

 

Secondo me hai ragione da vendere.

Questa è una delle tante ragioni per cui questa riforma non è progressiva ma regressiva: legifera e santifica il conflitto d'interesse ed il lenocinio (le prostitute, forzose, sono ricercatori ed affini) che impera nell'università italiane.

Ma come, diranno i liberali de noantri, ma se quanto introducono i due commi citati dell'articolo 10 vale nelle università USA, inclusa la tua, da sempre? Ed infatti tu ne approfitti facendo consulenze in giro per il mondo oltre che negli USA?

Certo, cari i miei liberali de noantri, qui è così. Ma qui io non sono un dipendente pubblico e nemmeno i miei colleghi che insegnano nelle università di stato lo sono. Il mio salario non è fisso e determinato per anzianità ma variabile e determinato a seconda di quanto produco. Il mio carico d'insegnamento è controllato dal chairman e dal Dean e se sgarro sono cavoli amari. Ed a far lezione per me non posso mandarci l'assitente, neanche se ho la febbre.

Insomma, signora Gelmini liberale dei miei stivali: vuole riformare l'Università imitando l'Ammerikka? Bene, cominci dall'inizio. Cominciare dalla fine, permettendo alle baronie italiane di fare ancor meno di quanto già facciano è una presa per i fondelli, altro che riforma dell'università.

 

Quali sarebbero gli obblighi istituzionali (didattica e ricerca) garantiti da un ricercatore o un professore a tempo pieno che se ne va a fare il consigliere comunale? 

nei casi di cariche elettive è prevista l'aspettativa. Un professore della mia facoltà è stato eletto al parlamento (primo dei non eletti in un collegio, l'eletto era eletto anche in un altro collegio dove ha optato...) e adesso è in aspettativa, i corsi li fa, con decisione pubblica e verbalizzata del consiglio di facoltà la sua assistente. L'attività libero-professionale, è un altro discorso

 

Marcello chiede:

Cosa ci fanno nella "sede primaria di libera ricerca e approfondimento delle consocenze... bla bla" soggetti che fanno un altro mestiere ?

Rispondo come è evidente egli risponde: Niente. La presenza, in alcuni settori temo maggioritaria, di persone che sono sostanzialmente dei professionisti e il cui rapporto con l’università sta solo nel mantenimento di un presidio di potere è uno dei tratti più negativi della nostra università. Sia chiaro, però: non sto affatto obbiettando a rapporti, detto genericamente, con l’esterno (consulenziali, di docenza, di ricerca). Sto obbiettando alla diffusa circostanza che dietro il tempo parziale si sono celate e si celano posizioni di pressoché esclusiva attività professionale e di nessun legame con un’attività di ricerca. Questa diffusa circostanza solleva diversi, formidabili problemi e imporrebbe scelte pesanti. Realisticamente oggi, con qualunque governo, non c’è alcuna possibilità che la questione sia affrontata. Sulla stampa che conta temo che non vi sia neppure la possibilità che la questione sia sollevata. E certo la riforma Gelmini non l’affronta. E’ una questione lontanissima dall’interesse e dalle sensibilità che le forze politiche hanno mostrato sui temi dell’università. Il punto, oggi, è che la riforma Gelmini va in modo troppo timido verso condizioni che aprirebbero la strada ad affrontarla e a porre sul tappeto le scelte che essa richiede. Collaudare un sistema di valutazione efficiente, legare corposamente i finanziamenti ai risultati della valutazione, adottare regole che non disegneranno il concorso perfetto ma che danno maggiori garanzia di una competizione nazionale , sono le condizioni per creare un contesto diverso nel quale quella questione diventerebbe ineludibile. Rispetto a queste condizioni, la riforma Gelmini è oscura, fa ben poco o fa male. Il sospetto che proprio nulla cambi è forte, e le ultime notizie lo rafforzano ancor di più.

 

WOW, che rilflessi!
(alle 7 del mattino, poi).

 

In ogni caso il blocco degli scatti è  già approvato - e quindi non si capirebbe l'agitazione ora.

 

Sbaglio, o c'e' in arrivo anche una finanziaria, di qui a poco? Basterebbe almeno che stabilissero che i tre anni non vanno persi per sempre ...

 

Non è vero: le norme sulla governance prevedono che tutte le università si dotino di statuti, mi pare entro sei mesi. Quindi un ritardo analogo a quello dell'ANVUR.

 

Non esageriamo: le universita' saranno certamente piu' veloci del MIUR.

 

In ogni caso, non ho sentito nessuno (a parte pochi pazzi isolati come me) chiedere che l'ANVUR venga istituto subito e/o che il reclutamento dei suoi commissari e dei valutatori sia trasparente etc. Tutti a chiedere che siano riconosciuti i propri diritti, il ruolo docente già svolto etc

 

Be', allora adesso siamo in due ... (anche se non per questo rinuncio a chiedere che mi venga restituito il maltolto)

Pare che ieri sera si sia raggiunto un accordo: seimila posti per prof associati, il ritorno degli scatti di merito, e la cancellazione del blocco del turn-over.

Fonte: qui

Gli scatti sono importanti per i più giovani. Non mi è ancora chiaro se i 6000 PA sono una pseudo semi-ope-legis oppure no...

Grazie dell'informazione. E' solo un accordo tra capigruppo davanti alla Gelmini, mi pare. La decisione di finanziare 6000 posti deve passare per un altro Ministero. La mia interpretazione e' che si tratti solo di una promessa di finanziare la nuova versione del titolo terzo (art. 15 e ss.) della riforma. Ovvero chiacchiere. Si promette di bandire un sacco in modo che nel sacco entrano molti. Al momento mi pare che, ammesso che il Ministero competente finanzia qualcosa se sarà o meno un ope legis dipenderà da 1. come viene attuata l'abilitazione nazionale (art.16) e 2. dalla procedura di chiamata (art.17) regolamentata e gestita dal singolo ateneo. Insomma per ora vogliono andare tutti in televisione dicendo che hanno cambiato l'università. Di fatto è un rinvio della questione. Il punto di equilibrio è quello di cui sopra.

Quello che si capisce è che non ci hanno le pezze giustificative per la coperture di parecchi punti di spesa aggiunti con gli emendamenti, fra cui quello dei famosi 9.000 Associati.

Quindi pare avesse ragione chi gridava al tarocco. Certo che c'è da essere ingenui parecchio a gestire la partita politica in questo modo, dalle parti del Governo.

RR

 

Quindi pare avesse ragione chi gridava al tarocco.

Purtroppo, anche questa volta, il governo non si è smentito. Impreparazione, superficialità o malafede? Forse tutte e tre...

E ora chi lo sente Panebianco? Si srtapperà anche gli ultimi capelli strillando al complotto ...

;)

La riforma Gelmini, oltre a molte parole, contiene principalmente il passaggio da "tre fasce" a "due fasce" di docenti. Non c'è dubbio che i ricercatori universitari siano docenti, prima di tutto perché avendo ereditato lo stato giuridico degli assistenti fanno parte del corpo insegnante, poi perché nella stragande maggioranza dei casi svolgono compiti di insegnamento "ufficiale" (e non solo didattica integrativa) infine perché le loro qualificazioni scientifiche sono, in molti casi, superiori a quelle che si richiedevano venti fa ai professori associati (e trenta anni fa agli ordinari). I "vecchi" ricercatori entrati con le idoneità degli anni ottanta sono ormai meno del 10% e sono vicini al pensionamento. Il fatto che non abbiano compiti didattici chiari è un anomalia che bisognava correggere. C'erano due strade per correggerla. La prima era quella di modificare leggermente lo stato giuridico dei ricercatori, dando loro compiti didattici analoghi a quelli degli altri docenti, compensando i nuovi obblighi con un modestissimo aumento stipendiale (in modo che fosse possibile per alcuni rifiutare assieme ai nuovi obblighi anche l'aumento). Questa era la strada meno costosa. Il DDL Gelmini ha invece scelto la seconda strada che è quella di innescare un procedimento di fatto molto poco selettivo per "promuovere" tutti  ricercatori ragionevolmente  attivi nella ricerca (e solo essi) al ruolo di professore associato. Questa strada era ed è costosa, anche se si è fatto finta che essendo la "promozione" un atto dicrezionale delle università fosse a costo zero. Nella realtà come ho avuto modo di ripetere anche in questa sede, non sarà facile negare una promozione a chi è stato dichiarato scientificamente idoneo alla promozione, e che per di più già svolge i compiti propri del professore associato, e, come ho detto e ripetuto, vota per il rettore, i presidi e i direttori di dipartimento. Senza un ritorno ai finanziamenti del 2010 (che dovrebbero bastare, tenuto conto dei pensionamenti) la "riforma" costringerà le sedi a impegnare tutte le risorse per promuovere i ricercatori "abilitati". Questo significa che sarà interrotto il reclutamento dei giovani. Io avrei scelto la strada meno costosa. Ma la strada che è stata scelta almeno ha il merito di essere tecnicamente percorribile (con il fondo di finanziamento ordinario del 2010), perché le "promozioni" dei ricercatori avverranno prima che i ricercatori "a tempo determinato" maturino il diritto di passare dalla "tenure track" alla "tenure". La legge Moratti che prevedeva la messa ad esaurimento dei ricercatori nel 2013 e che resterebbe invariata se non passasse il DDL Gelmini era ed è tecnicamente non percorribile (per questo hanno dovuto rinviare tutto al 2013).

C'erano due strade per correggerla. La prima era quella di modificare leggermente lo stato giuridico dei ricercatori, dando loro compiti didattici analoghi a quelli degli altri docenti, compensando i nuovi obblighi con un modestissimo aumento stipendiale (in modo che fosse possibile per alcuni rifiutare assieme ai nuovi obblighi anche l'aumento). Questa era la strada meno costosa.

A Gino Nicolais è stato attribuita da alcuni giornali un'idea simile con una quantificazione di 150 €/mese, anche se lui ha smentito. Però anch'io ho sempre pensato che una possibile via d'uscita dall'"emergenza" didattica - posto che la si volesse vedere e capire - era la costituzione di una fascia di Lettori (nel senso inglese di Lecturers) con stipendio lievemente più alto di quello da Ricercatore, e su cui far transitare coloro che avessero voluto sobbarcarsi una didattica frontale da 120 ore PO/PA-style. Penso tuttavia che i suddetti PO e PA non gradiscano questa soluzione (questa è la mia impressione).

RR 

 

 

 

Questo significa che sarà interrotto il reclutamento dei giovani.

 

 

Nella speranza che questo DDL devastante si sia arenato per sempre, quindi, gli interventi urgenti sarebbero:

  1. Aggiornare la figura del Ricercatore, trasformandolo in Lecturer.
  2. Abrogare la messa in esaurimento del ruolo nel 2013.
  3. Rendere definitive le regole “moralizzatrici” per i concorsi, istituite all’inizio del 2009 e in scadenza il 31 dicembre 2010.

E si potrebbe discutere serenamente di organizzazione e governance.

 

 

Rendere definitive le regole “moralizzatrici” per i concorsi, istituite all’inizio del 2009 e in scadenza il 31 dicembre 2010

 

...o mammamia come sarebbe a dire che scadono? Ti riferisci a cose come l'abolizione della seconda idoneità, un certo grado di sorteggio nella formazione delle commissioni?

BTW sono mai stati banditi concorsi in questo intervallo di tempo?

Scusa le domande n po' ingenue, sono cose che dovrei sapere ma ammetto di non essermi sempre informato a fondo. Scoprire che il poco di decente che è successo potrebbe scadere mi traumatizza.