Tra le varie questioni politico-economiche discusse nel corso della crisi greca, quella della relazione tra sovranità nazionale e mercati finanziari globali mi pare di eccezionale interesse. Molti osservatori hanno interpretato la crisi come una battaglia impari tra uno stato sovrano democratico e un meccanismo economico governato al massimo da leggi non scritte. La retorica è sempre un po' la stessa: David e Golia, il piccolo paese sovrano schiacciato dal Moloch dei mercati finanziari globali e quindi sopra la legge. Nessun lettore di nFA si stupirà se dico che questa retorica non mi piace affatto perché espressione di ideologia non masticata.
Di conseguenza, molti hanno reagito con disagio davanti ai dettagliati piani economici proposti (alcuni dicono imposti) alla Grecia da parte delle organizzazioni internazionali creditrici. Alcuni lettori di nFA forse si stupiranno invece del fatto che a mio parere questi piani di ristrutturazione economica fossero effettivamente inappropriati interventi nella sfera della sovranità nazionale greca. Essi infatti prevedevano interventi molto specifici relativi ad esempio a chi, come, e quando tassare, a cosa (non) spendere, o addirittura a come delineare un codice di procedura civile. Difficile in questo contesto non chiedersi con quale diritto queste organizzazioni entrassero - e continuino ad entrare - nelle decisioni politiche specifiche di uno stato sovrano.
Ma vorrei innanzitutto eliminare una confusione di base. Quando dico che questi piani mi paiono inappropriati interventi nella sfera della sovranità nazionale greca so bene che la Grecia non ha mai perso il diritto di dichiarare default, diritto che essa ha spesso rivendicato infatti in sede negoziale, fino al referendum. So bene anche che questi piani non sono che le condizioni richieste dai creditori per rilasciare ulteriori crediti e permettere alla Grecia di evitare il default. In questo senso, la loro accettazione sarebbe quindi sì una limitazione della sovranità nazionale, ma una limitazione che la Grecia si auto-impone per evitare le conseguenze del default. Auto-imposte limitazioni della sovranità nazionale non hanno nulla di inappropriato in linea di pricipio. Non è in questo senso quindi che dico quindi che mi pare che questi interventi mi paiono inappropriati. La loro in appropriatezza non è dovuta, a mio parere, dalla limitazione della sovranità nazionale in sé, ma dal fatto che tale limitazione avvenga ex post, in modi e forme determinate arbitrariamente dalla dinamiche della contrattazione, che essa appaia e sia disorganizzata, non regolamentata, senza limiti né vincoli.
Il mio punto è quindi che varie limitazioni della sovranità nazionale hanno una funzione economica nel contesto di uno stato sovrano che ricorre ai mercati finanziari per raccogliere fondi (indebitarsi) ma che sia appropriato che tali limitazioni siano definite ex ante piuttosto che contrattate ex post. Svolgo l'argomentazione di seguito.
Auto-limitazioni della sovranità nazionale - funzione economica. La sovranità nazionale, nel contesto di un paese che decida sovranamente di raccogliere credito sui mercati internazionali, è un vincolo, un costo, imposto alla raccolta stessa. Maggiore è la sovranità nazionale, minore sarà l'accesso al credito e/o più alto il suo costo. Questo perché la sovranità nazionale di un paese, rendendo più semplice e meno costosa la rescissione dal debito (dichiarare default) da parte del paese stesso, rende più complesso ai creditori garantirsi il ripagamento dei debiti da esso incorsi. Naturalmente questo non significa affatto suggerire il Partenone o un paio di Cicladi a garanzia del debito greco. Significa però realizzare che stati sovrani possono avere razionale interesse ad auto-imporsi forme di limitazione della sovranità nazionale come mezzi per ottenere maggiore credito. Un esempio servirà a chiarire, per analogia: una impresa ha minore e più costoso accesso ad un fido bancario qualora non possa o non voglia cedere immobili o altre attività a garanzia; qualora cioè la banca, in caso di bancarotta, non possa facilmente rivalersi su attività dell'impresa a parziale rimborso del credito. Lo stesso vale per uno stato.
Auto-limitazioni della sovranità nazionale - distrazioni intellettuali. Argomentare che auto-limitazioni della sovranità nazionale, nel contesto di uno stato sovrano che ricorre ai mercati finanziari per raccogliere fondi (indebitarsi), sarebbero estorte a un paese in ginocchio, non è sostenibile. Il caso dell''indebitamento greco è un buon esempio: tale indebitamento è chiaramente il risultato di decisioni sovrane, se pur opera di democrazia rappresentativa. Ancora più importante è che argomentare, come fa Zagrebelsky nell'articolo su Repubblica, che uno stato sovrano in quanto tale non possa fare default perché a uno stato sovrano nulla può essere richiesto -- nulla, nemmeno il ripagamento dei debiti! -- è un argomento sofistico. Lo è perché è argomento puramente nominale; riguarda cioè la definizione di default e non la realtà dello stesso e le sue conseguenze, né il punto di cui sopra: che se ad uno stato sovrano non può esser chiesto di ripagare i debiti esso non avrà debiti da ripagare perché nessuno gli farà mai credito.
Auto-limitazioni della sovranità nazionale - ex ante o ex post. La distinzione tra auto-limitazioni ex ante o ex post è naturalmente connessa alla distinzione tra regole e discrezionalità, comune agli (ma a mio parere ancora sotto-utilizzata anche dagli) economisti; si vedano le Nobel lecture di Kydland e Prescott per entrare in dettaglio. Definire forme e modi di auto-limitazione della sovranità ex ante, nel contesto a cui si fa riferimento in questo post, è associabile a definire regole che definiscano forme di garazia del debito e quindi governino, rendendo agibile e se del caso limitando, il ricorso dei creditori in caso di insolvenza. Auto-limitazione della sovranità ex post significa contrattare coi creditori meccanismi e strategie di ristrutturazione del debito una volta che lo stato di insolvenza sia acclarato, come sta avvenendo da ormai 2 anni in Grecia. Naturalmente sto assumendo che auto-limitazioni ex ante siano oggettive forme di garanzia, siano cioè caratterizzate da "commitment": Se lo stato sovrano cede un'isola, e/o 2% del gettito fiscale, in garanzia, li cede e basta, non può tornare sulle proprie decisioni - vedremo poi come meccanismi di questo tipo possano essere messi in atto. Per ora mi sia permesso ai fini argomentativi ipotizzare commitment! Vi sono varie ragioni per cui auto-limitazioni ex ante sono meglio di quelle ex post.
Innanzitutto la questione della certezza: Il contratto di credito ha una struttura di ripagamento ben definita, nel senso che il debitore e il creditore possono valutare con una certa accuratezza i costi della insolvibilità. Questa certezza implica decisioni più chiare - senza inutili rischi aggiuntivi - e quindi mercati meglio funzionanti.
Ancora più importante è la questione della incoerenza temporale ("time-inconsistency"): la definizione di regole che definiscano forme di garazia del debito toglie sia al debitore che al creditore l'opzione di rinegoziare ex post il contratto. In mancanza di una regola di questo tipo, chi tra le controparti abbia un vantaggio in termini di potere contrattuale in caso di insolvenza (rispetto alla situazione ex ante, in cui i termini del contratto sono delineati) opterà per ricontrattare. Questa rincontrattazione ex post sarà anticipata ex ante e in generale limiterà i termini del contratto che siano effettivamente possibili, spesso con effetti drammaticamente inefficienti. Consideriamo il caso estremo (per chiarezza, ma non è necessario ai fini dell'argomentazione) in cui ad esempio il debitore possa facilmente rescindere il contratto di credito senza costi: in questo caso il creditore saprà di non avere alcuna possibilità di essere ripagato e quindi non concederà credito (richiederà un rendimento elevatissimo in casi meno estremi). Molto inefficiente e costoso per il debitore, in termini di accesso al credito. Consideriamo invece il caso estremo opposto, che i costi di insolvenza per il debitore siano elevatissimi: in questo caso è il debitore a ridurre a zero la domanda di credito (a richiedere termini favorevolissimi), nel timore che uno shock possa portarlo in insolvenza e quindi, chessò, a ridurre il proprio paese in schiavitù del creditore. Ancora una volta, molto inefficiente e costoso per il debitore, in termini di accesso al credito. Questa forma di inefficienza è accentuata dal fatto che la contrattazione in caso di insolvenza porterà le controparti a scelte politiche potenzialmente inefficienti al di fuori della contrattazione stessa: il debitore sceglierà un negoziatore ideologicamente estremo (ad esempio eleggendo un governo ideologicamente contrario a cessioni di sovranità e/o alle riforme economiche preferite dal creditore) e il creditore metterà la negoziazione in mano a istituzioni "forti", con obiettivi non completamente allineati a quelli dei creditori stessi. Come suggerivo, questo è quello che sta succedendo in Grecia: con l'elezione di Syriza e la Troika e Schauble in controparte.
La questione della incoerenza temporale è ancora peggiore qualora abbinata alla mancanza di certezza. Si finisce per contrattare per anni con gravi danni sia per i creditori che per i debitori. Il debitore chiede una ristrutturazione radicale del debito e il creditore chiede controllo sulla economia del debitore e a entrambi conviene non accettare facilmente compromessi per stabilire una reputazione di forza contrattuale. E passano gli anni con i creditori che non vedono una lira (per i più giovani, modo di dire che riferisce a un sistema di pagamento prevalente in passato in Italia ma ormai obsoleto a meno che i creditori non ci costringano a ritornarvici) e i debitori che soffocano senza risorse.
Un ultimo vantaggio di forme e modi di auto-limitazione della sovranità ex ante in questo contesto è che costringe i rappresentanti politici dello stato sovrano a una maggiore chiarezza riguardo ai termini del debito nei confronti dei cittadini e dell'elettorato. Questo punto è importante perché i rappresentanti politici hanno interesse in generale ad indebitarsi eccessivamente rispetto a quanto sia efficiente: dal punto di vista degli interessi particolari dei rappresentanti politici, infatti essi spendono l'intero ammontare raccolto a debito ma ripagano il tutto solo qualora siano ancora al potere alla scadenza del debito, e quindi hanno eccessivi interessi particolari a indebitarsi. Da questo punto di vista si potrebbero pensare a linee guida definite costituzionalmente che definiscano auto-limitazioni accettabili di sovranità nazionale da parte della politica contingente. Una analogia può essere utile a spiegare questo punto: Il diritto civile definisce ex ante cosa il creditore privato possa chiedere (e il debitore dare) in garanzia, ad esempio solo la seconda e non la prima casa, per evitare paternalisticamente al debitore di finire per strada (o per evitare di dover provvedere alla prima casa del debitore qualora egli la perda a favore del creditore). Allo stesso modo, definire anche costituzionalmente ex ante quale siano le forme e i modi di garanzia appropriati nel caso di indebitamento sovrano potrebbe ridurre gli incentivi dei rappresentanti politici del paese all'indebitamento eccessivo.
Auto-limitazioni della sovranità nazionale - una proposta in stato embrionale. Ma se auto-limitazioni della sovranità nazionale ex ante hanno una chiara funzione economica nel contesto di un paese che voglia indebitarsi sui mercati internazionali, come ho argomentato, cosa sono queste auto-limitazioni? Quali di esse in particolare hanno la caratteristica fondamentale di costituire oggettive forme di garanzia, sono cioè caratterizzate da "commitment"? Tutto si può immaginare, incluso uno stato sovrano che permetta a un esercito straniero o a quello delle Nazioni Unite postazioni tali da garantire che una parte del suo territorio, qualora data in garanzia ai creditori possa effettivamente essere da essi utilizzata (ri-venduta, sfruttata economicamente,...). Questo tipo di auto-limitazioni della sovranità sono in realtà abbastanza comuni (il nostro paese ha avuto e ha basi americane dal secondo dopoguerra), ma tipicamente lo sono come forma di garanzia strategica-militare, non come forme di garanzia economica. Immagino che così sia perché non sarebbero considerate accettabili dall'elettorato; certo io sarei contrario ad accordi simili nel mio paese. Senza pretendere di esaminare ogni possibile forma di garanzia economica, provo invece a suggerirne una che mi pare potrebbe funzionare. Se lo facesse sarebbe utilissima, a mio parere proprio a causa delle argomentazioni di cui sopra, a permettere accesso al credito a stati sovrani a condizioni favorevoli senza per altro fornire eccessivi incentivi all'indebitamento.
La proposta consiste in una forma regolamentata di imposizione fiscale direttamente ad opera di organismi internazionali. Consideriamo il caso di uno stato sovrano che conceda accesso e controllo del proprio meccanismo di raccolta fiscale a una organizzazione internazionale indipendente (o almeno abbastanza indipendente), come il Fondo Monetario Internazionale (FMI). Supponiamo quindi che il FMI possa, senza alcuna necessaria autorizzazione formale né senza alcuna necessaria azione legislativa o tecnico-amministrativa da parte dello stato sovrano, avere accesso ad una parte del gettito fiscale del paese (una percentuale massima rispetto al gettito o al Pil, potrebbe essere definita costituzionalmente). In questo caso il paese potrebbe dare a garanzia del credito sovrano internazionale una percentuale del suo gettito o del suo Pil (gli incentivi sono diversi) per un numero di anni - i termini andrebbero definiti al momento dell'estensione del contratto. Il FMI garantirebbe il creditore rispetto all'implementazione del contratto in caso di insolvenza del debitore. [Riferimento al Pil aggiunto per chiarificazione un paio d'ore dopo la pubblicazione; grazie a Luca Filippa]
L'idea pare semplice. Nel caso del diritto privato contratti di questo tipo esistono in qualche forma in molti paesi. In Italia prendono la forma chiamata della cessione del quinto: il debitore cede fino ad un quinto del proprio stipendio a garanzia del credito (tipicamente al consumo) e il datore di lavoro garantisce che il quinto sia versato al creditore in caso di insolvenza. Questi contratti, mi par di capire - ma non sono certo un esperto - funzionano ragionevolmente a garantire accesso al credito a individui privi di attività finanziarie, immobiliari o commerciali sufficienti. Naturalmente questa è solo una analogia, la questione di diritto pubblico internazionale è molto più complessa. La garanzia non è mai completa in questo contesto - uno stato sovrano può sempre rompere ogni accordo o legislazione internazionale abbia sottoscritto, almeno fino al punto di non provocare un intervento armato da parte della controparte. Ma, ancora una volta, qui non si tratta di questioni strategico-militari, ma piuttosto di questioni "solo" economiche. In campo economico, accordi e trattati internazionali sono considerati tipicamente forme di "commitment" sufficienti nel senso che uscirne comporta tipicamente conseguenze gravi in un mondo globalizzato. Un esempio basti a questo proposito: la creazione di una Banca Centrale Europea a cui affidare molte delle funzioni precedentemente prerogativa di banche centrali nazionali è vista come un solido "commitment" a un coordinamento della politica monetaria europea. La sua esistenza ha reso l'opzione Grexit molto più costosa, forse addirittura inaccettabile ai greci.
[Aggiunta un'ora dopo la pubblicazione; motivata da commenti e scambi con Giulio e Sandro] Per essere piu' chiaro, voglio reiterare che a mio avviso la proposta non richiede che il FMI abbia gli elicotteri in Italia e appena appena gli italiani non sgancino si vada a prendere i soldi in via XX settembre. La Banca Centrale Europea non ha elicotteri in Italia e ciononostante nessuno ha (ancora) pensato a riaprire la zecca e stampare Euro. La garanzia funziona se il gettito va automaticamente nelle casse FMI. Ci vuole un'agenzia di raccolta - non politica, solo tecnico amministrativa!! Non parlo di promesse da parte del Tesoro. In un contratto di cessione del quinto, il quinto dello stipendio non passa dal lavoratore. Cosi' in questo caso la percentuale dovuta al FMI non passa dal Tesoro. Perché la cosa sia veramente automatica bisogna bypassare in parte l'Agenzia delle Entrate. Il FMI deve essere dentro l'Agenzia, non con gli elicotteri ma con personale amministrativo. Ribadisco che la cessione di sovranita' alla BCE non e' totalmente dissimile. L'agenzia che impedisca al FMI di trattenere la parte del gettito pattuita sara' punita dagli stessi che puniscono la Banca d'Italia che decida di stampare Euro.
Alle urla di sovranita' violata si risponde che le decisioni politiche su come e quanto tassare rimarrebbero sovrane - molto più che in Grecia oggi. il FMI avrebbe un ruolo amministrativo, non politico. In particolare non potrebbe chiedere di attuare le politiche economiche che preferisce allo stato sovrano. Inoltre, la proposta alternativa che va per la maggiore per risolvere i problemi dell'indebitamento sovrano all'interno dell'Unione comporta una Unione Fiscale - questa si' una limitazione immensa di sovranita' nazionale . E lo stesso si puo' dire degli Eurobond in quasi tutte le loro accezioni. Insomma, questa proposta va letta, io credo, come unalimitazione ordinata, relativamente minima, ed esplicita della sovranita' nazionale.
Non dico che la proposta sia facilmente implementabile, né che lo sia affatto, si tratta di meccanismi istituzionali delicati e complessi. Ma per quanto ambizioso, questo è un progetto cui secondo me vale davvero la pena pensare.
di gestione straniera di attività proprie di stati sovrani. I primi due che mi vengono in mente - l'impero ottomano nel 1881 (riservava alcuni incassi agli interessi del debito pubblico ottomano) e le dogane cinese dopo la guerra dell'oppio (erano gestite da occidentali per garantire il rispetto del libero commercio). In ambedue i casi, il commitment era stato estratto con metodi - diciamo- non del tutto diplomatici
Se ricordo bene quanto ho letto nel libro di David Landes "Bankers and Pashas" funzionava cosi anche in Egitto nell'ottocento: Gli inglesi si prendavano il reddito del neo-costruito canale di Suez e l'utilizzavano per ripagare i debiti del Pasha, prima che potesse sperperare altri soldi. Poi ci domandiamo perche i rapporti tra paesi del medio-oriente e paesi occidentali sono cosi tesi e difficili al giorno d'oggi...
Anche in Cina non si sono mai scordati certe "umiliazioni nazionali" (come le chiamano loro).
dai giovanni, che ti annoi in vacanza, raccontaci. alex, anche tu, rispolvera Landes in dettaglio
A me ovviamente viene in mente la gestione da parte dello stato italiano delle entrate della pubblica amministrazione, in special modo per quanto riguarda la Sicilia, ma anche delle altre, in veritá.
Il risultato abbastanza ovvio è che nella Repubblica Italiana non c'è alcuna regione con una vera autonomia nella gestione delle entrate:
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E che nella realtá dei fatti ci sono 18 regioni ordinarie, checché ne dica la costituzione, e 2 regioni semiautonome (VdA e TAA, 3 province semiautonomee in realtá):
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