Beirut, Parigi, Sharm ... Provando a capire

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Proviamo a riflettere, per difficile che risulti, sulle implicazioni di tre ulteriori e particolarmente gravi attentati terroristici di cui è responsabile l’organizzazione criminale nota come ISIS (ISIL, Daesh …). Quello più recente (Parigi, 13 novembre) è su tutti i media, il secondo (Beirut, 12 novembre) è passato quasi inosservato in Europa mentre il terzo (esplosione aereo russo da Sharm el Sheikh) risale a due settimane fa.

 Ecco una lista, incompleta e certamente disordinata, delle domande che abbiamo provato a porci ed alle quali abbiamo dato risposte parziali ed incomplete, ma speriamo utili.

  • Chi sono costoro e cosa cercano? Esiste un obiettivo ed una strategia che spieghino la tattica di questi ultimi anni, fatta di violenza indiscriminata e senza precedenti?

  • Quali sono le “cause” di questa nuova ondata di violenza? Cause immediate e cause di più lungo periodo. In parole povere: esiste un perché o siamo solo di fronte, come alcuni sostengono, al rivelarsi dell’anima “oscura” di una religione?

  • Come vogliamo leggere ISIS ora ed Al-Qaeda prima? E come leggere quello che, probabilmente, verrà in loro luogo, dovessero (chi?) militarmente annientare ISIS nei prossimi mesi? Siamo nel mezzo dello “scontro fra civilizzazioni/religioni” (cristiana vs musulmana) che svariati profetizzano da decenni? Sono invece questi degli “atti di guerra” d’una potenza o entità ben identificabile, a cui occorre rispondere con atti di guerra equipollenti? Quali, concretamente? O forse si tratta “solo” di terrorismo sporadico, più pericoloso quantitativamente ma non qualitativamente differente da, per rimanere in Italia, quello da noi sperimentato negli anni ‘70 e primi anni ‘80? Altre ipotesi?

  • Come si “risponde” a questi atti? Che fare ed a quale fine? Meglio, quali devono essere i fini ultimi di una reazione “nostra” (dove anche “nostra” va definita adeguatamente: chi siamo “noi”?) e come dovrebbe essere condotta tale reazione?

 

Sandro. Non so rispondere esattamente alle domande su ‘’chi sono’’ e ‘’cosa vogliono’’, ma provo a dire qualcosa, così magari mi chiarisco le idee con il vostro aiuto. In prima battuta ISIS (chiamiamolo così per comodità) è una banda armata che cerca di controllare una parte di territorio nel Medio Oriente, la più ampia possibile, in modo simile ad altre bande armate. Sembra essere caratterizzata dal fanatismo dei suoi membri, che non solo sono disposti a rischiare le proprie vite per raggiungere i propri obiettivi ma sembrano cercare attivamente la propria morte, e da una crudeltà poco comune anche nelle zone di guerra, che si manifesta ad esempio nell’attacco indiscriminato ai civili e nel trattamento particolarmente crudele dei prigionieri e dei nemici. Da quel che mi è dato capire il terrorismo verso i russi e verso i francesi sembra essere dettato dalla logica di molti altri gruppi terroristi: alzare il prezzo per il nemico di partecipare alla guerra. Russia e Francia (quest’ultima insieme ad altre potenze europee) hanno partecipato a operazioni militari in Medio Oriente che possono essere pericolose per l’espansione militare di ISIS. Dato che dubito ISIS abbia le capacità militari per contrastare direttamente tali operazioni, è possibile che abbiano scelto la via per loro meno costosa di far pagare un prezzo alto ai nemici mediante atti di terrorismo sul loro territorio o verso i loro cittadini. Da questo punto di vista la strategia non è né particolarmente nuova né particolarmente più sanguinaria di simili atti precedenti (per esempio la strage di Beslan). Inoltre ISIS punta a indebolire economicamente gli stati arabi con regimi secolari o semplicemente stabili, che rappresentano un ostacolo alla sua espansione. L’attentato sulla spiaggia tunisina dell’anno scorso e la bomba nell’aereo partito da Sharm fanno parte di questa strategia; l’attacco di Beirut probabilmente fa anche esso parte della medesima strategia perché destabilizzare il Libano e terrorizzare gli shiiti è utile a ISIS.

Le domande più difficili sono quelle sul ‘’che fare’’ (a parte le cose ovvie, ossia da un lato indagare nel modo più efficace possibile sui potenziali terroristi per prevenire e dall’altro trovare e punire gli assassini). Io confesso un mio grosso limite, la storia dello ‘’scontro di civilizzazioni’’ non l’ho mai ben capita, La vera domanda è quale politica dobbiamo tenere verso i paesi del Medio Oriente. Al riguardo io ho solo dubbi.

Michele. Anche io - come voi, ma al contrario di molti commentaristi italiani - ho più dubbi che certezze. I dubbi più pesanti riguardano il cosa fare ora. Quindi provo a prenderla da lontano, perché credo che una prospettiva storica possa essere utile a comprendere un fenomeno che non ha nulla di episodico e che temo ci accompagnerà ancora per parecchio tempo.

L’inevitabilità di quanto accade non elimina il dovere di operare, comunque, per cercare di evitarlo il più possibile. L’inevitabilità è dovuta alle radici storiche dei fenomeni di cui siamo vittime. Radici che non si possono estirpare (rifare la storia è notoriamente impossibile) e con le cui ramificazioni dovremo lottare per molti anni a venire. Riassumo la tesi di questo mio primo intervento: io credo che, per una parte, quanto stiamo vivendo sia conseguenza della fallimentare politica coloniale e post-coloniale dell’occidente (Francia, Regno Unito e USA, anzitutto) nel Nord Africa e nel Medio Oriente e, per un’altra parte, sia causato delle convulsioni interne che una religione teocratica (quella musulmana, in questo caso) non può non attraversare alla ricerca di un equilibrio stabile fra appartenenza religiosa ed identità etnico-nazionale. Invito a riflettere sulle mille guerre di religione interne al cristianesimo che hanno caratterizzato per secoli la transizione a quella che consideriamo l’età contemporanea.

Chi insiste sul tema “guerra di civilizzazioni/religioni” (Cristianesimo vs Islam) e ne deduce la necessità di chiudere le frontiere, espellere i musulmani e colpire militarmente non tanto e non solo le forze terroriste ma il complesso dell’Islam, è sia pericoloso che in mala fede. Perché occulta i fatti:  il grosso del massacro terroristico si compie in Medio Oriente: i “musulmani” ammazzati, o ben da Al-Qaeda o ben da ISIS o da altri gruppi terroristi minori, sono, ad occhio, 100 o 200 volte i “cristiani” ammazzati dai medesimi gruppi. Sandro ha già portato svariati esempi, inutile allungare la lista. Ricordiamoci che nelle zone controllate da ISIS, come prima in quelle controllate da Al-Qaeda, vengono ammazzati soprattutto i musulmani che non ottemperano le follie del regime militarmente dominante. Negli scontri interni fra fazioni palestinesi muoiono molti più palestinesi di quanti ne ammazzi Israele con le sue azioni punitive o di occupazione (senza andare indietro nel tempo, a Settembre Nero e tutto il resto, dare un’occhiata qua). Questo mi sembra un aspetto chiave che, purtroppo, i media occidentali (fatte salve poche eccezioni) continuamente ignorano, mal informando di conseguenza l’elettorato e favorendo scelte politiche e militari dominate da una visione di breve periodo. Ed è così da decenni: la prima guerra del Golfo avvenne perché Saddam voleva mangiarsi un altro paese arabo; in Egitto e nei vari paesi coinvolti dalle insurrezioni della cosiddetta “primavera araba” la violenza è interna al mondo musulmano, idem in Siria e così via. I Curdi sono, nella stragrande maggioranza, musulmani (sia sunniti che sciiti) eppure combattono da un secolo contro altri musulmani di differente etnia o identità tribale, Turchi ed “Iracheni”, dove la seconda è fra virgolette perché l’identità etnica qui è molto meno ben definita che nel caso turco.

Proviamo a riflettere: tutti gli attentati che hanno colpito gli USA e svariati paesi europei dal 2001 in avanti sono conseguenza o derivazione di una o più di queste lunghe guerre interne al mondo musulmano. Questo non era vero per gli attentati palestinesi degli anni ‘70, i quali furono causati dallo scontro fra un popolo orientale ed uno occidentale (perdonatemi l’orrenda approssimazione). Ma quel terrorismo palestinese oggi non c’è più e le vittime della violenza di Hamas sono, in gran parte, altri palestinesi.

In sostanza, come ben chiarisce anche questo articolo di Limes che ho scoperto dopo aver scritto la parte precedente, stiamo assistendo anzitutto ad una guerra interna al mondo arabo/musulmano. Ed anche l’attributo “musulmano” andrebbe qualificato: gli indonesiani o i pakistani potrebbero chiedere che diavolo abbiano a che fare loro con una tale guerra. Idem per i quasi 200 milioni di musulmani che vivono in India e le centinaia di milioni di altri musulmani che vivono altrove nel mondo. Per questo le urla su “Islam religione di morte” vanno combattute senza remissione alcuna. Sono affermazioni false sia sul piano storico che su quello analitico. Se prese sul serio porterebbero ad una tragedia immane: la dichiarazione di guerra del Cristianesimo all’Islamismo. Una ricetta per il suicidio collettivo.

Ma, allora, se di una guerra interna al mondo arabo si tratta e se non è vero che l’Islam, in e di per se, è religione di morte che necessariamente predica e genera atti di folle violenza come quelli di questi giorni, perché mai da quasi due decenni i cittadini occidentali sono, a turni alterni, oggetto di attacchi uno più efferato dell’altro? Se non è una guerra fra religioni, se tutto questo non sta avvenendo per cercare di destabilizzare l’occidente è “conquistarlo” in una qualche (indefinita) maniera, perché avviene? Cosa c’entriamo noi?

“Noi” siamo dentro sino al collo nello scontro che, a partire dal crollo dell’impero ottomano, sta avvenendo in quella regione che inizia ad est del Marocco per terminare in Iraq, estendendosi, lungo l’asse Nord/Sud, dalla penisola arabica sino alla Turchia, perché vi ci siamo infilati di nostro.  ottoman-empire-acquisitions-its-greatest-extent-vector-illustration-48032090.jpg

Crollato, anche per mano nostra, l’impero ottomano, Francia ed Inghilterra con la collaborazione di altri paesi occidentali se ne spartirono i territori, tenendosene alcuni e destinandone altri ai loro vassalli del tempo. Ci inventammo paesi che non avevano alcun fondamento etnico o religioso (la Libia, per dire, o la Siria) assegnando ad ognuno un reggente gradito alle potenze occidentali del tempo. Chi non volesse perder tempo sui libri puoi farsi un’idea di tutto questo guardandosi il film Lawrence of Arabia ...

Finché il dominio (post) coloniale, prima, e la guerra fredda, poi, fecero da tappo (attraverso un misto di repressione e corruzione che ognuno dei regimi a noi “amici” esercitava nel proprio paese) queste “nazioni” sembrarono funzionare, pur in assenza di democrazia e di effettivo sviluppo economico, culturale e politico. Saltato prima il tappo coloniale e poi quello della guerra fredda incominciò il casino che oggi ci coinvolge così pesantemente. Quand’è che Saddam fa la prima mossa che ci induce ad un coinvolgimento diretto, ossia l’invasione del Kuwait? Nel 1991, quando sparisce l’URSS.  

Occorre essere consapevoli di questo fatto: l’occidente è parte in causa nel conflitto mediorientale perché ha deciso, un secolo fa circa, di decidere chi doveva comandare cosa, dove e come in quell’area. Ognuno, letteralmente, di quei regimi è figlio nostro. Compreso quello iraniano degli ayatollah che emerge come contro-reazione all’imposizione anglo-americana dei Palhavi al posto di Mossadeq nel 1953. Basta riflettere su questo esempio per capire che gli errori, in politica estera, si pagano per molti decenni: stiamo cercando (e non è detto funzioni) di aggiustare ora un errore fatto 62 anni fa! Una delle cose che gli occidentali sembrano incapaci di accettare ed invece dovranno è che, in una maniera o nell’altra, alcuni confini mediorentali devono essere ridefiniti perché non definiscono entità statali stabili fondate su una coesione nazionale, sia essa etnica e/o religiosa. E questo ci conduce al secondo degli elementi indicati nel mio sommario iniziale come cause storiche di quanto avviene, quello religioso.

Il cuius regio, eius religio, che giocò un ruolo chiave nel pacificare l’Europa cristiana quasi 6 secoli orsono, non vale solo per noi. Ricordiamoci che il Profeta Mohammed morì nell’anno 632 dell’era cristiana. A quel tempo la religione cristiana aveva già visto la sua dose di "eresie", lotte intestine e scismi piu' o meno sommersi. Al contrario della cristiana - la quale, dopo circa un millennio e passa di  disastri d’ogni tipo, è arrivata a stabilizzare la relazione fra le sue varie “sette” in modo tale da evitare conflitti armati e da non interferire nella politica dei paesi coinvolti - la religione musulmana è ancora lungi dall’aver stabilizzato le relazioni fra le sue di sette. Non solo non riesce a separare lo stato dalla chiesa (cosa che i cristiani riuscirono a fare in quell’arco di tempo che va dall’anno 1000 al 1700 circa) ma continua ad avere al proprio interno ampie componenti “militarmente espansive”, ossia desiderose di esportare la mezzaluna con il mitra e la bomba nello stesso modo in cui, svariati secoli orsono, molte componenti interne al mondo cristiano intendevano esportare la croce con la spada e la lancia. L’analogia non è forse perfetta ma io la trovo difficile da rifiutare.

Perché mai questo “ritardo evolutivo” (che potrebbe essere dovuto solo ad una “tarda nascita”) della religione musulmana dovrebbe riguardare i paesi di cultura cristiana? Per tre banali ragioni. Anzitutto perché, essendoci lasciati quei problemi alle nostre spalle ed avendo deciso di infilarci negli affari politici dei paesi dell’area ex-ottomanna, noi non possiamo accettare il loro modus operandi politico e loro non riescono ad accettare il nostro. In secondo luogo perché, a fronte del nostro declino demografico, quei paesi continuano a generare un surplus di popolazione che tende a migrare spontaneamente verso i nostri territori, esacerbando le frizioni culturali. In terzo luogo perché un conto è usare la spada per farsi valere in un mondo scarsamente popolato e ben altro conto è usare le armi moderne nel centro delle metropoli europee. Il carnage che ne risulta è infinitamente maggiore.

Dove portano queste osservazioni? Spero portino a comprendere che noi “cristiani” siamo finiti in mezzo a questa follia “islamica” perché siamo fisicamente e militarmente presenti nel Medio Oriente per nostra scelta, non perché sia invece in corso una Jihad dell’Islam alla conquista dell’occidente. Non siamo alle anti-crociate ma alla guerra dei trent’anni esportata in, per dire, Inghilterra, perché l’Inghilterra s’è messa in mezzo fra un principe tedesco e l’altro ed uno dei due intende vendicarsi direttamente sugli inglesi. È per queste ragioni che le assurdità sull’Islam da distruggere - che in Italia si ispirano alla “preveggenza” della confusa Oriana Fallaci - vanno seriamente combattute. È in corso, internamente all’Islam, una lunga e violenta battaglia culturale e militare che avrà rilevanza per i decenni, forse i secoli a venire. È nel nostro interesse appoggiare - con argomenti cogenti ed il coinvolgimento culturale, non con l’ostracismo idelogico - le componenti modernizzanti o “illuministiche” che nell’Islam esistono e sono forse persino maggioritarie, esattamente come avremmo fatto nei secoli dell’oscurantismo papalino dovendo scegliere fra Galileo e l’Inquisizione.  

È anche importante accettare, seppur amaramente, che districarsi dal Medio Oriente è oggi, per noi, praticamente impossibile. Le ragioni sono sia note che ovvie ma mi sembra utile riassumere le principali: il petrolio, la prossimità fisica di questi paesi all’Europa e gli scambi commerciali che ne derivano, i flussi migratori in corso, la competizione geopolitica con URSS (prima) e con Russia e Cina (ora), la protezione dello stato di Israele. Non voglio mettermi a discutere sulla bontà di questi motivi (su alcuni dei quali i lettori più antichi sanno come io abbia una posizione di minoranza, in particolare per quanto riguarda i rapporti dell'occidente con lo stato di Israele) perché oggi come oggi e di fronte ai pericoli che abbiamo dinanzi, la valutazione sulle scelte passate diventa, seppur intellettualmente utile, politicamente secondaria. Detto altrimenti: possiamo, come nel mio caso, ritenere erronei molti dei motivi che hanno portato l’occidente, da un secolo e passa, a gestire i resti dell’impero ottomano e la sua periferia, ma questo non cambia la realtà odierna sul terreno. Con il senno di poi è facile vedere gli errori di 100 ed anche di 70 o 50 anni fa, ma bygones are bygones ed ora occorre gestirne gli effetti. Il più importante di essi è che siamo i nemici dei nemici dei nostri amici, quindi è cruciale sia scegliersi gli amici con molta maggior cautela che in passato sia difendersi in modo più efficace dai loro nemici. E nel frattempo occorre imparare a convivere con tali effetti, impedendo che arrivino a logorare i principi su cui il nostro sistema politico-sociale si fonda. E questo non è per nulla semplice.

Giulio. Concordo, innanzitutto, che non si tratta di scontro tra civilizzazioni, tanto meno tra religioni. Le diverse civilizzazioni di occidentali e mediorientali (in fondo non molto diverse visto che commerciamo, ci scambiamo conoscenze e ci influenziamo in molti altri modi da parecchi secoli) e le loro diverse religioni (anche queste in fondo molto simili, vista la radice comune delle tre grandi religioni monoteiste che non a caso rende del tutto naturale il dialogo e persino la teologia interreligiosa) hanno a che fare con questo conflitto tanto quanto le diversità culturali e religiose tra Germania e Giappone da un lato e Stati Uniti e Inghilterra dall’altro avevano a che fare col loro conflitto durante la Seconda guerra mondiale: poco o niente. Come già notato da Sandro e Michele, in tutte queste circostanze ISIS non si è fatto alcuno scrupolo ad uccidere i propri “fratelli” musulmani. E ce l’hanno con gli europei e i loro discendenti oltremare, non, per dire, coi cinesi che sono molto più lontani da loro culturalmente e religiosamente. Davvero cultura e religione c’entrano poco o niente. Che qualcuno spari invocando Dio significa poco. Anche qualche tedesco avrà sparato durante la Seconda guerra mondiale pensando “Gott mit uns”. Molti, infatti, da quanto ci è dato sapere. Così come significa poco, di per sé, che qualcuno sia disposto a morire suicida in queste operazioni terroristiche. La storia è piena di esempi di gente che si immola per cause laiche (come la patria) e una buona paga per sé prima e per gli eredi dopo.

L’amara verità, a me pare, è che questi attentati sono quello che li ha definiti Hollande la sera stessa della strage di Parigi: atti di guerra. Col passare delle ore e l’arrivo di informazioni dalle indagini è diventato sempre più evidente che negli attentati di Parigi ISIS ha svolto un importante ruolo di organizzazione e coordinamento. Le notizie di oggi sulle comunicazioni tramite la funzione vocale della Playstation confermano infatti che questo ruolo è stato diretto e determinante. Le armi di ISIS sono queste, non convenzionali e apertamente vigliacche perché colpiscono i civili di proposito, le nostre sono convenzionali e non vili perché colpiscono (nelle intenzioni ufficiali, almeno) l’esercito nemico. Ma la guerra è una roba orribile che non conosce regole. Chi bombarda combattenti nemici da un aereo, chi massacra civili inermi in attacchi suicidi. C’è ovviamente una differenza tra le due cose, ma le spirali di violenza sono fatte così. Da pacifista penso che prima riconosciamo che siamo davanti ad atti di guerra meglio è per tutti. Facciamo fatica a farlo perché continuiamo a negare di essere parte di un conflitto armato, ma ci siamo dentro fino al collo per le ragioni storiche illustrate sopra da Michele e la presenza militare europea ed americana in Medio Oriente sta ancora lì a dimostrarlo. Alzare le mani dichiarandosi vittime innocenti (collettivamente ossia politicamente, sia chiaro, che i singoli tragicamente uccisi nei giorni scorsi lo erano, vittime innocenti) sarebbe ipocrita.

Che fare, dunque? Ci siamo resi conto troppo tardi (si veda per esempio la “confessione” di Tony Blair poche settimane fa) che è stato un grave errore intervenire militarmente in Iraq nel 2003-2004 per rovesciare il regime di Saddam Hussein. È ormai, credo, pubblicamente riconosciuto anche negli Stati Uniti che il modo in cui è stata gestita l’occupazione e, in particolare, smantellato l’esercito iracheno negli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra del Golfo ha creato un “esercito di riserva” (in questo caso il concetto calza proprio a pennello) di uomini e armi che hanno favorito l’organizzazione militare di ISIS. Meglio sarebbe stato lasciare Saddam dov’era, dicono oggi molti. E anche Gheddafi. E anche Assad (beh, lui c’è sempre e infatti oggi molti dicono per fortuna che c’è). Proprio mentre Al-Qaeda stava percorrendo il viale del tramonto abbiamo contribuito in modo determinante a creare un caos che ha fatto prosperare ISIS. Ne consegue, retrospettivamente, che la politica migliore da tenere verso il Medio Oriente sarebbe probabilmente stata la passiva accettazione degli equilibri politici che là, endogenamente, si determinano, almeno finché non si subisce un attacco (e questo poteva forse giustificare il rovesciamento per mano militare del regime dei talebani in Afghanistan nel 2001). D’altronde facciamo così da decenni con la Corea del Nord, un brutale regime dittatoriale che opprime il popolo e ne calpesta i diritti umani riconosciuti in occidente. Ma ormai è tardi e siamo dentro al conflitto. Concordo con Sandro (e con l’ottimo articolo di Limes già citato sopra da Michele) quando dice che ISIS sta alzando il prezzo per europei e russi di immischiarsi nelle faccende mediorientali e, in particolare, di partecipare allo sforzo militare per contrastare l’autoproclamato “califfato”.

E quindi, di nuovo, che fare, dunque? Innanzitutto evitare l’isteria collettiva e l’islamofobia. Le comunità musulmane in Europa hanno un interesse a vedere sconfitto il terrorismo (pensate all’enorme danno che questi eventi fanno alla loro immagine e quindi alla possibilità di vivere una vita normale in cui si lavora, si fanno studiare i figli, ecc.) e quindi vanno ricercate come alleate.

Dopodiché, mi sembra cruciale fare un salto di qualità con l’intelligence e rafforzare le misure di prevenzione di minacce terroristiche di ogni tipo. Che operazioni terroristiche così letali e così ben organizzate come quella di Parigi passino le maglie dell’intelligence è un fatto grave. Così come è grave che alcuni degli attentatori fossero persone note alla polizia francese come sospetti terroristi, o che l’ottavo attentatore in fuga verso il Belgio in auto con amici sia stato fermato più volte a posti di blocco e rilasciato dalla polizia (qui la fonte). Capisco che non si possono arrestare tutti i sospetti ma forse qualche progresso su questo fronte si può fare. In Italia, dopo le stragi di mafia del 1992, ci siamo inventati (e la cosa ha funzionato nell’indebolire in modo determinante Cosa Nostra) il 41/bis. Mi chiedo se non si possa fare qualcosa di simile per le minacce terroristiche nell’ambito del diritto internazionale (cosa quest’ultima necessaria per evitare di ripetere un altro errore dell’occidente nella politica mediorientale, Guantanamo). Ma bisogna essere consapevoli che questo implica importanti restrizioni alla privacy e alla libertà di tutti.

Una volta messa da parte l’isteria e rafforzata l’intelligence, le opzioni mi sembrano due: o si va (in coalizione internazionale) decisamente fino in fondo a sconfiggere ISIS militarmente accettando collettivamente la possibilità di essere colpiti alla loro maniera, oppure lo si riconosce in qualche modo come stato e ci si scende a patti. Ci altre vie indirette e più tortuose che forse si stanno già percorrendo ma che a me pare non facciano altro che perpetuare gli errori del passato. Penso all’accordo sul nucleare con l’Iran, forse un modo di creare nella regione una potenza economica e militare che possa fare il lavoro sporco di scontrarsi con ISIS. Fino a che non diventa il prossimo nemico.

La seconda opzione equivale più o meno a dire a ISIS “Ok, noi ce ne andiamo, fate quello che vi pare in Medio Oriente, ma lasciateci vivere come ci pare -- anche senza controllare le riserve di petrolio si può vivere bene -- e cancellateci dalla lista dei vostri nemici, grazie”. Credo sia vero che se oggi i paesi occidentali se ne andassero in blocco dal Medio Oriente gli attentati cesserebbero più o meno di colpo (segue logicamente dal fatto che la causa degli attentati è la nostra presenza lì). Se questa politica pone alla coscienza occidentale il problema di lasciare interi popoli in balia di feroci tiranni la soluzione è semplice: accogliamo tutti quelli che da questi tiranni vogliono scappare, così come gli Stati Uniti accoglievano quelli che scappavano dai despoti e feroci dittatori europei nell’800 e nel 900.

La prima opzione, quella di un’azione militare decisa sul campo e mirata a sconfiggere ISIS indebolendolo economicamente e militarmente, sembra essere quella più attraente al momento, ma non è chiara la forma. Nessuno si dice intenzionato a inviare truppe di terra e al momento si osservano solo azioni sporadiche la cui efficacia resta in dubbio. Per esempio, oltre ai raid francesi di domenica, è di oggi la notizia che caccia americani hanno attaccato e distrutto centinaia di camion che ISIS utilizza per contrabbandare petrolio in Siria. Se opzione militare deve essere, bisogna che sia più decisa. La novità è che stavolta il nemico è comune anche a gran parte del mondo arabo (nessuno stato arabo ha da guadagnare dal dominio di ISIS) e quindi un’ampia coalizione internazionale è possibile. Ma le conseguenze di questa scelta sono ovviamente imprevedibili, come sempre quando in una guerra inizia l’escalation. E per molti versi suona come un dejà vu. Fuori un ISIS, ne sorge un altro dalle macerie e dal caos lasciato dalla guerra.

Sandro. Rispondere alla domanda sul ‘’che fare’’ richiede un qualche modello teorico sulle conseguenze di diversi corsi di azione. Cosa succederebbe se USA, Francia, UK e alleati minori decidessero di disimpegnarsi completamente dal punto di vista militare nel Medio Oriente? Cosa succederebbe se decidessero il disimpegno ma solo in cambio di un uguale disimpegno da parte della Russia e delle potenze regionali, Iran in primo luogo? Ed è quest’ultima una strategia possibile? Infine, se si decide, per l’intervento militare (che è quello che è successo per lungo tempo), quali obiettivi deve avere tale intervento? Non ho gli strumenti teorici, a parte un po’ di teoria dei giochi, per abbozzare risposte.

L’impressione da esterno, e da persona abbastanza ignorante di teoria delle relazioni internazionali, è però che raramente la risposta a queste domande viene data con in mente una visione di lungo periodo. La convenienza politica immediata sembra essere quasi sempre il criterio dominante (con la possibile eccezione di Blair e del suo appoggio all’intervento in Iraq, che fu per lui assai costoso politicamente). Negli USA, almeno, sia l’intervento in Iraq sia il parziale disimpegno successivo sono, a mio avviso, difficili da capire senza guardare alla pressione esercitata dell’opinione pubblica.

ne’elam. Comincio dalla fine. Che fare? Ci sono un paio di paesi che quel tipo di terrorismo lo hanno sconfitto: l’Algeria e lo Sri Lanka. All’inizio degli anni ‘90 il GIA (Groupe Islamique Armé) - corrente estremista e terrorista - stava per prendere il potere dopo aver  vinto le elezioni. I militari algerini li deposero e iniziò una lotta senza quartiere durata dieci anni. I militari sigillarono il paese, chiusero le frontiere, non fecero entrare più nessuno, in particolare la stampa, e con una lotta senza quartiere ne fecero fuori una parte consistente. Si conta che in quella guerra civile - alle porte di casa nostra - morirono oltre 100.000 persone (e si tratta di una stima per difetto). Le uniche strategie finora vincenti sono lunghe, costose, richiedono un territorio ben delimitato, e hanno un grave difetto: sono impraticabili, almeno per come noi in occidente fissiamo i limiti di reazione ad un attacco di fanatici. Ricordo che un’altra “storia di successo” fu la sconfitta del terrorismo Tamil in Sri Lanka: posti di fronte ad una situazione simile, i cingalesi adottarono una strategia analoga. Noi, occidente intendo, non possiamo permettercelo e le guerre convenzionali hanno dimostrato nel corso degli ultimi cinquanta e passa anni che non risolvono il problema.

Quindi, quanto al che fare, mi sembra che le risposte vincenti abbiano il piccolo difetto di non poter essere replicate. Inoltre l’assenza di un territorio delimitato amplia a dismisura la dimensione dell’intervento e, cosa ancora più complicata, abbiamo a che fare con giovani islamici radicali nati in Europa. Si conta che una quota rilevante dei combattenti dell’ISIS (e di compagini simili) in Siria ed Iraq siano foreign fighters. Dovessero tornare perché le cose si mettono male laggiù, con l’addestramento militare che hanno ricevuto, sarebbero tante bombe ad orologeria che scorazzano per le strade europee. Uno scenario quanto mai sgradevole, quand’anche la coalizione militare dovesse sconfiggerli (e non mi pare che le cose stiano andando precisamente in questo senso). I complottisti sostengono che si tratta di un fenomeno creato dagli occidentali per deporre Assad. Non credo sia vero, però credo anche che la storia passata sia piena di casi di marionette che, ad un certo punto, sfuggono di mano al puparo. La storia dei Talebani è nota. Ma non sono stati solo gli americani a non averne calcolato bene le conseguenze. Ricordo che anche Israele fece un clamoroso errore di prospettiva con il movimento libanese di Amal. Lo sostenne in funzione anti-OLP, salvo poi accorgersi di aver creato un mostro: da una costola di Amal nacque il movimento degli Hezbollah. Calcoli sbagliati gravidi di conseguenze. Ricordare queste conseguenze non ci aiuta a risolvere il problema che abbiamo ora, però può servire a ridurre la probabilità di commetterne di simili nel prossimo futuro.

Giovanni. Non credo che, a questo punto, la strategia dell’appeasement (fatevi il vostro stato ma lasciateci in pace) sia percorribile. Primo, l’opinione pubblica occidentale è troppo traumatizzata. Secondo, l’ISIS non è un partner credibile, ed anche se lo fosse, non può garantire che non nasca un’organizzazione simile ancora più radicale. Finchè ci sarà disagio sociale fra i musulmani e paura/razzismo nei confronti dei musulmani fra gli  occidentali sarà sempre possibile reclutare terroristi a Parigi, Londra etc. La comunità musulmana in Francia conta 6 milioni di persone - basta che lo 0.01% diventi radicale abbastanza ed avremo 6000 terroristi. In Francia hanno una lista di 5000 nomi di persone potenzialmente pericolose (fra cui alcuni dei terroristi dell’ultimo attacco) e ci saranno sicuramente molti altri sconosciuti che son pericolosi sia potenzialmente che di fatto. Non credo che disagio sociale e razzismo scompariranno presto - è più probabile che gli ultimi avvenimenti li rafforzino.

Che fare? Ovviamente, più intelligence serve, ma l’intelligence ha i suoi limiti (basta un complotto non scoperto su 10) e troppa intelligence ridurrebbe la privacy a cui tutti teniamo. Inoltre potrebbe essere controproducente. Pensate se si diffondesse la pratica di denunciare il musulmano con la barba solo perchè ha espresso opinioni contro Israele o perchè tiene aperto il negozio fino alle 24 e impedisce al concorrente bianco e cristiano di vedersi in pace X-factor. Alla terza denuncia falsa o pretestuosa, anche il musulmano più pacifico diventerebbe un fanatico radicale. Secondo me, la cosa essenziale è diffondere un messaggio diverso - bisogna imparare a convivere con il terrorismo come si convive con gli incidenti stradali. In Italia muoiono fra 3000 e 4000 persone l’anno e nessuno pensa di proibire la guida. Si sta attenti, si migliora la sicurezza delle macchine, ma poi alla fine tutti guidano e considerano l’incidente come una possibiltà, anche se remota. Lo stesso dovrebbe essere per il terrorismo.

I terroristi vogliono farci paura e farci cambiare il nostro modo di vita. Se ci facciamo prendere dalla paura, avranno vinto. E questo vale non solo per non smettere di andare allo stadio o di cenare all’aperto - vale soprattutto per il rapporto culturale con l’Islam. Non scrivere la “verità” (fra virgolette), ufficialmente per paura di offendere la religione islamica ma, si sospetta, in realtà per paura, è l’inizio della vittoria per gli estremisti. E questo non vuol dire opporre alla propaganda menzognera dell’ISIS una contropropaganda vagamente faziosa, se non altrettanto menzognera come qualche volta sembra suggerire Galli della Loggia. Sarebbe necessario  ritornare a parlare dell’Islam come di una religione più oscurantista ed aggressiva delle altre ma non sostanzialmente diversa. E ricordare che il problema delle società arabe (in senso lato) è la loro incompleta modernizzazione e quindi il peso eccessivo e crescente della religione nella vita sociale e politica.

Giulio. Concordo che bisogna abituarsi al terrorismo come a uno spiacevole fatto del tempo in cui ci è capitato di vivere (così come a limitazioni di privacy e, probabilmente, libertà per vivere più sicuri), ma questo ha senso solo se nel frattempo hai una strategia anti-ISIS. Abituarsi a subire aperti atti di guerra senza fight back sarebbe da irresponsabili. Il caso è diverso da Al-Quaeda, che era liquida e non sapevi dove e come colpirla (infatti abbiamo fatto solo un gran casino colpendo alla cieca presunti regimi del male compiacenti).  ISIS si proclama stato, ha una capitale, un esercito (sebbene altamente irregolare), un'organizzazione territoriale e interessi economici. Va quindi contrastato come tale, nella misura in cui minaccia la vita e la libertà dei cittadini europei.

AndreaUna decina d’anni fa, Robert Pape pubblicò un’analisi del terrorismo suicida concludendo, sulla base di una banca dati da lui raccolta (che non si limitava al terrorismo di matrice islamica), che il terrorismo suicida si correlava ai seguenti tre elementi: (i) è perpetrato da organizzazioni non militari contro stati democratici (ii) allo scopo di porre fine ad una occupazione militare (iii) in cui ci sono differenze di religione fra potenza occupante e stato occupato. La motivazione determinante del terrorista suicida è politica, non religiosa, e si basa su una strategia volta alla ricerca di massimizzare l’efficacia dell’azione violenta. Strategia, alla luce dei dati, corretta. Il suo consiglio al governo americano era di porre fine all’occupazione militare del Medio Oriente e alla pretesa di intervenire per manipolarne i regimi. Più efficace sarebbe perseguire strategie di alleanze esterne, mantenendo attiva la minaccia di intervento militare per casi specifici (per esempio: la difesa del commercio internazionale, come nel caso della prima guerra del Golfo). Questa è la strategia sinora usata da Obama per opporsi a ISIS, senza sostanziale opposizione (almeno nei fatti) dai Repubblicani. L’occupazione militare del golfo Persico però rimane, e questo perpetua nel mondo islamico la frustrazione per l’incapacità di auto-determinare il proprio futuro, e alimenta il reclutamento di potenziali terroristi suicidi (che, dai dati, non sono dei poveri pazzi senza speranza, ma giovani con elevato livello di istruzione spinti da un forte anelito di altruismo nei confronti dei propri conterranei).

Se queste sono le basi del ragionamento (e ancora di più se le motivazioni del terrorismo dell’ISIS sono diverse), direi che non c’è scampo. Come sostiene Giovanni, occorre imparare a convivere con l’idea che, occasionalmente, qualche pazzo farà saltare qualche ristorante, accettare limitazioni di privacy e libertà personali in cambio di maggiore intelligence. Occorre anche avere una strategia precisa per l’intervento militare che non abbia obiettivi vaghi quanto illusori come “esportare la democrazia” o altri simili vaghe idee difficilmente realizzabili. Il mondo islamico ha non tanto bisogno di democrazia, quanto di stato di diritto, innanzitutto, e di crescita economica non pompata dal petrolio, alla quale segue, di solito, anche una crescita della società e dei diritti umani.

Giovanni.  Per ora i bombardamenti sono serviti a poco - si può fare sicuramente di meglio (p.es. la radio del Sole parlava di colonne di autobotti cariche di petrolio, che mi sembrerebbero un bersaglio ideale … infatti sembra che oggi li abbiano attaccati) ma temo non bastino. L’intervento militare occidentale sul terreno potrebbe essere militarmente decisivo, ma ha una grave controindicazione - oltre alla possibile reazione dell’opinione pubblica all’arrivo dei primi morti. Darebbe un ottimo argomento alla propaganda ISIS e quindi aggraverebbe il rischio di azioni terroristiche.  Inoltre non è chiaro come organizzarlo - dove facciamo sbarcare i marines? Passando dalla Turchia ed il Kurdistan? Non credo che sia disposta a dare un riconoscimento finale allo stato curdo. Attraverso la Siria? Un grande sostegno ad Assad. Attraverso l’Iraq? Combatterebbero fianco a fianco con i miliziani sciiti e gli iraniani (gli unici che combattono a Sud). Via Israele e Giordania? Un doppio regalo alla propaganda ISIS. Etc. Etc.   

Redattori. Per oggi ci fermiamo qui, con degli interrogativi sui rischi che le cose da fare implicano, pur se queste ci paiono alla fin fine abbastanza ben definite. Ci siamo trovati forse fin troppo in accordo, pur avendo scritto questo articolo a molte mani senza alcuna coordinazione altra che quella di evitare (nei limiti del possibile) di ripetere quello che altri avevano già scritto. A noi pare importante non solo cercare di guardare la verità dei fatti e quella storica direttamente in faccia, mettendo nell’angolo ideologismi ed isterie religiose ma, anche e soprattutto, saper riconoscere che, da qualsiasi angolo le si guardi, non esistono soluzioni facili: qualsiasi mossa si scelga di fare essa risulterà gravida di conseguenze rischiose. Soprattutto, siamo in accordo sul fatto che una azione “militare” (al di là dei proclami altisonanti di troppi idioti, utili solo agli sciacalli della politica) è sia molto difficile che rischiosa. L'azione militare va - noi crediamo - comunque presa. Imparando dalle esperienze afghana ed irachena: colpire la struttura militare nemica sino a distruggerne interamente leadership e capacità operative e poi andarsene. Non occupare il paese e non decidere chi governerà dopo, riservandosi semplicemente il potere di intervenire militarmente di nuovo nel caso la nuova leadership segua le orme della precedente.

Ci rendiamo conto che questo suoni come una ricetta per l’intervento infinito, ma sembra al momento la strategia meno ovviamente dannosa visto che ha, come uniche alternative, o ben la passività (impossibile non solo perché il terrorismo attacca le nostre città ma anche perché siamo già di fatto dentro al conflitto mediorientale, come argomentato sopra) o ben la generalizzazione del modello Afghanistan/Iraq il quale, ci sembra ora chiaro, non ha conseguito i successi che (alquanto illusoriamente) i suoi sostenitori speravano.

All’azione militare, ed è cruciale sottolinearlo, occorre aggiungere in contemporanea quella culturale, economica e politica. Non vi è scampo e non si tratta di vuota retorica: occorre vincere la guerra soprattutto sul piano culturale e socio-economico. Perché, se la nostra analisi è corretta, è solo usando l'azione militare come strumento di difesa dei nostri cittadini e dei valori fondamentali del modello sociale che ci siamo dati, e quella culturale, politica ed economica come strumento di interazione attiva con il Medio Oriente, che noi possiamo sperare di "vincere". Dove "vincere", in questo contesto, significa permettere e favorire un'evoluzione dei paesi mediorientali in una direzione che, preservandone le specificità culturali ed anche religiose, diventi compatibile - nei suoi pilastri fondamentali - con quella sperimentata dall'Europa e dagli altri paesi avanzati durante gli ultimi tre secoli circa.

Ma questo è un tema ancora più enorme di quello qui affrontato e sul quale sarà più proficuo ritornare in occasioni successive, cominciando dalla discussione che, ci auguriamo, questo nostro primo intervento sarà capace di generare. 

 

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Commenti

Ci sono 74 commenti

Sul "che fare" non mi pronuncio ma sull'analisi delle cause "culturali" ho trovato interessante questo testo di Pietro Ichino. Per quanto ridotta sia la mia esperienza personale essa si innesca su quella piu' estesa degli amici che invece per anni hanno frequentato per lavoro il medio oriente. Entrambe convergono nell'osservare che nei giovani arabi sia prevalente e crescente la fascinazione per il modello di vita occidentale, per le sua libertà, per lo stile di vita, per il divertimento, la disibinizione, la musica, il cibo ed il bere. Una cosa che qui possono esercitare liberamente ma nei paesi piu' chiusi e bigotti devono fare in gran segreto, nel chiuso delle case. Questo mina il potere spirituale e temporale di chiese potenti e quella che vediamo è la reazione violenta della parte piu' integralista. In pratica una sorta di attacco come difesa dai modelli culturali occidentali.

Non credo però che questa sia la sola possibile causa. Come intuibile ci sono anche interessi di potere ed interessi economici (in gran parte petroliferi) da parte di tutti gli attori in gioco, Russia compresa. In questi giorni abbondano cartine che spiegano come la syria sia strategica per flussi petroliferi dal medio oriente verso il mediterraneo, bypassando il canale di Suez. Non so che peso dare a tutte queste ipotesi (in fondo non c'è scenario di conflitto in cui non sia subito parlato di oleodotti e gasdotti e relativi complotti) ma probabilmente giustificano stanziamenti miliardari per occupare e gestire militarmente determinate aree.

Non sono d'accordo con Pietro perche' non penso che la radice del conflitto sia culturale. La radice e' militare e geopolitica. Praticamente nessun giovane musulmano agogna la Russia come meta e stile di vita, eppure attaccano i russi e il motivo e' che i russi hanno interesse a contrastare ISIS in Siria.

.. e mi rifugio comodamente nell'analisi da bar.

Innanzitutto non concordo assolutamente che questa sia una guerra, questa è l'analisi che loro (ISIS) vogliono, così la guerra genera domande, opininione pubblica, spese, etc. Questa, al massimo, è una fase di un conflitto locale con "danni collaterali" per forzare la mano alla guerra e radicalizzare un conflitto, in cui noi c'entriamo molto relativamente e confusamente.

Devo dire che hanno raggiunto l'obiettivo: in Francia han chiesto di cambiare la Costituzione e spendere di più "per la difesa", io ho la sensazione che la Francia sia stata colpita proprio per questo, in quanto ritenuta l'anello "debole" dell'Europa. Gli attentatori venivano in parte dal Belgio, eppure non hanno attaccato Bruxelles, sede della UE tra l'altro, quindi simbolicamente più forte.

Gli attentati della metro di Londra han fatto più morti, eppure l'UK non ha cambiato nulla o quasi nel suo modo di agire, idem per la Spagna, invece i morti di Charlie Hebdo hanno avuto un'ampia risonanza in Francia con un forte inasprimento delle misure di sicurezza "passive", ovvero militari e poliziotti ovunque nei luoghi ritenuti strategici, questa reazione semi isterica deve aver convinto l'ISIS che la Francia, già preda di conflitti sociali nelle banlieu fosse il luogo adatto per "esportare la guerra".

Esercizio riuscito mi vien da dire, vista la reazione francese. L'effetto collaterale, perchè anche gli altri sbagliano, è stato che si è creato una sorta di coordinamento fra le verie potenze, rafforzando il ruolo di Assad, che l'ISIS invece punta a destabilizzare per prendersi la Siria o la maggior parte di essa.

Che fare ? Per me, per esempio, prendere atto che la Libia è un concetto geografico, e lasciare divisa Tripolitania e Cirenaica, al limite con una finzione di unione fra Stati, per depotenziare lo scenario mediterraneo, se proprio necessario fornire aiuto (non armi, che ti potresti ritrovare dal lato sbagliato della canna) ai vari eserciti piùo meno regolari con supporto aereo nelle zone di battaglia, supporto aereo diretto e senza insegne per depotenzaire la propaganda ISIS.

Per tutto il resto sono anche io convinto che dovremo, ahimè, convivere con la follia di gruppi e gruppuscoli e anche singoli individui, tutto sommato Andres Breivnik da solo ha ucciso 80 cristiani, e lui era cattolico.

Non mi risulta che Breivik fosse cattolico:

http://en.wikipedia.org/wiki/Anders_Behring_Breivik

Scontato che non sia una guerra di religione, non lo sono mai. I veri motivi sono altri (brama di potere, richhezza, dominio), la religione fa da sfondo, supporto e giustificazione, come lo è stato per il cristianesimo per secoli. Detto questo non è che non esitsa un pericolo Islam. C'è eccome (ed è necessario un intervento militare, ma, come giustamente riconosciuto, non all'occidentale, o finiremo impantanati in un altro Vietnam; la guerra è guera). Così come c'è un problema della gestione di quei territori. Per evitare derive fondamentaliste sono necessari governi autoritari che, ovviamente, non sono democratici e non permettono lo sviuluppo di una democrazia completa. Un cane che si morde la coda, insomma.

Concordo che non ci sia la soluzione semplice, tantomeno l'idiozia dello scontro tra civiltà che creerebbe seduta stante 7 milioni di nemici nella sola Francia, cosa che con tutta evidenza oggi non 'è.

Non è vero che l'intervento aereo non sia efficace, va rapportato alle sue reali dimensioni che sono piccole. Molto piccole. Si fanno molte meno sortite al giorno rispetto alla guerra in libia, che a sua volta aveva molte meno sortite della guerra in Serbia. Eppure malgrado il numero limitato, i curdi, superando le loro divisioni interne, hanno respinto l'isis e controllano il loro territorio. Anche le milizie sciite, che ricevono e chiedono meno appoggio aereo, hanno ripreso le vitali raffinerie di baiji. Aumentando il numero delle incursioni (ricordo che per ora i russi bombardano poco ISIS) probabilmente curdi+sciiti riuscirebbero a rovesciare ISIS, ma si aprirebbe un altro problema perchè le monarchie sunnite non accetterebbero la fine di una rappresentanza politica sunnita in mesopotamia. Escludendo la possibilità che eserciti regolari sunniti affianchino le milizie sciite nel combattere l'ISIS, dovremmo essere noi occidentali a fornire le truppe. L'isisi sarebbe rovesciato rapidamente (passerebbero dalla Turchia alleato NATO e non nella posizione di negare il passaggio, e dalla giordania), ma resterebbe il problema di cosa fare dopo: andarsene, ricreando le condizioni della nascita dell'isis (essenzialmente ex baathisti sunniti)? restituire i territori alle legittime autorità che in Siria non ci sono e in Iraq sono deboli e sciite? rimanere con le accuse di imperialismo e quindi fornendo carburante per attentati? 

Anche a casa nostra le cose non sono semplici. L'instabilità in MENA e shael , unita alla crisi economica ed istituzionale sta alimendando paure e nazionalismi, che bloccano la cooperazione (facile prevedere quale sarà il sostegno reale dei partner europei alla richiesta francese) bloccano la già debole azione comunitaria accrescendo le tendenze centrifughe. In Francia si vota nel 2017, cosa succede se vincesse le pen?

Redattori cari, mi pare che la vostra analisi trascuri due elementi importanti.

  1. 1. Le origine dell'Isis e le sue specificità rispetto ad altri gruppi terroristici. Spiegate molto bene (mi sembra: parlo da ignorante) in un lungo e dettagliato pezzo di Greame Wood su The Atlantic.

2. I rapporti (tutt'altro che lineari) tra i vari Stati del Medio Oriente e tra questi e noi: problema accennato - forse - da una frasetta di Michele ("siamo i nemici dei nemici dei nostri amici") che però semplifica davvero troppo: perché siamo anche i nemici degli amici dei nostri amici; e i nemici dei nostri amici; e gli amici dei nemici dei notri amici e... insomma, non è solo questione di permutazioni. Potrei linkare un qualunque pezzo del sempre ottimo Alberto Negri sul Sole - che certamente conoscete - ma davvero non saprei quale scegliere.

Grazie (non ironico) per l'invito a considerare più approfonditamente cosa sia ISIS, il riferimento è utile (alcuni di noi sono abbonati a The Atlantic da decenni, ma molti lettori forse non lo seguono, quindi è certamente utile).

Quello che non capisco è in che senso (domanda vera, non retorica) le informazioni su ISIS (basically, che hanno davvero in mente di costruire un califfato il più grande possibile) cambi l'analisi che facciamo. Per quanto ci riguarda, credo sia chiaro dall'articolo, ISIS va attaccata e distrutta. I veri problemi da risolvere sono: (i) chi attacca, (ii) come e passando per dove, (iii) cosa si fa DOPO aver ammazzato qualche migliaio (spero di più) di guerriglieri ISIS sia con quei territori sia con le molte migliaia di guerriglieri ISIS che fuggiranno e si disperderanno in quei territori e quelli contigui, (iv) che cosa fare (ammesso e non concesso spetti a "noi", quelli che si incaricheranno di distruggere ISIS, deciderlo) con Assad e con quella "cosa" chiamata Siria, (v) che cosa fare (per estensione) con i curdi (ossia, con l'ipotesi Kurdistan indipendente) e cosi' via. A me sembrano problemi sia non facili che non risolti, non solo teoricamente ma anche politicamente, nel senso che i potenziali "noi" non sembrano aver trovato un accordo su questi punti. E se quei "noi" includono la Russia di Putin o la Turchia di Erdogan la risposta alle domande precedenti diventa ancora piu' complicata ... 

Su quelli che chiami i "rapporti non lineari" fra i paesi del MO siamo ovviamente tanto d'accordo da non averli nemmeno menzionati se non per sottinteso (in realta' la seconda parte del mio contributo di quello parla) e qui, mi dispiace, non ho ben capito cosa Negri (o altri for that matter) aggiungano di non banale a questo tema. Ci racconta delle cose utili, rintracciabili in molti altri posti, ma dove sta la soluzione del problema? Il quale problema, sia chiaro, arriva sino all'Arabia Saudita, al ruolo di Iran e di cosa diavolo potra' mai essere l'Iraq "desiderabile" ed a cosa possa succedere in Libano/Giordania (hence, Israele e territori) se si avvia il processo (a mio avviso inevitabile, ma questo non implica che lo dobbiamo avviare "noi" ...) di ridefinizione dei confini e dei poteri in tutta quell'area.  

Suggerisco di leggere quest'articolo.

www.lefigaro.fr/vox/societe/2015/11/16/31003-20151116ARTFIG00173-islamisme-les-propositions-choc-d-un-groupe-de-hauts-fonctionnaires.php

Che suggerisce

1) trancher les relations d'influence/allégeance entre l'islam de France et certains pays arabes. Les choses sont, au fond, assez simples: notre pays ne doit plus tolérer la présence sur son sol d'imams étrangers, officiels ou officieux, qui développent des thèses qui, de près ou de loin, vont à l'encontre de nos valeurs ou de la tranquillité publique

2) conforter les courants modérés au sein de l'islam, ce qui signifie, les aider à s'organiser et leur confier les clés de l'enseignement, du prêche et de l'exégèse dans notre pays. Ce qui signifie, à l'inverse, priver les radicaux de tout lieu d'expression. Concrètement, cela suppose d'interdire, au moins pour un temps, tout enseignement coranique par des personnes non agréées et contrôlées par l'Etat, d'interdire tout prêche, spécialement en langue étrangère, non visé par les autorités et d'expulser ou de condamner les réfractaires

3) achever l'organisation de l'islam de France. La création du CFCM était un pas… qui n'a pas suffi. Comme le proposait Malek Chebel, il faut un grand mufti de la République et la mise en place d'une organisation interne de l'islam sunnite. L'Etat peut y aider en ne tolérant l'existence que d'imams formés à ses écoles,

4) lutter contre la radicalisation de manière radicale. L'identification a fait des progrès mais ne suffit pas. L'échange de données avec nos partenaires doit s'intensifier. L'isolement des détenus islamistes doit devenir une réalité, (...) il n'est plus tolérable qu'en France des salafistes, puissent fréquenter des mosquées salafistes et écouter des prêches violents sans autre intervention des pouvoirs publics qu'une surveillance par les services de renseignement. Lorsqu'ils sont étrangers, ces extrémistes doivent être massivement expulsés, à titre préventif, pour raison d'ordre public.

5) maîtriser les flux migratoires.(...) de l'indispensable contrôle effectif et rigoureux des frontières.

6) : le plus difficile, envisager de manière différente les religions. (...) accepter une nouvelle place des religions dans notre société de façon à en apaiser les relations et à franciser l'islam. A moins d'accepter l'islamisation de notre pays, cette option doit consister aussi à renforcer le christianisme pour équilibrer la situation et la résistance naturelle à l'islam, réactiver le fond éthico-philosophique qui fait le soubassement de nos valeurs républicaines et qui est profondément chrétien. (...) Franciser l'islam cela passe aussi par une politique claire en matière de symbolique: pas de burqa, ni de qamis afghan sur le territoire national, pas de voile, pas de prières publiques, pas de mosquée ostentatoire et l'application scrupuleuse de nos lois, par exemple en matière de polygamie.

Che al solito fa una bella lista di stupendi "desiderata" senza spiegarci COME raggiungerli! Vecchio vizio dell'editorialista da quotidiano, che descrive dozzine di dover essere senza spiegarci come ci si arriva. Tanto per dire: come implementi, anche solo in Francia, il punto 2) senza costruire uno stato di polizia, censura generalizzata ed una variante francese della Stasi in funzione anti predicatori islamici non certificati? Simili osservazioni valgono per ognuno degli altri punti.

Parlo seriamente: fare l'elenco di cio' che desideriamo e' appagante, ma risolve nulla e non indica proprio COME farlo. Il problema vero sta tutto li'. 

Ritengo impossibile limitare il numero di moschee. Da quanto sono riuscito a capire non esiste una "certificazione", una "consacrazione", che trasforma un qualsiasi luogo in una moschea.

Sempre da quello che sono riuscito a capire, se alcuni fedeli si ritrovano in un posto a pregare assieme, quel postodiventa una "moschea".

Ho visto "moschee" costituite da una fila di pietre messe per terra a formare un rettangolo con un lato orientato verso la Mecca.

Allo stesso modo un "imam" non e' uno che ha un "riconoscimento ufficiale", un "patentino", una "carica ufficiale", ma semplicemente e' una persona che viene ascolata ed ha un seguito.

L'idea di poter controllare gli imam  le moschee vorrebbe dire, in ultima istanza, un controllo capillare di ogni spazio e di tutti quelli che dicono qualcosa ad un seguito di persone, il che e' fisicamente improponibile, oltre che dannatamente poco auspicabile.

Se ci sono regole per "diventare imam" o fare una moschea, avvisatemi, che a me non me ne hanno mai parlato, quando ho chiesto informazioni.

 

Finalmente qualcosa di ragionato e sensato da leggere! ho visto in pochi articoli la spiegazione storica che ha portato al risultato che abbiamo di fronte... senza spiegare la sequela di errori politici che negli ultimi 100 anni hanno contribuito a causare caos nella regione, è impossibile riuscire a capire cosa succede e cosa si potrebbe fare.

 

una delle analisi che ho ritenuto più interessante (che leggevo al tempo dell'inizio dei raid russi ) dipinge questo scenario come una strategia della vecchia geopolitica USA vs URSS: dato che gli americani si trovano dall'altra parte dell'atlantico, l'unico modo per assicurarsi che l'urss non ottenesse facilmente accesso al mediterraneo era che ci fossero continue guerre nella regione, cosa che avrebbe reso estremamente dispendiosa l'avanzata rossa in medio oriente.

 

Considerando questo, non penso sia un caso che gli stati uniti siano tutt'ora contro Assad (storicamente vicino alla Russia che a Tartus ha un proprio porto) e ne volessero la caduta anche se questo avesse agevolate di fatto l'espansione dell'isis (penso che la situazione in libia e iraq non fosse totalmente dissimile).

 

considerando inutile commentare l'inutile e vomitevole sequela di baggianate scritte dai giornali nostrani (ma un po' di amor proprio i giornalisti non ce l'hanno?!?!?), penso che l'unica cosa che l'occidente dovrebbe fare è capire se vuole continuare ad agire seguendo le strategie della vecchia geopolitica o cambiare rotta e capire che il mondo non è più diviso in due blocchi "noi" contro "altri" (che in base al momento/necessità cambiano "maglia" e "motivazione")

"Tauris (Tabriz) è una città grande, situata in una provincia nominata Hirach, nella quale sono molte altre città, e castelli; ma Tauris è la più nobile, e più popolata, gli abitatori vivono delle mercanzie, e arti loro, perche' vi si lavora di diverse sorti di panni d' oro, e di seta di gran valuta ed è posta questa città in tal parte, che dall’India, da Baldach, da Moxul, da Cremessor, e dalle parti de’ Cristiani, i mercatanti vengono per comprare, e vender diverse mercanzie. Quivi si trovano eziandio pietre preziose, e perle abbondantemente; quivi gli mercatanti forestieri fanno gran guadagno, ma gli abitatori sfono generalmente poveri, e mescolati di diverse generazioni, cioè Nestorini, Armeni, Jacopiti, Giorgiani, e Persi, e le genti che adorano Macometto è il popolo della città, che si chiamano Taurisini, e hanno il parlar diverso fra loro: la città è circondata di giardini molto dilettevoli, che producono ottimi frutti, e i Saraceni di Tauris sono perfidi, e mali uomini , e hanno per la legge di Macometto, che tutto quello che tolgono, e rubano alle genti, che non sono della sua legge, sia ben tolto, ne gli sia imputato ad alcun peccato, e se i Cristiani gli ammazzassero, o gli facessero qualche male, sono riputati Martiri: e per questa causa se non fossero proibiti, e ritenuti per il suo Signore, che governa, commetterebbono molti mali: e questa legge osservano tutti i Saraceni; e in fine della vita va a loro il sacerdote, e dimandali se credono, che Macometto, sia stato vero nunzio di Dio, e se rispondono, che lo credono, sono salvi; e per questa facilità di assoluzione, che gli concede il campo largo a commettere ogni sceleraggine, hanno convertito una gran parte de’ Tartari alla sua legge, per la quale non gli è proibito alcun peccato. Da Tauris in Persia sono dodici giornate."

Il Milione (Libro II, Cap. IX)

A questo proposito segnalo un ottimo articolo apparso su The Atlantic: http://www.theatlantic.com/magazine/archive/2015/03/what-isis-really-wants/384980/.

In estrema sintesi:

1. Dal punto di vista ideologico, ISIS è una versione apocalittica dell'islam salafita. In quanto tale si fonda su una interpretazione, condivisibile o meno, ma possibile delle Sacre Scritture e della sharia. Il suo obiettivo è la creazione (già avvenuta) di un califfato su base territoriale, nel quale chiamare a raccolta tutti i "veri" credenti e dal quale lanciare campagne di espansione per riconquistare al "vero" Islam tutti i territori originariamente controllati dall'Islam ed oltre, per prepararsi infine all'Apocalisse, cioè lo scontro finale con i miscredenti dal quale l'Islam uscirà vittorioso grazie all'apparie del Mahdi.

2. Dal punto di vista politico/militare è un'organizzazione che si fonda sui quadri del politici e militari del partito Baath, sciolto dagli americani nel 2003. L'Iraq di Saddam Hussein era, tra i paesi della regione, quello più avanzato dal punto di vista dell'addestramento e della preparazione dei suoi quadri militari. L'ISIS è tutt'altro che una "banda armata".

3. Dal punto di vista sociale, ISIS fa leva sulla frustrazione delle tribù sunnite irachene che, dopo essersi schierate con gli americani ai tempi del "surge" del Ge. Petraeus per respingere al-Qaeda, hanno visto le loro aspirazioni di reinserimento nel processo politico iracheno frustrate del premier sciita al-Maliki, sentendosi traditi e abbandonati dal ritiro americano.

...lo avevo linkato due commenti più sopra! ;-)

E Fabio, che dice?


Secondo me, per un'analisi del genere, e' utile partire dalla fine. Quali obiettivi, esattamente, vogliamo perseguire?  (Noi = "l'Occidente")

La discussione qui sopra ed il buon senso aiutano ad identificare una serie di possibili "endgames":

(1) distruzione totale di Daesh
(2) distruzione di Daesh come Stato: negare loro il controllo di un territorio
(3) distruzione di Daesh come minaccia terroristica e militare
(4) una qualche forma, piu' o meno pacifica, di "appeasement" o "convivenza"

In estrema sintesi, penso che (1) sia irrealizzabile, (4) irresponsabile, (3) impossibile senza ottenere anche (2), e (2) estremamente costoso. (NB: mi sto concentrando sulla reazione diretta contro IS; analizzare le conseguenze degli attentati per l'intero sistema di alleanze dell'Occidente nella regione mediorientale e' un lavoro che non mi sento di fare)

(1) e' irrealizzabile: valgano le parole di ne'elam qui sopra, o il "case study" della nascita di Daesh dalle membra di Al-Qaeda. Ci troviamo di fronte ad organizzazioni flessibili e complesse, ben finanziate, e alimentate da conflitti "strutturali" come quelli ben riassunti da Michele. Potranno cambiare i nomi e i territori, but they're not going away anytime soon. 

Questo ci dice che (3) e' anch'esso fondamentalmente irrealizzabile, e certamente impossibile finche' Daesh manterra' il controllo di un vasto territorio. More about this below.

(4) sarebbe irresponsabile: come scrive Giovanni, Daesh non e' un partner credibile. In secondo luogo, non rispondere a quello che viene da piu' parti definito un atto di guerra sarebbe un segnale di debolezza. (Non dico che la risposta debba essere necessariamente militare ma deve essere molto decisa. Si vedano i vari appelli a colpire l'infrastruttura finanziaria di IS, o il mio PS qui sotto.). Terzo: nonostante i vari proclami riguardo alla fine dello stato-nazione, garantire ad un'organizzazione del genere controllo su un territorio e agibilita' politica significa dar loro risorse enormi, da utilizzare dentro e fuori i "confini nazionali".

Rimane, quindi, (2). Da Iraq e Afghanistan, pero', io traggo una lezione opposta a quella dei Redattori. That is, un intervento di questo tipo ha senso solo con un piano a lungo termine, e garantendo le risorse necessarie alla ricostruzione di istituzioni statali funzionanti. Chiamare una crociata contro il Male, ribaltare i regimi esistenti e poi cercare di ricostruire qualcosa procedendo per tentativi ed errori e' un piano destinato a fallire. Ancor peggio sarebbe far terra bruciata e sperare che un ecosistema sano rinasca autonomamente dalle ceneri.
 
Sarebbero necessarie piu' risorse, insomma, non meno, ammesso che gli stati ricchi possano prendere un simile impegno in maniera credibile... E si', me ne rendo conto, sembra di sentire Paul Krugman.... :)

 

 

Yes! More of that!  

 

 

PS: Un messaggio simile, focalizzato su un intervento politico anziche' militare, e' contenuto in questo articolo di Stephen Walt:

 

 


The only long-term remedy to this danger — and remember the solution will never be total — is the restoration of more legitimate and effective state institutions in these regions. But as we have now seen repeatedly, creating the necessary institutions is not something an invading army can do, especially not one as tainted by history as the forces of the West. It can be done only by the people who live in these areas, and not by us. And that is why the main effort to deal with the Islamic State must be carried out by local actors, with the United States (and France) remaining as far in the background as possible. If our post-9/11 track record is any indication, however, we’ll probably do the exact opposite.
 
Source: foreignpolicy.com/2015/11/16/dont-give-isis-what-it-wants-united-states-reaction/

 

é l'unico che i) ha un esercito abbastanza forte nella regione per distruggere militarmente l'ISIS e ii) non è sciita e iii) non è occidentale e/o russo e/o ebreo. Inoltre la Turchia confina con il territorio ISIS  mentre gli occidentali, i russi o gli israeliani dovrebbero passare da altri stati con evidenti complicazioni.  Però Erdogan a) è più interessato a impedire ai curdi di espandere e consolidare il loro stato  b) probabilmente non vuole rischiare di ridare un ruolo preminente ai generali  e c) forse teme anche il radicalismo islamico in Turchia.

www.youtube.com/watch

 

 

 

mi scuso con lettrici e lettori per lo stato stenografico di queste right. mi riprometto di scriver piu' a lungo

 

 

lo stato islamico di siria & iraq (isis) e' uno stato nascente che dirige una forma di nascita/e rinascita del califfato, che ha radici in fenomeni religiosi di lungo periodo (pensate allo stato della chiesa nel caso italiano, dio e/o cristo mai disse che ci dovesse essere un territorio dei cristiani, "il mio regno non e' di questo mondo" disse il figlio dell' uomo in Giov. 18, e quella dottrina divenen base del papato fino al 1929 e dintorni.)

 

che fare?

ci si attrezzi a due cose:

1. e' il combattimento casa per casa, quanto lo fece la brd con Baader, la Francia con actiond directe, l'Italia con cagol/curcio/segio etc. mentre scrivo si stanno sparando a Saint Denis. 

la sola differenza e' che Cagol/Curcio etc. non erano garantiti il paradiso, questi si, per cui non vi saranno molti prigionieri e molti processi. questo e' il piano interno

 

2. come fu durante la guerra fredda (Urss vs. tutti quanti, minus Angola, Cuba et al.) adesso la guerra sara' con un gruppo di potenze che possiedono energie e soldi. non c'e' il comunismo (per chi ci credesse sotto Suslov e Breznhev) c'e' una parte, limitata e non impotente, attrattiva a milioni di giovani, di islam che e' pronta a battersi. al momento preparare strategie di lunga durata in un "cocktail" di negoziazioni e deterrenza. In questo senso vadano a mio avviso sostenute le posizioni di B Obama su Iran, checche' ne dica la propaganda israeliana (non il reale apparato di sicurezza che e' assai piu' sobrio e misurato.) Due potenze europee sono nuclearizzate e non sono sufficienti. se si attacca siria davvero si polverizza haifa e gerusalemme, per cui si va di bisturi e non di mannaia. sul piano ideologico, se mi si permette, certo battaglie delle idee, contro le facili ironie (di molti) fece piu' danni al blocco sovietico uno scittore anziano, scorbutico ed arrabbiato (alex solzhenitzin) che duecento convegni di edgardo sogno. si comincia dalle donne del mondo persiano, arabo, turkico etc. 

ripeto che la brevita' non debba celare la preoccupazione che contro le scemenze dei vari Fukuyama, Derrida etc. la "storia" e' niente affatto finita e prosegue nel suo sanguinoso corteo di stabilire e destabilizzare equilibri fragili. L'Europa ha un problema vero e la sua dipendenza energetica dai russi (gas) e da US (shale gas) rende fragilissimo il suo potere di negoziazione nella situazione, quando non riesce nemmeno ad organizzare un flusso migratorio che non cessera' di crescere quanto piu' da un canto la demografia degli europei e la discesa agli inferi di un settore considerevole dell'africa, da tripoli a lgos, si accentua.

mi riprometto di ritornar sul tema, visto che meolti si accapigliano sul che fare.

la risposta breve e': attrezzarsi alla lotta di lunga durata.

Grazie per questo contributo, che aiuta davvero a mettere in ordine le idee.

Segnalo un altro articolo che fornisce alcuni spunti interessanti, sia per la prospettiva storica che per l'analisi delle motivazioni che muovono gli attacchi terroristici (di al-Qaeda prima e dell'ISIS poi) in occidente.

Qui copio e incollo solo la conclusione, della quale mi sono innamorato:

 

senza dimenticare la necessità politica e culturale di mantenere un dialogo con la grande maggioranza di musulmani italiani che non amano affatto l’ISIS e che un atteggiamento anti-islamico generalizzato e ottuso finirebbe per regalare agli estremisti.

 

Utile articolo. Mi evito commenti sui servizi italiani, specialmente visto che l'articolo cita Bologna. Fingers crossed ...

Se sarà bersaglio di polemiche non importa.

Sentire echeggiare la parola Guerra in bocca a Hollande e al Parlamento Europeo fa un cattivo effetto. La parola Pace chiaramente ci piace di più.

Ma a parte il fatto che talvolta non si ha scelta, c'è da dire che ci sono circostanze in cui è doveroso combattere; e che quella attuale sia una di queste mi pare difficile da discutere, mentre è giustamente oggetto di dibattito il modo.

Ieri sul Corriere dell Sera è apparso questo articolo di Ernesto Galli della Loggia, che è significativo perché finalmente parla di battaglia culturale.
Era ora. Non sono fan di Galli Della Loggia, ma questa volta lo prendo come spunto, solo per questo motivo. Perché la battaglia culturale è quello che ci si è rifiutati ostinatamente di fare in questi quindici anni, anzi da molte parti si è addirittura negata l'esistenza di un problema culturale, mentre ora davvero non è più procrastinabile, ammesso che lo fosse prima.

Per iniziare sarebbe utile guardare in faccia la realtà per quella che è, rinunciando a quei luoghi comuni del politically correct che possono esser rassicuranti ma sono mistificatori.

Uno è questo ritornello della "vendita delle armi" che riecheggia ovunque, ma che almeno per le armi usate a Parigi è una stupidaggine colossale.
L'AK-47 non è un arma hi-tech di recente generazione: si chiama così perché è roba del 1947. In settanta anni se ne sono prodotti decine di milioni. Se anche non lo producesse più nessuno (e lo producono in 80 paesi, tra cui l'Italia ma pure la Nigeria, il Sudan, il Venezuela, l'Iran e la Corea, per dire) resterebbero sempre in circolazione quelli che ci sono, che sono indistruttibili, e se anche si scassano facilmente riparabili. Un Kalashnikov usato si trova a 300 euro in rete, tra poco si comprerà pure su eBay.
Questa cosa della "vendita delle armi" (finché le armi son queste) è una fola pazzesca. Se mai c'è un problema di detenzione di armi da guerra da parte di soggetti non autorizzati, in troppi paesi del mondo, che con la facilità di trasporto e le difficoltà di controllo degli ultimi decenni produce una situazione come la presente.
Serve chiaramente una "bonifica", tipo quella che si fece dopo la seconda guerra mondiale. E un controllo più serrato delle merci che transitano ai confini.

Un altro è quello che recita che sarebbe "colpa nostra", per via dello "sfruttamento" del medio oriente durante il periodo coloniale, che vedo anche qui.
Sarebbe come se il governo italiano desse la colpa dei dissesti italiani a Napoleone: l'Algeria non è più colonia francese da 50 anni, la Libia non è più colonia italiana da 70. Ci sono stati certo degli errori, nel periodo coloniale e post-coloniale, ma attribuire all'occidente la colpa della situazione nei paesi arabo-musulmani è - questo sì - eurocentrismo.
Questi sono esattamente gli alibi con cui il mondo arabo-musulmano si auto-assolve, scaricando le responsabilità storiche del proprio ritardo su gli "altri": troppo comodo.
Anzi per andare un po' provocatoriamente contro-corrente cito il Montanelli, che il nordafrica lo conosceva per esperienza diretta: Il de-colonialismo è stato ancora più colpevole del colonialismo. In Libia, Marocco, Tunisia, Algeria, Somalia, quel poco di buono che c'è, nelle istituzioni come nelle infrastrutture, è roba francese o italiana.

Ultimo e più mistificante di tutti è quello che afferma che i fondamentalisti sarebbero una trascurabile minoranza, quattro gatti in un mondo islamico fatto per il resto di Voltairiani modernisti. La verità è che sono sì una minoranza (meno male) ma sono milioni non quattro gatti, e soprattutto che tra gli islamici i razionali istruiti capaci di accogliere le istanze moderne (pure quelle minime, come l'emancipazione femminile) sono ancora meno.
Il grosso è costituito da cosiddetti "moderati", che magari non sparano, ma che neppure condannano, anzi sono inclini a giustificare atti abominevoli come quelli di venerdì fino al limite della complicità.

Che fare. E' buono e sano avere dubbi, una risposta anche abbozzata a questa domanda è davvero difficile. Provando a razionalizzare procedo per esclusione. Le opzioni sono: non fare nulla ed accettare di convivere con il fenomeno, tentare il dialogo, combattere.
Se si sceglie di combattere, mi pare palese che tirare un missile o bombardare qua e la sia solo controproducente. L'unica opzione è l'attacco frontale con truppe di terra fino all'annientamento totale. Che a parte le difficoltà organizzative date dalla mancanza di un esercito europeo e di una difesa comune (chi va? come?) sarebbe forse fattibile perché il "nemico" dal punto di vista militare è scarsamente organizzato. Ma lascia aperto il problema enorme del dopo.
Scartato il dialogo, che è ovviamente inimmaginabile, resterebbe quindi sul tavolo il non-fare-nulla. Il non-fare-nulla (a parte operazioni di polizia, intelligence e ricerca degli assassini, chiaramente) potrebbe pure esser la meno peggio delle opzioni sul piano pratico, ma mi pare impraticabile per ragioni di princìpio e di opportunità.
Chi lo sostiene ignora la necessità del castigo. Addirittura si legge che "non dobbiamo cedere alla tentazione della vendetta". Confondere Giustizia per Vendetta è pericoloso. Qualcuno tra i numerosi dottori del Diritto (e di Filosofia del Diritto) di questo blog potrà spiegare meglio di me le ragioni per cui è indspensabile che i responsabili di un crimine siano puniti sempre, non importa quanto sia difficile quanto costi e quanto siano lontani, e cosa può accadere quando ciò non avviene, se non avviene per scelta deliberata e non perché non ci si è riusciti nonostante gli sforzi.

I cittadini accettano di consegnare allo Stato il diritto all'esercizio esclusivo della Violenza, secondo la celebre formula Hobbesiana, fintantoché vedono che questo provvede a fare giustizia dei crimini di cui sono stati vittime, o almeno ci prova. Tra i molti scopi della pena, infatti, e del sistema giudiziario in genere, il primo è quello di scongiurare la faida e la vendetta privata. Se Hollande ieri anziché usare i toni bellicosi che ha usato, gli unici che poteva usare, avesse detto "combattere l'ISIS è troppo pericoloso, quindi non faremo nulla" avrebbe inflitto una ferita mortale alla dea Giustizia.
Fuor di metafora, non reagendo c'è il rischio che a qualcuno venga voglia di farsi giustizia da solo. Per uno che ha un animo così nobile e generoso da avere una reazione quasi gandhiana all'omicidio di sua moglie, ce ne è un altro più nervoso che decide di ripagarli con la stessa moneta. Questo pensa: "non sono in grado di andare in Siria a combattere l'ISIS da solo, ma a imbottirmi di tritolo e farmi esplodere in mezzo alla folla sono capace anch'io." Entra in una moschea e fa BUM.
Lo stesso venerdì 13 è avvenuto un episodio significativo, che è passato in sordina tra il fragore degli eventi di Parigi, forse perché la vittima per colmo di fortuna, non so come, se l'è cavata. Una donna che indossava l'Hijab è stata spinta sotto al treno da un uomo nella metropolitana di Londra. Questo (che io sappia) è il primo caso di contro-rappresaglia, o contro-terrorismo, ma non sarà l'ultimo, soprattuto se non si fa nulla.
E questo è solo il primo stadio. Quando la violenza si privatizza per l'incapacità dell'autorità costituita di garantire sicurezza, subito allo stadio successivo i "vendicatori privati" si organizzano in gruppi: ronde, squadre, spedizioni punitive.
Uno scenario cui abbiamo già assistito in passato: ricordiamoci che le mafie sono nate così.
Per questo motivo l'idea del prof. Federico (finanziare la costruzione di grandi moschee in Europa) se pur logicamente motivata con validi argomenti, per me è assolutamente improponibile in questo momento. Si darebbe la sensazione di dare addirittura un premio agli autori dei massacri.
Non si può non-reagire quindi, in Siria e medio oriente ma ancora di più in Europa. Si è commesso qui un gravissomo errore quando si è permesso che vaste aree periferiche come la banlieue di Parigi divenissero zone off-limits in cui la legge praticamente non ha applicazione. E' li soprattutto che si deve lavorare.

Ma oltre al ruolo che inevitabilmente dovranno avere le polizie, i servizi di intelligence e la politica, c'è quello che hanno gli intellettuali.
La battaglia culturale di cui parla Galli Della Loggia devono combatterla questi.
Artisti, registi, letterati, filosofi, musicisti, opinionisti, (economisti.. non lo so, forse no) in generale tutti quelli che rientrano nelle cosiddette avanguardie, che hanno un ruolo ben preciso nella società.
Un ruolo che a sua volta contiene precise responsabilità e doveri.
In una società pacificata quale quella in cui ci siamo illusi di vivere, fare l'intelletuale era divenuto una cosa comoda, un modo di far bella vita tra un impegno mondano e un altro, tra una tartina al caviale e un sorso di champagne, la presentazione di un libro, una mostra, una conferenza, un albergo di lusso e una cena di gala.
Si è perduto il senso del ruolo vero dell'intellettuale, quel ruolo che fu chiarissimo a un Byron, un Foscolo, uno Zola, un Oscar Wilde, un Voltaire, un Giordano Bruno, e mille altri Uomini dei tempi passati.
Gli unici ad averlo interpretato nel suo senso proprio sono stati gli Eroi di Charlie Hebdo, colpevolmente lasciati soli nella loro battaglia, e talvolta addirittura criticati, da quelli che quella battaglia avrebbero avuto invece il dovere di condividere.
L'unica cosa significativa che mi sento di fare è la tirata di orecchie a costoro.
Signori: ora tocca a voi.
Via il caviale.

Fuori le palle.



Articolo ottimo per tempismo (nell'immediatezza dei fatti molti urlano e speculano, qui si tenta di ragionare), per profondità e per metodo (bene il format a più voci). Tra l'altro: leggendo l'intervento di Boldrin stavo per giusto per segnalare l'articolo di Limes quando alla riga successiva l'ho visto citato nel pezzo. Bene.

Vorrei sottolineare (compilando una specie di decalogo-bigino) i punti che mi trovano particolarmente d'accordo e poi cercare di fare un passo avanti (e mi scuso se ho fatto dei grandi taglia e incolla, ma mi sembra che il senso complessivo sia chiaro).

1) gli attentati erano volti ad "alzare il prezzo per il nemico di partecipare alla guerra" ("Russia e Francia..")."; 2) la situazione attuale è "sia conseguenza della fallimentare politica coloniale e post-coloniale dell'occidente" (...) "(ci inventammo paesi che non avevano alcun fondamento etnico o religioso)"; 3) "sia causato da convulsioni interne (...) stiamo assistendo anzitutto ad una guerra interna al mondo arabo/musulmano"; 4) sbagliato insistere sul tema "guerra di civilizzazione" 5) "non credo che (...) la strategia dell’appeasement (fatevi il vostro stato ma lasciateci in pace) sia percorribile"  6)  "se si decide, per l’intervento militare (...) raramente la risposta (...) viene data con in mente una visione di lungo periodo" 7) "non esistono soluzioni facili: qualsiasi mossa si scelga di fare essa risulterà gravida di conseguenze rischiose (...) una azione “militare” (...) è sia molto difficile che rischiosa. L'azione militare va (...) comunque presa" "se opzione militare deve essere" che sia (...) "più decisa". 8) "imparando dalle esperienze afghana ed irachena: colpire la struttura militare nemica sino a distruggerne interamente leadership e capacità operative e poi andarsene. Non occupare il paese e non decidere chi governerà" 9) "bisogna imparare a convivere con il terrorismo come si convive con gli incidenti stradali" 10) "all'azione militare (...) occorre aggiungere in contemporanea quella culturale, economica e politica".


Ora vorrei fare un primo passo avanti, a partire soprattutto dal punto 2) dell'elenco sopra esposto. La mia sensazione è che un certo nazionalismo di matrice ottocentesca (da noi risorgimentale) che coincise con le aspirazioni di molti popoli (in Italia, in Germania, in molti paesi balcanici) a costituire uno stato nazionale su base etnica (come era già stato fatto in Francia, Regno Unito, Russia e Spagna, pur con molte difficoltà che tendiamo a dimenticare, specia in Spagna) goda ancora, purtroppo, di ottima stampa (tanto è vero che Boldrin sottolinea come particolarmente portatore di sventura fosse il fatto che, ad esempio, Libia e Siria fossero stati decisi a tavolino e privi di fondamento etnico o religioso).

La mia sensazione invece è che la formazione di nuovi stati nazionali sia di per sé portatrice di frizioni e conflitti (sia durante che dopo), anche quando questi stati siano basati su una forte omogeneità etnica o religiosa. I casi positivi e pacifici si contano sulle dita di una mano (ad esempio la divisione della Cecoslovacchia).

Stando così le cose, e visto che  (punto 6) Brusco chiede che l'intervento militare (necessario) sia accompagnato e guidato da una visione di lungo periodo, la proposta potrebbe essere quella di puntare a creare nella zona attualmente occupata dal Daesh un protettorato delle Nazioni Unite, con qualche analogia (mutatis mutandis) a quanto si è fatto a suo tempo per il Kosovo in un quadro che era allora, comunque estremamente complesso, anche se non al punto dell'attuale quadro mediorientale.


Ma in questo caso la soluzione del protettorato UN deve essere intesa come soluzione permanente e non come transizione verso la formazione di uno stato nazionale che come dicevo è quasi sempre un processo portatore di conflitti e frizioni, (ma che ingiustamente gode ancora di buona stampa: tanto è vero che per i curdi e i palestinesi si auspica che possano "finalmente" incorrere nell'errore in cui sono incappati tanti popoli: quello di dotarsi di uno stato nazionale su base etnica).


Di fatto il nazionalismo, come tutte le grandi utopie del XIX Secolo e della prima metà del XX Secolo (socialismo, comunismo, sionismo, nazionalsocialismo, persino l'esperantismo che proponevano soluzioni semplicistiche - in qualche caso tragicamente semplicistiche - a problemi molto complessi) ha fallito, come era nelle cose, sia quando si è cercato di fare coincidere i confini nazionali con i territori etnicamente omogenei (processo quanto mai velleitario, vista la complessità degli insediamenti umani ovunque) sia quando si è cercato di dar vita a stati nazionali “a tavolino” (come ben spiegato nel pezzo).

Il caso di Israele è ancora più peculiare, per quanto reso urgente da secoli di discriminazioni e dalle emergenze dei pogrom di fine secolo XIX, è ancora più emblematico perché oltre alle difficoltà intrinseche di tutti i nazionalismi già esposte, somma anche le difficoltà derivanti dalla scelta di insediarsi sul territorio palestinese (scelta che non scontata nei primi anni del sionismo) un'area già occupata e diversa dal luogo residenza, in quel momento, della comunità che in seguito si trovò a fondare lo stato, fatto che  pone Israele ancora adesso alla radice del conflitto che stiamo descrivendo.


Per uscire dal paradigma, senza ricacciarci in un nuovo problema, occorrerà pertanto evitare di dare legittimità alle rivendicazioni nazionali di qualsiasi entità religiosa, etnica o tribale della zona, inclusi i poveri curdi, ma anche evitare, come giustamente indicato, di voler troppo influenzare lo svolgimento dei fatti da parte delle singole diplomazie occidentali (hanno già fatto troppi danni e pasticci nel corso dell'ultimo secolo) e applicare, proprio nel posto più difficile, proprio nel momento più arduo, un cambio di paradigma: uscire dalla prospettiva degli stati nazionali, sia quelli creati a tavolino, sia quelli su base etnica (un nuovo Kurdistan) sia, soprattutto, un stato pan-arabo.

In prospettiva, sul lunghissimo periodo, si dovrà puntare allo smantellamento di qualsiasi stato nazionale in quanto generatore di conflittualità latenti o palesi e affidare sempre maggiori responsabilità alle istituzioni sovranazionali. Ma qui siamo davvero dentro una nuova utopia.

Commento molto notevole, questo di Nasissimo. Lo ringrazio, sia per l'indicazione delle mistificazioni del politically correct, sia per l'analisi sul da farsi, compresi i rilievi sul concetto di giustizia. Grazie ancora.

Provo a dire la mia.

1) Distinguiamo tra mondo arabo ed Europa

Gli attentati in Francia (e UK, Spagna ecc.) non sono atti di guerra. Sono atti di terrorismo. Un terrorismo con forti collegamenti internazionali, ma comunque terrorismo. Gli attentantori sono per la maggior parte cittadini francesi di origine araba (spesso di seconda generazione), così come erano cittadini inglesi nati e cresciuti in Inghilterra gli attentatori di Londre del 2005. Spesso agiscono senza essere necessariamente connessi ad una rete sovranazionale, ma come schegge autonome. Si riconoscono nell'Isis o, come in passato in Al Quaeda, ma non ne sono necessariamente parte integrante.

Nei paesi arabi la questione è diversa. Qui è in corso una guerra per la conquista del potere. Si tratta di una guerra rivolta essenzialmente verso l'interno e contro le stesse popolazioni arabe.L'Isis mira a  occupare la stanza dei bottoni facendo fuori chi la occupa oggi. Occupa lo spazio lasciato libero dall'implosione dell'Iraq e dalla crisi del regime siriano, inizialmente fortemente indebolito non tanto dall'Isis, quanto dall'opposione appogiata dall'Occidente

2)

La religione conta.

Negarlo, significa negare la realtà. La religione per i terroristi della banlieu parigina è quello che per migliaia di giovani italiani degli anni 70 e 80 fu l'ideologia comunista estrema.

Così come ragazzi della buona boghesia (ma anche operai, studenti, infermieri, impiegati, professori) erano sinceramente convinti che la lotta armata avrebbe potuto far trionfare il comunismo in Italia, che sparare a un poliziotto, a un magistato, a un capo-reparto, avrebbe avvicinato il sol dell'avvenire e che per questo era possibile anche sacrificare la propria vita, così oggi è un'altro tipo di ideologia (la religione) a spingere un "bravo ragazzo" di St. Denise a imbottirsi di tritolo o a sparare ai redattori di un giornale satirico.

E' la stessa negazione della razionalità in funzione di una idea superiore.

Il terrorismo italiano anni 70 e 80 ci aiuta molto a capire le motivazioni di chi oggi spara in Europa.

Un brodo di coltura (le manifestazioni di piazza, l'influenza di alcuni ideologi, i "collettivi", anche le influenze intenazionali) dal quale naque la lotta armata.

Oggi la moschea con iman integralista sta al collettivo studentesco,  come la P38 sta alla cintura al tritolo.

commento centrato. aggiungo solo che la religione, nel senso di "negazione della razionalità in funzione di una idea superiore." , agisce insieme ad altri fattori. ma come detto il commento lo trovo centrato.


Io credo che la prima cosa da fare sia rinforzare la collaborazione tra paesi europei: come abbiamo creato la procura nazionale antimafia, possiamo crearne una europea antiterrorismo, e forze speciali specializzate.

Magari potremmo approfittarne anche per migliorare la collaborazione per la gestione dei flussi migratori, con una richiesta d'asilo europea.

 

Per quanto riguarda il medioriente direi di:

1) non farsi prendere dall'isteria, e non far cazzate: il campo libero a Daesh lo hanno fatto la gurra di GWBush e i tentativi di destabilizzare il regime di Damasco. Evitiamo anche i bombardamenti sulle città.

2) fare pressione per risolvere i numerosi conflitti aperti in medio oriente, p.es. quello arabo-israeliano e la questione curda. Tra l'altro i curdi sono tra i musulmani meno integralisti (anzi direi che sono decisamente laici - forse per reazione ai turchi).

3) avviare un'attività diplomatica coinvolgendo anche l'IRAN, che non aspetta altro che potersi integrare nell'economia globale. Questo farà bene anche alla stessa società iraniana, dove il potere degli ayatollah cede il passo ai laici.

4) isolare l'IS e prenderlo per sfinimento.

 

PS: che ne pensate di questo articolo?

www.spiegel.de/international/world/islamic-state-files-show-structure-of-islamist-terror-group-a-1029274.html

 

Altro articolo interessante: http://www.theguardian.com/commentisfree/2015/nov/16/isis-bombs-hostage-syria-islamic-state-paris-attacks Lo condivido quasi da cima a fondo: l'unica mia perplessità riguarda l'opportunità di rovesciare Assad ... ci andrei molto cauto.

poche e represse tendenze che mirano a modificare, "ammodernare" e capire cosa siano i messaggi religiosi, in parziale contrasto, con i messaggi politici, mi permetto di di suggerire

 

www.alfikra.org

 

 

(il tutto e' in arabo, vi e' tuttavia nella 3za riga un bottone che traduce, male ma si capisce, in inglese)

Non e' che ci siano molte possibilita' di scelta e tutte le scelte hanno costi altissimi.

Se si interviene, lo si dovra' fare con lo scopo di "vincere" una guerra. (la definizione di vittoira, potrebbe essere, per me, l'istituzione di uno protettorato con una forza di polizia  e delle leggi imposte dall'esterno).Per vincere una guerra ci si deve "togliere i guanti" e infliggere il maggior numero di danni al nemico, compresa la popolazione che lo supporta. Interventi "chirurgici" e "limitati" da regole di ingaggio ridicole come quelle che i nostri militari devono seguire i Libano portano solo a farsi prendere per i fondelli ed a farsi rubare la mitragliatrice dal proprio mezzo. Non credo che, come paese, siamo disposti a vedere uccidere i nostri soldati o la popolazione inerme. Vedo molto difficile che si possa mettere in piedi una guerra (con qualunque nome la si voglia chiamare, per dribblare i divieti in proposito della nostra costituzione). Se l'idea fosse quella di fare un intervent limitato, di mandare dei commandos o degli emuli di Rambo e Chuck Norris a fare azioni specifiche, meglio che lasciamo erdere subito questa opzione per evitare danni maggiori. Se, invece, si e' disposti a pagare il prezzo pesantissimo, ripeto, di una guerra, la si faccia e la si faccia per vincerla, con tutto quello che comporta per ottenere il risultato prefissato.

Trattare con l'ISIS e' improponibile, oltre che tecnicamente impossibile: c'e' un capo di stato, un rappresentante, un governo? E' affidabile? E in cambio di cosa dovrebbero smettere di fare  stragi in Europa e nel medio oriente? E che lettura verrebbe data di una siimile trattativa? Secondo me e' un'ipotesi dannosa e da non prendere neanche in considerazione.

Creare una specie di "Sand Box" ben isolata nel medio oriente in cui lasciare che le varie parti
si scannino tra di loro e vedere chi la spunta. Una soluzione che non risolve niente, costa tantissimo in termini di vittime civili (ipocritamente si potrebbe che non le avrebbe causate l'occidente, mitigando i nostri sensi di colpa) e senza alcuna garanzia di ottenere un risultato accettabile o che comunque non verremmo coinvolti nel conflitto.

Insomma, in ogni caso avremo da pagare un prezzo alto, per fare terminare il disastro che abbiamo contribuito a creare da quelle parti (abbiamo responsabilita', come mondo occidentale, ovvio, ma sono secoli che in quei territori le varie popolazioni si massacrano)

Secondo me 'unica e' intervenire decisamente, preparandosi a pagarne il costo (ovviamente in una colaizione piu' ampia possibile, sotto l'egida dell'ONU e l'approvazione di tutte le maggiore potenze mondiali e quanti piu' possibile degli stati locali ineressati).

Se non ci si vuole assumere la responsabilita' di una guerra, con tutto quello che comporta, tanto vale stare a casa, chiudersi a riccio tentando di tenere fuori i terroristi, ma dando la possibilita' a chi vuole scappare di trovare una nuova casa (mica ho detto che sia facile) nei paesi occidentali e "corrompere le menti" dei giovani mostrandolgi lo stile di vita occidentale, che ai giovani del medio oriente non dispiace granche', ma nel momento in cui si ribelleranno, andranno aiutati e seguiti, non abbandonati a se' stessi come e' capitato durante le primavere arabe

Per dire, Gheddafi comincio'  a perdere suporto quando permise l'uso delle antene satellitari ai privati e lo perse del tutto quando lascio' entrare internet in Libia. I giovani si resero conto che quanto gli raccontava il regime non corripondeva alla realta' e diedero fuoco alla rivolta.
Fino a pochi anni fa in Iran erano vietate le antenne satellitari e tutt'ora internet e' pesantemente filtrata.

Ma questa seconda opzione la vedo molto lunga nel tempo e difficilmente realizzabile.

1) The Economist.

How to fight back. www.economist.com/news/leaders/21678785-battle-against-islamic-state-must-be-waged-every-front-how-fight-back

The battle against Islamic State must be waged on every front (anche a..scuola..)

Dal paragrafo. know thy enemy

IS bases its terrorism on a vicious calculation. It believes that successful attacks will inspire the would-be Muslim radicals that it is trying to recruit. But it also wants to provoke a backlash in order to convince those same radicals that the world despises them and their religion. In February IS propaganda described a “greyzone” in which some Muslims’ loyalty is divided between radical Islam and a country where they do not feel that they completely belong. IS wants terrorism to drive Muslims out of this greyzone and into the black-robed embrace of the Caliphate.

2) un po' di STORIA?

Il Medio Oriente (pronuncia: OIL) tra spartizioni piu' o meno simboliche e divisioni dall'alto, e FAZIONI, eì da sempre un terreno di...incontro (incontro?) di contrapposti 'blocchi', inclusi USA vs Russia etc. Incluso quello tra Sunniti e Sciiti. Abbastanza noto.

IS, come il nome stesso suggerisce, tenta di coagulare da Ovest ad Est, ed ha un potere economico (e di ricatto), basato sul petrolio.

Confrontare attuale forza economica basata sul petrolio e...la quantita' di ...sfaccendati senza lavoro che vi si ammassano. Tutti dati ricavabili for free. (the Guardian vari articoli/editoriale recente. The Economist ultimo numero)

La domanda e': che fare? The Guardian

even if we were to avoid going to active war against Assad’s forces (against all odds), everyone seems to ignore the fact that a “no-fly zone” will reportedly require 70,000 US troops.

Parliamo di decine di migliaia di aderenti (to-date). Nessuno vuole andare on ground.

In breve: condivido su approccio strutturato. Come si scrive, all’azione militare, ed è cruciale sottolinearlo, occorre aggiungere in contemporanea quella culturale, economica e politica. Ossia, un cambio radicale di paradigma

Maxwell-like (ossia bottom-Up), e non top-(allah) down, dove e' tutto consacrato e cristallizzato nella pietra ..filosofale. Approccio strutturato. Facile a dirsi..

 

Beirut, Parigi, Sharm ... Provando a capire

 

Sandro. Non so rispondere esattamente alle domande su ‘’chi sono’’ e ‘’cosa vogliono’’, ma provo a dire qualcosa, così magari mi chiarisco le idee con il vostro aiuto. L’attentato sulla spiaggia tunisina dell’anno scorso e la bomba nell’aereo partito da Sharm fanno parte di questa strategia; l’attacco di Beirut probabilmente fa anche esso parte della medesima strategia perché destabilizzare il Libano e terrorizzare gli shiiti è utile a ISIS. 

Commento: Potrebbe essere così ma ISIS sa già come rispondono gli occidentali se attaccati direttamente. Quindi se lo scopo è quello di tenere lontano gli occidentali dalle loro aree di interesse, la strategia di alzare il prezzo è fallimentare.

 

Michele. Chi insiste sul tema “guerra di civilizzazioni/religioni” (Cristianesimo vs Islam) e ne deduce la necessità di chiudere le frontiere, espellere i musulmani e colpire militarmente non tanto e non solo le forze terroriste ma il complesso dell’Islam, è sia pericoloso che in mala fede. Perché occulta i fatti:  il grosso del massacro terroristico si compie in Medio Oriente: i “musulmani” ammazzati, o ben da Al-Qaeda o ben da ISIS o da altri gruppi terroristi minori, sono, ad occhio, 100 o 200 volte i “cristiani” ammazzati dai medesimi gruppi. Sandro ha già portato svariati esempi, inutile allungare la lista. Ricordiamoci che nelle zone controllate da ISIS, come prima in quelle controllate da Al-Qaeda, vengono ammazzati soprattutto i musulmani che non ottemperano le follie del regime militarmente dominante.

Commento: (O che sono rei di essere alleati degli Occidentali). In realtà come sottolineate anche voi la situazione potrebbe essere più complessa: potrebbe benissimo coesistere un fronte di guerra interno all’Islam tra sciiti e sunniti ma anche alawiti, wahabiti, e salafiti (e quindi un conflitto di matrice religiosa) e un fronte esterno verso l’Occidente per la natura espansionistica di Isis.  


Negli scontri interni fra fazioni palestinesi muoiono molti più palestinesi di quanti ne ammazzi Israele con le sue azioni punitive o di occupazione (senza andare indietro nel tempo, a Settembre Nero e tutto il resto, dare un’occhiata qua). Questo mi sembra un aspetto chiave che, purtroppo, i media occidentali (fatte salve poche eccezioni) continuamente ignorano, mal informando di conseguenza l’elettorato e favorendo scelte politiche e militari dominate da una visione di breve periodo.

Commento: Sicuramente si ammazzano anche e soprattutto tra fratelli ma questo non vuol dire che non siano impegnati su più fronti (lotta contro i propri fratelli e lotta per estendere il loro potere sul territorio e controllare le fonti energetiche che consente loro di avere i soldi per le armi, e lotta contro gli occidentali).

Ed è così da decenni: la prima guerra del Golfo avvenne perché Saddam voleva mangiarsi un altro paese arabo; in Egitto e nei vari paesi coinvolti dalle insurrezioni della cosiddetta “primavera araba” la violenza è interna al mondo musulmano, idem in Siria e così via. I Curdi sono, nella stragrande maggioranza, musulmani (sia sunniti che sciiti) eppure combattono da un secolo contro altri musulmani di differente etnia o identità tribale, Turchi ed “Iracheni”, dove la seconda è fra virgolette perché l’identità etnica qui è molto meno ben definita che nel caso turco. 

Commento: I Curdi combattono da sempre per il loro territorio che è comunque ricco di fonti energetiche e per la loro sopravvivenza…

 

In sostanza, come ben chiarisce anche questo articolo di Limes che ho scoperto dopo aver scritto la parte precedente, stiamo assistendo anzitutto ad una guerra interna al mondo arabo/musulmano. Ed anche l’attributo “musulmano” andrebbe qualificato: gli indonesiani o i pakistani potrebbero chiedere che diavolo abbiano a che fare loro con una tale guerra. Idem per i quasi 200 milioni di musulmani che vivono in India e le centinaia di milioni di altri musulmani che vivono altrove nel mondo. Per questo le urla su “Islam religione di morte” vanno combattute senza remissione alcuna. Sono affermazioni false sia sul piano storico che su quello analitico. Se prese sul serio porterebbero ad una tragedia immane: la dichiarazione di guerra del Cristianesimo all’Islamismo. Una ricetta per il suicidio collettivo.

Commento: In fondo crediamo tutti che ci sia Islam e Islam e che i molti islamici che vivono serenamente in Europa perché scappati dai loro Paesi per vedute differenti non hanno nulla a che fare con gli attentatori islamici fondamentalisti ma quello che non può essere passato sotto silenzio è l’omertà di questi islamici moderati. Sono stra convinta che gli islamici che vivono in Europa non vogliono certo un futuro dove nuovamente saranno governati da Imam fondamentalisti ma devono incominciare a fare il loro per fermare almeno i fondamentalisti di seconda o terza generazione.  

 

Perché mai questo “ritardo evolutivo” (che potrebbe essere dovuto solo ad una “tarda nascita”) della religione musulmana dovrebbe riguardare i paesi di cultura cristiana? Per tre banali ragioni. Anzitutto perché, essendoci lasciati quei problemi alle nostre spalle ed avendo deciso di infilarci negli affari politici dei paesi dell’area ex-ottomanna, noi non possiamo accettare il loro modus operandi politico e loro non riescono ad accettare il nostro. In secondo luogo perché, a fronte del nostro declino demografico, quei paesi continuano a generare un surplus di popolazione che tende a migrare spontaneamente verso i nostri territori, esacerbando le frizioni culturali. In terzo luogo perché un conto è usare la spada per farsi valere in un mondo scarsamente popolato e ben altro conto è usare le armi moderne nel centro delle metropoli europee. Il carnage che ne risulta è infinitamente maggiore.

Commento: Ho sempre pensato che i confini degli stati decisi a tavolino con squadra e righello dopo la caduta dell’Impero ottomano, e non conquistati a seguito di guerre, sia uno dei fattori della situazione di oggi del Medio Oriente  ma è anche vero che allora non dobbiamo parlare proprio di Stati ma di micro tribù che hanno singole autonomie sui territori che abitano secondo il noto principio cuius regio eius religio perché di questo si tratta.

 

Dove portano queste osservazioni? Spero portino a comprendere che noi “cristiani” siamo finiti in mezzo a questa follia “islamica” perché siamo fisicamente e militarmente presenti nel Medio Oriente per nostra scelta, non perché sia invece in corso una Jihad dell’Islam alla conquista dell’occidente.

Commento: Secondo questo ragionamento avremmo dovuto subire dopo i bombardamenti in Serbia gli stessi attentati per esserci immischiati in un problema interno ad una regione che presentava la stessa tipologia di conflitti etnici\religiosi, o per anni dopo l’Olocausto avremmo dovuto subire stragi in Germania, Francia,Italia da parte di ebrei per vendicare quanto subito in passato. Ma non mi ricordo di attentati in questi 20 anni e oltre (a parte post Settembre Nero) da parte dei serbi.

Non siamo alle anti-crociate ma alla guerra dei trent’anni esportata in, per dire, Inghilterra, perché l’Inghilterra s’è messa in mezzo fra un principe tedesco e l’altro ed uno dei due intende vendicarsi direttamente sugli inglesi. È per queste ragioni che le assurdità sull’Islam da distruggere - che in Italia si ispirano alla “preveggenza” della confusa Oriana Fallaci - vanno seriamente combattute. È in corso, internamente all’Islam, una lunga e violenta battaglia culturale e militare che avrà rilevanza per i decenni, forse i secoli a venire. È nel nostro interesse appoggiare - con argomenti cogenti ed il coinvolgimento culturale, non con l’ostracismo idelogico - le componenti modernizzanti o “illuministiche” che nell’Islam esistono e sono forse persino maggioritarie, esattamente come avremmo fatto nei secoli dell’oscurantismo papalino dovendo scegliere fra Galileo e l’Inquisizione.  

Commento: Verissimo e l’intervista dell’Imam di Nimes o le parole dell’Imam di Monfalcone sono un chiaro esempio di quello che lei afferma qui.

 

Giulio. Concordo, innanzitutto, che non si tratta di scontro tra civilizzazioni, tanto meno tra religioni. Le diverse civilizzazioni di occidentali e mediorientali (in fondo non molto diverse visto che commerciamo, ci scambiamo conoscenze e ci influenziamo in molti altri modi da parecchi secoli) e le loro diverse religioni (anche queste in fondo molto simili, vista la radice comune delle tre grandi religioni monoteiste che non a caso rende del tutto naturale il dialogo e persino la teologia interreligiosa) hanno a che fare con questo conflitto tanto quanto le diversità culturali e religiose tra Germania e Giappone da un lato e Stati Uniti e Inghilterra dall’altro avevano a che fare col loro conflitto durante la Seconda guerra mondiale: poco o niente.

Commento: Se fosse completamente vero perché allora tutto questo politically correct? Perché la mostra di Chagall dovrebbe mai turbare qualcuno? Perché a una cena di Stato in Francia Rohani dovrebbe impedire di bere vino anche ai francesi quando potrebbe limitarsi a bere acqua solo lui? (sono banalizzazioni ma in realtà nascondono il fatto che culturalmente siamo diversi /diversi non migliori). Non possiamo dimenticare che ci confrontiamo con Teocrazie mentre noi abbiamo fatto in secoli un percorso di secolarizzazione.  Questo fondamentalismo religioso serve ai vari capi tribù come agli Imam per mantenere il loro potere inalterato esercitando l’arma della paura e, mantenendo la popolazione in stato di ignoranza profonda, lo tiene soggiogato. Se si gira il mondo come mi capita di fare ci si rende conto della falsità e dell’opportunismo di certi che si professano credenti nel profeta (né più né meno di molti ipocriti che si professano cattolici). Luoghi come Dubai sono più vicini e superano di gran lunga certi luoghi del jet set internazionale occidentale. L’Arabia Saudita è completamente diversa ma paga il suo equilibrio sociale a suon di petrodollari che elargisce alla popolazione. Ora questo equilibrio sta venendo meno a causa di alcuni scenari mutati nell’utilizzo delle fonti energetiche.

Come già notato da Sandro e Michele, in tutte queste circostanze ISIS non si è fatto alcuno scrupolo ad uccidere i propri “fratelli” musulmani. E ce l’hanno con gli europei e i loro discendenti oltremare, non, per dire, coi cinesi che sono molto più lontani da loro culturalmente e religiosamente.

Commento: In Cina il governo controlla le informazioni e la libertà individuale non ha lo stesso significato che ha in Occidente. E’ una libertà controllata e anche li l’equilibrio sociale è mantenuto con il capitalismo di Stato e con l’elargizione di soldi alle piccole aziende. Gli arabi sono furbi e intelligenti: sanno benissimo che se attaccassero la Cina questa risponderebbe in modo tale da far passare noi per mammolette perché non ha un’opinione pubblica con una coscienza civile diffusa come nel resto dell’Europa che frena interventi duri e repressivi in nome di una tolleranza cristiana conquistata in secoli di lotte fratricide.

Davvero cultura e religione c’entrano poco o niente.

Commento: Solo quando la posta in gioco riguarda un potenziale nemico che della religione non sa che farsene.

Che qualcuno spari invocando Dio significa poco. Anche qualche tedesco avrà sparato durante la Seconda guerra mondiale pensando “Gott mit uns”. Molti, infatti, da quanto ci è dato sapere. Così come significa poco, di per sé, che qualcuno sia disposto a morire suicida in queste operazioni terroristiche. La storia è piena di esempi di gente che si immola per cause laiche (come la patria) e una buona paga per sé prima e per gli eredi dopo.

 

Che fare, dunque? Ci siamo resi conto troppo tardi (si veda per esempio la “confessione” di Tony Blair poche settimane fa) che è stato un grave errore intervenire militarmente in Iraq nel 2003-2004 per rovesciare il regime di Saddam Hussein. È ormai, credo, pubblicamente riconosciuto anche negli Stati Uniti che il modo in cui è stata gestita l’occupazione e, in particolare, smantellato l’esercito iracheno negli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra del Golfo ha creato un “esercito di riserva” (in questo caso il concetto calza proprio a pennello) di uomini e armi che hanno favorito l’organizzazione militare di ISIS. Meglio sarebbe stato lasciare Saddam dov’era, dicono oggi molti. E anche Gheddafi. E anche Assad (beh, lui c’è sempre e infatti oggi molti dicono per fortuna che c’è). Proprio mentre Al-Qaeda stava percorrendo il viale del tramonto abbiamo contribuito in modo determinante a creare un caos che ha fatto prosperare ISIS.

Commento: L’Isis serve all’Arabia Saudita, al Qatar oltre per combattere Iran e Siria (sciiti) per far pensare ai loro sudditi che sono fortunati ad avere i Sovrani che hanno…

Ne consegue, retrospettivamente, che la politica migliore da tenere verso il Medio Oriente sarebbe probabilmente stata la passiva accettazione degli equilibri politici che là, endogenamente, si determinano, almeno finché non si subisce un attacco (e questo poteva forse giustificare il rovesciamento per mano militare del regime dei talebani in Afghanistan nel 2001). D’altronde facciamo così da decenni con la Corea del Nord, un brutale regime dittatoriale che opprime il popolo e ne calpesta i diritti umani riconosciuti in occidente. Ma ormai è tardi e siamo dentro al conflitto. Concordo con Sandro (e con l’ottimo articolo di Limes già citato sopra da Michele) quando dice che ISIS sta alzando il prezzo per europei e russi di immischiarsi nelle faccende mediorientali e, in particolare, di partecipare allo sforzo militare per contrastare l’autoproclamato “califfato”.

 

E quindi, di nuovo, che fare, dunque? Innanzitutto evitare l’isteria collettiva e l’islamofobia. Le comunità musulmane in Europa hanno un interesse a vedere sconfitto il terrorismo (pensate all’enorme danno che questi eventi fanno alla loro immagine e quindi alla possibilità di vivere una vita normale in cui si lavora, si fanno studiare i figli, ecc.) e quindi vanno ricercate come alleate.

Commento: Concordo a patto però che dimostrino di voler davvero sconfiggere il terrorismo. Purtroppo gli attentatori sono europei cresciuti per lo più in quartieri degradati in cui la legge non è quella dei paesi che li ospitano ma la Sharia. Interi quartieri di Londra, Parigi, Milano la legge non è quella inglese, francese o italiana. Allevati a suon di hate preaching questi terroristi islamici vengono in parte coperti da quei moderati di cui chiediamo l’appoggio e l’alleanza. Il degrado delle periferie non può essere additato come unico fattore: ci sono periferie degradate in tutte le parti del mondo ma non credo che assistiamo a gente che si fa saltare in aria per questo.

 

In Italia, dopo le stragi di mafia del 1992, ci siamo inventati (e la cosa ha funzionato nell’indebolire in modo determinante Cosa Nostra) il 41/bis. Mi chiedo se non si possa fare qualcosa di simile per le minacce terroristiche nell’ambito del diritto internazionale (cosa quest’ultima necessaria per evitare di ripetere un altro errore dell’occidente nella politica mediorientale, Guantanamo). Ma bisogna essere consapevoli che questo implica importanti restrizioni alla privacy e alla libertà di tutti.

Commento: Sono d’accordo e credo che siamo “quasi” tutti disposti a cedere parte della nostra privacy a fronte di maggiore sicurezza.

 

Una volta messa da parte l’isteria e rafforzata l’intelligence, le opzioni mi sembrano due: o si va (in coalizione internazionale) decisamente fino in fondo a sconfiggere ISIS militarmente accettando collettivamente la possibilità di essere colpiti alla loro maniera, oppure lo si riconosce in qualche modo come stato e ci si scende a patti. Ci altre vie indirette e più tortuose che forse si stanno già percorrendo ma che a me pare non facciano altro che perpetuare gli errori del passato. Penso all’accordo sul nucleare con l’Iran, forse un modo di creare nella regione una potenza economica e militare che possa fare il lavoro sporco di scontrarsi con ISIS. Fino a che non diventa il prossimo nemico.

Commento: Concordo: il prossimo nemico che ora ci è utile per far fare il lavoro sporco che noi non vogliamo fare. Come ci è utile la Russia.

 

La seconda opzione equivale più o meno a dire a ISIS “Ok, noi ce ne andiamo, fate quello che vi pare in Medio Oriente, ma lasciateci vivere come ci pare -- anche senza controllare le riserve di petrolio si può vivere bene -- e cancellateci dalla lista dei vostri nemici, grazie”. Credo sia vero che se oggi i paesi occidentali se ne andassero in blocco dal Medio Oriente gli attentati cesserebbero più o meno di colpo (segue logicamente dal fatto che la causa degli attentati è la nostra presenza lì). Se questa politica pone alla coscienza occidentale il problema di lasciare interi popoli in balia di feroci tiranni la soluzione è semplice: accogliamo tutti quelli che da questi tiranni vogliono scappare, così come gli Stati Uniti accoglievano quelli che scappavano dai despoti e feroci dittatori europei nell’800 e nel 900.

Commento: Potremmo anche farlo ma siccome non abbiamo ricchezza infinita, sistemi di welfare infiniti  soprattutto posti di lavoro infiniti generiamo quelle banlieue degradate dove la legge in vigore è quella islamica. Stiamo solo spostando il problema.

 

Giovanni. Che fare? Ovviamente, più intelligence serve, ma l’intelligence ha i suoi limiti (basta un complotto non scoperto su 10) e troppa intelligence ridurrebbe la privacy a cui tutti teniamo. Inoltre potrebbe essere controproducente. Pensate se si diffondesse la pratica di denunciare il musulmano con la barba solo perchè ha espresso opinioni contro Israele o perchè tiene aperto il negozio fino alle 24 e impedisce al concorrente bianco e cristiano di vedersi in pace X-factor.

Commento: Mi sembra più il caso contrario. Assistiamo in tutta Europa e in USA a casi in cui sono le minoranze (gay, afro, lgbt, green, etc) a dettare le regole (qualcuno definisce il fenomeno con le dittature delle minoranze) e non come vorrebbe la democrazia, la maggioranza. Non c’è razzismo, discriminazione laddove c’è rispetto e cultura. Assistiamo sempre di più non al nascere di nuovi diritti a fianco di altri già esistenti ma alla limitazione di una parte per far posto ad un’altra.

Alla terza denuncia falsa o pretestuosa, anche il musulmano più pacifico diventerebbe un fanatico radicale. Secondo me, la cosa essenziale è diffondere un messaggio diverso - bisogna imparare a convivere con il terrorismo come si convive con gli incidenti stradali. Commento: Quello che fanno in Israele dal 1948. In Italia muoiono fra 3000 e 4000 persone l’anno e nessuno pensa di proibire la guida. Si sta attenti, si migliora la sicurezza delle macchine, ma poi alla fine tutti guidano e considerano l’incidente come una possibiltà, anche se remota. Lo stesso dovrebbe essere per il terrorismo.

 

I terroristi vogliono farci paura e farci cambiare il nostro modo di vita. Se ci facciamo prendere dalla paura, avranno vinto. E questo vale non solo per non smettere di andare allo stadio o di cenare all’aperto - vale soprattutto per il rapporto culturale con l’Islam. Non scrivere la “verità” (fra virgolette), ufficialmente per paura di offendere la religione islamica ma, si sospetta, in realtà per paura, è l’inizio della vittoria per gli estremisti. Chapeau! E questo non vuol dire opporre alla propaganda menzognera dell’ISIS una contropropaganda vagamente faziosa, se non altrettanto menzognera come qualche volta sembra suggerire Galli della Loggia. Sarebbe necessario  ritornare a parlare dell’Islam come di una religione più oscurantista ed aggressiva delle altre ma non sostanzialmente diversa. E ricordare che il problema delle società arabe (in senso lato) è la loro incompleta modernizzazione e quindi il peso eccessivo e crescente della religione nella vita sociale e politica. Commento: Concordo ma abbiamo imparato che non possiamo esportare nulla: meno che meno i valori nostri (libertà, uguaglianza, diritti umani, etc) se questi non sono condivisi. La religione e il suo peso sono voluti per mantenere il potere di quei pochi regimi ancora pseudo in equilibrio che ci sono in Medio Oriente.

 

Giulio. Concordo che bisogna abituarsi al terrorismo come a uno spiacevole fatto del tempo in cui ci è capitato di vivere (così come a limitazioni di privacy e, probabilmente, libertà per vivere più sicuri), ma questo ha senso solo se nel frattempo hai una strategia anti-ISIS. Abituarsi a subire aperti atti di guerra senza fight back sarebbe da irresponsabili. Il caso è diverso da Al-Quaeda, che era liquida e non sapevi dove e come colpirla (infatti abbiamo fatto solo un gran casino colpendo alla cieca presunti regimi del male compiacenti).  ISIS si proclama stato, ha una capitale, un esercito (sebbene altamente irregolare), un'organizzazione territoriale e interessi economici. Va quindi contrastato come tale, nella misura in cui minaccia la vita e la libertà dei cittadini europei.

Commento: Concordo ma non credo che questo risolva il problema dei fondamentalisti islamici già in Europa. Dobbiamo alzare il livello dei controlli interni.

 

Andrea. Una decina d’anni fa, Robert Pape pubblicò un’analisi del terrorismo suicida concludendo, sulla base di una banca dati da lui raccolta (che non si limitava al terrorismo di matrice islamica), che il terrorismo suicida si correlava ai seguenti tre elementi: (i) è perpetrato da organizzazioni non militari contro stati democratici (ii) allo scopo di porre fine ad una occupazione militare (iii) in cui ci sono differenze di religione fra potenza occupante e stato occupato. La motivazione determinante del terrorista suicida è politica, non religiosa, e si basa su una strategia volta alla ricerca di massimizzare l’efficacia dell’azione violenta. Strategia, alla luce dei dati, corretta. Il suo consiglio al governo americano era di porre fine all’occupazione militare del Medio Oriente e alla pretesa di intervenire per manipolarne i regimi. Più efficace sarebbe perseguire strategie di alleanze esterne, mantenendo attiva la minaccia di intervento militare per casi specifici (per esempio: la difesa del commercio internazionale, come nel caso della prima guerra del Golfo). Commento: Le alleanze durano in Medio Oriente quanto una tazza di te da bere alle 5 del pomeriggio. L’opportunismo e la convenienza sono le uniche regole. Questa è la strategia sinora usata da Obama per opporsi a ISIS, senza sostanziale opposizione (almeno nei fatti) dai Repubblicani. L’occupazione militare del golfo Persico però rimane, e questo perpetua nel mondo islamico la frustrazione per l’incapacità di auto-determinare il proprio futuro, e alimenta il reclutamento di potenziali terroristi suicidi (che, dai dati, non sono dei poveri pazzi senza speranza, ma giovani con elevato livello di istruzione spinti da un forte anelito di altruismo nei confronti dei propri conterranei).

 

Se queste sono le basi del ragionamento (e ancora di più se le motivazioni del terrorismo dell’ISIS sono diverse), direi che non c’è scampo. Come sostiene Giovanni, occorre imparare a convivere con l’idea che, occasionalmente, qualche pazzo farà saltare qualche ristorante, accettare limitazioni di privacy e libertà personali in cambio di maggiore intelligence. Occorre anche avere una strategia precisa per l’intervento militare che non abbia obiettivi vaghi quanto illusori come “esportare la democrazia” o altri simili vaghe idee difficilmente realizzabili. Il mondo islamico ha non tanto bisogno di democrazia, quanto di stato di diritto, innanzitutto, e di crescita economica non pompata dal petrolio, alla quale segue, di solito, anche una crescita della società e dei diritti umani.

Commento: Concordo ma questo contrasta con gli interessi di chi governa il mondo islamico.

 

All’azione militare, ed è cruciale sottolinearlo, occorre aggiungere in contemporanea quella culturale, economica e politica.

...sono lo 0,1%, non lo 0,01%.

 

Il concetto non cambia, comunque. Bravissimi redattori di NfA, ottimo articolo!

...e oscurare la propaganda Isis?

Senza internet e ricostruzioni falsate sul loro stato di salute, è dura fare proseliti.

Colonel Brighton: Yes, sir.

General Allenby: Pound them, Charley -

[strikes blackboard with his fist]

General Allenby: POUND THEM!

Quanto sta accadendo in Mali,che riporta all'attenzione la tragica situazione del Sahel con il corrolario di flussi migratori che tanto turbano i sonni di molti politici nostrani, rende sempre più urgente una risposta alla domanda cosa vogliono fare gli stati che compongono l'UE? continuare in ordine sparso? dare una risposta comune (e costruzione di una difesa e politica estera comune) con quel che ne consegue? 

Ottimi i commenti. Ma tutti sono relativi ai fatti di oggi, ovvero ai fatti di terrorismo e a come rispondere. Ma poi quando, come diceva la tanto vituperata Fallaci, i musulmani diventeranno maggioranza in molti Paesi europei, voteranno il loro partito islamico e vinceranno le elezioni (in Francia fra non più di 20 o 30 anni), i commenti si potranno fare ancora? Forse Renzi dovrebbe considerare che lo ius soli, che di qui a poco introdurrà, potrà in futuro essere indicato come uno degli elementi più determinanti del suicidio dell'Occidente "evoluto" (sob).

I musulmani sono maggioranza in Indonesia e Pakistan, paesi che hanno avuto presidenti o primi ministri donna. Una cosa non ancora successa nell'Italia della Fallaci e del Salvini (nonché del CAF). Ma sappiamo che una cosa è l'area ottomana o araba (330 milioni di abitanti) di cui si parla in questo articolo, altro è il mondo musulmano (stimato tra 1 e 1.6 miliardi di credenti). I commenti non si possono fare anche in Cina ed in quella korea del nord che piace tanto a Salvini e a Razzi :-)
Ma lasciamo perdere.

Piuttosto torno sul tema del confronto culturale. Si parla di "scontro" (di civiltà) ma se provassimo ad impostarla in tema di "confronto" tra stili di vita? La globalizzazione e , recentemente Internet, mette a confronto stili di vita diversi ed è credo innegabile che un certo stile di vita occidentale, compresi i rapporti uomo donna, sia sempre piu' apprezzato anche in mondi distanti dal nostro, fisicamente ma anche temporalmente. Ma anche noi siamo distanti temporalmente da come eravamo solo 50 anni fa. Per dire, fino agli anni 80 in Italia era ammesso, come attenuante, il delitto d'onore (uccisione del coniuge, della figlia o della sorella) mentre l'adulterio era condannato se fatto dalla donna, non dall'uomo. E questo non solo nella cultura ma nelle neggi dello stato italiano. Eppure oggi non è piu' cosi'. Siamo cambiati. La cultura si evolve. Ora abbiamo legig sul divorzio e sull'aborto e sappiamo chi se ne cruccia ogni tre per due anche in Italia.

Uno degli errori che mi pare di osservare è una visione statica dei rapporti tra culture mentre in realtà dovremmo avere un approccio analitico di tipo dinamico, osservando i cambiamenti nel tempo e le differenze di cambiamento relativo (di velocità di cambiamento) tra culture diverse. Forse (piccola provocazione) c'è una variante del modello superfisso che riguarda anche il modo di alcuni di concettualizzare la cultura come se fosse un unico fisso ed immutabile. In realtà noi non buttiamo piu' i bambini malformati dalla rupe: cambia l'etica, cambia la morale. Naturalmente il tutto è frutto di una risultante tra forze contrapposte, che spingono in direzioni diverse. Azione e reazione, con momenti di equilibrio altalenanti. Tra l'altro riflettevo sul fatto che Millenni fa erano i cristiani che pregavano di nascosto nelle catacombe, come oggi certi musulmani pregano nei garage. Non credo sia una coincidenza.

Piu' che un problema islamico ritengo che ci sia invece un problema "arabo", dovuto alla particolare cultura, frutto del legame tra islam e tradizioni locali preesistenti. Nel caso arabo le resistenze tradizionaliste  sono superiori e si manifestano con violenza proprio per l'accellerazione impressionante che la globalizzazione ha avuto nel mettere a confronto stili di vita, culture.

Questo senza nulla togliere a tutto il discorso sui motivi geo-politici e geo-economici del conflitot in atto.

la prima cosa da capire e' che cosa siano le dottrine.

qui la loro nascita, (il testo e' la traduzione in Inglese dell'originale)

 

qui https://azelin.files.wordpress.com/2010/08/abu-bakr-naji-the-management-of-savagery-the-most-critical-stage-through-which-the-umma-will-pass.pdf

 

 

 

per chi voglia vedere cosa sia islamico (piu' o meno) vedasi le opere del logico Ibn Taymyahh, che visse dal 1263 (era cristiana) e visse, non per caso il periodo in cui la terra santa venne invasa (da mongoli in quel caso, non da BBB [BlairBerlusconiBush])

almeno secondo Giovanni Fontana. Non mi convince molto ma lo posto lo stesso. www.distantisaluti.com/e-la-religione-non-la-politica/