Il libro che ho letto e' La grande bugia, pubblicato da Sperling & Kupfer nel 2006. E' un libro di strana concezione. Non e' direttamente un libro di storia, ne' un romanzo. In esso Pansa intende solo raccontare e discutere la reazione del mondo politico e intellettuale a due suoi libri precedenti, Il sangue dei vinti e Sconosciuto 1945. In questi libri Pansa raccontava i) la Resistenza alle truppe nazi-fasciste dal 1943 al 1945 dal punto di vista dei perdenti, i giovani volontari della Repubblica di Salo', e anche ii) gli eccidi operati dai partigiani nei confronti dei "presunti" fascisti dopo la fine delle ostilita', nel 1945 appunto. Raccontando pero' la reazione del mondo politico e intellettuale ai due suoi libri precedenti Pansa in realta' riprende e ripresenta molti dei fatti su cui basa la sua storia revisionista (uso la parola tappandomi naso e bocca - di piu' su questo oltre).
Devo dire che il libro non mi e' piaciuto. E' strutturato in forma di dialogo tra Pansa e un avvocato, Emma Cattaneo, personaggio di fantasia, che lo aiuta nella stesura del libro. Emma Cattaneo fa domande, in maggior parte stupide, spesso addirittura domande retoriche. Insomma, il libro non si legge piacevolmente ed e' spesso irritante nella forma, a mio giudizio.
Il contenuto pero' non e' certo privo di interesse. Prima di tutto il libro e' pieno di documentate storie di crimini commessi dai partigiani, specie dai comunisti, dopo la Resistenza: eliminazione di fascisti, partigiani di diverso colore, e anche gente piu' o meno "neutrale". (Dicendo documentate arrischio un po' perche' non sono un esperto e i riferimenti bibliografici non sono da trattato accademico, naturalmente; ma ci sono e sono nella maggior parte dei casi sufficientemente dettagliati da essere verificabili - anche se io non l'ho fatto).
Inoltre il libro e' pieno di citazioni dettagliate da recensioni "illustri", da Aldo Aniasi a Piero Fassino, da Sandro Curzi a Giorgio Bocca, in cui si straparla della Resistenza, si dicono una quantita' notevole di stupidaggini e in cui si dimostrano ignoranza, parzialita', impulsi censori, una qualche abilita' retorica e argomentativa, ma in ultima analisi una esplicita concezione della storia ancella della politica davvero raccappricciante.
Detto questo, non riesco a eccitarmi piu' di tanto nel dibattito. I comunistoni vecchi e nuovi che difendono l'onore della Resistenza e dell'anti-fascismo militante, a costo di negare la storia; un giornalista che fa storia (da giornalista puro: senza dati ma con tanti aneddoti); l'uso violento della parola "revisionista", come una parolaccia (non l'ho mai capito: ma non e' questo che fanno gli storici intelligenti? ma da dove viene l'accezione negativa? "negazionista", capisco che e' un insulto, ma "revisionista" proprio no); e i lettori che in tutto questo non hanno base di riferimento se non l'ideologia.
Quanti erano i partigiani (i partigiani, non gli iscritti all'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia - l'ANPI - quelli includono di tutto e di piu', suppongo)? Quanti i Nazisti che hanno ucciso? Quale il loro contributo militare alla liberazione (non so come si misuri, ma sono aperto a tutto, purche' ci siano dei numeri e dei documenti)? Quanti i morti dopo l'Aprile 1945? Documenti che provino che Togliatti e i comunisti avessero in mente la liberazione e la rivoluzione del proletariato in un sol colpo? Documenti che provino cosa ne pensava Stalin di questo?
Questi dati esisteranno senz'altro. Ma perche' Pansa, Bocca, Curzi e accoliti non fanno il loro mestiere di giornalisti divulgatori e non divulgano a chi, come me, sarebbe interessato ma non ha il tempo di cercarseli da solo i dati e i documenti? E Fassino, l'Anpi, e compagni: se Pansa da tanto fastidio, invece di dargli del berlusconiano venduto, perche' non lo si zittisce con i dati e i documenti di cui sopra? Insomma, a me pare che tutto questo dibattito intellettuale, non sia affatto un dibattito e certo non intellettuale. Solo uno spreco di tempo.
Nessuno, in tutto questo dibattito, che noti il suo ovvio riferimento intellettuale, il concetto di identita' nazionale. Nella storia di molti (forse tutti) i paesi con una identita' nazionale, tale identita' e' fondata su eventi in parte romanzati per apparire piu' nobili e puri di quello che sono. Nel nostro paese, direi, tali eventi sono il Risorgimento e la Resistenza. La Resistenza e' stata assunta a evento fondamentale di identita' nazionale non solo in Italia, ma anche in Francia (con ancora meno base storica, da quel che capisco) e nell'Europa dell'est. Una fonte fondamentale per capire questo processo di formazione dell'identita' nazionale in Europa dopo la guerra e' il libro di Toni Judt la cui recensione e' tra le prime cose che ho fatto per nFA.
Piu' in generale, sociologi e storici hanno identificato le falsita' (gli abbellimenti di eventi storici) che sostengono l'identita' di molte nazioni, incluse nazioni che hanno combattuto per secoli (e continuano a farlo) per avere tale identita' riconosciuta, come l'Irlanda e la Palestina. La letteratura e' sterminata, ma dei buoni punti di partenza sono i libri di Anthony Smith, ad esempio National Identity, Univ. of Nevada Press (1993); ma anche Eric Hobsbawm, Nations and Nationalism since 1780: Programme, Myth, Reality, Cambridge University Press (1992), e soprattutto la collezione, Nationalism, curata da John Hutchinson e Anthony Smith, Oxford University Press, 1995. Le orgini del nazionalismo palestinese e del nazionalismo arabo sono invece studiati da Rashid Khalidi, in Palestinian Identity, Columbia University Press (1998) e The Origins of Arab Nationalism, Columbia University Press (1993).
L'enfasi sulla resistenza in Italia mi ha sempre dato fastidio, anche se per motivi probabilmente diversi da quelli di Pansa. La resistenza è sempre stata comoda perché ha permesso di dimenticare i crimini commessi dai soldati italiani durante la guerra, non solo all'estero ma anche in Italia durante l'occupazione tedesca. E il contributo stesso della resistenza contro i tedeschi, tanto esagerato dalla storiografia italiana, fu ben poca cosa rispetto a quello degli alleati.
"Nella storia di molti (forse tutti i) paesi con una identita' nazionale, tale identita' e' fondata su eventi in parte romanzati per apparire piu' nobili e puri di quello che sono. Nel nostro paese, direi, tali eventi sono il Risorgimento e la Resistenza."
E' vero, ma il concetto di "identità nazionale" non è che altro uno specchio per le allodole, buono solo ai politici per giustificare le loro posizioni inutili e le rapine fiscali ai contribuenti.