Dice Sergio, esprimendo un'opinione che credo comune a molti:
Volevo chiederti: ma secondo te, in Italia, è tutto da buttare? Che facciamo, ci trasferiamo in blocco in Spagna (questo per rispondere ad altri tuoi commenti in cui suggerisci di emigrare: e che facciamo, emigriamo tutti? Ti sembra coraggioso o da codardi?)
Non credi che la nostra forza siano i (e il nostro riconoscimento dovrebbe andare ai) tanti signor Rossi, che nelle condizioni più avverse fanno il loro mestiere e lo fanno bene (mio padre è stato per oltre 30 anni un tecnico FIAT davvero capace (stando ovviamente a quello che mi racconta lui ;-)). Dai tuoi commenti non sembri aver riguardo neppure per loro (ma immagino che non sia così)
Anzitutto, togliamo di mezzo gli equivoci.
Io uso spesso l'esempio della Spagna proprio perché è paradossale, non perché io ritenga la Spagna un paradiso! Al contrario, la Spagna ha tanti difetti e patisce una tendenza generale all'italianizzazione, che sinora ha resistito con misto successo. La Spagna è un utile termine di paragone proprio per questo: cultura di base e composizione sociale simili, povertà antica, oscurantismo clerical-fascista sino all'altro giorno, arretratezza economica rispetto non solo all'Europa ma anche a noi sino alla democratizzazione, ... La Spagna era un paese dove, negli anni '70 ed '80, se dicevi che eri italiano la gente ti guardava con invidia, chiedeva consigli, voleva imitarti, ... dicevano "Los italianos arrazan ...". Oggi ha un reddito leggermente superiore al nostro e, a mio avviso, continuerà ad averlo per qualche tempo ancora. Sta facendo (alcune del) le riforme di cui in Italia si parla a vanvera senza farle, la corruzione politica è 1/10 dell'italiana, l'apparato dello stato costa enormemente meno, eccetera. Per questo è utile compararsi alla Spagna: perché fare come in Spagna (quando e dove fanno meglio di noi) è perfettamente possibile, non è chiedere la luna tipo quelli che vorrebbero fossimo la Svezia o la Danimarca, che son assurdità anti-storiche, o gli USA, che oramai secondo me nemmeno conviene più imitare (ma questo è un altro discorso!).
Si dà poi il fatto che io in Spagna ci sia re-emigrato per scelta, nel tentativo di trovare un posto in Europa dove potessi sia vivere che lavorare bene. Tentativo riuscito, grazie. La scelta, ovviamente, non è avvenuta per caso: era ed è un posto dove si può vivere molto all'italiana (in quelle parti che mi piacciono) senza dover soffrire all'italiana. Tanto per dire, l'università spagnola ha iniziato ad offrire (non solo a me, a centinaia di stranieri) ottime posizioni quando l'università italiana nemmeno si sognava di farlo, anzi bocciava i migliori italiani. Mi fermo qui, ma dà l'idea, spero.
Secondo equivoco: io non credo proprio di aver mai "mancato di rispetto" ai vari signor Rossi che fanno il proprio dovere, almeno non ne ho mai avuto l'intenzione. Quale mio commento darebbe quest'impressione? Ovviamente in Italia vi sono milioni di persone che fanno il loro dovere ed anche di più, altrimenti il paese sarebbe affondato da un pezzo visto il grande numero che non fa la propria parte! Ho ancora svariate centinaia di amici in Italia, di tutte le tendenze politiche, età e condizioni sociali: credo che tutti loro facciano abbondantemente il proprio dovere. Sono talmente intollerante - credo che in Italia, nel giro buono, sia questo il termine adeguato - da aver deciso da tempo di tagliare, unilateralmente, ogni relazione di amicizia con quelle persone su cui ho sufficiente evidenza che così non è. Spero di potermi evitare gli esempi con nome e cognome ...
Ho quindi grande rispetto per quelli che fanno il proprio dovere. Ma il fatto che (non è solo un'idea tua, Sergio: è un'idea che in Italia si sente spesso, quindi nulla di personale) in Italia sia necessario riconoscere pubblicamente che X o Y hanno fatto il proprio dovere dovrebbe dar da riflettere. Quanto impazzito deve essere un paese se si tende a riconoscere come fatto straordinario e degno d'encomio che si faccia nient'altro che la propria, regolare e comune, parte?
Credo tutti ricordino l'affermazione (di BB, se non ricordo male) secondo cui è mal ridotto quel paese che ha bisogno d'eroi. Quanto mal ridotto può mai essere, allora, un paese che ha bisogno di trovare eroismo nella conduzione d'una vita professionalmente ed eticamente normale? Riflettere su questo fatto dovrebbe permettere di porre la questione "scelta di emigrare" nei termini che le competono, che sono a mio avviso i seguenti: l'eroismo individuale NON può essere il criterio su cui si basano le scelte di vita personali.
Non è legittimo, né moralmente né politicamente, costruire un paese in cui i migliori debbano porsi la questione del "coraggio" o dell'"eroismo" nel momento in cui scelgono cosa fare della propria vita. Un paese sano è un paese dove tra i 15 ed i 25 anni, nel decidere cosa fare della propria vita, si usano criteri come "quello che mi piace, conviene, attira, gratifica, entusiasma ...". Se parole come "coraggio", "abnegazione", "amor di patria", "dedizione al paese", "eroismo" ... entrano in scena, allora vuol dire che siamo decisamente fuori strada, che siamo proprio nei guai.
Ed infine, davvero la scelta dell'emigrazione è quella facile, quella più semplice? Sento spesso questa affermazione, rivolta in tono di sfida o di rimprovero a quelli che, come me, sono emigrati ed hanno avuto un minimo di fortuna. Il sottinteso è che per noi è stato facile, siamo andati alla 'merika dove scorre il latte ed il miele, abbiamo avuto la grande fortuna di emigrare ed ora diamo facili lezioni dal nostro pulpito dorato. Questo non è quello che Sergio Beraldo afferma, sia chiaro, ma era questo (tanto per non far nomi) quello che Renato Soru chiaramente diceva alcuni mesi fa apostrofandomi in televisione o che il responsabile economico del PD sottintendeva definendo nFA "expatriate upper class" ...
Queste affermazioni sono false, anzi sono ridicole. Per una banale ragione, che un economista capisce al volo: selection bias. Quando si decide di emigrare, l'incertezza è totale ed il rischio è alto. Infatti, emigrano sempre e solo due tipi di persone: quelli i cui meriti vengono sistematicamente negati ed hanno capito, mancando i privilegi di partenza, di non avere una chance e quelli che non hanno nulla da perdere. Perché emigrare è sia rischioso che personalmente costoso: lo si sceglie solo perché costretti e solo come ultima soluzione ad una situazione altrimenti insostenibile. Certo, spesso lo si fa perché non ci si vuole piegare agli abusi del potere, non ci si vuole adattare, ma è comunque costoso. Di nuovo, ogni emigrante che ho conosciuto (non solo e non tanto in accademia) ti racconta la storia dell'amico che è rimasto e si è adattato, della morosa che l'ha mollato perché se ne andava, del padre che cercava di fargli notare che alla fine quel miserabile lavoretto non era così miserabile, eccetera. Insomma, non so se ci vuole "coraggio", so per certo che è la strada più difficile quando viene intrapresa.
Ed a molti va male! Ad alcuni, per carità, va bene, ad alcuni benissimo. Ma a parecchi va male forte. Alcuni di questi tornano con le pive nel sacco, altri rimangono fuori ma malediscono il giorno in cui son partiti. Poiché il giudizio va dato ex ante e non ex post queste cose vanno tenute in conto: l'evidenza suggerisce che emigrare non sia la soluzione facile facile per chi non ha il coraggio di affrontare la realtà. È una maniera, come tante altre sia chiaro, di affrontare la realtà del paese Italia, che è quella che è.
Ed infine, perché io consiglio ai giovani capaci di andarsene? Esattamente per le ragioni svolte sino ad ora.
- Perché nessuno puo' arrogarsi il diritto di chiedere a dei giovani capaci di "sacrificarsi" per la "madre patria".
- Perché ritengo che la vita di ognuno meriti di essere vissuta nella limpida ricerca di soddisfazioni professionali e personali. La felicità e la tranquillità individuale contano, eccome se contano.
- Perché i dati a disposizione mi dicono che, purtroppo, oggi in Italia il potere socio-politico sta nelle mani di chi non fa il proprio dovere, sta nelle mani dei mediocri, dei parassiti, degli approfittatori (ero tentato di dire che tale è la maggioranza degli elettori, ma ammetto di non aver dati per sostenerlo). Costoro si reggono approfittando del lavoro dei normali e dei capaci. Insomma, oggi la "madre patria" coesiste con la parte peggiore della medesima, che se ne è appropriata. Se fosse realistico aspettarsi che la "coalizione dei capaci" potesse prendere la situazione nelle proprie mani ed imporre le proprie regole, forse non sarei così pronto a consigliare l'emigrazione ai giovani capaci e ambiziosi. Ma tutta l'evidenza mi dice che le cose non stanno così, anzi: stanno esattamente al contrario.
Quindi, poiché ritengo moralmente ingiustificato chiedere a dei giovani capaci d'immolarsi per una "patria" saldamente in mano ai mediocri ed agli approfittatori, credo sia legittimo ricordare a ognuno di questi ragazzi che di vita ce n'è una, che è nostra e che la si può vivere bene e con soddisfazione anche lontano da dove si è nati e cresciuti.
Perché, alla fine, se la maniera migliore per ammazzare il parassita per sempre è negargli il sangue di cui si nutre, allora l'emigrazione massiccia dei capaci fa proprio quello: nega la nutrizione ai parassiti che hanno in mano il paese. Insomma, emigrare è non solo individually rational, è anche "patriottico" ...
Grazie,
con il cuore