Il suicidio e la chiesa. La sostanza e la forma

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Erika Ortiz Rocasolano, sorella minore di Letizia Ortiz Rocasolano Princesa de Asturias e consorte di Felipe Pablo Alfonso de Todos los Santos de Borbón y de Grecia, Infante de Espana, Principe de Asturias, Principe de Viana, Principe de Gerona, Duca de Montblanc, Conte de Cervera y Lord de Balaguer, si e' suicidata l'altro ieri con una bella botta di barbiturici.

Tra ieri, oggi e domani almeno tre servizi funerari vengono officiati in diversi punti di Madrid per la signorina Erika Ortiz Rocasolano. I fatti li trovate qui, quo (notate la riverenza) e qua.

Poco meno di due mesi fa, a fronte della morte di Piergiorgio Welby, Gianluca aveva (a mio avviso piu' che giustamente) espresso il suo disaccordo di credente con la decisione della Chiesa cattolica di negare a Welby i funerali religiosi che dalla moglie e dalla madre del medesimo erano stati richiesti.


Confrontando i due episodi uno potrebbe avere l'impressione che la chiesa cattolica tratti diversamente le sorelle delle principesse dai cittadini comuni. Tre riti funebri da un lato, niente dall'altro. Questa impressione e' sia giusta che sbagliata. Nella sostanza, io credo, e' giusta. Ma e' sbagliata nella forma ,il che per la chiesa cattolica e' rilevante.

La chiesa proibisce ai corpi dei suicidi di ricevere il funerale religioso all'interno di una chiesa. Tale divieto e' stato rispettato sia nel caso di Welby che nel caso di Ortiz. Il corpo di quest'ultima e' stato cremato quasi immediatamente nel tanatorio di Tres Cantos (quartiere di Madrid) mentre un prete recitava un "responsorio", ossia delle litanie prese dai salmi. Gli altri due "funerali" tali non sono, non v'e' corpo (bella forza, direte voi, l'han cremato!) e non sono funerali, sono messe per l'anima di Erika Ortiz, messe alle quali assistono parenti ed amici e, suppongo, chiunque riesca ad entrare in chiesa. Di tali messe, son certo, se ne possono officiare quante si voglia anche per l'anima di PierGiorgio Welby.

Questi i fatti.

Nella forma perfetta uguaglianza. La chiesa cattolica ha formalmente trattato i due suicidi nella medesima maniera ed il principio e' salvo: niente funerale in chiesa consacrata per il suicida cosciente (vi e' ragione di credere Erika Ortiz fosse cosciente nel suicidarsi: ha lasciato cinque lettere di addio).

Nella sostanza chi legge le notizie ha un'impressione diversa. Mi sento di congetturare che mentre i familiari di Welby non hanno percepito il conforto ed il supporto della chiesa e della loro religione, i familiari della Ortiz tale conforto e supporto l'hanno percepito. Se uno ci crede, e costoro dicono di crederci, suppongo che tale differenza conti.

Io domando: di fronte al "Dio" nel quale i loro familiari credono, Welby e Ortiz sono stati trattati nella stessa maniera o diversamente?

Detto altrimenti, a "Dio" interessa la forma o la sostanza?

 

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Commenti

Ci sono 59 commenti

Non imposterei così la faccenda, certo è che il dibattito è aperto e complicato

 

Mah, a me sembra appunto che la differenza di trattamento sia solo apparente. Differente è stato il comportamento delle famiglie (o meglio, di chi ci sta intorno): da una parte una famiglia che ha chiesto qualcosa che già sapeva di non poter ottenere, dall'altra una che ha chiesto ciò che la Chiesa poteva accettare.

Se poi parliamo di "forma", non si può non considerare il differente contesto e can-can mediatico, e di conseguenza il "taglio" della notizia che il grande pubblico riceve. Che ne sappiamo noi di come è stata trattata, dal punto di vista umano, la vedova Welby? Senza dimenticare che un prete di Roma, se non erro, ha suonato le campane, o fatto un altro analogo gesto di vicinanza. Vicinanza che è stata poi espressa (probabilmente tardivamente) da ruini lui-medesimo-in-persona. 

 

<em>"Verso la metà della festa, Gesù salì al tempio e si mise a insegnare. Perciò i Giudei si meravigliavano e dicevano: «Come mai conosce così bene le Scritture senza aver fatto studi?». Gesù rispose loro: «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato. Se uno vuol fare la volontà di lui, conoscerà se questa dottrina è da Dio o se io parlo di mio. Chi parla di suo cerca la propria gloria; ma chi cerca la gloria di colui che l'ha mandato, è veritiero e non vi è ingiustizia in lui. Mosè non vi ha forse dato la legge? Eppure nessuno di voi mette in pratica la legge! Perché cercate d'uccidermi?». La gente rispose: «Tu hai un demonio! Chi cerca di ucciderti?». Gesù rispose loro: «Un'opera sola ho fatto, e tutti ve ne meravigliate. Mosè vi ha dato la circoncisione (non che venga da Mosè, ma viene dai padri); e voi circoncidete l'uomo in giorno di sabato. Se un uomo riceve la circoncisione di sabato affinché la legge di Mosè non sia violata, vi adirate voi contro di me perché in giorno di sabato ho guarito un uomo tutto intero? Non giudicate secondo l'apparenza, ma giudicate secondo giustizia»" (Giovanni 7:14-24).<em>

 

eh michele se lo leggesse sgarbi sai quante te ne direbbe?

più o meno tante... ;)

 

 

Ispirati: questa volta ti ho anticipato!

Se guardi, nel dibattito che fa seguito al mio articolo su Caruso che ha ragione, per una volte in vita sua e suo malgrado, c;e' un commento mio proprio su questa stupenda performance di questo cattolico modello, vero e coerente praticante per il quale, ne son certo, tutti i precetti di santa madre chiesa son sacri ...

 

 

Qualcuno mi sa spiegare perché, su quali basi teologiche, la Chiesa difende la vita anche quando si fa fatica a definirla tale? Dopo tutto la morte, per il credente, è ascesa al cielo, è l'inizio della vita vera ed eterna.

In altre parole: perché c'è colpa nell'omissione di soccorso ma non si configura mai l'ipotesi di "resistenza alla volontà di Dio", nemmeno quando è possibile dimostrare che si sta mantenendo un soggetto in vita in maniera artificiale, forzata?

Spero di non offendere nessuno, sono sinceramente curioso di capirne di più. La questione non mi sembra scontata.

 

La vita, in base alla dottrina della Chiesa, e' un valore assoluto. Pertanto nessuno puo' disporne per nessun motivo, ne' lo Stato (attraverso la pena di morte), ne' l'individuo stesso (e ovviamente neppure i suoi familiari). Ovviamente la questione e' molto piu' complessa, ma questo penso che sia il fondamento di ogni successiva considerazione.

 

 

La vita, in base alla dottrina della Chiesa, e' un valore assoluto.

Pertanto nessuno puo' disporne per nessun motivo, ne' lo Stato

(attraverso la pena di morte), ne' l'individuo stesso (e ovviamente

neppure i suoi familiari).

 

Ma pare che un tempo la pensasse diversamente. Neanche un tempo troppo remoto: 1825 per la precisione (anzi, 1826 se includiamo i reati comuni: poi Mastro Titta ando' in pensione).

 

Possibile che, nel caso della Chiesa Cattolica, ancora si parla di cio' che e' avvenuto piu' di 100 anni fa? Come ho gia' affermato in un post precedente, mi e' sembrato assurdo che Papa Giovanni Paolo II (che qualche ** chiama signor Wojtila, gli stessi che, mostrando uno stupido irrispetto chiamano l'attuale papa il Sig. Ratzinger o, Joseph Razinger...che ci andare a prendere il caffe' insieme?, ma questa e' solo una parentesi) abbia chesto scusa per presunte colpe di suo antichi predecessori. Per favore, parliamo della chiesa di oggi

 

 

Ma pare che un tempo la pensasse diversamente. Neanche un tempo troppo remoto: 1825 per la precisione (anzi, 1826 se includiamo i reati comuni: poi Mastro Titta ando' in pensione).

 

Non c'è neanche bisogno di andare così lontano. Vedi questo articolo del National Catholic Reporter. Pio XII difese il diritto dello stato di uccidere ove necessario, e fu solo nel 1969 (con Paolo VI) che lo Stato della Città del Vaticano abolì la pena di morte.

 

[Edit: Ops, ho sbagliato la posizione. Doveva essere una replica diretta all'ultimo intervento di LuigiP] 

Cosi su due piedi, ho trovato questo dibattito http://chiesa.espresso.repubblica.it/dettaglio.jsp?id=115001 susseguente le dicharazioni di Martini.

L'autore cita il Catechismo della Chiesa Cattolica quando parla di accanimento terapeutico:

 

Un’ulteriore precisazione va data sui concetti di «accanimento terapeutico» e «proporzionalità-sproporzionalità» delle terapie: le due nozioni sono collegate, perché per accanimento terapeutico si intende in sostanza l’impiego di terapie o procedure mediche di carattere sproporzionato. Queste terapie, come dice il Catechismo della Chiesa cattolica, non presentano una ragionevole speranza di esito positivo e pertanto ad esse non solo si può, ma si deve rinunciare, poiché l’accanimento terapeutico, risultante dalla sproporzionalità e inutilità degli interventi o procedure mediche, è illecito sempre, in quanto offende la dignità del morente. Altra cosa è l’insistenza terapeutica, quando esiste una ragionevole speranza del recupero del paziente.

 

Si trova anche la definizione precisa di eutanasia, e link vari al discorso di Martini

 

 

L'articolo offre molti spunti ma in ultima analisi mi sembra poco chiaro su alcuni  punti chiave. In attesa di informarmi meglio, rilancio. 

Il caso Welby, per come l'ho capito io, riguardava un uomo che:

i) senza respiratore sarebbe morto;

ii) pur con tutte le cure possibili, non sarebbe guarito in senso pieno; avrebbe al massimo continuato a "sopravvivere".

La mia domanda, quindi, si sposta solo di un po': il concetto di "esito positivo", per la Chiesa, si riferisce al solo mantenersi in vita oppure implica il progredire verso uno stato di salute?

Perché altrimenti il tono dell'articolo mi sembra tutt'altro che accomodante:

 

Il cardinale propone una definizione in questi termini: «Un gesto che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte». Ora questa definizione risulta, secondo il mio parere, insufficiente, perché riguarda soltanto la cosiddetta eutanasia attiva; mentre è eutanasia anche la «omissione» di una terapia efficace e dovuta, la cui privazione causa intenzionalmente la morte. In questo senso si realizza appunto l’eutanasia omissiva (non è appropriato chiamarla «passiva», con un termine eticamente debole e neutro). I documenti principali del Magistero, sia la Dichiarazione sulla eutanasia che l’"Evangelium Vitae", definiscono eutanasia «un’azione o un’omissione che per natura sua e nell’intenzione di chi la compie provoca la morte con l’intenzione di alleviare il dolore» (E.V., n. 65). Si sa anche che la gravità morale dell’eutanasia omissiva è uguale rispetto a quella dell’azione «positiva» di intervento o gesto che causa la morte: l’una equivale all’altra dal momento che provocano lo stesso effetto e procedono dalla stessa intenzione. Si tratta sempre di morte provocata intenzionalmente.

 

Sto seguendo la parte coerente di questa discussione (i sermoni incoerenti conditi di **, quelli farro' lo sforzo di dimenticarmeli) con un certo interesse ma, devo ammettere, anche con grande perplessita'. Non riesco piu' a capire i termini della questione, il significato di alcune parole, e la struttura logica che sostiene l'argomentare. Mi spiego

- Tutti i termini che si usano (malato "terminale", "terapia" ed "accanimento terapeutico", "omissione" di terapia, "passivita'" terapeutica, "vita" che e' dono di qualcuno o qualcosa) sono tutti storicamente determinati nel senso seguente. Il loro significato empirico (ossia i referenti piu' o meno materiali ed intersoggettivamente identificabili su cui possiamo puntare il dito e dire: Ecco quella cosa li', quella sequenza di procedure e' una "terapia", oppure, ecco quella cosa li' dentro a quell'affare la' e' "vita") varia nel tempo a seconda dell'evolversi od involversi delle scienze biologiche, mediche, chimiche, e financo ingenieristiche (respiratori artificiali). Tali scienze sono, per definizione, mutabili, incerte ed aperte a valutazioni probabilistiche. Del tipo, se faccio questo o quello sembra che sopravvivi, sulla base di casi analoghi, con probabilita' 46.3%. Alla luce di questo indubitabile fatto, che definisce la cornice concettuale in cui l'argomentare delle varie parti avviene, che senso ha un argomentare che continua invece a basarsi su concetti e principi ASSOLUTI, come sono per definizione quelli della morale? Che senso ha distinguere fra attivo e passivo. accanimento terapeutico e non? Alcune cose che sembravano vent'anni fa accanimento ora funzionano, in altri casi certe cure nemmeno si possono tentare perche' "costano troppo", o perche' "c'e' la coda", o perche' "forse funziona, ma con probabilta' bassissima e c'e' il rischio collaterale che, fatta l'operazione XYZ uno si risvegli che e' diventato un criceto", eccetera ... Insomma, vista questa enorme ambiguita' e la soggettivita' sia personale che temporale di tutti i termini e concetti che si usano, che SENSO ha farne delle questioni morali da tagliare con l'accetta in modo netto dicendo "questo e' BENE, mentre quell'altro e' MALE"?

- A fronte di questa ambiguita', sta invece un concetto o principio che, da quanto ricordo sia del mio catechismo ma soprattutto di letture teologiche leggermente piu' recenti, la chiesa cattolica tuttora condivide. Quello del liberoarbitrio, che dai tempi di Agostino da Tagaste (poi vescovo di Ippona) e del suo contemporaneo Pelagio, la chiesa cattolica sembra aver eretto a principio assoluto, uno dei pochi che ne contraddistigue radicalmente la morale da quella, chesso', dei protestanti che seguono l'insegnamento di Martin Luthe e di Jean Cauvin. Pur essendo fra i pochi che ritengono il concetto di "libero arbitrio" o "free will" del tutto incoerente alla luce delle conoscenze scientifiche a nostra disposizione, riconosco anche di essere in assoluta minoranza su tale tema. Non solo, mi sembra che, comunque, il concetto di libero arbitrio possa essere definito coerentemente ed in maniera intersoggettivamente accettabile, almeno da un punto di vista operazionale, o pragmatico se volete cosi' chiamarlo. Tant'e' che lo utiliziamo, con distinguo e condizioni ma decentemente, nei tribunali di tutto il mondo, occidentale e non. Senza dubbio, trattasi di concetto o principio infinitamente piu' chiaro, condivisibile e referenziabile (oserei dire, persino misurabile) che uno qualsiasi dei concetti o principi elencati nel paragrafo precedente.

Alla luce di questi fatti, mi domando perche' non provare a dedurre i precetti morali relativi all'insieme di azioni in questione - prendere o non prendere una medicina, staccare o accendere un respiratore, ingerire 3 sedativi o 3 pacchi di sedativi, farsi fare la trasfusione o non farsela fare, accettare la lobotomia o non accettarla, fare un altro trapianto o non farlo, provare la medicina sperimentale pericolossissima oppure no ... - a partire dalla comune accettazione del principio del libero arbitrio.

Poiche', non solo la chiesa cattolica ma anche gli atei, i protestanti, e persino il sottoscritto, ritengono ci si possa accordare, ogni due-tre decenni o giu' di li', su di una definizione pragmatica ed operativa di "libero arbitrio". non capisco perche' non partire da li' per decidere cosa possono o non possono legalmente fare i cittadini di un paese. Come abbiamo "tutti" (si fa per dire) appreso nelle nostre letture di logica, metafisica, ed ontologia, se vogliamo fare una discussione che abbia anche solo la possibilita' di portarci ad un accordo sul mondo e sul come agire in esso, e' necessario partire da un insieme di fatti e di assiomi che non siano mutualmente inconsistenti e fra i quali vi siano almeno un "assioma" ed un "fatto" condiviso da tutti. Altrimenti non e' piu' vero che "we cannot disagree forever", nel qual caso discutere non e' altro che una perdita di tempo.

 

 

 

 

 

Poiche', non solo la chiesa cattolica ma anche gli atei, i protestanti,

e persino il sottoscritto, ritengono ci si possa accordare, ogni

due-tre decenni o giu' di li', su di una definizione pragmatica ed

operativa di "libero arbitrio". non capisco perche' non partire da li'

per decidere cosa possono o non possono legalmente fare i cittadini di

un paese.

 

Non per ripetermi, ma che differenza fa se il libero arbitrio e' reale o un'illusione, e le nostre decisioni dipendono da una non ben definita "libera scelta" o dall'equivalente biologico di un computer stocastico? Mi pare che questo voler basare il diritto alla liberta' individuale sul processo fisiologico che porta a prendere decisioni sia un non-sequitur logico, un po' come la tendenza, criticata a suo tempo da David Hume, a voler far derivare testi prescrittivi come le Costituzioni da affermazioni descrittive della natura umana. Ma "ought" non e' logicamente derivabile da "is".

Io personalmente della mia vita voglio disporre come mi pare, sulla

base dei miei diritti di proprieta' su me stesso. Se altri pensano che

la vita umana appartenga a Dio, possono agire di conseguenza -- ma per

quel che riguarda la loro vita, non la mia. E considero del tutto inaccettabile (in quanto illiberale e teocratico) uno stato che non rispetti questo diritto per ognuno dei propri cittadini.

 

 

PREMESSA

1- Non è dato per scontato che le persone geniali (e qui su nFA ne girano parecchi... me compreso! :-) ) siano depositari della verità assoluta.


2- Gli economisti, per quanta cultura abbiano, non sono necessariamente al di sopra delle altre scienze, conoscenze e coscienze, come spesso appare (di certo involontariamente) in queste pagine, quando con saccenza si mettono in campo papiri di dati e confutazioni a cui obiettivamente è difficile poter rispondere (pur con la certezza che la verità sia altrove). Questo perchè (giustamente?) vengono pretesi altrettanti dati, ricerche e trattati, altrimenti rimane vero e giusto per sempre quanto detto prima (anche se è una cazzata, pur con mille dati a favore). (tra l'altro le leggi dell'economia sono invenzioni dell'uomo mentre quelle naturali esistevano già e l'uomo le ha solo scoperte).




Sono credente e praticante, ma spesso fatico ad accettare e comprendere certe linee della Chiesa (l'istituzione). E questo mi fa soffrire, a volte mi mette in crisi. Ma la fede è un'altra cosa.

Sono il primo a volte a non condividere le decisioni o le posizioni prese... sì la Chiesa, fatta di uomini, a volte fa distinzioni, si contraddice... Non avete mai avuto casi di suicidi vicino a voi ? Io sfortunatamente sì... e c'è sempre stato un funerale vero e proprio... pochi giorni fa si festeggiava Santa Apollonia, suicidatasi per non abiurare la sua fede... suicidatasi però!... nonostante questo è dichiarata Santa e Martire... quindi sì, indubbiamente ci sono molti punti oscuri e discutibili.

Riguardo la storia, le scuse sui "peccati" del passato, finiamola... le scuse in generale in qualsiasi contesto servono a poco. La Chiesa di oggi comunque non è affatto quella di ieri: molte cose sono state reinterpretate, il vangelo viene o dovrebbe essere vissuto e interpretato alla luce dei giorni nostri, passi avanti la Chiesa ne ha fatti, ci mancherebbe, e ne dovrà fare ancora (che poi, scusate, tutte queste critiche non vengono fatte affinchè la Chiesa si apra e si aggiorni? altrimenti sono fatte per il cazzo se già si dà per scontato che la Chiesa sia sempre stata così, e lo debba essere nei secoli dei secoli).

E infine, non nascondiamoci dietro un dito, le crociate sono passate, le guerre oggi si basano su leggi economiche molto prima e molto più che su posizioni di fedi o fanatismi religiosi (che spesso sono solo di facciata, perchè la massa l'economia non la comprende, le religione invece crede di comprenderla o comunque la sente più vicina).


Quel che non capisco proprio è il perchè la Chiesa non deve intervenire al di fuori del suo contesto (e son convinto che nel 99% dei casi non dovrebbe), mentre tutti, specie proprio quelli completamente al di fuori del contesto religioso, si sentono in diritto e dovere di criticare, giudicare, insinuare in materie prettamente religiose, dottrinali, di fede. Questa non è ingerenza?



POSTILLA

Vedo che statisticamente questo sito viene letteralmente assalito durante i week-end specie dagli assidui frequentatori con un picco di commenti concentrati in poche ore. E' una curiosità malsana quella che mi assale, legata anche agli argomenti sul valore della vita:

ma voi passate sempre si sabati e le domeniche soli davanti ad un monitor a scrivere, scaricare posta, attendere una replica per poi scrivere ancora? Non ditemi che sono gli unici momenti in cui potete farlo, perchè anche durante la settimana scrivete certi trattati enciclopedici (non so se con copia-incolla o di getto) che mi fan pure riflettere su un altra figura retorica da abolire: quella che in America negli uffici si lavora veramente, in modo costante, assiduo, completo, proficuo, a differenza dell'Italia specie nei posti statali: mia moglie, dipendente statale, lavorando non trova nemmeno il tempo di leggere il più breve dei vostri post... non prendetevela, però, non vuole essere offesa per alcuno.

 

dottrinali o quasi.

 

 

1. la chiesa cattolica rivendica la legittimita' del suo magistero a partire da Cristo.

 

Il quale mai disse nulla, di certo nulla di chiaro, sui varii argomenti qui in gioco.

Per chi abbia dubbi anche il recente agile e semplice volumetto di Pesce e Augias, disponibile ovunque e a poco prezzo

non lascia dubbi sul fatto che Cristo fosse un (forse illuso, forse illuminato)

tardo personaggio profetico interno all'ebraismo (di quel tempo.)

Dal che si capisce molto di quel che diceva. 

2. Su suicidio etc. Sono il primo ad ammettere che si possa

dissentire, ma -- reduce da una discussione accanita con studentessa cattolica-- propongo una modesta riflessione.

SE la vita (mia) e' un dono (di Dio a me), del dono, mi si consenta faccio quel che pare 

a me. Se il sig. Ratzinger mi regala un messale in marocchino forse lo uso per

alzare la zampa del tavolo. E allora? e' peccato anche esser maleducati?

O l'interpretazione corretta e' che il (mio) corpo e/o la (mia) vita e' in *affitto* e devo riconsegnarla al giorno del Giudizio in buone condizioni

come la macchina di Hertz?  

2. Qualcuno e' in grado di spiegare cosa la legge *naturale* che i cattolici

invocano ogni giorno dica sul tema sesso/matrimonio etc.? 

Mi sembra di cpaire che vi sia un'affermazione che indica che

e' naturale sposarsi e far figlie e figli. Come mai i preti cattolici sono esclusi dal dovere

di "seguire" la legge naturale? sono dei delinquenti? oppure la legge 

naturale non si applica a loro? o che?

3. Qualcuno dovrebbe spiegare cosa sia la legge "naturale" in questo campo. 

La sapevo in un'altra area (per come la spiegava l'Aquinate), qui non si

vede chiaro. Dopo di che', chi ha la fede, ha tutto il diritto di averla.

A chi ne e' privo (il sottoscritto, nel caso) farebbe piacere che me lo spiegassero

senza la fede, visto che appunto, se mi dovessi trovare con la fede, dovrei aver

fede in che cosa esattamente?

p.s. per non infiammar gli animi, non mi interessa per nulla dei

massacri dell'Inquisizione e dei papi incestuosi. Mi interessa la dottrina che

dovrei accettare e che dovrei accettare con i tradizionali procedimenti di accettazione razionale.

L'opinione non e' mia,  viz.

 

III. La conoscenza di Dio secondo la Chiesa




36 « La santa Chiesa, nostra Madre, sostiene e insegna che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale della ragione umana partendo dalle cose create ».40



il "36" si riferisce al trentaseisimo articolo dell'ultimo Catechismo ufficiale della chiesa cattolica, disponibile nella sua integralita' su www.vatican.va 

 

Palma, provo a rispondere alla tua seconda obiezione con una semplice riflessione. 

Nel momento in cui si ammette che la vita e' di tua proprieta', allora non riesco a capire quale possa essere la logica del rifiuto della pena di morte. Penso che noi tutti accettiamo che lo stato abbia un monopolio sulla violenza attraverso l'esercito e le forze di polizia che, talvolta, sono costrette a ferire e ad uccidere. Inoltre lo Stato ha la facolta', per motivi di carattere etico o di utilita' generale, di privarci della nostra liberta' individuale (attraverso la carcerazione) o di alcuni nostri beni (il sequestro o, piu' semplicemente, l'esproprio per costruire una strada o una scuola). A questo punto, perche' non potrebbe privarci anche della vita? Se, al contrario, si afferma che la vita e' un bene assoluto, di cui nessuno puo' disporre completamente, allora la pena di morte diventa assolutamente inaccettabile, non solo su un piano utilitaristico (conosciamo tutti i dati sulla sua inefficacia), ma anche su un piano assoluto (lo so, dovrei andarmi a ripassare Kant!).

In sostanza la vita e' un bene diverso da un libro o da una casa.

 

 

Nel momento in cui si ammette che la vita sia di proprieta' di un singolo, si possono benissimo metter limiti alla sua alienabilita', ergo anche al diritto dello stato di togliermela.

Si consideri ad esempio una proprieta', forse, meno controversa: il tempo.

Mentre il mio tempo e' mio per cui posso usarlo a giocare al bigliardo, al tornio della Breda, in cambio di un salario, a leggere NfA, lo stato non ha il diritto di rendermi suo schiavo.

Con lo stesso ragionamento, mentre posso sostenere che la vita sia mia, posso

negare allo stato, per chi si oppone alla pena di morte, il diritto di togliermela.

 

Se l'argomento e' oscuro, come mi viene suggerito, si consideri il seguente, semplice (credo) ragionamento.

 

Il sottoscritto tiene per postulato --ritengo: da molti condiviso-- che non vi sia

un diritto generalizzabile a togliere a X quel che di X e'. Ne segue, propongo, che ne' Dio, ne' Stato, ne' servi, ne' padroni hanno diritto alcuno di obiettare al mio suicidio (a fortiori, non le chiese.)

Quod demonstrandum erat, per chi pensa che dio abbia una mainmise sulla mia vita, assumendo che sia un suo regalo a me stesso.

 

Mi si obietta (non so bene che rapporto ci sia con il problema) che

1. si assume che la pena di morte sia inaccettabile, moralmente o praticamente, o altrimenti.

2. mi sembra sia un'obiezione un pochino fasulla, visto che la condizione generale, sopra postulata, non implica che non vi siano condizioni attenuanti e limitanti. Esempi dati: la schiavitu' (come categoria legale, non come vezzo SM) non segue dal mio diritto di vendere il mio tempo come pare a me. Il mio diritto alla proprieta' non implica (secondo la dottrina di "eminent domani") che non vi possano esser cause per cui chicchessia (anche lo stato nel caso) possa limitarne l'uso che faccio (mettendomi in carcere, etc.)

 

3. en passant parlando del suicidio e delle reazioni clericali al medesimo in Spagna o in Italia, che "c'azzecca" (A. di Pietro) la pena di morte?

 

 

 

 

va bene, for "argument's sake".

Supponendo la vita mia sia proprieta' mia. lo stato deve avere ragioni specifiche, e fortissime, per essere legittimamente nella posiziione di potermela togliere.

Sia cosi' che tu vuoi impostare il problema. La "logica" di chi sostenga la legittimita' della pena di morte inflitta dallo stato sarebbe la medesima della

ragione per cui uno stato puo' mandare alla morte un carabiniere o un vigile del

fuoco. Spesso in questo contesto vengono invocati interessi generali (ordine

pubblico, necessita' di soddisfare la voglia di vendetta, eliminazione pura e semplice di chi e' troppo pericoloso, e cosi' via.

Si noti che non sto sostenendo che io condivida questi argomenti, non li condivido,

ma vengo spronato ad esplicitare la logica di chi li sostiene, la quale logica esiste.

Cio' detto, continuo a non vedere che rapporto debba essere intrattenuto tra

il diritto *mio* a disporre del mio bene (chiamatelo bene assoluto se vi fa piacere) e il diritto reale o solo supposto e immaginato dello stato a prendermi quel bene.

 

 

Niente di difficile, cose elementari. Lascio a Palma stabilire il programma del corso, ed i fees che intende caricare. La cosa mi sembra necessaria, perche' mentre errare e' umano, perseverare nel medesimo errore logico over and over e', come dicono, diabolico ...

Per esempio, un corso di logica elementare potrebbe far capire che nelle circostanze seguenti Caio non sta rispondendo a Tizio. Caio sta dicendo semplicemente una cosa che non c'entra nulla, altrimenti nota come "sproloquio":

TIZIO: Facciamo l'ipotesi che A sia un assioma morale accettato da tutti noi. Poiche' "se A allora B" (ossia "A=>B"), ne segue che B e' regola di comportamento implicata dal principio (assioma) A. Quindi B e' normativamente valida per tutti coloro che accettano il principio A.

CAIO: Posso esibire un caso (vari casi) in cui "non B" (ossia "-B") si e' realizzato o e' stato messo in atto da qualcuno.

 

 

Caio ha semplicemente affermato che, se ammettiamo che A (la vita e' un dono di Dio) implica B (posso farne cio' che voglio), allora si potrebbe argomentare che un altro assioma morale C (ovvero che la pena di morte non e' solo inutile, ma anche sbagliata) viene contraddetto. Pertanto A non implica B (oppure il quadro assiomatico non e' coerente). Dimostrazione per assurdo.

 

 

Confermo la richiesta del corso di logica, che integrerei anche con uno di lingua italiana.

 

Sulla lingua italiana touche ;). Mi illumini per quanto riguarda il corso di logica.

 

Stai mettendo sullo stesso piano il "io ne faccio quello che voglio" con "lo Stato ne fa quello che vuole"

 

Penso che nel momento in cui si afferma che io posso disporre della mia vita, si entra in un terreno pericoloso, nel quale lo Stato (o la scienza) potrebbero "farne quello che vogliono" per motivi di ordine superiore. Francamente non comprendo affatto la logica di chi si dice favorevole all'eutanasia (o all'aborto) e contrario alla pena di morte. O meglio, chi argomenta a favore dell'aborto e della pena di morte spesso cambia le carte in tavola affermando, nel primo caso che un feto non e' vita, e nel secondo che esistono migliaia di studi che dimostrano l'inutilita' della pena capitale. Ma questo e' un altro discorso molto piu' ampio.

Giulio, non capisco come passi dal "ne faccio ciò che voglio" a "lo Stato ne fa quel che vuole". (Forse è per questo che io sono favorevole all'eutanasia e contrario alla pena di morte).

 

Credo si sia chiarita, alla fine della "giornata" la discussione. Chi

sostiene che la vita sia un dono deve solo spiegare che cosa ne segua,

per il motivo assai semplice che non vuol dire nulla se non si

specifica cosa venga implicato, che cosa dobbiamo noi inferire, in

breve, dalla nozione di dono. Ne ho proposte due interpretazioni (una

di dono, come cessione di una, divina, possessione a me; una seconda

come dono di una "locazione", nel secondo caso avrei, si puo'

sostenere, un obbligo morale a riconsegnare, finita la locazione, il

"bene" in buone condizioni.) Sarebbe dunque vietata la chirurgia

estetica, ricostruttiva, i ponti fatti sui denti o non so che cosa che.

La pena di morte c'entra nulla perche' in un caso o nell'altro sarebbe

un "furto" (lo stato che si prende una proprieta' che sua non e'.) Ergo

la capitale questione della pena capitale ha zero effetti

sull'argomento.

 

Cio' detto, vorrei invece rispondere a Michele che pone una questione interessante.

Prima di tutto e' bene che il futuro monarca di Spagna sia Duca di

Montblanc. Spero il titolo lo renda in grado di regalarmi una Montblanc

con cui scrivevo bene e che mi e' stata rubata in circostanze

sgradevoli.

Secondariamente, la Chiesa cattolica, a mio avviso, ha fatto benissimo

a dare piu' "peso" relativo alla suicida signora a Madrid che al

signore in Italia che si e' ucciso, facendosi aiutare da medici,

perche' non aveva l'uso delle mani per fare il nodo scorsoio, per bere la cicuta, etc.

Il motivo a me sembra ovvio. La Chiesa ha tutti i vantaggi ad esser

vicina ai potenti, comunque li vogliate vedere. I reali di Spagna sono

piu' importanti per la Chiesa di un disgraziato (nel senso di vittima

di una vera disgrazia) che e' paraplegico e in grande dolore. Se la

Chiesa non fosse vicina al potere politico sarebbe una modesta setta di

ebrei dissidenti, Karaites o simili -per chi sia interessato fornisco

solo in privato i dati del problema. Invece e' una grande potenza che a

tempo debito, fa cadere il governo polacco, sostiene il Duce, Bettino

Craxi, Paco Franco e cosi' via. Si noti che nel caso appena citato la

Chiesa

spagnola fu costretta a fare scelte difficili, tipiche dei procedimenti

politici in cui si deve decidere quanto sia bene sacrificare per

l'obiettivo generale. Per quel che mi risulta, e sono grato a chi mi

smentira', la chiesa in Spagna nel 1936 prese la decisione di far

massacrare fedeli e prelati in Euzkadi (cattolicissima) per dare un

vantaggio strategico ai Carlisti che ebbero un peso determinante contro

la Falange (il gruppo "extraparlamentare", nel gergo di oggi, di P. de

Rivera.) Queste sono decisioni politiche. Si puo' benissimo non

condividerle, ma si noti che Cristo buonanima aveva detto in modo non

equivoco che il suo "regno" non era di questo mondo. Non era per Herod

contro l'imperatore a Roma o viceversa. Era "altrove". La Chiesa, di

certo in occidente (cosidetto) e' *qui* e non altrove. La sua

fortissima, a mio avviso, ragione per sostenere le sue posizioni e' che

usando metodi di questo genere e' rimasta in vita piu' di (alcune)

dinastie cinesi dell'era classica e molto, molto di piu' della

Repubblica Francese o della Repubblica Italiana. Il loro argomento e'

solido. Di fronte alla posizione cristiana che chi tormenta i bambini

debba essere legato ad una macina e gettato in mare, la Chiesa ha preso

(tre volte a mia conoscenza, negli Usa, in Irlanda, e in Polonia) la

posizione di fare il complice di pedofili, perversi e un po' bizzarri.

Negli USA la chiesa cattolica arrivo' in due diocesi in California a

pagare i genitori di bambini insidiati da preti perche' stessero zitti

di fronte alle domande dei procuratori. Per cortesia, niente "alte

grida": e' perfettamente legale, si chiama plea-bargain ed e' stato

usato con tutti i carismi della legge.

La domanda qui, viene spontanea a me, e' per i cristiani: se vedete un

nesso tra l'insegnamento cristiano e il comportamento della chiesa,

ditemi quale sia.

 

 

Su altre questioni, aborro lo sproloquio, per cui lascio perdere

grandiloquenti proclami. Vi invito solo ad una riflessione: se il

suicidio e' *assolutamente* un abominio, come mai e' *bene* farsi

uccidere, mangiare dai leoni, mettere alla griglia, se fatto da un

santo e male se fatto da Welby? La condizione e' che bisogna dichiarare

di farlo per ragioni di martirio? La vita del martire "sacra", non

negozialbile, etc. non era? O lo era meno di quella Welby? O di piu'? O

che?

Nel giorno di santa Viridiana.

 

 

Rispondo sulla faccenda dei martiri, che mi sembra una delle osservazioni più interessanti e non banali fatte finora.

Abbiamo detto che la vita è un dono, rigt? Comodato o cessione, poco importa in questo caso: la logica di fondo è che la vita ci viene donata perchè noi ne facciamo a nostra volta un dono per gli altri. Citando i martiri, palma ha tralasciato di ricordare che il primo martire è stato Cristo in persona, che ha donato la sua vita per la redenzione del mondo. In quest'ottica, diventa anche chiarissimo comprendere perchè la Chiesa è contraria a suicidio ed eutanasia! Chi si suicida rinuncia ad assolvere al compito che Dio, con il dono della vita, gli ha affidato, cioè spendere la propria vita per gli altri. Il sacrificio dei martiri, in quanto testimonianza di fede (sia che si tratti, come di Kolbe, di salvare un'altra vita, sia che si tratti, come dei primi martiri, di non rinnegare la propria fede), è invece dono fecondo. Se parlate con qualsiasi missionario, vi sentirete sicuramente dire qualcosa del tipo "la nostra Chiesa è fondata sul sangue dei nostri martiri".

 

La chiesa cattolica romana, come ogni autorità morale, rivendica il magistero ultimo e assoluto sulla vita umana.


Di chi è la mia vita? Di Dio, risponde il cattolico; mia, risponde l'ateo; non lo so, risponde l'agnostico, che è quello che se la passa peggio.


Sulla vita umana, raramente riscaldata dall'incontro con Dio, la chiesa cattolica romana esercita l'illuminato potere di amministrazione, nei confronti di credenti e non credenti in nome della legge naturale.


"Legge naturale" non significa che la natura sia indipendente dalla volontà divina; anzi, la natura è espressione di essa, pertanto la legge naturale è quella divina. La chiesa cattolica romana usa una o l'altra espressione per motivi comunicazionali, ma il senso è unico, è lo stesso.


Il magistero sulla vita umana implica l'esercizio del potere, quando necessario per salvaguardare la verità dell'insegnamento divino.


E' per questo che il suicida va tenuto lontano dal sacro: con il suo gesto errato ha dimostrato che la legge naturale è, in concreto, sovvertibile.


E' per questo che una ferma condanna dell'aborto è tradizionalmente andata di pari passo con un'ondivaga posizione sulla pena di morte, che solo in anni recentissimi ha visto parole di condanna da parte della chiesa cattolica romana.


Quindi nessuna sorpresa, se non (positiva) per il fatto che la chiesa cattolica abbia a un certo punto abolito la pena di morte nello stato da essa stessa amministrato: si tratta di una cosa assolutamente strana.

 

 

 

Noto che, da un lato, il problema di sostanza e forma non sembra interessare molto coloro i quali si manifestano come credenti. Non mi sorprende del tutto: per sentirsi parte d'una religione rivelata e organizzata, strutturata, con gerarchie interne ed eterne, rituali minuziosi, regole e regolette di tutti i tipi, occorre evidentemente credere che vi sia della sostanza nelle forme, e financo nel purissimo formalismo dei riti. In sostanza, la risposta che odo pur nel silenzio che ha fatto seguito alla mia domanda, e' che a "Dio" la forma interessa alquanto. Amen, e procediamo.

Anche l'altra domanda, posta dal Palma, "se vedete un

nesso tra l'insegnamento cristiano e il comportamento della chiesa,

ditemi quale sia" rimane inevasa. Ma e' stata recentemente posta, quindi apettiamo. Rassicuro comunque il Palma che, la prossima volta che incontro Felipito in un bar de copas gli sottomettero' cortesemente la tua gentile richiesta per una nuova pluma dal suo Ducato.

Il plot logico-morale sui fondamenti della teoria del dono s'infittisce, comunque.

Alla domanda su che cosa separi il suicida normale dal suicida martire, si risponde affermando che alla teoria del dono non e' rilevante se la vita venga data in dono come cessione completa o come comodato (contraddicendo, ahime', quella che speravamo essere una parziale ma coerente conclusione raggiunta a mezzo dei 50 posts precedenti) ma che, invece, e' ipotesi chiave capire che la vita ci viene donata "perchè noi ne facciamo a nostra volta un dono per gli altri." Il suicida normale, quindi, rinuncia a donare la propria vita agli altri, ci viene detto, mentre il suicida martire compie il proprio dovere. Suppongo che usando questo assioma si voglia anche derivare la necessita' della riproduzione (il matrimonio come dovere d'ogni credente, e la riproduzione come fine del matrimonio) dalla quale vanno esenti, per ragioni oscure, i preti. Suppongo la ragione dell'esenzione (meglio, del divieto) sia una variante del dono: i preti "donano" la loro vita ai fedeli, quindi non possono "donarla" anche a moglie e figli, rischieremmo di dovergli pagare dei costosi straordinari. Insomma, e' una variante del lavorare meno, lavorare tutti.

Faccio notare, in passim, che lungo quest'ultimo sentiero si finisce rapidamente in mezzo alle spine. Ad esempio, non si riesce a capire perche' un omosessuale non possa, coerentemente con la teoria del dono, adottare un pargolo (del sesso opposto, cosi' evitiamo il rischio di danni collaterali). Sembra oramai fuor di dubbio che i poveretti in questione sono tali per sbagli di natura (ahia, se prendo sul serio l'altra associazione fatta in un recente commento qui siamo davvero nei guai con la teoria dell'infallibilita', ma transeat) e quindi non possono donare la vita procreando: non ci viene, e la cura ancora non l'hanno trovata. Perche', allora, non possono scegliere di donare la loro vita aiutando, curando e facendo crescere un altro disgraziato a cui un terzo ha fatto il dono della vita, cambiando pero' dopo idea? Sembra di no. Sembra che, se sei finocchio e vuoi donare la tua vita, le uniche opzioni disponibili siano il sacerdozio (sembra un'opzione popolare, in effetti) o il martirio (su cui, vedi sotto). Ma fare da padre/madre a dei poveri orfani, e' dono vietato. Sembra lo sia anche donare il proprio sperma, magari anonimamente, ad una lesbica che vuole rimanere incinta al fine di donare, anch'essa, la vita ... Sono perplesso: perche' certi doni si e certi no?

La cosa si complica ulteriormente se poi applichiamo questa nuova ipotesi ai suicidi/martiri.

Un problema l'ha gia' sottolineato Tempesti: se sto massacrando la vita di un altro, per esempio il mio consorte, a causa della mia inferma presenza, forse togliermi di mezzo e' fare dono (all'altro) della propria vita (del controllo della quale la mia presenza lo priva), o no? D'altra parte, si potrebbe rispondere, l'altro sta donando la propria vita a te, malato terminale o semplice ed insopportabile criminal-demente che tu sia, accudendoti e rinchiudendoti (nell'ospedale psichiatrico) a seconda della bisogna. Suicidandoti privi l'altro dell'opportunita' d'esercitare tale dono. V'e' qui un plateale conflitto d'interessi fra i due donanti: se uno riesce nel suo intento (missione?) di donare la propria vita all'altro, l'altro necessariamente fallisce, e viceversa. Sembra insolubile, e credo la soluzione della chiesa sia da sempre "non decidete voi, chiedete al confessore che lui la risposta la sa". Ma questo non fa che rinviare il problema ad un altro livello, visto che il confessore pure deve risolvere l'inerente contraddizione logica ... suppongo che per successivi gradini della scala gerarchica si possa arrivare finalmente a chi, per ragioni a noi imperscrutabili, tale contraddizione non vede e tutto risolve. Fine della logica, ancora una volta. Peccato.

La teoria del "suicidio come martirio o dono" apre altri orizzonti. Per esempio, se uno accetta l'ipotesi ancillare che il calcolo delle probabilita' e' attivita' sensata, detta teoria giustifica ovviamente la pena di morte e financo l'omicidio preventivo. Il tutto e' piuttosto ovvio: se mi trovo davanti ad un criminale, sulla cui efferatezza e sulle cui intenzioni criminali non ho dubbio alcuno (diciamo: e' il 1971 e sono a cena con Fidel Castro e Pol Pot allo stesso tempo) ed ho l'opportunita' d'ucciderlo, e' chiaro che dovrei farlo. Cosi' facendo faccio dono della vita alle migliaia o centinaia di migliaia di persone che, in valore atteso, costui uccidera' se non viene eliminato prima.

Lungo questa linea altri scenari interessanti sono facilmente immaginabili che, a me sembra, suggeriscono (sempre sotto l'ipotesi addizionale che il calcolo delle probabilita' non sia una minchiata atea) che la teoria del "dono che occorre donare" implica anche una giustificazione dell'aborto (terapeutico e non) e di svariati esercizi d'ingegneria genetica sulla giustificabilita' etica dei quali non ho, in principio, un'opinione molto chiara. Quanto lontano di possa andare dipende da ipotesi ancillari in relazione al tasso di sconto intertemporale, la nozione di "utilita' di individui non ancora nati, ne' concepiti" (vedasi al riguardo Conde-Ruiz et al, e Golosov, Jones and Tertilt), la comparazione interpersonale dell'utilita', eccetera. Devo dire che alcune delle implicazioni fanno paura anche a me ... e non mi considero molto tremebondo.

Rimango, quindi, su di un terreno piu' "normale". Considerate il caso, frequente in pratica, in cui la madre incinta si suicida (rinunciando a cure ed operazioni) per permettere la nascita della prole. Questo rientra nella teoria del dono, pero' la sistematica approvazione di tale atto da parte della chiesa sembra contraddire quanto appreso nel caso Welby. Perche' il suicidio del malato terminale, che restituisce la vita a X, e' peccato, mentre il suicidio della madre, che restituisce la vita a Y, non lo e'? Guardate che non si puo' dire che sto giocando con le parole, ossia che X (il curante del terminale) "la vita ce l'ha gia'" e quindi gli viene solo "restituita" mentre Y (il feto) "la vita ancora non ce l'ha" e quindi gli viene "donata" dal sacrificio della madre. Questo non si puo' dire, perche' implica che il feto non ha vita, quindi l'aborto non e' piu' omicidio. Il mistero, insisto, e' profondo.

Infine, per tornare a martiri pubblicamente riconosciuti. Consideriamo il caso d'un credente che in una situazione d'oppressione si suicida per portare testimonianza della propria fede a milioni d'altri. E' questo un peccato? Ovvero, l'intenzione di fare un "dono" e' sufficiente, di per se, o richiede certificazione esterna? O e' peccato solo se, per esempio, il suddetto si da fuoco alla Jan Palach mentre non e' peccato se si lancia inerme contro le baionette dei soldati posti ad impedire l'accesso dei fedeli alla basilica di, parlo ipoteticamente, San Giovanni in Laterano? Se io mi getto dalla cima della Torre Eiffel, lasciando uno scritto in cui certifico che tale atto e' un martirio volto a dare testimonianza della mia fede cattolica a fronte della decisione del governo francese di omettere, dal testo della redigenda costituzione europea, il cristianesimo ed includere l'illuminismo come "radice" dell'Europa stessa, commetto peccato oppure divento un potenziale beato?

 

 

Amici credenti, non mi avete ancora detto a cosa credete, ma

"tiremm-innanz" disse Amatore Sciesa ai cattolicissimi sbirri della

Kakania austro-ungarica amata da Roberto Calasso.

Vi sconsiglio caldamente di sostenere la teoria della vita come "dono-dato-a-me-affinche'-io-lo-dia-ad-altri".

I

cattivi subito inventeranno maniere di romper l'anima all'umanita' - i veri perversi fantasiosi, Gilles

de Rais, Goebbels, Beria, sono pochissimi. Suicidandosi in seguito alla noia prodotta farebbero un

dono all'umanita' (i.e. di togliersi di mezzo.)

Peggio che

peggio, risulta che dozzine di buoni cattolici - che tengono famiglia e non hanno la sfrontatezza di San Lorenzo di domandare di "girarlo"

perche' la schiena era gia' cotta sulla griglia, o il masochismo di

santa Teresa che si lascio' consumare dalla tubercolosi - siano

PECCATORI. Vale a dire hanno rifiutato di usare il dono per donarlo

agli altri etc., come invece fece Therese de Lisieux, santa e dottore

della chiesa (dal 1997, e' un titolo importante, non sto ironizzando; molti sono santi e martiri normali, non col dottorato!)

Se

questo e' il caso, cari amici, avete un compito davvero mostruoso di

fronte a voi: indicare come il perfezionismo sia l'unica morale

accettabile. Se i martiri mettono in essere la teoria del "dono" come

la intendete voi, allora tutti i cristiani sono tenuti al martirio, con

viaggi premio per vendere il Vangelo a Mekkah. Si possono concepire

altre e svariate ipotesi.

Mi sembra che rischiate un po' troppo.

Su

problemi un po' meno interni ad un gruppo religioso, ma non di meno

seri, chi di voi conosce la posizione (estremamente minoritaria) di D.

Benatar secondo la quale e' un obbligo MORALE non riprodursi (notasi

MORALE, non sessuale, non buona regola prudenziale per la conduzione

finanziaria, etc.) Se a qualcuno interessa una frontiera strana di come

si ragiona in morale (che non e' la mia area, ma ahime' a volte

ci penso) basta domandare.

 

 

 

 

se sto massacrando la vita di un altro, per esempio il mio consorte, a causa della mia inferma presenza, forse togliermi di mezzo e' fare dono (all'altro) della propria vita (del controllo della quale la mia presenza lo priva), o no? D'altra parte, si potrebbe rispondere, l'altro sta donando la propria vita a te, malato terminale o semplice ed insopportabile criminal-demente che tu sia, accudendoti e rinchiudendoti (nell'ospedale psichiatrico) a seconda della bisogna. Suicidandoti privi l'altro dell'opportunita' d'esercitare tale dono. V'e' qui un plateale conflitto d'interessi fra i due donanti: se uno riesce nel suo intento (missione?) di donare la propria vita all'altro, l'altro necessariamente fallisce, e viceversa.

 

Non mi sembra che questa risposta sia sempre possibile. Tu la formuli in termini di "dono", tenendo dietro alla "teoria" originale. Ma, dal punto di vista del parente del malato terminale, non mi sembra si possa sempre parlare di "dono" a meno di usare rendere questo termine praticamente onnicomprensivo.

Mi spiego meglio. A volte i parenti di un malato terminale fanno di fatto dono della propria vita al malato, aiutandolo moralmente e fisicamente e sacrificando altri aspetti della loro vita. In questi casi, parlare di "dono" mi sembra appropriato.

Ma altre volte non c'e piu' di tanto da fare ed entrambi, malato e parente, riconoscono che l'eutanasia del malato sarebbe meglio per tutti e due: il malato allevierebbe la sua pena e il parente, che comunque non puo' fare molto, si sentirebbe percio' piu' sollevato. Insomma, che dono e' se il ricevente non lo vuole, perche' di fatto non gli serve, e l'elargitore capisce e approva le ragioni di tale rifiuto?

Mi sembra che il caso di Welby fosse proprio di questo tipo: la moglie, che pure gli era molto attaccata, voleva la morte di lui, come richiesto da lui stesso.


Tra l'altro, a fare proprio i cavillosi, la morte del malato offre al parente la possibilita' di usare le proprie energie per fare "doni" ad altri piu' in condizione di riceverli (tipo altri cari trascurati nel frattempo).

p.s.: volevo postarlo come replica a Michele ma ho sbagliato e l'ho postato come  commento a parte.

 

 

Tommaso, guarda che siamo d'accordo nel caso che tu descrivi.

Io stavo cercando di mettere in evidenza che, anche nel caso "estremo" in cui io voglio "donare" la mia vita a te e tu vuoi "donare" la tua vita a me, la scelta dell'eutanasia o del suicidio e' difficile da condannare, almeno sul piano logico, a partire dalla teoria della "vita e' un dono che occorre donare", la quale viene avanzata da alcuni nostri co-dibattenti credenti.