13 settembre 1985: il crollo dell’Unione Sovietica

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Nessun errore: questo è, secondo Yegor Gaidar, il giorno in cui l’impero sovietico ha iniziato a dissolversi.

Per chi non lo ricordasse, Yegor Gaidar è stato, nel periodo 1991-1994,

Primo Ministro, Ministro dell’economia e vice Primo Ministro della Russia. Più

tardi è stato eletto alla Duma. Da alcuni anni ha abbandonato la vita pubblica,

anche se nel novembre scorso è stato ancora protagonista delle cronache per il suo

misterioso avvelenamento avvenuto in Irlanda, poco dopo

quello di Litvinenko. Ha appena completato un libro, The Collapse of an Empire: Lessons from Modern Russia, che verrà

pubblicato da Brookings Institution Press

il prossimo 30 luglio. Ne trovate una breve sintesi (in inglese) qui. Quello che segue è il riassunto della sintesi.

Pane e petrolio: queste sono le due parole chiave per capire il crollo

dell’impero sovietico secondo Gaidar. Pane in realtà deve essere inteso in

senso lato, come beni agricoli, granaglie in primo luogo. L’agricoltura

sovietica è stata sempre in crisi, almeno da quando Stalin decise, negli anni

’30, di espropriare la terra ai contadini, per passare alla collettivizzazione

dei lavori agricoli. Se prima della Prima Guerra Mondiale la Russia era il

primo esportatore di granaglie al mondo, negli anni ’60 era diventato il più

grande importatore, più di Giappone e Cina messi assieme. E come venivano pagate le

importazioni di beni agricoli? Non certo con beni industriali, la cui qualità

era così scadente che nessun Paese (esclusi quelli del blocco comunista che non

avevano molta scelta) era disposto ad accettarli come contropartita. L’unico

bene che l’Unione Sovietica poteva offrire per pagare le sue importazioni era

il petrolio.

Per tamponare una crisi dell’agricoltura sempre più grave, già

negli anni ’70 i pozzi petroliferi sovietici venivano sfruttati in modo

eccessivo, causandone un rapido deterioramento. Ma Breznev non aveva scelta se

non voleva affamare la popolazione sovietica (e quella del blocco comunista).

Poi, all’inizio degli anni ’70, il colpo di fortuna: la crisi petrolifera fece

schizzare alle stelle il prezzo del petrolio e questa fu una boccata d’ossigeno

per l’economia sovietica. Ma questo colpo di fortuna fu completamente sprecato

dalla dirigenza sovietica. Così come le enormi riserve di oro e argento dalle

colonie avevano anestetizzato l’economia dell’impero spagnolo tra la fine del

1500 e l’inizio del 1600, l’alto prezzo del petrolio rinviò ogni piano di

ammodernamento dell’industria sovietica. L’unica strategia del Politburo fu

quella di ordinare al KGB di alimentare il terrorismo nei Paesi arabi per tenere alto il

prezzo del petrolio. Poi ci fu l’invasione dell’Afghanistan e l’inizio della

fine. L’Arabia Saudita capì che essa era il primo passo verso un tentativo di controllo sovietico dei

campi petroliferi del Medio Oriente e decise di chiedere la protezione degli

Stati Uniti. E per averla fece un gesto di buona volontà: il 13 settembre

1985 lo sceicco Yamani, il ministro del petrolio, annunciò che la produzione di greggio saudita sarebbe drasticamente aumentata, facendo così scendere il suo

prezzo. A quel punto l’agonia dell'Unione Sovietica era iniziata e l’unica incertezza era

la data della sua dissoluzione.

Con un basso prezzo del petrolio, i leader

sovietici avevano tre opzioni.

Potevano rinunciare al blocco orientale, riducendo i sussidi versati alle

nazioni satelliti e, anzi, vendendo loro il petrolio sovietico ad un prezzo di

mercato. Questa soluzione, però, era ideologicamente costosa, perchè

significava negare i risultati della Seconda Guerra Mondiale. Nessun membro del

Politburo ebbe il coraggio di suggerirla, poiché sapeva che avrebbe rischiato

di perdere il suo posto al top della nomenklatura.

Oppure potevano ridurre le importazioni agricole, razionando il cibo. Ma i

dirigenti sovietici sapevano che ciò avrebbe comportato una dura rivolta

popolare, dalle conseguenze incalcolabili.

Infine, potevano ridurre le spese per l’apparato militare. Ma l’economia di

intere regioni dipendeva dalla produzione militare. Non era escluso che la

leadership di tali regioni avrebbe guidato la rivolta contro i dirigenti

centrali, se tale decisione fosse stata presa.

Il Politburo scelse di non scegliere e aspettare. Per pagare le

importazioni agricole, nel 1989 il governo sovietico chiese un prestito di 100

miliardi di dollari ai governi occidentali (nessuna banca avrebbe mai concesso

prestiti all’Unione Sovietica). Ma la richiesta di un prestito così ingente

significava di fatto la fine del potere sovietico sul blocco orientale. I

leader polacchi capirono per primi che l’Unione Sovietica non avrebbe mai

mandato i carri armati per reprimere le manifestazioni di piazza organizzate da

Solidarnosc. Al vertice di Malta del 1989 Gorbaciov lo garantì esplicitamente

all’allora Presidente Bush Sr. Sei settimane dopo, non c’era più alcun regime

comunista nell’ormai ex blocco sovietico. Ma ormai anche la crisi interna era

matura. Quando ci furono le prime rivolte nei paesi baltici, i governi

occidentali dissero a Gorbaciov che poteva fare quello che voleva, dato che era

una questione interna dell’Unione Sovietica. Naturalmente, se avesse usato la

forza, poteva però scordarsi il prestito. A questo punto Gorbaciov si trovava

di fronte ad un dilemma insolubile. Uno stato che non ha risorse economiche e

non può difendere le frontiere è già morto, dice Gaidar. La fine avvenne, come sappiamo,

nell’agosto 1991 con il fallito colpo di stato.

Quali sono le lezioni che Gaidar trae da queste vicende? In primo luogo, ci

ricorda che l’economia sovietica dipende ancora dal petrolio e dal gas (avrete

letto in questi giorni che Putin vuole annettersi anche una parte del Polo Nord

con ricche riserve di petrolio e gas)e

che quindi ha sempre fragili fondamenta. In secondo luogo, che i regimi

autoritari sono fragili nei momenti di crisi. Nei momenti di stabilità solo una

minoranza sente come intollerabile la mancanza di libere elezioni. Nei momenti

di crisi, la tolleranza dei cittadini verso gli autocrati svanisce rapidamente

e il contratto sociale entra in crisi. Gaidar conclude affermando che una vera

democrazia non è un dogma imposto dai Paesi Occidentali, ma una precondizione

peruno stabile sviluppo della Russia.

Le sue tesi spiegano in modo evidente perchè

in molti abbiano visto la mano dell’attuale governo russo dietro il suo avvelenamento (anche se non c'è nessuna prova in tal senso). Ma il punto più importante, a mio avviso, è se la

Cina sia una disconferma del paradigma di Gaidar o se, invece, nel lungo periodo il

Partito Comunista diventerà un ostacolo allo sviluppo economico cinese. Come diceva Battisti (Lucio), lo scopriremo solo vivendo.

 

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Commenti

Ci sono 16 commenti

Molto più plausibile delle teorie che vedono il riarmo di Regan come causa del crollo.

 

Io direi coerente con l'idea che la corsa al riarmo di Reagan sia stata la classica paglia che ruppe la schiena dell'asino, no? Alla fin fine, qualcosa deve pur aver reso il regime incapace di trovare le risorse necessarie per sfamare il popolo. Che siano state solo le spese militari, lo dubito anche io. Che abbiano senz'altro accelerato il processo mi sembra difficile dubitarlo. Fausto, che dice la nostra fonte a questo proposito?

 

 

Gaidar conclude affermando che una vera

democrazia non è un dogma imposto dai Paesi Occidentali, ma una precondizione

peruno stabile sviluppo della Russia.

Le sue tesi spiegano in modo evidente perchè

in molti abbiano visto la mano dell’attuale governo russo dietro

il suo avvelenamento (anche se non c'è nessuna prova in tal senso). Ma

il punto più importante, a mio avviso, è se la

Cina sia una disconferma del paradigma di Gaidar o se, invece, nel

lungo periodo il

Partito Comunista diventerà un ostacolo allo sviluppo economico cinese.

 

Le condizioni in Cina sono abbastanza diverse, dato che si tratta di un importatore di risorse naturali, piuttosto che un esportatore. E suo il governo attuale ne comprende bene le implicazioni: subito dopo la morte di Mao ha abbandonato la collettivizzazione dell'agricoltura e ha trasformato l'economia del paese in direzione capitalistica, facendone un produttore a basso costo di manodopera. Inoltre, contrariamente all'ex-URSS non ha mai avuto un impero da controllare, con i relativi costi. E infatti oggi e' la Cina che sta prestando centinaia di milioni di dollari all'impero USA comprando Treasuries (anche se ultimamente sta cercando di diversificare, vedi p.es. l'acquisto del 10% di Blackstone per 3 miliardi di dollari, e la costituzione di State Investment Co., basata sul modello di Temasek Holdings di Singapore e col compito di investire 200 miliardi di dollari dei 1200 in riserve di valuta straniera: la persistente debolezza del dollaro e il recente brusco aumento dei rendimenti sulle Treasuries sono almeno in parte legati al rischio di diminuito interesse nei titoli di stato americani da parte della Cina).

Inoltre, dubito che la mancanza di democrazia abbia alcunche' a che fare con il decesso dell'Unione Sovietica: il politico di maggior successo sinora non e' certo stato Gaidar, ma Putin, che sta perseguendo una restaurazione del vecchio modello (autoritarismo, ricostituzione dell'impero con pressioni sui paesi satelliti come Ucraina, Bielorussia e -stans dell'Asia Centrale, e soprattutto controllo statale sulle fonti d'energia). In questo senso, Putin e' un democratico, dato che puo' contare sull'appoggio della maggioranza della popolazione: certamente non e' un liberale. Secondo me, la cosa piu' interessante e' semmai stare a vedere se questo suo presente successo sopravvivera' a un possibile futuro abbassamento dei prezzi dell'energia.

 

 

Enzo, questa è proprio la critica di Gaidar al modello putiniano: puntare di nuovo tutte le carte sulle risorse naturali il cui prezzo è stato, almeno nel recente passato, piuttosto volatile. E' vero che oggi Putin ha un livello di approvazione elevato, ma il vero test del supporto dei regimi autocratici si ha nei momenti di crisi economica, secondo Gaidar. Sulla Cina, il mio punto non era quello che la sua economia sia simile a quella sovietica, ovviamente, ma che è un regime non democratico che oggi gode di un forte supporto grazie al boom economico. Ma cosa accadrebbe se l'economia cinese si inceppasse?

 

 

 

La risposta "tutto questo lo prevediamo nella costituzione, ed il

governo non lo puo' toccare", non vale ovviamente. Il governo, per

definizione, la costituzione la puo' cambiare. Governo=potere.

 

Questo non e' affatto vero, almeno in regimi costituzionali: e infatti la divisione dei poteri, i checks and balances eccetera servono proprio a non rendere onnipotente l'esecutivo. E' vero che chi controlla le forze armate ha sempre l'opzione del golpe, ma in tali circostanze questa e' una misura rischiosa che spesso fallisce (Hugo Chavez si e' rassegnato ad arrivare al potere democraticamente dopo che un golpe gli era andato male ;-) ). (E ovviamente, anche una well regulated militia non guasterebbe come ulteriore protezione...)

D'altra parte, davvero pensi che le persone elette a suffragio universale siano automaticamente immuni da tentazioni autoritarie? Abbiamo gia' discusso Hitler e Peron, ma piu' vicino nel tempo e nello spazio ti ricordi il caso Segni / Rocca / De Lorenzo e il "Piano Solo"?