Innanzitutto, conviene dire due parole sulle IR. Questa è una disciplina recente (la prima cattedra fu stablita nel 1919). Infatti, nonostante secoli di dispute filosofiche (da Tucidide a Kant), lo studio sistematico della politica internazionale è emerso solo alla fine degli anni '70.
Ciò è probabilmente dovuto alla complessità dell'oggetto di studio (la pace e la guerra) e alla sua incerta relazione con una serie infinita di variabili, tra di loro a loro volta,non chiaramente connesse (economia, diritto, storia, tecnologia, politica domestica, cultura, religione, etc.).
Inoltre, per via del suo oggetto di studio, l'agenda di ricerca delle IR è fondamentalmente dettata dalla politica corrente. Se ciò evita dispute irrilevanti il problema è anche una teorizzazione spesso vuota, lacunosa logicamente o empiricamente debole.
'Nonostante tutte queste difficoltà, la disciplina è riuscita a sviluppare una sua sistematicità. Carr e Morgenthau hanno scritto delle pagine estremamente illuminanti. Ma questi cadevano spesso nella tautologia, nella confusione logica o metodologica. A risolvere il problema ci ha pensato Kenneth N. Waltz, con due volumi, il primo del 1959 e il secondo del 1979. Con il volume del 1959, Waltz ha creato l'analisi per livelli. Pensate alla semplice domanda: cosa causa le guerre? Qualcuno può dire che sono i regimi politici (autoritari). Altri possono affermare che la colpa va ricercata in individui folli o imbelli (Hitler o Bush). Waltz non rigetta nessuna delle due spiegazioni, ma ne avanza una terza che chiama permissiva. Avere un pazzo come Hitler non è causa sufficiente per avere una Seconda Guerra Mondiale. Ciò che serve è anche un sistema internazionale che possa permettere a Hitler di lanciare la sua crociata.
Nel libro del 1979 Waltz approfondisce questo ultimo appunto arrivando a formulare la Teoria delle Relazioni Internazionali. Waltz rileva come storicamente il sistema internazionale sia quasi sempre stato anarchico, ovvero senza un'autorità centrale in grado di far rispettare la legge. In tale sistema, non essendo protette da alcuno, le unità politiche sono preoccupate per loro sicurezza. Ciò genera competizione che a sua volta le porta ad omogeneizzarsi. Poichè gli Stati cercano sicurezza e poichè sono tutti simili, l'unico modo per proteggersi efficacemente è bilanciare la crescita di altre Potenze: la vera minaccia alla loro esistenza. Come? Rafforzandosi internamente o alleandosi con altri Stati. In altre parole (per il piacere dei ''neoclassici'' che mi leggono) il sistema tende sempre all'equilibrio.
'La grandezza di Waltz non può essere riassunta in poche righe. Per spiegare la sua influenza basti dire che il suo libro del 1959 ha segnato la disciplina per vent'anni fino al 1979, quando è uscito il suo lavoro successivo che ha poi definitivamente rivoluzionato la disciplina. E' interessante notare come i principali tentativi di rispondergli, l'istituzionalismo liberale d Keohane (1984), il razionalismo di Fearon (1995) o il costruttivismo di Wendt (1999), si sono di fatto piegati alla logica di Waltz (come Wendt e Keohane) oppure sono arrivati alle sue stesse conclusioni (Fearon). In altre parole, Waltz ha dettato l'agenda per almeno sessant'anni a tutta una disciplina. Chi non fosse ancora convinto, può leggersi questo passaggio (2000: 27-28). Allora in IR si parlava di pace democratica e globalizzazione. Pensate agli ultimi dieci anni di storia internazionale e giudicate voi chi aveva la teoria più robusta:
Upon the demise of the Soviet Union, the international political system became unipolar. In the light of structural theory, unipolarity appears as the least durable of international configurations. This is so for two main reasons. One is that dominant powers take on too many tasks beyond their own borders, thus weakening themselves in the long run [...]. The other reason for the short duration of unipolarity is that even if a dominant power behaves with moderation, restraint, and forbearance, weaker states will worry about its future behaviour.
Traduzione: Dopo la caduta dell'Unione Sovietica, il sistema politico internazionale divenne unipolare. Alla luce della teoria strutturale, l'unipolarità appare come la meno duratura delle configurazioni internazionali. Ci sono due ragioni principali per questo. Una è che le potenze dominanti intraprendono troppe attività oltre i propri confini, così indebolendosi nel lungo periodo [...]. L'altra ragione per la breve durata dell'unipolarità è che anche se una potenza dominante si comporta con moderazione, autolimitazione e tolleranza, gli stati più deboli si preoccuperanno per il suo comportamento futuro.
Nonostante la sua fama, la sua grandezza, nonostante il suo libro del 1979 sia il più citato in assoluto in IR, la disciplina non è waltziana. Anzi, solo il 30% degli studiosi mette Waltz al primo posto come influenza. Ma il dato ancora più paradossale è un altro: che la disciplina ha preso di gran lunga una piega contro Waltz. Come mai?
Dare una spiegazione è difficile. Innanzitutto va rilevato che chi studia scienza politica è più portato ad essere guidato da agende politiche o normative. Dunque l'evidenza dei fatti fa più difficilmente breccia in certe menti. Ciò spiega perchè nelle IR ci sia sempre stato una rumorosa minoranza marxista e post-modernista. Ma ciò non spiega ancora come mai questo abbia quasi preso il sopravvento negli anni Novanta.
Il punto centrale mi pare essere la fine, inaspettata, della Guerra Fredda. La confusione creata da quell'evento permise a chi per decenni era rimasto ai margini della disciplina di andare alla ribalta. In particolare, tutti quelli che avevano sempre criticato il neo-realismo (e in generale gli approcci epistemologici positivisti) presero questo evento come evidenza della sua incapacità di spiegare la politica internazionale. E di lì iniziò la discesa verso il baratro.
In primo luogo, tutti i tentativi di smentire Waltz non ebbero luogo sulla base di teorie esistenti. Al contrario, si prese quella poca evidenza empirica disponibile per tirare fuori dal cilindro modelli teorici in grado di "spiegare" il crollo dell'URSS. Come è evidente, più che di teorie si trattava principalmente di descrizioni ad-hoc. Ci siamo quindi trovati con un gran numero di "teorie" che spiegano la fine della guerra fredda: tutte diverse e tutte in contraddizione.
Il secondo problema riguarda, appunto, l'evidenza empirica. Raccogliere dati, in economia, al giorno d'oggi è relativamente facile (d'accordo, facile per alcuni problemi e meno facile per altri). In relazioni internazionali non è lo stesso. Molti dati sono segreti. Quelli resi pubblici sono pochi, difficilmente utilizzaibili e imprecisi. Inoltre molti dati sono muti. La spesa in armamenti di per sè non dice nulla se non è accompagnata da descrizioni minuziose sulla sua allocazione: per esempio, il numero di ore di addestramento è fondamentale per capire la preparazione di un'aeronautica militare.
Ciononostante, tutti i giornali iniziarono a pubblicare questi articoli basati su teorie discutibili ed evidenza empirica scarsa.
'Per riassumere, conviene concentrarsi sull'articolo che ha fatto più rumore, quello di Wendt del 1992. A suo modo di vedere, la causa permissiva individuata da Waltz, la natura anarchica del sistema internazionale, non sarebbe sufficiente a spiegare le relazioni tra Stati. Invece, sarebbe necessario considerare il ruolo delle norme intersoggetivamente condivise e di come esse determino la natura (pacifica, conflittuale, competitiva, etc.) del sistema internazionale. In particolare, partendo dallo strutturazionismo di Giddens, Wendt identifica la causa della fine della Guerra Fredda nell'abbandono della dottrina Breznev da parte dell'URSS. Così, in breve, si favorì un cambiamento della comprensione intersoggettivamente condivisa delle relazioni internazionali (ovvero la fine della Guerra Fredda). Fate una prova: andate nel dipartimento di scienze politiche accanto a voi, e chiedete cosa causò la fine della Guerra Fredda. Con poche eccezioni, la risposta sarà "a change in norms". Esattamente la spiegazione di Wendt. Come stanno le cose? Un po' diversamente.
In primo luogo, Wendt afferma fondamentalmente che la causa della fine della Guerra Fredda fu , per così dire, ideazionale. Fu dovuta ciò alle idee intersoggettivamente condivise tra gli Stati. Ciò significa che se questo cambiamento fosse avvenuto all'apice del potere sovietico, la Guerra Fredda sarebbe finita lo stesso. Il problema è che la Guerra Fredda è finita quando l'URSS era in declino. Prima di definire se Wendt ha torto o ragione, rileviamo in primo luogo un problema di "co-variation" che rende difficile valutare la sua affermazione. Se leggete il suo saggio, però, ad un certo punto Wendt dice che i fattori che portarono ad abbandonare la dottrina Breznev furono molti...."tra cui il declino economico". A me questa sembra una chiara sconfessione di tutto il polpettone costruttivista proposto in precedenza, perchè prima si discute per pagine e pagine sul ruolo indipendente delle idee e poi, alla fine, si afferma che queste idee sono il prodotto di altri fattori (quelli materiali, come sottolineano i neorealisti).
Tutto qui? Non proprio. Nonostante questi problemi di metodo e di logica, l'articolo di Wendt ebbe un enorme successo. Ricordiamo però che l'articolo fu scritto quando di dati non ce n'erano ancora. Bisogna dunque chiedersi cosa sia successo quando gli archivi sovietici sono stati aperti. Come Wohlforth (1993) e Brooks e Wohlforth (1999) hanno documentato, non ci fu nessun abbandono compassionevole della dottrina Breznev, né tanto meno un approccio più disteso nelle relazioni tra Washington e Mosca (vedi il famoso "oh... I am weeping for you Mr. Gorbachev" di Baker). L'Unione Sovietica è crollata sotto il peso delle sue contraddizioni politiche ed economiche. I suoi gerarchi hanno cercato di tenerla in vita fino all'ultimo. In particolare, la loro disponibilità al dialogo (e quindi la moderazione delal loro politica estera) aumentava man mano che venivano aggiornati sulla tragicità della situazione. In altre parole, "anarchy is what it is". Non ci fu nessuna norma sociale che favorì la fine della Guerra Fredda. E soprattutto, senza declino economico non ci sarebbe stato nessun abbandono della Dottrina Breznev. Ma non è tutto, ex-post, la teoria che spiega meglio la fine della Guerra Fredda è il (neo)realismo (la questione è controversa e non posso dilungarmi oltre: chi è interessato veda Wohlforth, 1998 e Wohlforth and Schweller, 2000).
'Alla luce degli studi di Wohlforth e Brooks, ci si aspetterebbe che Wendt ora sia rinnegato. Invece tutti continuano a dire che la fine della Guerra Fredda fu dovuta ad un "change in norms". Singolare, no? La mia spiegazione è semplice. La disciplina si aprì metodologicamente e ciò portò a dibattiti (che vi risparmio) anche epistemologici ed ontologici. In questa maniera, per dirla in breve, la disciplina si è aperta a tutto. Basti pensare al femminismo (vedete voi se ridere o piangere). Una volta aperte le gabbie è poi difficile chiuderle. Tre problemi mi sembrano di particolare rilevanza.
In primo luogo, c'è una divisione all'interno della disciplina che non giova a nessuno, specie alla disciplina stessa. I dibattiti sono utili, non le guerre ideologiche. Non avendo fondamentalmente idee innovative o problemi da affrontare, gran parte di questa metà della disciplina passa il suo tempo solo a criticare positivismo e neorealismo, spesso facendone parodie più che descrizioni, o ad accusarlo per i mali del mondo. A ciò si somma la sua totale indisponibilità al dialogo, come dimostra il fatto che la spiegazione di Wendt sia ancora accettata sebbene sia stata empiricamente sconfessata.
Ciò ha poi, a sua volta, favorito il settarismo. Se i positivisti hanno dato accesso ai costruttivisti pensando, in buona fede, che questi avessero qualcosa da dire, ora sta avvenendo l'opposto. I costruttivisti tendono a organizzare i loro corsi sulla base di un punto di vista parziale, dove le letture chiave (come quelle che ho indicato) mancano e si favoriscono interpretazioni ridicole del positivismo. Il problema è che non solo si spinge per un'ideologizzazione degli studenti (che è ciò che i costruttivisti chiamano "socializzazione delle idee"), ma le ripercussioni si vedono poi anche nell'assegnazione delle tenure (la promozione a membro permanente di un dipartimento). Quando dei professori esterni vengono chiamati per identificare il candidato più promettente, sembra ci sia la tendenza tra i costruttivisti ad aiutarsi a vicenda. Ciò spiegherebbe una serie davvero singolare di tenure negate a docenti di primissimo piano (positivisti) e accordate ad individui di terzo o quarto rango (costruttivisti) (vedi Mearsheimer, 2005a e 2005b).
In secondo luogo, si è avallato un approccio non scientifico. Non mi riferisco tanto ai problemi tautologici del costruttivismo (Desch, 1998), parlo proprio di come la ricerca venga pensata in maniera non scientifica. Studiosi come Wendt, Finnemore, Tannenwald, Barnett, Adler, Katzenstein sono diventati famosi non dimostrando i problemi del neorealismo (o degli approcci positivisti più in generale), ma facendone uno straw-man così da giustificare la necessità di un nuovo quadro teorico. Il risultato, sotto gli occhi di tutti, è che la maggior parte dei paper presentati alle conferenze si inventa un problema per giustificare il suo metodo prediletto. Detto semplicemente: si offrono lunghissime pappine basate su "norms", "embeddedness", "social construction" e "intersubjectivity" per spiegare "puzzle" che in realtà, usando game-theory, la statistica o case-studies deduttivi, non sarebbero "puzzles". Un esempio? Nel 2004 il mio ex-professore Barry Buzan ha scritto un libro sugli Stati Uniti. Secondo la sua prospettiva, l'egemonia americana, parafrasando Wendt, sarebbe "what states make out of it". Tradotto: l'egemonia americana si reggerebbe sulla sua accettazione e legittimità da parte della "comunità internazionale" (qualunque cosa questa parola significhi). Il mio dubbio è semplice: è davvero il caso di spendere soldi, tempo ed energie per scrivere tali banalità quando abbiamo studi che già spiegano l'egemonia americana sulla base di una nuova computazione dell'indice CINC del COW (Wohlforth, 1999) o sulla base del "command of the commons americano" (Posen, 2003)? No, anche perchè la logica controfattuale (Fearon, 1991) smentisce Buzan: come mai l'egemonia è americana e non, che ne so, del Vaticano? (devo davvero rispondere?)
Qui arriviamo all'ultimo problema. L'apertura all'eterodossia ora significa che chiunque può dire cosa vuole, ignorando allegramente gli studi che lo smentiscono e addirittura la letteratura esistente, per non parlare poi dei dati. Per criticare il costruttivismo io mi sono letto gran parte dei lavori di questa branca. Purtroppo, non si può dire il contrario: gran parte dei costruttivisti semplicemente non ha mai letto non solo il neo-realismo ma anche tutti i lavori semplici semplici in political economy che potrebbero servire per spiegare molte delle questioni che indagano (vedi questo paper: Goddard, 2006).
'Siamo partiti dal dibattito aperto dalla lettera dei cento economisti per capire quali potrebbero essere le conseguenze di un'apertura agli studiosi critici. Vediamo quali insegnamenti ci dà la storia delle IR.
In primo luogo, i costruttivisti (come gli eterodossi in economia) hanno sempre avuto ampio spazio accademico (Kratochwil, 1982: si anche il suo CV). Il dato interessante è che questi si lamentavano allora della loro emarginazione (Ahsley, 1984) e si lamentano ancora oggi, nonostante adesso siano sovrarappresentati (specie rispetto alla qualità delle loro pubblicazioni: per un esempio di queste degenerazioni si veda Smith in Reus-Smith and Snidal, 2008). Dunque questi richiami possono essere tranquillamente lasciati cadere nel silenzio: non smetteranno mai.
C'è la questione della maggiore apertura. In IR è avvenuta in maniera quasi incondizionata verso l'ondata post-modernista prima ancora che questa portasse dati a suo favore (Schweller, 1999) o teorie vere e proprie. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Tantissima speculazione basata sul nulla. Moltissime pseudo-teorie che oscillano tra l'irrilevanza e la tautologia.
Ciò di fatto ha aperto l'accademia a moltissima gente che in realtà voleva fare politica ma non aveva doti carismatiche o retoriche adeguate. La comunità scientifica si è così spaccata, si è dovuta occupare di dibattiti in larga parte futili e soprattutto ha visto lo spezzettamento dei propri fondi verso individui o progetti che semplicemente non valgono neppure l'imballaggio nel quale sono spediti (vedesi Katzenstein, 1996).
Una seconda, importante, implicazione si è avuta sulla formazione dei nuovi studiosi. Si è favorito l'indottrinamento degli studenti e si è cercato di interferire con il sistema di tenure sostenendo non i candidati più validi ma, invece, quelli ideologicamente più vicini. Tutto ciò per difendere il "pluralismo".
Le ultime due implicazioni sono a livello scientifico. In primo luogo, le IR hanno perso quella già scarsa comulatività che avevano cercato di guadagnare. Oramai la teorizzazione degli ultima anni assomiglia ad un "liberi tutti", dove ognuno spiega un problema sconnesso dagli altri. E' probabile che ciò derivi anche dalla natura dell'oggetto di studio. La mia impressione è che l'ondata costruttivista abbia contribuito a questo fenomeno sia per via della sua epistemologia critica che per via del suo approccio anti-scientifico: anziché partire dalle teorie esistenti i costruttivisti ne hanno volute fare di nuove.
In secondo luogo, c'è stata un'ondata di pubblicazioni e agende di ricerca inutili (perchè metodologicamente e teoricamente infondate). Per darvi un'idea, guardate le conclusioni di questo forum: dopo dieci e più anni anni di lavoro, questi signori ammettono che l'evidenza non va a loro favore. Si fossero fermati al 1998 con il libro di Moravcsik (che non è un realista) ci sarebbero arrivati prima e ci avremmo guadagnato tutti. Il dato drammatico è che non si sono fermati neppure nel 2005: nonostante l'evidenza, tirata per i capelli in tutti i modi, non li sostenga, questi continuano imperterriti.
Come concludere? Forse basta semplicemente prendere quanto diceva Denimg, "In God we trust. All others must bring data." Che tradotto vuole dire che chi si vuole sedere a tavola deve rispettare le norme minime di igiene ed educazione. Questa almeno è la ricetta per preservare una disciplina. Altrimenti si può sempre prendere la strada percorsa dalle IR.
Questo articolo ha 43 commenti.
“Darwinismo intellettuale”
Articolo estremamente interessante, ma qui c’è una sorta di errore di fondo, secondo me. Non è che la comunità accademia internazionale decide “burocraticamente” se “far entrare” qualcuno nel dibattito o no. Accusatemi pure di darwinismo intellettuale (esiste? boh…), ma mi sembra che la scienza prosegua come “survival of the fittest”. Ed è il concetto di “fittest” ad essere relativo e variabile nel tempo. Non so come i costruttivisti in IR abbiano acquisito “potere”, ma gli “eterodossi” in economia sono stati marginalizzati prevalentemente in quanto i loro modelli non spiegano la realtà, e se la spiegano non sono stati in grado di mostrarlo (non so voi, ma io non ho mai visto un modello macroeconometrico “sraffiano” che possa essere usato per fare forecasting). Gli “eterodossi” invece ci diranno che sono stati ostracizzati perché loro studiano il “conflitto di classe”, che per i neoclassici non esiste in quanto a ogni fattore va proprio quanto giustamente gli spetta. Sarà. Ma nessuno mi convincerà mai che se il modello “conflittualista” alla Brancaccio performasse meglio di un DSGE per fare analisi e previsione, ora lui sarebbe al IMF al posto del “liberista” Blanchard, mentre a Goldman Sachs i macro-analysts farebbero analisi basate sul conflitto di classe e la “teoria monetaria della produzione”.
Non so, ma mi sembra che la scienza economica sia molto più “fortunata” come disciplina rispetto alle IR. Entrambe sono scienze sociali e pertanto non possono fare esperimenti di laboratorio per controllare le variabili. Ma l’economia, avendo a disposizione più dati (e di qualità migliore), ha potuto sviluppare tutta una serie di tecniche statistiche che rendono il dibattito molto più “tecnico” e valutabile. Insomma, ad esempio, i keynesiani del MIT sono andati in rovina quando i megamodelli tipo Cowles commission hanno iniziato a sfarfallare pesantemente, e da lì è scaturita la “rivoluzione” delle AR; non è che quest’ultima è uscita fuori misteriosamente e altrettanto misteriosamente ha vinto.
Per concludere, qui non si tratta secondo me di valutare costi e benefici di una eventuale “apertura” agli eterodossi: non ce n’è proprio bisogno. La situazione è questa: il mondo economico è un casino e pertanto c’è domanda di una teoria che possa aiutare a spiegarlo. Dal lato dell’offerta c’è concorrenza fra le teorie, quindi che vinca il migliore. Il giorno che gli “eterodossi” saranno in grado di spiegare la realtà meglio del “mainstream” neoclassico, acquisteranno sempre più spazio all’interno della comunità accademica.
Re: “Darwinismo intellettuale”
Carlo, sarei d’accordo con te, ma qualcosa a me non torna. I costruttivisti finora di spiegazioni vere ne hanno date poche, eppure in 20 anni sono passati dal 3 al 30% della disciplina. Io sarei d’accordo con te se avessero dimostrato di avere un modello o un quadro superiore. In realtà, è semplicemente un quadro tautologico: possono dire qualunque cosa tanto poi hanno ragione comunque.
Sul resto, il problema è la disciplina e il suo oggetto di studio che è in primo luogo più difficile da studiare e, in secondo luogo, si presta più facilmente alla politicizzazione.
aa
Re(1): “Darwinismo intellettuale”
E’ la fotografia di tutte le scienze sociali. Si possono riconoscere due approcci diversi alla materia, uno discorsivo-persuasivo, che mira a ottenere adesione e uno probativo-dimosrativo che si prefigge di essere quanto più oggettivo e razionale possibile. Il primo è molto più simile all’argomentazione giuridica, dal momento che il dibatto su alcuni temi ha lo scopo non di ricercare una corrispondenza tra dati e teorie ma produrre, giustificare e organizzare un consenso. Questo approccio ideologico non permette alla disciplina di evolvere nel senso di una maggiore comprensione della realtà perchè considera l’oggetto della ricerca non come ‘dato’ o ‘esistente’, come in un approccio realistico, ma continuamente costruito e decostruito di volta in volta nell’ambito delle pratiche discorsive. La sua efficacia si misura:
-dal numero delle menti che è riuscita a conquistare alla causa (le correnti/fazioni hanno il collante nella fiducia comune ottenuta tramite un consenso di tipo politico)
-sull’esito di una lotta di potere, in cui le teorie hanno una funzione strumentale e vengono utilizzate per promuovere interessi collettivi a discapito di quelli ‘avversari’
E’ il motivo per cui, quando si lascia che l’ideologia si insinui nella scienza, si possono, p. es., creare orientamenti marxisti in ambiti dove non ha giustificazione: critica letteraria, psicologia etc.
Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Grazie per l’articolo. Per una persona profana come me, questo articolo ma il sito intero, sono non solo una bilbliografia utilissima ma una scuola di metodologia ed un avvicinamento al mondo accademico e scientifico che arricchisce chi lo frequenta.
e intanto…
No all’austerità fiscale. I pericoli della deflazione e gli argomenti per la finanza funzionale di Mario Seccareccia
Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Andrea, bell’articolo! Non conoscevo le IR.
Dopo tutto quello che hai scritto, mi sembra che le IR come disciplina possano avere difficoltà ad accreditarsi verso il mondo dei non addetti ai lavori, visto che al proprio interno ha divergenze molto significative. Ovviamente tutto questo è difficile da spiegare all’esterno e c’è il rischio che qualcuno semplifichi e dica che tutto sommato le IR non funzionano. Per questo ho due domande per te:
1. Quali sono i maggiori successi delle IR, che uno può citare a sostegno del fatto che funzionano?
2. Visto il clima di contrapposizione ideologica della disciplina e la spaccatura a metà che hai delineato, hai comunque voglia di farne parte?
Re: Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Guarda, per fortuna non sono tutti partiti con la testa. Negli USA, per esempio, i costruttivisti dicono in gran parte cose inutili, non nocive (come quelli europei). Ciò detto, la disciplina ha dato dei contributi importanti.
Non ho tempo di mettere i link, ma te ne elecco qualcuno. Nel 1981, Gilpin scriveva che la Guerra fredda sarebbe, prima o poi, finita in maniera pacifica. Alla faccia di “il realismo non ha previsto la fine della guerra fredda”. Gli altri pezzi sulla guerra fredda vanno nella stessa direzione. Waltz e Mearsheimer hanno previsto con largo anticipo il declino di istituzioni come la NATO. Walt (senza z), Mearsheimer, Snyder e altri avevano previsto i problemi che gli USA avrebbero incorso in Iraq. Gente come Mearsheimer o Rosato hanno previsto le difficoltà dell’Unione Europea. Moravcsik ne ha spiegato abbastanza bene i meccanismi. Keohane ha lavorato molto sulla cooperazione: ha preso qualche cantonata, ma ha anche detto delle cose corrette.
Nel mio campo, poi, Gholz e Sapolski avevano previsto gli aumenti di costi e i ritardi accumulati in programmi d’armamento come iL JSF o il FCS. Potrei andare avanti all’infinito.
Sulla disciplina. Certo, è una rottura di scatole aver a che fare con certa gente. Soprattutto è pesante dover dialogare con persone che neppure conoscono ciò di cui parlano. Siamo sullo stesso livello di Brancaccio. La differenza è che Brancaccio e gli altri 100 disperati sono fondamentalmente nessuno. Nel mio campo alcuni di questi individui hanno cattedre importanti. Buzan non ha scritto tutte scemenze, ma certo alcuni suoi libri sono discutibili. Mary Kaldor ha scritto solo cretinate e sta alla LSE, addirittura è un John John Johnson qualcosa professor. E’ ridicolo: Il suo libro più importante partiva dalle conclusioni e ci ha ricamato sopra una storia che empiricamente non esiste (New and Old Wars). Quelli che ho citato, con l’eccezione forse di Wendt, hanno scritto in gran parte roba assolutamente sopravvalutata. Dei costruttivisti, gli unici che mi sembrano valere sono quelli che hanno studiato questioni relative alla religione (e la cosa mi sembra logica): Nexon, Thaddeus Jackson, Phillippot o una cosa simile di Notre Dame…
Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Mai canzone fu più adatta:
http://www.youtube.com/watch?v=hoMZMCgUD8E
andrea…
…that might be all nice and true but did the neo-realist predict this?
i didn’t think so. i rest my case.
Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
L’autore di questo articolo sostiene che ”….usando game-theory, la statistica o case-studies deduttivi…” i puzzles si risolvono. Credo che Schelling e Aumann gli consiglierebbero maggiore prudenza.
A proposito di marxisti, l’autore scrive: ”…va rilevato che chi studia scienza politica è più portato ad essere guidato da agende politiche o normative. Dunque l’evidenza dei fatti fa più difficilmente breccia in certe menti. Ciò spiega perchè nelle IR ci sia sempre stato una rumorosa minoranza marxista….”.
Ci sono molte ragioni che mi tengono lontano dal marxismo. Ma francamente non ho mai commesso l’ingenuità di ritenere che il marxismo fosse guidato da agende ”normative”. Il normativismo è il primo nemico dei materialisti storici. Questa un tempo era questione di alfabeto, ma forse oggi tra i più giovani c’è una certa confusione.
Re: Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Io non sono più così giovane, ma ho la stessa visione sia del marxismo che del materialismo storico che sottende all’attributo di “normativismo” espresso da AG.
Vorrei evitare termini roboanti e grandi affermazioni filosofiche ma chiedo. In cosa consiste il marxismo/materialismo storico (faccio fatica a distinguerli, per quanto provi) se non nell’affermazione di aver scoperto da un lato le leggi di movimento della storia, dall’altro il fine della medesima e, di conseguenza, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è alienato e ciò che non lo è, ciò che è bene fare (accellerare l’inesorabile arrivo del comunismo) e ciò che non è bene fare (mantenere in piedi o riformare lo stato di cose esitenti)?
Insomma, in che senso MS&M si reggono in piedi se togliamo dalle loro fondamenta l’uomo nuovo (vero, non alienato, eccetera) e l’aver inteso quale siano il destino ed il senso della storia umana?
Re(1): Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Se mi consente lo trovo un marxismo un po’ da DIAMAT, quello che lei descrive. Per quello che ricordo la cosiddetta filosofia della storia è sotto accusa in campo marxista da decenni (me lo ricordo perfino io che ho abbandonato quelle letture da tempo). Lei che contesta le definizioni di pre-keynesiano e di prescottiano che le vengono attribuite sarà d’accordo sul fatto che le semplificazioni a volte creano confusione. E quella tra ”normativismo” e ”marxismo” è una confusione macroscopica che può cogliere anche un vecchio dilettante come me.
Questo è triste, le confesso. Quando io ero giovane i nemici si conoscevano bene tra loro. Adesso mi sembra che dei nemici si leggano solo frontespizi e quarte di copertina. Sono pochi quelli che approfondiscono davvero. I giovani non ci capiscono niente e non se ne accorgono, ma l’occhio catarattico e allenato di un vecchio anti-marxista lo vede…
Re(2): Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
È arrivato un altro che sa tutto ma non dice nulla di quanto sa, salvo sentenziare che sono ignoranti gli altri.
Bene, vediamo allora: spiegaci. Spiegaci cosa sarebbe il “marxismo” aggiornato, riveduto e corretto. E spiegaci cosa abbia a che fare con il signore da cui prende il nome. Pendo dalle tue labbra.
Re(1): Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Da letture passate, ho sempre avuto l’idea che in Marx ci fosse una contraddizione fondamentale tra materialismo storico e l’idea di nuova società comunista. Marx da un lato descrive l’evoluzione dei modi di produzione su basi, per suo dire, scientifiche. La storia progredisce ineluttabilmente per stadi, caratterizzati ciascuno da un modo di produzione, e tali che ciascuno stadio contiene il seme dell’evoluzione verso lo stadio successivo. La scienza in questo, sempre secondo Marx, sta nello studiare un determinato modo di produzione (il capitalismo, ad esempio) e le tensioni che al suo interno si creano e che portano verso la sua distruzione e sostituzione con una altro modo di produzione. Se prendiamo questo processo logico (metodo?) alla lettera, esso dovrebbe essere in grado di spiegare anche quale sarà il modo di produzione che sostituisce il capitalismo. Invece, Marx finisce di essere scientifico un minuto prima di descrivere come sarà strutturata la nuova società comunista, sulla quale mi pare è sempre vago. L’uomo nuovo è l’artificio retorico che gli permette di uscire dall’impasse. L’uomo nuovo non si sa come sarà (quindi è concetto che si basa sull’utopia, non sul determinismo), tuttavia ineluttabilmente ci sarà (affermazione necessariamente determinista). Potremmo chiamare questa, la Contraddizione Fondamentale del Marxismo . (le maiuscole sono sarcastiche).
Re(2): Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
CFM non mi ricorda nulla ma PFM sì: facciamo “Paradosso etc”?
Però, a dire il vero, non son certo che vi sia una “contraddizione”, nel senso di un cambio metodologico o di ipotesi. Sono perso in un posto perso e non ho qui i sacri testi (né ho voglia di cercarli in rete) ma l’uomo nuovo del KM non è proprio una cosa che esce miracolosamente una volta che si arrivi al comunismo e basta. È anche, soprattutto, il recupero di una condizione umana “vera” (ed ovviamente mitica) che ricorda molto un’età dell’oro che precede l’introduzione di rapporti commerciali fra gli uomini. Tutto il suo insistere su valore d’uso e valore di scambio, mercificazione, reificazione e via andando insiste sul fatto che è l’introduzione del sistema di scambio delle merci che aliena l’uomo capitalistico da quello vero e l’uomo dall’altro uomo, eccetera.
Dal punto di vista storico il nostro è ambiguo perché non ci spiega (almeno, io non ricordo lo spieghi) quando questa transizione sia avvenuta: prima del modo di produzione feudale? Nella transizione da quello antico a quello feudale? Prima che la “storia” inizi? Non l’ho mai capito.
Però l’idea che si possa recuperare (quella condizione dorata dell’uomo) è alla radice del mito normativo comunista e della sua ineluttabilità. A dire il vero, a me sembra che sia più questo mito fondativo che tutto il resto (il quale resto altro non è che Hegel applicato alle strutture economiche) a fondare la (pseudo) scientificità dell’approccio del Karletto: la convinzione profonda che il modo di produzione capitalistico, il sistema degli scambi di mercato, eccetera, siano “anomalie” nella storia dell’umanità, anomalie che generano contraddizioni che porteranno ad un abbandono del sistema stesso, al suo “superamento” e via andando.
Karl Polanyi’s The Great Transformation è forse l’opera in cui questa teoria viene più chiaramente sviluppata, ma si trova un po’ ovunque in campo marxista (versione intelligente, che val la pena leggere: Maurice Godelier; versione demenzial/criminale: Toni Negri). Tanto che, nel campo della storia economica antica dove il punto di vista marxista è dominante, si parla esplicitamente di un modo di produzione antico come distinto da quello moderno o di mercato (non c’è l’homo economicus, i romani non massimizzano i profitti, lo scambio non è diffuso, domina il valore d’uso e via dicendo). Ovviamente vi sono voci dissenzienti, ma ho sempre trovato la lettura di testi di storia economica antica assolutamente illuminante per capire la fonte della confusione. Un terreno fertile di analisi, a mio avviso.
Re(3): Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Per quanto io ricordi non esiste alcuna ambiguita’ ma la svolta data dalla espropriazione dei mezzi di produzione ossia la faccenda nasce col capitalismo.
Per quanto ricordi Marx non mirava ad un recupero di una condizione dorata per il semplice motivo che a suo parere non vi era mai stata. Marx, sempre a mio parere, prefigurava l’avvento di una societa’ migliore con il superamento del capitalismo mediante la socializzazione dei mezzi di produzione.
Re: Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Probabilmente non sono stato chiaro. Specifico. Un puzzle è un fenomeno empirico che nessuna teoria esistente può spiegare. Ciò, di solito, porta a sviluppare teorie più precise e solide. Il 99% dei lavori dei costruttivisti partono da puzzle che sono inventati, cioè che non esistono in pratica, per poter sviluppare i contributi teorici che a loro fanno piacere.
Faccio un esempio scemo. Waltz nel suo libro (che è l’esempio massimo della parsimonia) spiega che gli Stati, in materia di sicurezza, tenderanno a cooperare poco, salvo che 1) se ci sono interessi comuni o 2) per combattere un nemico comune. Per i costruttivisti la cooperazione navale contro la pirateria è un puzzle: Waltz – per loro – direbbe che gli Stati non cooperano. Dunque procedono spiegando come questo risultato sia il prodotto della socializzazione dell’idae progressiva dell’Europa sugli Stati e tante altre scemenze. Il mio punto è che basta prendere Waltz, leggerlo seriamente, trarre le implicazioni e testarle deduttivamente sui case studies di cooperazione navale (no regressions: ci sono troppi pochi casi) e vedere che funziona.
Se non sei convinto, leggiti l’articolo di Stacy Goddard e dimmi se le stesse cose non si possono dire molto meglio, più chiaramente e in maniera più scientifica con game-theory (penso oltretutto che qualche lavoro in quella direzione ci sia già, ma non ho tempo di andarlo a cercare). Ecco il mio punto.
Sull’agenda normativa e le scienze sociali. Il mio scopo è spiegare i problemi delle relazioni tra Stati. Se già riesco a spiegare perchè due Paesi vanno in guerra, credo, ho raggiunto un grande risultato. Chi viene dall’approccio marxista, post-modernista, critico (che poi sono tutti la stessa cosa, solo con il fiocco di colore differente) ha un altro obiettivo: cambiare il mondo. PEr fare ciò, sono necessari due passi. Il primo è sviluppare teorie emancipative (vedi le scemenze di Habermas). Dunque non si spiega più: ci si racconta l’aria fritta che fa piacere ascoltare. Nel testo cito l’articolo di critica a questo approccio, è di Schweller. Il titolo dice tutto: fantasy theory.
Il secondo obiettivo è “socializzare” la gente alla sua auto-emancipazione. Tradotto: ideologizzare studenti e gente comune propinando loro solo le teorie che fa comodo.
Trovami un solo positivista che condivida obiettivi simili (oltretutto, per me all’opposto dell’etica accademica del pluralismo).
Re(1): Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Habermas marxista? Per favore…. qui gli equivoci si moltiplicano. A questo punto mille volte meglio il DIAMAT (almeno lo ha scritto Stalin, uno che la storia l’ha praticata davvero e si è sporcato le mani, di sangue).
Queste critiche caricaturali del marxismo non aiutano a contrastarlo. Io temo che contro di voi stia facendo capolino qualche ”piccolo Lenin” molto bene istruito. Brancaccio è uno di quelli e temo che non sia il solo. Questo mi preoccupa perchè vedo dall’altra parte dei ragazzi un po’ frettolosi e con conoscenze ancora limitate. Leggete Bohm Bawerk, leggete Croce.
Re(2): Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Ciò che ho scritto io:
Si prega di leggere, poi fare i professorini. Tutti questi approcci condividono un’epistemologia post-positivista, poi la arricchiscono come vogliono, ma questo è il punto di base: e su questo mi concentro. Comunque, vada a leggere i libri di Andrew Linklater, che un post-marxista, e legga Habermas e poi discutiamo delle differenze.
Re(3): Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
La sua conoscenza del marxismo è da Bignami se crede che ”cambiare il mondo” lo caratterizzi in quanto tale. Lei non ha idea di quanto feroce cinismo e senso pratico possa scaturire da un marxista libero dal condizionamento della filosofia della storia. Croce diede duri colpi ai marxisti perchè li studiava attentamente. Segua il suo esempio.
Re(4): Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
E come non esser d’accordo…
Re(4): Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Senta, nelle scienze sociali ci sono due approcci epistemologici diversi. Uno è quello positivista. L’altro è quello post-positivista.
Il primo ritiene che l’universo sociale sia indagabile con i mezzi delle discipline scientifiche. L’obiettivo del ricercatore è dunque trovare e spiegare le leggi che lo regolano.
Il secondo ritiene che l’universo sociale sia socialmente costruito. L’obiettivo dello studioso è comprendere come la realtà viene ad essere compresa, come questa si ripeta e quindi la sua interpretazione finisca per avere effetti reali. Il punto di fondo è che chi condivide questa epistemologia ammette, implicitamente, un secondo ruolo. Quello di poter modificare il mondo attraverso la scienza, non nelle sue reazioni ma nelle sue leggi. Se la guerra esiste perchè si insegna che la guerra è un fenomeno naturale, allora basta insegnare che la guerra non è un fenomeno naturale per abrogarla. Tra i vari post-positivisti c’è una pluralità di posizioni, ma questo è il minimo punto denominatore.
Questo era il mio punto. Tutto il resto lo ha aggiunto lei, aa.
Re(5): Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Andrea, lascerei stare.
Questo è chiaramente un troll che non sa di cosa parla e dice cose a caso. Classica sindrome dell’autodidatta confuso: va per scatolette, schemini, etichette, ma non sa mai cosa c’è dentro perché non ha capito. Troppo difficile, e poi non aveva tempo per controllare i dettagli. Questo non cerca di capire, questo cerca discussioni fumose: viene qui, ti spiega che sei ingenuo, ignorante, confuso, eccetera. Si autoproclama saggio e spara frasi a vanvera, prive di contenuto. Ma mai che risponda alle domande, perché non sa di cosa parla. Qualsiasi cosa tu risponda lui non ne discuterà il contenuto (vedi sotto con Palma a cui ha risposto con un messaggio … vuoto!); ti dirà che sei un pivello ignorante e che lui è più preparato di te. Peccato che non riesca a produrre un commento con qualche contenuto specifico: probabilmente non ha mai scritto un acca in vita sua.
Lasciamo stare, è meglio. Forse troverà lidi a lui più consoni, la web è piena di trolls con la bocca piena di parolone altisonanti … Ora dovrei rileggermi Bohm Bawerk e Croce perché lui ha due appunti dal bignami del liceo che gli fanno credere che lì c’è la chiave di tutto …
Ma perché toccano tutti a noi questi qua?
P.S. Ovviamente farà anche l’offeso perché lui ama la “discussione pacata, senza insulti”; peccato abbia già pacatamente insultato mezzo mondo due minuti dopo essersi registrato … gira della gente veramente buffa.
Re(6): Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Offeso da lei? mi fa ridere. Mi ero limitato a segnalare una inesattezza in una delle tesi di questo articolo. La cosa si poteva risolvere li’ ma lei è il classico incosciente che tende a intromettersi in questioni che non conosce. Avallare nel 2010 la tesi del marxismo come ”filosofia della storia”, come se fosse stato appena pubblicato ‘Miseria dello storicismo’, è una cretinata che farà bene a tenere nascosta tra le mura di questo sito.
Oramai è chiaro che lei trabocca ignoranza da ogni poro. Se lei è l’alfiere dell’anti-marxismo siamo davvero nei guai. Lei è la tipica rappresentazione del pratictioner bifolco che ha raccattato due o tre strumenti per strada e adesso pensa di potere spaziare tra epistemologia e politica. Ma lo hanno capito all’Istituto Leoni quanto lei sia inadatto a certe sfide? nessuno le dice di tornare buono buonino nelle retrovie prima di fare disastri? Semmai il gioco si facesse duro le consiglio vivamente di farsi da parte e di tornare a giocare coi suoi bei modellini.
Luigi Urbani
Re(7): Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Alla precisa domanda: se hai qualcosa con un contenuto da dire dillo, il troll che fa?
Alza il livello dell’aggressione senza dir nulla. Perché? Perché non ha nulla da dire, poco sa e quasi nulla intende.
Case closed.
Il bilancio
http://www.youtube.com/watch?v=trOfAW8CwWQ&feature=related
Re: Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Diciamo così. In senso lato intendiamo come normativa una riflessione che distaccandosi dal solo accertamento dei fatti presuma di giudicare quei fatti stessi alla luce di principi, usualmente morali (ma ci sono mille forme di normativismo), che imporrebbero che quei fatti stessi fossero cambiati/emendati/superati ecc. ecc.
Il normativismo che ignori troppo spesso i fatti, pensando che saranno azioni moralmente informate a farsi carico della loro trasformazione, in genere si riducono a “vorrei”, “mi piacerebbe” e consimili.
Ora in che senso, secondo Urbani63, il marxismo può non essere normativo? Azzardo un’ipotesi banale. Il marxismo non sarebbe normativo perché la sua analisi non si fonda su una semplice asserzione di verità morali alle quali la realtà dovrebbe conformarsi, bensì esso si basa sulla descrizione “scientifica” dei rapporti di produzioni, degli effetti conseguenti quei rapporti e delle inevitabili trasformazioni che quei rapporti determineranno. Insomma, il marxismo non è normativo perché è scientifico? Positivo? Per questo esclude che il marxismo sia normativo?
Non capisco poi tutto questo volersi distanziarsi dalla dimensione normativa. Una volta che la storia si sia incaricata dell’oblio di certe idee non rimane che le retorica degli infiniti mondi possibili che si possono concepire, appunto, normativamente.
Se sia o meno, tempo di bilanci, e’ dubbio.
Ricordava un marxista famoso (Zho En Lai), e nel 1971, che era troppo presto per emetter giudizi sugli eventi del ’89, si riferiva a Marat e Robespierre.
Pero’, si puo’ provare. Resta del cosidetto materialismo storico nulla.
Per non aggiungere ulteriori pistol(otti), consiglio la lettura dei Grundrisse (non esiste piu’ in Italiano, ma per la gioia di grandi e piccini verra’ ripubblicato in Ottobre del 2010), il passo e’ il seguente:
Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Se invece per marxismo si intende la dottrina integrale (das Kapital) rimane un papocchio un po’ hegeliano e un po’ retro’, con tutto quello che si puo’ dire della sua natura, normativa o meno.
L’idea medesima che vi sia una natura umana, sembra aver a che fare molto con DNA e poco o nulla con l’alienazione.
Mi riprometto di ritornare quando il semestre all’inizio mi dia tregua, su una delle brillanti riduzioni all’assurdo che risale a circa 60 anni fa e seguenti, ma ritroveremo molti dei protagonisti della discussione di oggi
Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Re: Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Gentile Urbani63, le diedi appunto Marx, an sich, piuttosto che il Diamat. Il materialismo storico e anti naturalistico, come lo chiamava Marx, e’ parte integrante di quel che egli pensava. Non e’ affatto casuale che Das Kapital era da dedicarsi a …. Carlo Darwin, avendo (sic) egli scoperto le leggi di “trasformazione” della natura, mentre Carlo Marx avrebbe scoperto le leggi di trasformazioni delle societa’ umane (le consiglio, di tutto cuore, ad evitare bizzarrerie come legger il frontespizio e solo quello, il passo seguente:
Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
per la cronaca, il prof. Cesa (UniBologna e JHU/SAIS) è stato intervistato in questi giorni. Sul costruttivismo dice. Mi sembra che dica le mie stesse cose:
Un assaggio delle falsificabilissime ipotesi realiste
Mearsheimer nel 1990: ‘I argue that the prospects for major crises and war in Europe are likely to increase markedly if the Cold War ends and this scenario unfolds. The next decades in a Europe without the superpowers would probably not be as violent as the first 45 years of this century, but would probably be substantially more prone to violence than the past 45 years.’
Waltz nel 1993: ‘But we must wonder how long NATO will last as an effective organization.’
Re: Un assaggio delle falsificabilissime ipotesi realiste
Non ho capito queste affermazioni cosa dovrebbero dimostrare, magari la fallacia del neorealismo? Credo allora lei faccia il comico di mestiere.
1) In primo luogo, entrambe le affermazioni hanno centrato abbastanza bene la realtà. Sulla NATO basta vedere quanto conti attualmente e sul fatto che da oramai 10 anni chi ci lavori abbia un solo obiettivo: trovare una ragione d’essere all’alleanza. Lo stesso vale sull’affermazione di Measheimer, a meno che la guerra in Yugoslavia la vogliamo dimenticare.
2) Ciò detto, lasciamo perdere quanto uno studioso predica accuratamente il futuro. La teoria può essere corretta ma può essere utilizzata incorrettamente. Per esempio, Waltz fa una serie di errori logici nel suo libro del 1979 contraddicendosi più di una volta. A sottolineare e correggere questi errori ci ha pensato Rosende-Santos (2007). Waltz quindi pur avendo definito la teoria la ha poi esplicata incorretamente in una serie di passaggi. Che quindi una persona possa fare predizioni sbagliate sulla base di una teoria corretta non mi pare così folle, anche alla luce della complessità degli eventi politici.
3) Possiamo però sempre andare a prendere le altre predizioni, dai teorici della pace democratica ai costruttivisti che ci raccontavano un futuro di pace e democrazia. E in quel caso ci sarebbe da morire dalle risate…
aa
Re(1): Un assaggio delle falsificabilissime ipotesi realiste
Quello che intendo dire è che con affermazioni del genere si ha sempre ragione. Se la NATO fosse stata sciolta, tutti avrebber dato ragione a Waltz. La NATO è ancora lì, si è allargata, e ancora si può dare ragione a Waltz.
A sentire Mearsheimer adesso dovremmo essere in guerra in Europa occidentale. Non è successo ma ancora si può dare ragione a Mearsheimer. Prendendo cosa? L’ex Yugoslavia che è stata una guerra civile ed etnica e quindi per definizione non spiegabile dal realismo che è stato-centrico e razionalista.
Ma non vale solo per le predizioni, vale anche per le spiegazioni ex post, tipo che la guerra fredda, dato il declino sovietico, a un certo punto doveva finire. Alè.
Sull’UE che hanno detto i realisti? Praticamente niente. Sostengono ancora che sia un’organizzazione internazionale come tante altre.
Non devo fare l’avvocato di costruttivisti o altri. Non mi interessa. Dico solo che a un certo punto dagli anni ’80 bisognerebbe uscire (possibilmente vivi).
Re(2): Un assaggio delle falsificabilissime ipotesi realiste
Caro Piero,
è disarmante leggere cerit commenti.
In secondo luogo, qui si fa confusione tra due cose diverse. Un conto è avere teorie che fanno, al massimo, deduzioni poco precise (positivismo). Un altro conto è fare dell’imprecisione una teoria (post-positivismo).
Waltz ha detto che la NATO avrebbe perso la sua centralità. Ed è quello che è avvenuto. D’altronde tutti i suoi segretari hanno un obiettivo da oramai 20 anni a questa parte: ridare centralità all’alleanza. Si è espansa: vero. Anche i dinosauri, prima di morire, si sono spostatati in nuove zone e hanno cercato di aumentare la propria popolazione. La NATO tra i suoi compiti oramai ha tutto: cyber-defense, energy security, political and social stability, nuclear deterrence, marittime security. Ma cosa produce? niente. Vedesi le missioni anti-pirateria nel Golfo di Aden dove la NATO si è buttata per non risultare seconda all’EU.
Su Mearsheimer e le guerre civli: lasciamo perdere. Perchè è imbarazzante dover ricordare che il più grande studioso di guerre civili è James Fearon, un razionalista. Senza contare i diversi lavori di Barbara Walter, Jack Snyder e Stathis Kalyvas sul tema che hanno messo la parola fine a certe boiate (dipo quelle di Mary Kaldor).
Sull’UE: mai sentito parlare dei lavori di Barry Posen (2006), Seth G. Jones (2007), Sebastian Rosato (2010) sull’EU? Perchè nel mio campo, EDSP, sono quelli che hanno detto le cose più interessanti. Senza contare studiosi europei di scuola realista (Lyndley-French, Heisbourg, Yost).
Quindi non capisco l’ennesima accusa dei dibattiti degli anni Ottanta. Specie da chi, almeno in questi brevi commenti, ha ripetuto male delle semplificazioni che in realtà non esistono.
Il realismo è pieno di difetti (vedesi la conclusione del saggio di Wohlforth 93/94) o il libro edito dai due Elmann nel 2003. Sono disposto a discuterne e su molte di queste cose convengo. Ma appunto, allora bisogna alzare un po’ l’asticella dei commenti, aa.
Re(2): Un assaggio delle falsificabilissime ipotesi realiste
Piero,
non ci siamo (tra l’altro, poichè hai accesso alle riviste accademiche e sembri conoscere la disciplina, perchè non ci dici un po’ chi sei? Libero di non farlo, ovviamente, ma non vedo il motivo per cui tu debba nasconderti).
Dicevo, non ci siamo. Proprio non ci siamo. Le teorie non si valutano solamente sulla base della corrispondenza (congruenza) tra predicted outcome e observed outcome (ciò equivale ad equiparare correlation a causation). Se una teoria prevede un evento che si manifesta, ciò non significa necessariamente che la teoria sia corretta. Analogamente, se una teoria sbaglia a predirre il risultato, non possiamo accontentarci del fallimento. Questo può risultare infatti da probemi diversi: ad esempio il meccanismo causale postulato è incorretto (in qual caso, il tuo ragionamento è appropriato); oppure una variabile viene misurata erroneamente (in qual caso quanto tu dici non è pertinente); oppure, ancora, una variabile importante è stata ignorata (e qui diventa difficile trarre delle conclusioni sulla teoria). Vi sono ovviamente altre vie che possono portare una teoria a non fare previsioni corrette, ma queste mi sembrano quelle più rilevanti.
Veniamo a noi. Partiamo da Waltz. Waltz aveva preannunciato la fine della NATO. Non è successo. Waltz ha torto? Beh… Waltz ha sbagliato perchè non ha considerato un’opzione accessoria per gli Stati Uniti: usare la NATO per promuovere i propri interessi. Le altre teorie (neoliberal institutionalism e constructivism) sostenevano invece che la NATO sarebbe continuata ad esistere in qualità di organizzazione internazionale che avrebbe permesso la cooperazione in Europa e la socializzazione tra le elite di determinate norme (democrazia, etc.).
Il neorealismo sarebbe falsificato se la NATO fosse stata mantenuta per queste ragioni. A meno di non avere il prosciutto sugli occhi, e voler fare le giravolte, this is not the case. La NATO è stata mantenuta per organizational dynamics (i dipendenti NATO non sono diversi da quelli della FIAT di pomigliano; a loro vantaggio, però, possono contare su appoggi politici molto più forti); e, appunto e soprattutto, perchè gli Stati Uniti hanno presto realizzato che questo era il mezzo migliore per tenere l’Europa sotto controllo (vedi tutte le lamentele su Galileo, sui tentativi di Chirac di dare vita ad un’Europa “militarmente” forte; etc.) (http://www.rand.org/pubs/monograph_reports/2006/MR525.pdf)
Ora, vogliamo essere seri, oppure ci nascondiamo dietro ad un dito? Il fatto che le previsioni di Waltz non si siano realizzate non disconfermano la sua teoria. Il fatto, invece, che il meccanismo causale che ha mantenuto in piedi la NATO stessa sia quello caro ai realisti (gli stati perseguono i loro interessi), e non quello di neolib e constructivists dovrebbe essere sufficiente a placare i tuoi entusiasmi.
Veniamo a Mearsheimer. Come ha scritto Andrea qui sopra, è singolare che tu parli di “uscire dagli anni ’80” e poi dimentichi Fearon. Mah… Ciò detto, quanto ho scritto precedentemente è di nuovo utile. Mearsheimer aveva torto perchè il meccanismo causale che postulava è sbagliato, oppure perchè nella formulazione delle sue previsioni usava una misurazione errata di una variabile chiave (il potere relativo degli stati)? E’ chiaro che l’articolo di Mearsheimer si basava sulle prospettive di allora che vedevano la Germania prossima a superare economicamente gli USA. Da questo assunto, Mearsheimer concludeva che gli USA non avrebbero più potuto svolgere il ruolo di “pacifier” sul continente europeo, e una Germania così forte avrebbe inevitabilmente accresciuto la competizione politica in Europa.
Ora, se il meccanismo causale postulato da Mearsheimer fosse sbagliato, tu avresti ragione. Il problema è che la competizione politica in Europa non è sparita come affermato da neolib e constructivists. Anzi, se leggi Wohlforth e Schweller troverai alcuni riferimenti interessanti: gli altri stati europei si opposero inizialmente alla riunificazione tedesca, proprio perchè spaventati degli effetti che avrebbe avuto sul continente.
Ora, quanto scrivo non implica che il neorealismo sia sempre corretto. Il caso europeo rientra però in quel tipo di case study che Ecksein ha chiamato “crucial case”, e in particolare del tipo “least likely”. In altre parole, se prendiamo il caso europeo, il realismo dovrebbe essere la teoria che con più probabilità viene smentita; costruttivismo e neoliberalismo dovrebbero essere quelle che con più probabilità vengono confermate (alto livello di trade; scambi culturali; istituzioni comuni a livello europeo; etc.). Se il realismo fosse smentito, sarebbe poco male, perchè in fondo sarebbe da aspettarsi un risultato di questo genere. Se fosse confermato invece sarebbe un dato davvero rilevante.
Ecco, se prendi gli studi sulla fine della guerra fredda, la soluzione alla riunificazionetedesca, e la decisione di mantenere la nato troverai che guarda un po’, chi ne esce meglio sono proprio i realisti (mi riferisco ai lavori di Posen, Schweller, Wohlforth, Wohlforth e Brooks, e Wohlforth e Schweller, più aggiungi anche quelli di Grieco, 1994, e 1995).
Concludo: se si vuole ragionare, questo è il punto di partenza. Le teorie non si testano senza uno straccio di metodologia, estrapolando una frase, decontestualizzanda, e limitandosi a constatare mancanza di congruenza tra predicted and observed outcome.
Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Ciao Andrea,
io ho avuto un po’ a che fare con le teorie costruttiviste quest’anno. A me era sembrato un approccio poco pratico, ma che aiutava nel capire i processi. Per dire, discorsi del tipo structure-process, benché tautologici, aiutano a capire come le cose evolvono (per dire, come viene a crearsi una certa cultura aziendale e come questa influenza i processi aziendali).
Poi, è vero, forse si scade un po’ nella banalità, ma gli approcci più di stampo positivista mi erano sembrati più adatti a spiegazioni di macro-fenomeni.
Insomma, io avevo inteso costruttivismo e positivismo come entrambi utili e da usare in base alle necessità dello studio da fare.
Questo era il messaggio di fondo nei vari corsi che ho avuto: quello che le teorie rappresentassero approcci diversi e facessero notare cose diverse della realtà.
Re: Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Alessio,
se leggi tra le righe, io non dico che il costruttivismo sia da buttare via. In altri commenti ho anche specificato che alcuni lavori costruttivisti sono utili e interessanti. Il punto di fondo è capire QUANTO ci aiuti. Io sono assolutamente d’accordo nell’usare il costruttivismo laddove il positivismo non funziona. Ma per arrivare a quel punto mi si deve convincere che è davvero così e non, come dico sopra, inventandosi puzzle che non esistono.
Le tue ultime parole sono interessanti. Tu fondamentalmente dici che il costruttivismo è utile per spiegare micro-decisioni. E’ esattamente l’opposto di quanto sostengono i costruttivisti. Il positivismo spiegherebbe la realtà perchè la reifica (CHE PAROLE!). Ma per capire le macro-strutture e i macro-processi bisogna usare il costruttivismo.
aa
Re(1): Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Ah ah, reifica mi mandò in crisi, anche perché in inglese non ti viene subito il rimando al latino. Effettivamente, certi papers erano di completo fuori dal mondo.
Ti dico subito, io mi sono trovato a ragionare molto di costruttivismo in un corso di “intercultural competence (IC)”. Il corso era poi basato su questo confronto functionalism/costructivism (functionalism, spero di non star dicendo scemenze, ma direi che è positivismo).
Il funzionalista in IC più famoso è Hoffstede. Il costruttivista non saprei, perché lì le cose erano un po’ mischiate e mi pare di aver capito che non c’è un referente univoco.
Il punto è che H ha fatto uno studio e ha trovato 5 categorie “culturali” cui ogni popolo adempie. Per esempio, una categoria è small/large power distance, che misura quali sono le distanze all’interno di una certa società. Queste categorie sono misurabili, per cui posso dire che la power distance per i cinesi è tipo 9 e per i danesi 3.
Quindi, quando dico che il positivismo (quello di cui ho esperienza!) guarda agli aspetti macro, intendo dire che non spiega, in IC, come si arriva ad avere una power distance di 9 per i cinesi per esempio.
Invece, in IC sempre, l’approccio costruttivista è capire le relazioni tra micro e macro perché i due si influenzano a vicenda. Un esempio di questo tipo di approccio è la questione degli espatriati all’interno dell’organizzazione. L’espatriato, in un certo senso, turba la cultura aziendale e la nuova cultura aziendale, a sua volta, turba l’espatriato.
Insomma, ecco, per l’esperienza che ho avuto io col costruttivismo, se proprio si deve parlare di leggi, di solito sono quelle che riguardano lo svolgersi dei processi (micro-macro; sense making; etc.). I macro processi, poi, vengono spiegati come spinti e creati dai micro.
Secondo me, un punto per capire quanto possa aiutare il costruttivismo è nel ruolo della razionalità. Qui ipotizzo, ma credo che le assunzioni sulla razionalità degli attori in IR e IC siano diverse. Se si assume che gli attori siano “molto” razionali, forse l’approccio positivista usando la game theory ha molto senso. Se si assume bounded rationality forse vengono più in aiuto concetti come sense making.
Re(2): Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Mah… non so se il funzionalismo è positivista, so che è uno degli approcci più fallimentari delle scienze sociali dopo quelli marxisti… quindi mi risulta difficile pensare che possa essere d’aiuto.
Non conosco il tuo campo, quindi non posso parlare. Però se guardi alla letteratura in industrial organization penso che ci siano modelli che possono essere utili. Poi, ripeto, quando si arriva al limite e il opsitivismo non funziona, io sono d’accordo: usiamo il costruttivismo se è utile.
aa
ps: reification. Penso in italiano sia “reificare”
Re(3): Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Beh, qui siamo al discorso etero/orto-dosso.
Io concordo nel fatto che ci voglia ortodossia, ma nella metodologia, non nelle teorie usabili. Quello che mi sembra contare molto è che la teoria abbia assunzioni realistiche e deduzioni logiche. Se, poi, dica o meno qualcosa, questo dipende da come è usata e da chi interpreta i risultati.
Il bilancio dell’eterodossia nelle scienze sociali
Per me dove non c’è individualismo metodologico non c’è scienza; mi fa ridere leggere i testi dei realisti (che si vorrebbero positivisti!!!) dove raccontano che “la francia ha fatto questo, la germania allora ha risposto”. Essi ragionando prevalentemente su dati aggregati, hanno un pensiero intrinsecamente costruzionista. in IR ho come l’impressione che esistano due tipi di costruzionisti: quelli che si riconoscono come tali e quelli che si fanno chiamare realisti.
Sarebbe bello tracciare la storia accademica dell’IR, materia interdisciplinare per eccellenza, ottima per creare cadreghe in accademia ma appena a contatto col mondo reale balbetta cose o incomprensibili (post-modernisti) o autoevidenti (realisti). Fa previsioni molto utili e chiare (forse un giorno l’ONU cadrà). Tentare di trovare leggi nell’agire politico è naive e spesso inutile, fare politica è decisamente più utile.
Il successo di tali discipline non sta tanto nello studiare gli eventi passati (con teorie ad hoc, bella forza, ci riescon tutti) ma predire quelli futuri, ovvero dettare l’agenda politica. Essere performativi, creare la stessa realtà che vorrebbero studiare. Per questo le due differenze: i post-modernisti sono smaccatamente politici e politicizzanti (e con loro, marxisti e compagnia) e per questo inutili gli altri si sforzano di essere ogettivi, ma per la natura dei dati che hanno a che fare, non possono che fallire.
La mia stima va i secondi, in qualunque campo del sapere umano, chi preferisce un metodo inferenziale è sicuramente da stimare. Ciò non toglie che anche loro siano degli inutili costruzionisti. Dite ai gestori di IR che hanno sbagliato tutto ed è tutto da rifare.
(si, è una trollata)