Eccezziunale veramente

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Una splendida e inaspettata sorpresa (forse è una sorpresa solo per noi emigranti). Dopo 13 anni esce a New York un film di cui avevo sentito molto parlare ma non avevo mai visto, Tano da morire. Secondo me il film è un capolavoro. Ma anche chi non concordasse col mio giudizio eccitato, ammetterà che il film è (ancora oggi) fresco, divertente, intelligente, nuovo.

Avevo sentito parlare del film. Non solo perché ha avuto un buon successo in Italia, ma anche perché la regista, Roberta Torre, era al liceo con mia moglie. Le amiche di mia moglie sostengono che io l'abbia anche conosciuta, anche se io non lo ricordo assolutamente. Proprio per questo, forse, non l'ho mai voluto vedere, per non dare soddisfazione a mia moglie e alle sue amiche milanesi. Ma questa sera mi ci son fatto trascinare.

guttuso-vucciria.jpg (487×492) Il film è un musical che racconta la storia di un omicidio di mafia (Tano Guarrasi) alla Vucciria - sì, quella di Guttuso a Palermo. O meglio, il film racconta di un funerale (quello di Tano) e di un matrimonio (di sua sorella Franca, finalmente libera di sposarsi dopo la morte del gelosissimo fratello).

Le canzoni del musical sono di Nino D'Angelo - la maggior parte ispirate alla sceneggiata napoletana e cantate in napoletano. La contrapposizione del siciliano degli attori nei dialoghi e del napoletano in musica è bellissima: dà questa idea (almeno a un nordico come me) di una lingua originale - come il peccato (ok immagine un po' retorica la mia; passatemela che non so far di meglio). Il tono è allegro, anzi esilarante. I mafiosi appaiono personaggi di un mondo antico (gli anni '70, nei vestiti e in molte delle canzoni - con citazioni a West Side Story e a Saturday Night Fever) - finti duri con le donne, effeminati omosessuali tra di loro. Una delle canzoni "Simm'a mafia" fa impressione a questo proposito nella sua esilarante brutalità.

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Le donne di mafia, mentre chiaccherano dal parrucchiere prima del matrimonio, sono da urlo. La scena in cui hanno teste di pesce spada al posto dei caschi per la permanente a me pare poesia pura (mi spiace, non l'ho trovata su you tube).

Il film è anche colto; le citazioni si sprecano, dal Padrino (il funerale iniziale) a Hieronymous Bosch (il pesce spada e tanto altro), alla tragedia greca (le sorelle di Tano che commentano la sua vita in fianco al cadavere), alle maschere e i pupi,..., oltre a West Side Story e Saturday Night Fever. Per non parlare della citazione (di più - dell'assunzione, direi) del neorealismo: gli attori sono tutti o quasi non professionisti (le loro professioni sono evidenziate nelle note conclusive). E si vede!! Facce vere, spaventose e divertenti; recitazione diretta, canti e danze sbracate - roba da gente che si sta divertendo.

Come dicevo, davvero una meraviglia questo film. Gli amici con cui l'ho visto mi chiedono a cosa è dovuto il mio entusiasmo (a loro è parso un bel film ma nulla da strapparsi le vesti). Io invece le vesti me le strappo volentieri (niente paura, nessuna foto mia come mamma mi ha fatto). L'entusiasmo è dovuto al fatto che il film non è solo bello e divertente, è NUOVO. Nuova l'idea della mafia in musical, nuova la commistione di lingue, nuove le immagini e la musica, tutto.... E tutto questo nonostante io l'abbia visto all'Istituto di Cultura, in fianco alla solita fauna di vecchie e bums che popolano questi ambienti, in una piccola sala con pessimo audio e peggior ancora immagini. Ma la prossima settimana esce in una sala vera a New York.

Il pezzo finale, "O rep 'e Tano" è da antologia. Enjoy.

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Commenti

Ci sono 9 commenti

Io non ho mai visto il film, però specie il rap finale, "Tano da Morire", mi impressiona. A parte gli attori, che più che il neorealismo mi fanno venire in mente qualcosa fra un omaggio a Lombroso e il cinema di Ciprì e Maresco, mi colpisce questo eccesso accatastato di barattoli di conserve, teste bovine scuoiate appese, verdura e cassette di frutta, il pesce, il polpo bollito, il dolore iniziale delle donne anch'esso eccessivo: mi verrebbe da dire che la regista è riuscita a fare un affresco di un kitsch pauroso semplicemente insistendo sui tratti tipici del sud. Però benchè il kitsch sia in genere privo di originalità, come dici tu invece questo film è originale...

E sono certo che l'amica di tua moglie ama la Sicilia. Il suo è uno sguardo "da fuori", ma molto partecipato.

 

 

Sono molto contento di questo post di Alberto. Sì, sono contento perchè per anni mi sono sentito un imbecille, dicevo a tutti che secondo me era un capolavoro e mi rispondevano: "Sì, bellino, originale forse, ma niente di più". Molto era dovuto anche al fatto che si sarebbe dovuto rivalutare Nino D'Angelo, cui le elites partenopee non potranno mai perdonare il passato, nonostante abbia poi dimostrato che talento ne ha, tutt'al più è stato mal indirizzato per l'assoluta mancanza di discografici di valore a Napoli.

Se hai la possibilità vai a vedere anche "AITANIC" un film che Nino D'Angelo ha girato dopo "Tano da morire": manca sicuramente la bravura iconografica di Roberta Torre, ma le musiche e il contesto sono di assoluto valore, la sceneggiatura, invece è proprio di serie B, ma il film merita.

Qui e qui due brani da AITANIC, dovrebbero essere comprensibili anche per un "pulentun" (ma se hai inteso quelli di Tano non dovresti avere problemi).

Ho visto il film della Torre quando era uscito e già allora mi aveva fatto una brutta impressione, che ora cercherò di spiegare.

Partiamo da lontano. È noto che alcuni studiosi di antropologia culturale criticano aspramente l'introduzione delle vaccinazioni e, più in generale, delle cure mediche moderne nei paesi africani, con la scusa che così si ammazzerebbe la tradizione medica locale (che loro studiano in qualità di esperti di tradizioni tribali).

Cioè, immaginatevi questi WASP, questi snobbissimi professori oxoniensi con il papillon, che passano il loro tempo a studiare il "buon selvaggio" nel suo habitat naturale, quasi fosse un animaletto da laboratorio (o meglio: un fenomeno da baraccone). Poi tornano a casa, si tolgono il casco da esploratore, e scrivono libroni e articoli, organizzano conferenze, su come sono divertenti gli uomini primitivi con le loro buffe tradizioni tribali e le loro assurde lingue sotto-sviluppate. (Forse molti si ricorderanno gli articoli sensazionalistici, che compaiono periodicamente anche sui media di larga diffusione, circa la scoperta dell'ennesima tribù amazzonica che saprebbe contare solo fino a 2). 

Naturalmente, qualsiasi avvento della civiltà, quand'anche benefico, viene da costoro salutato come distruttivo e "colonialista", in nome di un mal compreso multiculturalismo (ma in realtà, perché il loro giocattolo preferito rischia di rompersi). 

Per non generalizzare sono disposto ad ammettere che, forse, non tutti gli antropologi sono così abietti. Però la scienza rimane sempre un po' quella.

Ora, Roberta Torre è proprio uno di quegli antropologi: va nella giungla perché trova divertenti i selvaggi.

Milanese snob, intellighenzia di sinistra, laurea in filosofia, studi di cinema, ella si "innamora" di Palermo, dei suoi colori, suoni, volti, costumi… Insomma, di tutto quel pattume che fa di questa città un luogo di morte, di mafia, di sporcizia, abusivismo edilizio, evasione fiscale, analfabetismo e così via.

Ma per lei, al contrario, sono tutte delle sublimi note di colore, sono delle chicche deliziose, nella loro autentica primitività. Infatti, una volta che si è tornati al caldo del salotto bene della Milano politicamente corretta, ella non si esime dal raccontare alle sue amiche milanesi (sotto forma di un'operetta molto kitsch ma anche, e forse proprio per questo, tres chic) il mondo antico e selvaggio, e al contempo così affascinante e attraente, della Sicilia mafiosa.

Eccola, invece, che disquisisce con voluttà sui moderni "ragazzi di vita" di pasoliniana memoria (ovviamente), confinati nella "riserva indiana" (attenzione al termine!) del quartiere romano Tiburtino terzo.

Per il resto, sarà anche brava e divertente, e le canzoncine sono carine (in realtà, non più di tanto). Ma, va riconosciuto che anche l'antropologia è alquanto divertente… Fa così impressione leggere, sull'ultimo numero del Newyorker, di quella tribù, i piraha, che non sanno contare oltre il 2…

Artemio: rispondo piu' in dettaglio dopo che adesso sono di corsa. Una sola parola pero' dovrebbe bastare a spiegarti perche' non concordo affatto con quello che dici: Tarzan!

Artemio io non sono Alberto, e però volevo dire qualche cosa.

Un po' di tempo fa, proprio Alberto scrisse qualcosa sull'antropologia, un post che accese polemiche allo zolfo...alle quali, sotto mentite spoglie, partecipai pure io. In sostanza Alberto sosteneva cose non molto dissimili dalle tue, almeno sugli antropologi. Finita la difesa d'ufficio non richiesta.

Passo a quello che dici tu ora.

Collegare il giudizio estetico di un qualcosa che voglia essere artistico alle intenzioni dichiarate di chi lo produce non è sempre sbagliato però dovrebbe essere una valutazione ulteriore rispetto alla considerazione che svolgi del valore estetico dell'opera. Voglio dire: la Cappella Sistina è bella anche se è stata fatta ad maiorem dei gloriam e anche se io sono ateo; e così per Giotto e così via.

Il tuo discorso mi sembra quello al rovescio di quello che si faceva 30 anni fa, io ne ho solo letto, negli anni 70 non esistevo, sull'arte non impegnata: anche lì si collegava la valutazione di qualcosa con le finalità che si proponeva o non proponeva l'artista, e se queste non erano politiche si condannava l'opera come piccolo borghese, intimista e così via.

Poi guarda sull'ambiente culturale di filosofi primitivisti, reazionari, anti-moderni, relativisti non spendo una parola di disprezzo perchè l'ho già profuso a piene mani. E concordo anche io che quelle di Pasolini sui ragazzi di vita, talvolta minorenni, che egli sodomizzava negli scenari più squallidi, scrivendone poi liste come fossero oggetti, e per di più esaltandone la vena primitiva, non omologata e quindi anti-mercato e anti-consumista, erano e rimarrano solo delle grandissime cazzate alle quali però, mi dicono, egli ha talvolta saputo dare una veste letteraria secondo alcuni apprezabile.

Ti consiglio il cap. IV di questo libro (che cito spesso) e che si intitola così: "Fra Arcadia e Apocalisse: note sull'irrazionalismo italiano degli anni Sessanta"...tra i bersagli c'è proprio Pasolini e le cose che dici tu. La cosa triste è che sono cose ancora attuali.

 

Ho visto i video di Tano da Morire linkati come YouTube pages nell’articolo e devo dire che sono d’accordo con l’autore.

Sono anche d’accordo sul fatto che la regista dica cose incredibilmente stantie nelle interviste rilasciate nel 2008.

Però se uno si guarda il film (non l’ho visto se non in quei piccoli spezzoni presi da Youtube) fa molto, molto ridere. Per me è molto divertente perché decostruisce con ironia le stupidate culturaliste sulla Sicilia. La mia lettura del film - e mi viene da dire che uno non può controllare mai il modo in cui gli spettatori interpretano i film se non attraverso interviste che cercano di ‘spiegare’ il film, nel caso del regista – è positiva, perché in fondo il film è comico-antropologico. Lo definirei un mock-musical. :-)

 

Se un film del genere, cioè simpaticissimo, lo avesse girato un siciliano, avrebbero detto che è un genio. Un genio alla Woody Allen, il quale è cinico e arguto nel prendere in giro i niuiorchesi dell’upper midde-class di cui forse si sente parte, ma non del tutto.

Insomma a me il film sembra davvero catartico. Vorrei fornire un esempio che dimostra che Tano da Morire è un bel film. Prendiamo in considerazione, lasciando da parte la Sicilia per un momento, i film sulla seconda grande isola Italiana: la Sardegna. In genere i film sulla Sardegna sono molto ‘antropologici’, irrimediabilmente focalizzati su realtà come l’arretratezza del mondo pastorale, le disamistades (inimicizie), faide fra famiglie rivali, carabinieri e banditi, delitti d’onore  etc…, e spesso film del genere sono fatti proprio da sardi. A me questi film, per così dire, 'etnografici', non piacciono molto.

I migliori film sulla Sardegna secondo me sono quelli che prendono in giro la Sardegna, anche in modo un pochino malevolo in film come Una Questione d’Onore (1966) di Luigi Zampa, con un mitico Ugo Tognazzi, o Vendetta Sarda (1951), con Walter Chiari. Tano da morire prende in giro la Sicilia (e il Meridione).

Mi manca un musical alla Tano da Morire girato in Sardegna. Sarebbe geniale. Immaginatevi i pastori sardi che ballano a tempo di lambada in un ovile e cantano in milanese accarezzando una pecora in modo ammiccante, fra sonagli di Mammuthones ubriachi di Cannonau che si levano la maschera e si fanno il segno della croce sullo sfondo di forme giganti di pecorino. Sarebbe una liberazione totale e orgasmica. Un esorcismo identitario. Ecco, Tano da Morire, visto oggi, incarna una idea che a me piace molto.