Dai commenti: economia e politica

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Copio alcuni commenti da un post di qualche giorno fa aggiungendo ulteriori considerazioni sul rapporto fra economia e politica. 

Alcuni giorni fa, un lettore pose la seguente questione, tutt'altro che banale a mio parere. 

 

Quale rapporto può sussistere tra teoria economica e politica, assunto che l'interpretazione dell'economia come fondamento di interventi di ingegneria sociale (che pure ha accompagnato tanta parte della storia di questa disicplina) non è più sostenibile[?]

Risposta di Michele [con qualche edit].

 

Non s'offenda [ma] che cazzo vuol dire? Per me non dice nulla, nulla. Le sue sono, in perfetta buona fede, parole al vento prodotte da una certa cultura parolaia che s'inventa realtà inesistenti. E le "eleva" al suo mondo di sanguinolente (perché fatte con la carta vetrata in mano) seghe più o meno crociane. Mi creda, non voglio offenderla, né essere irriguardoso. È che a me certe frasi fanno solo ridere, quindi la butto in vacca con le seghe di carta vetrata. Lei si rende conto di quante cose diverse fanno gli economisti? Come vuole che riduca la varietà di ricerche fatte da queste persone alla strana domanda che lei fa? 

Non so proprio cosa risponderle, ma son certo che qualche conduttore di talk show televisivi (tutti, impeccabilmente, diplomati al classico) riuscirebbe farci su un' intera stagione di  chiacchiere a partire dalle domande che lei pone. Io no, io non so che dire.

La ricerca economica ha pochissime, quasi zero, implicazioni politiche (non di "teoria politica", non confondiamo le due cose) che vadano al di là del veramente banale (tipo: i politici dovrebbero evitare di rubare ed essere buoni e non vendersi ad interessi organizzati ...) fatte salve alcune questioni risolte da sempre (free trade, per dire). Che implicazioni di policy vuoi che abbia non-expected utility theory?

Ma il punto di fondo è che la politica non si ispira alla teoria economica né interagisce con essa se non in modo strumentale. Il famoso dictum di JMK secondo cui i politici sono prigionieri di qualche economista morto è una pippa autocelebrativa di uno che, per ragioni personali e di status, influenzava i politici e che molti colleghi ripetono per sentirsi importanti. Ma non lo sono e non lo siamo. La politica cerca potere e, per giustificarlo, usa tutto quanto sia disponibile: dai valori della famiglia tradizionale a JMK a "ricerche storiche" sulla razza padana ed i celti, se utile. Ma sono foglie di fico, usi strumentali della "scienza". La famiglia tradizionale interessa a Berlusconi (o lo influenza) tanto quanto JMK interessa a Renzi (o lo influenza): zero. Di cosa vogliamo discutere? 

Possiamo discutere solo di cose ultra precise e specifiche. La qual cosa si può anche fare ma deve riguardare argomenti super definiti, come quello che ho trattato con Brighella qualche  settimana fa (la tassazione sulla casa). Tutto lì. Che, per altro, assume l'esistenza del "politico onesto e pragmatico" (che ci sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa). Il quale, ovviamente, corrisponde al benevolent planner. In sostanza, il politico in questione basta che faccia domande precise, del tipo: a vostro avviso è una buona idea sussidiare i campi di celle fotovoltaiche? Si prende il paese in questione, si cerca di capire che dotazioni energetiche ha e si cerca di dare una risposta. Circostanziata.

Quello che la ricerca economica non può fornire (e mai fornirà, mi creda) sono risposte generali a domande sui massimi sistemi. Domande che, a mio neanche tanto umile avviso, è tempo perso porsi. 

 

Giovanni:

 

Per capirci. Se lei chiede ad un genetista di punta 'quando scoprirete la cura per il raffreddore', riceverà la risposta di Boldrin. Io faccio scienza. Forse fra trent'anni qualcuno scoprirà la cura genetica per il raffreddore e sarà un grande momento. Ma non è questo lo scopo del mio lavoro: io sono uno scienziato puro che (in teoria) studia per il piacere di scoprire. D'altra parte, se lei chiede ad un medico generico una cura per il raffreddore, le prescriverà un antistaminico. Se lei chiede ad un economista applicato (o anche a Boldrin) come risolvere un problema pratico (è giusto abolire l'IMU?), avrà risposte empiriche, basate su una teoria economica molto semplice, da 2-3 anno di università

Vero quel che dicono Giovanni e Michele, ma non sono sicuro che il lettore meritasse di essere trattato a pesci in faccia. Non perché sono più gentile di Michele. Nel matrimonio fra economia e politica la politica è il marito cattivo, ma l'economia ha la battered wife syndrome, se non soffre addirittura di sadismo. All'economista la "policy implication" piace, non ne può fare a meno. È vero che è il politico a strumentalizzare l'economista e non viceversa, ma suggerisco di prendere una rivista di economia, un suo numero a caso, e contare quante volte troviamo la parola "policy". E le riviste nemmeno si rivolgono ai politici, ma ad altri economisti. Non c'è dubbio che l'intento esplicito, e quasi sempre almeno implicito della ricerca economica sia di fornire indicazioni "politiche". Un intero settore, quella che oggi chiamiamo political economy (e non parliamo nemmeno di quella che si chiamava quarant'anni fa political economy), studia (semplificando) quali possano essere i vincoli politici dell'attuare le politiche che gli economisti vorrebbero indicati. Vogliamo parlare poi, di behavioral economics? Foreste di risultati teorici ed empirici allo scopo di convincerci che la gente è stupida e che il politico (che, chissà perché, non lo è) ha il compito di dare di dare spintarelle falsamente innocue dalla parte giusta. 

La policy implication è il risultato naturale di qualsiasi ricerca, non solo nelle scienze sociali (si salvano, forse, pochi settori, come quello di certe branche della matematica che si avvicinano più ad arte che a scienza). Non c'è niente da scandalizzarsi, anzi, va bene sporcarsi le mani, magari educando sulle limitazioni dei risultati e delle loro implicazioni (cosa che i blog degli economisti fanno quasi mai). Neanche free trade, uno degli esempi di Michele, è un'implicazione che vale in senso assoluto. 

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Commenti

Ci sono 18 commenti

uno dei motivi per i quali è bello interagire con il prof. Boldrin è che non ha peli sulla lingua, il che lo rende estremamente divertente e istruttivo (anche se si hanno idee diverse su alcuni aspetti si impara sempre qualcosa), se qualcuno decide di interagire con lui sa quel che rischia se non pesa le parole o non ha ben chiaro in testa cosa dire...

 

che poi il confine tra politica ed economia sia più instabile di una linea tracciata sulla sabbia lo dimostra la nostra beneamata europa, tenuta assieme dalle scelte della BCE più che da quelle del parlamento e della commissione...

Lo studio dell'economia attrae anche per le sue potenzialità di incidere nella realtà. Chi propende per un lavoro  puramente scientifico nella torre d'avorio, ed ha capacità matematiche, quasi sempre si dedica ad altre materie - fisica, matematica etc. Per non citare i vantaggi mediatici e pratici di fare l'economista. Economisti anche mediocri (per non parlare dei personaggi improbabili che fioriscono nei talk show italici) vengono intervistati, ottengono consulenze e posti in CdA di aziende pubbliche e private etc. Fisici di valore mondiale sono perfetti sconosciuti, al di fuori della cerchia degli specialisti, finchè non vincono il Nobel.

in 7 righe è stato praticamente riassunto il tutto...

praticamente è la best choice per ottimizzare la funzione competenze/possibilità di successo :)

Per curiosità, qual è il contro-esempio su free trade?

 

(Visto che di solito lo dò per scontato...)

La letteratura è enorme, credo trovi facilmente via google o google scholar. Uno dei vizi dell'economista teorico è prendere un risultato assodato e cercare qualche esempio contorto in cui il risultato non vale. Quanto questo sia rilevante in pratica poi dipende dai casi, ma qualcosa si impara sempre, e cioe' quali siano le ipotesi cruciali che sostengono il risultato. 

e' l'esempio piu' frequente ed antico (viene criticato gia' da Adam Smith in uno dei capitoli finali della WofN!): siamo piccoli ed imbranati a fare il prodotto X che gli altri paesi fanno molto meglio ma se proteggiamo i nostri produttori per N (>>10) anni loro cresceranno e diventeranno bravi, poi potremmo aprire le frontiere alla concorrenza estera fra "pari" ...

Poi, ovviamente,  ci sono svariate versioni di quella cosa chiamata "esternalita'": se produco il bene X imparo a fare anche il bene Y ma se non lo produco e lo importo allora non imparo mai neanche a fare Y e Z eccetera ... ho scritto persino io un instant-paper sul tema, con Jose Scheinkman, nel lontano 1987 ... lo trovi facilmente in rete, e' l'unico paper che Jose' ed io abbiamo scritto assieme ed era, letteralmente, uno scherzo per vincere una scommessa con un celebre premio Nobel della fisica! 

Sia sul fatto che il lettore forse non si meritava (con il senno di poi, ossia essendosi rivelato piu' saggio di quanto il suo primo lungo commento, che hai riportato molto parzialmente, suggerisse) che lo trattassi da archetipo dell'italiano che vuole discutere a vanvera di "grandi problemi", tipicamente irrisolvibili, sia (e soprattutto) sull'osservazione che sono gli economisti che hanno la "battered wife syndrome".

Ed e' su questo secondo punto che vorrei soffermarmi perche', a mio avviso, sei troppo gentile. A me pare che un buon 80% dei colleghi abbiano un'altra syndrome: quella della battered slut o prostitute.

E mi spiego: io vedo sempre di piu' - sara' un'illusione mia ma nell'ambiente in cui mi sono educato e formato come economista, dal 1981 circa sino ai primi anni '90, questo fenomeno era molto ma molto piu' debole - economisti accademici alla disperata ricerca di un posto politico. E questo NON viene fatto facendo politica direttamente, esponendosi, avanzando proposte, cercando di "guidare" un proprio elettorato da un lato o dall'altro. NO.

Questo viene, sempre piu' frequentemente ed ovunque nel mondo, perseguito mettendosi al servizio del politico potente di turno e teorizzando quello che costui vuole sentir teorizzare. A volte il "politico" sono intere organizzazioni, tipo ONU o IMF, a volte e' il Matteo Renzi in solitario, ma la sostanza non cambia, cambia solo il livello di prostituzione e l'opportunita' che si ha a diposizione.

Hai ragione, Andrea, quando dici che ad ogni scoreggia di modello o regressione oramai tutti aggiungono le "policy implications" senza chiedersi che senso abbia. E la ragione,  mi sembra, e' l'ossessiva ricerca di attenzione mediatico/politica.

Non e' buona pratica fare nomi e cognomi, quindi mi astengo. Ma sono dozzine i colleghi che hanno cambiato "opinione scientifica" due o tre volte alla ricerca, appunto, del principe da servire. Puttane che il politico potente poi, regolarmente, scarica dopo averle utilizzate.

Sindrome sempre piu' diffusa.  E demoralizzante.

Se si tratta di 'dozzine' è un fenomeno triste ma controllabile,  ho l'impressione limitato alle 'grandi' università che danno una garanzia di 'prestigio' anche al politico (in Italia la Bocconi - avere un consulente da una piccola università meridionale serve a poco). 

 

...anche se forse non mi leggerà neanche visto che il thread è ormai vecchiotto.

Io vedo che anche qui su noisefromamerika una delle attività principali consiste nel giudicare le scelte di politica economica del governo (di qualsiasi governo). Non è questo forse un chiaro esempio (a mio modo di vedere più che legittimo, per carità) di (tentativo di) ingerenza della scienza economica nella politica?

Non è il fine stesso dell'economia politica quello di individuare policies ottimali, misure d'intervento legislativo (o comunque pubblico) per ottimizzare l'utilità sociale? Perché mai a qualcuno dovrebbe venire in mente di indagare le cause della ricchezza delle nazioni, se non per suggerire al potere politico quelle misure che tale ricchezza aumentano? A chi dovrebbe interessare quali equilibri non ottimali genera una situazione di monopolio, se non a chi con quella situazione deve fare i conti per direzionare le scelte in grado di influirvi?

Ok, potreste rispondermi che il ricercatore fa ricerca, e poi spetta agli altri (eventualmente anche privati) decidere se utilizzare quei risultati per indirizzare le proprie scelte.

Ma la ricerca si fa con gli investimenti, e perché mai dovrei dirottare risorse verso lo studio di una determinata disciplina, se da quella disciplina non potrò aspettarmi risultati che abbiano una qualche utilità nella vita pratica?

Venendo all'attualità: i vincoli di bilancio della UE, ad esempio, con la fissazione dell'omt in base all'output gap eccetera, non sono forse conseguenza di elaborazioni di teoria economica? Le scelte dell'autorità monetaria non sono condizionate da (o perlomeno valutabili o criticabili in base a) conclusioni che derivano dall'economia teorica?

Insomma, se la ricerca economica ha davvero pochissime implicazioni politiche, allora perché paghiamo ricercatori che ci spieghino le dinamiche della crecita economica o gli effetti di una svalutazione o quant'altro?

Economicamente, come si spiega il finanziamento di quella ricerca?

A me pare che l'economia sia soprattutto strumentale all'utilizzo a fini politici (e non dico di propaganda politica, ma di azione dei pubblici poteri). Il che rende a me scarsamente comprensibile la risposta di Boldrin che ha dato lo spunto per questo articolo. Tuttavia, potrei sbagliarmi io, e la ricerca economica essere giustificata da altri fini. Ma a questo punto vorrei proprio capire quali. E non sono ironico, è proprio una domanda seria la mia. A cosa serve tutta la ricerca economica se non a dare fondamento scientifico a certe scelte politiche piuttosto che ad altre?

so bene di essere un po' off-topic, ma un po' da tutte le parti si sente parlare di climate change, cogliendo l'occasione della cop21 non è l'ora che anche voi diciate la vostra?

 

a ragion del fatto che le decisioni (o non decisioni) che verranno prese potranno avere enormi ripercussioni dal punto di vista economico, dovrebbe essere un tema che qualcuno di voi, o dei vostri colleghi, dovrebbe aver trattato e sarebbe interessante sentire...

 

www.theatlantic.com/business/archive/2014/09/the-industrial-revolution-and-its-discontents/379781/

 

anche se temo, purtroppo, siano argomenti un po' "dark side of the moon"...

torniamo direttamente al 10000 avanti cristo, prima dell'invenzione dell'agricoltura. La popolazione mondiale è stimata in circa 10 milioni di persone, e l'inquinamento era nullo.  Si stava benissimo....

visto quello che fanno blog in qualche senso competitor come lavoce.info, mi chiedo i motivi di tanta riluttanza a trattare questi temi...

 

intanto vi ripropongo quanto fatto da altri, sperando che anche qualcuno di voi o dei vostri colleghi, prima o poi, si "sprechi" sul tema... www.lavoce.info/archives/38959/laccordo-sul-clima-diplomatico/

saluti

con IQ superiore al gatto domestico ha dubbi che una riduzione della popolazione del pianeta, dicasi intorno al 70% in meno, abbia in tutta la prevedibile evoluzione futura effetti ambientali eccellenti (riduzione del flusso fognario, diminuzione dell'inquinamento sonoro e dell'atmosfera, riduzione dei residui chimici degli sciampisti, etc.) Tuttavia notevoli sono gli ostacoli ad una riduzione demografica. Rimane il fatto che lo sviluppo economico si correla nella grandissima maggioranza dei casi ad una riduzione della fertilita' (i casi celebri sono due nazioni mediterranee e l'impero giapponese.)

Nel merito della sollevata questione mi limito ad osservare,sine ira ac studio, che nel posto in cui vivo (rSA) e' in corso una siccita' di dimensioni bibliche da "flagello" con le vacche magre (che muoiono, i prezzi che crescono, le signore che bevono il tea senza latte, gli anestesisti che si portano acqua in bottiglia se nulla uscisse dal rubinetto della sala operatoria, etc.)

Ebbene, il fenomeno e' dovuto a El Nino (tra le due sponde del pacifico) e nessuno e' in grado di dire quanto dura, che ciclicita' abbia e cosi' via (mi sono informato presso gli agronomi e i meteorologi dell'universita' che sorridono mesti affidandosi ai vari padri eterni [due sono hindous religiosissimi].)

 

 

Ora qualcuno vuol davvero dirmi che renzi, putin, cameron, aiutati da "bono" e "madonna" (ciccone) han capito come determinare l'impatto antropogenico delle emissioni, in quanto diviso da ciclicita' (ergodica? non ergodica? o che?) e che misure siano appropriate?

 

se l'argomento e' direttamente prudenziale (meglio che i rischi si riducano ogni volta possibile, se si convincono i cinesi a non usar carbone e andare a piedi e non in automobile) va benissimo, il resto son chiacchere di generazioni che hanno tempo da perdere.

secondo me il problema è che a dover prender le decisioni son le banderuale esposte ai 4 venti che lei menziona, da una parte ci son le lobby, da l'altra gli elettori e dall'altra ancora ci son i filosofi dei numeri (penso che sia il termino più generoso per definire un economista, gli scienziati veri, come ricordava il buon federico son ben altra cosa).

 

come fa ben notare il clima e gli eventi climatici come el nino sono ciclici, del resto è abbastanza chiaro che ci troviamo in un era inter-glaciale etcetcetc, tuttavia, dai carotaggi effettuati nei ghiacci antartici è risultato evidente che le concentrazioni attuali di co2 non sono mai state registrate in precedenza, è evidente (ne stan parlando proprio in questi giorni a parigi) che se le emssioni dovessero continuare con il ritmo attuale si dovrebbero raggiungere un aumento delle temperature medie di 5° entro la fine del secolo, con conseguenze ambientali più che catastrofiche...

 

direi che l'argomento non è prudenziale e riguarda le generazioni attuali, sono queste le generazioni che possono decidere il futuro di quelle future...

 

consiglio di seguire phil plait e la sua rubrica su slate.com, penso che sia più efficiente di me nel spiegare la situazione, per ingolosire suggerisco questo:

www.slate.com/blogs/bad_astronomy/2015/12/03/climate_week_part_4_global_co2_levels_reach_400_ppm_forever.html