Introduzione
Mi si perdonerà la pignoleria da accademico, ma vorrei iniziare questo post con un brevissimo riassunto della conventional wisdom intorno al federalismo fiscale. Lo faccio, oltre che per pignoleria, perché mi pare che il dibattito attuale prosegua in modo totalmente disancorato dal corpo di analisi teorica che gli economisti hanno sviluppato.
Per ragionare è utile considerare i due casi estremi in cui si può organizzare il finanziamento degli enti locali, in modo che risultino più evidenti vantaggi e svantaggi.
- Finanziamento centrale, ossia lo stato centrale raccoglie le tasse e poi le ripartisce tra gli enti locali in base a qualche criterio (tipicamente demografico). L'ovvio vantaggio di questo metodo è di tipo assicurativo: mette i cittadini al riparo da oscillazioni nella pressione fiscale o nella quantità di servizi erogati che dipendono da variazioni della base imponibile locale. Rimane il rischio, difficilmente diversificabile, legato all'andamento dell'economia nazionale. L'ovvio svantaggio è la mancanza di responsabilizzazione degli amministratori locali: non esiste alcun incentivo a limitare la spesa. In effetti, se è possibile ottenere risorse addizionali in caso di deficit, l'incentivo va in direzione esattamente opposta.
- Completa decentralizzazione. Agli enti locali viene assegnata una base imponibile che possono colpire con tassazione. Gli enti determinano sia l'entità delle spese sia le aliquote. Vantaggi e svantaggi sono esattamente speculari a quelli del finanziamento centralizzato. Da un lato, i cittadini sopportano un rischio maggiore, dato che quanto pagano di tasse e quanto ricevono in termini di servizi dipenderà non solo dal rischio aggregato dell'economia nazionale ma anche dalle variazioni idiosincratiche della base imponibile locale. Dall'altro, gli amministratori locali vengono resi pienamente responsabili delle loro scelte di spesa, dato che queste possono essere finanziate solo con maggiori tasse sui propri elettori.
I sistemi concreti utilizzati per il finanziamento degli enti locali cadono, come è logico attendersi, tra questi due estremi; una parte del finanziamento arriva dallo stato centrale e funziona come copertura assicurativa minima, mentre agli enti locali viene comunque garantita una certa autonomia su specifiche base imponibili (tipicamente gli immobili).
La teoria economica offre anche alcune indicazioni su quali sono le caratteristiche delle basi imponibili da assegnare agli enti locali (un riassunto recente si può trovare qui). In primo luogo, dato che tipicamente è bene restringere la capacità di indebitamento degli enti locali, la base imponibile dovrebbe essere scarsamente sensibile al ciclo economico. In tal modo si evita un andamento pro-ciclico nell'offerta di servizi pubblici locali. In secondo luogo, la base imponibile non può essere troppo mobile, dato in tal caso la tassazione diventa troppo difficile e viene a mancare il finanziamento. Parentesi per prevenire l'obiezione di chi dice ''è bene che la concorrenza tra enti tenga le tasse basse'': se si vuole veramente tener basse le tasse su una certa base imponibile, lo stato centrale può sempre dire che non va tassata; se la si assegna come fonte di finanziamento agli enti locali allora deve essere possibile usarla - nel caso italiano questo è rilevante per l'IRAP e il finanziamento delle regioni. Infine, nella misura in cui questo è possibile, è bene individuare basi imponibili la cui distribuzione non sia drammaticamente disuguale sul territorio nazionale. Questo ovviamente è un problema particolarmente spinoso in Italia.
A questo si può aggiungere un principio di carattere generale, che riguarda sia il governo centrale sia quelli locali: servizi pubblici che offrono benefici individuali (come ad esempio sanità e istruzione) dovrebbero essere il più possibile finanziati mediante tasse pagate dagli utilizzatori di tali servizi. Ovviamente interventi di carattere distributivo per favorire l'accesso a tali servizi di persone a basso reddito sono sempre possibili, ma come principio generale è bene che la redistribuzione avvenga a livello centrale.
I contenuti del federalismo municipale
Come si colloca il decreto sul federalismo municipale, che ha passato l'approvazione definitiva, rispetto a questo quadro analitico? Il ''nuovo'' modello di finanziamento dei comuni si basa su quattro componenti: compartecipazioni a imposte decise centralmente, imposizione sugli immobili, addizionale IRPEF e possibilità di imporre nuove tasse (come la tassa di soggiorno). Non staremo qui a descrivere in dettaglio la legge, potete trovare un riassunto abbastanza esaustivo in questo articolo del Sole 24 Ore (e se siete di corsa guardate qui o qua). Cercheremo invece di valutare la qualità della legge in base alla teoria economica esistente.
Il meccanismo della compartecipazione che, nella nuova normativa, si applica a IVA, varie imposte sugli immobili e cedolare secca sugli affitti, riunisce gli aspetti peggiori del sistema centralizzato e di quello decentralizzato. Il suo funzionamento può essere inteso guardando alla cedolare secca sugli affitti. Lo stato centrale ha deciso che il reddito degli affitti non andrà a integrare la base imponibile IRPEF ma verrà assoggettato a tassazione separata, del 21% o del 19% a seconda dei casi (un provvedimento che in verità non ha nulla a che vedere con il federalismo). Parte dei soldi raccolti, per l'esattezza il 21,7% nel 2011 e il 21,6% dal 2012, verrà data ai comuni nei quali gli immobili in affitto sono situati. Come si vede in questo modo si elimina il meccanismo di carattere assicurativo proprio del finanziamento centralizzato, dato che le entrate di ciascun comune sono ora esposte al rischio di variazioni locali del gettito, senza offrire i vantaggi che derivano dalla responsabilizzazione degli amministratori locali. Infatti i comuni non possono variare l'aliquota di questa imposta, essa non dipende da loro. L'unica cosa che possono fare è spenderne il gettito che viene, comunque, determinato centralmente. Insomma, il meccanismo ha gli stessi deleteri effetti del finanziamento centralizzato senza averne i benefici assicurativi.
La compartecipazione per la cedolare secca sugli affitti è almeno chiara in termini dei numeri implicati. La determinazione del meccanismo di compartecipazione IVA, invece, merita di essere citata per intero dato che tocca punte da teatro surrealista.
La percentuale della compartecipazione al gettito dell’imposta sul valore aggiunto prevista dal presente comma è fissata, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica, in misura finanziariamente equivalente alla compartecipazione del 2 per cento al gettito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. In sede di prima applicazione, e in attesa della determinazione del gettito dell’imposta sul valore aggiunto ripartito per ogni comune, l’assegnazione del gettito ai comuni avviene sulla base del gettito dell’imposta sul valore aggiunto per provincia, suddiviso per il numero degli abitanti di ciascun comune.
Le difficoltà tecniche con cui si scontrerà l'attuazione pratica di questa norma sono già state segnalate da altri, e non è il caso di ripeterle qui. Basti qui dire che al momento non è chiaro se sia effettivamente fattibile imputare l'IVA agli enti appropriati. E facile, molto facile in verità, vedere dove tutto l'ambaradan andrà a parare. Il meccanismo della compartecipazione IVA era infatti usato (e con tutta probabilità continuerà a essere usato) per il finanziamento delle regioni. La pratica invalsa, che con ogni probabilità continuerà intatta, era quella di determinare ex post l'aliquota di compartecipazione mediante estenuanti trattative tra stato centrale e regioni. Come ha di recente ricordato il presidente COPAFF Luca Antonini (audizione del 2 marzo scorso, disponibile sul sito della commissione) la compartecipazione IVA ''ha, da tempo, assunto la forma di un trasferimento negoziato'', per cui ''l'aggancio tributario versione IVA del finanziamento della spesa per la sanità maschera, in realtà, un mero trasferimento dal bilancio statale''. Con il ''nuovo federalismo'' si aggiungeranno i comuni all'allegra brigata dei negoziatori incessanti. Le regioni, in Italia, sono 20; avete presente quanti sono i comuni?
Si tratta in effetti di una forma particolarmente scadente e pericolosa di trasferimento centralizzato. La ragione è che la quantità dei trasferimenti, anziché essere determinata ex ante in base a regole chiare e rigide, verrà determinata ex post al tavolo negoziale. Oltre a generare maggiore incertezza in termini di risorse disponibili, l'esperienza del passato suggerisce che gli enti locali riusciranno a spuntare trasferimenti più alti se si presenteranno al tavolo negoziale con bilanci in deficit, il ché fornirà un ovvio incentivo all'espansione della spesa locale.
Un possibile effetto benefico delle norme sulla compartecipazione sta nel coinvolgimento degli enti locali nella lotta all'evasione, in particolare per l'emersione degli immobili ''fantasma''. Come tutte le previsioni di maggiore gettito basate sulla lotta all'evasione, è opportuno esercitare al riguardo molta cautela. Aspettiamo dunque a vedere quali saranno gli effetti reali. Va notato comunque che queste norme potevano essere introdotte senza far alcun riferimento al meccanismo della compartecipazione.
L'imposizione sugli immobili, che dovrebbe essere la chiave di volta del nuovo sistema, diventerà effettiva a partire dal 2014. In principio questa imposta soddisfa molti dei requisiti teorici che un buon sistema di finanziamento locale richiede, ed è ampiamente usata nel mondo. La novità è limitata, dato che in sostanza si tratta di una riproposizione del meccanismo dell'ICI assieme a una unificazione e razionalizzazione di altre imposte esistenti che colpiscono il patrimonio immobiliare. Il meccanismo attuale prevede una limitata, ma non irrilevante, possibilità per i comuni di cambiare le aliquote: l'aliquota base è centralmente stabilita allo 0,76% del valore dell'immobile, ma i comuni possono aumentarla o diminuirla dello 0,3 (aliquote ridotte si applicano agli immobili dati in locazione). Questa maggiore aderenza ai principi della responsabilizzazione degli amministratori locali è pero sostanzialmente vanificata dal divieto di colpire gli immobili adibiti a prima abitazione. Si tratta del proseguimento di una politica populista e deleteria che aveva iniziato il governo Prodi e che il governo Berlusconi ha peggiorato. Anche in questo caso sembra quindi che il nostro legislatore sia riuscito nel piccolo miracolo di ottenere gli effetti negativi evitando quelli positivi. Data la diffusione del possesso dell'abitazione in Italia, la base imponibile sarà limitata e costituita essenzialmente dagli immobili di chi non vota alle elezioni locali: seconde case e imprese. La ridotta base imponibile virtualmente assicura che i comuni non avranno grossi spazi di riduzione delle imposte. Non solo: poiché le seconde case sono di fatto concentrate nei comuni situati in zone turistiche la distribuzione territoriale di questa base imponibile è fra le più diseguali che si possano immaginare. Dato che nemmeno avranno gli incentivi a farlo (perché ridurre le tasse a chi comunque non vota?) è molto probabile che l'effetto netto sarà un aumento delle imposte, soprattutto sulle imprese. Alcune stime preliminari situano al 20% l'incremento nella tassazione per gli immobili strumentali, senza contare i possibili aumenti discrezionali dei comuni. Alla fine sembra che di questo si sia accorta perfino la signora Marcegaglia, che ha rilasciato al proposito dichiarazioni caratterizzate dall'usuale coraggio (nota per chi ha poco senso dell'umorismo: la frase è ironica). Il sospetto che l'introduzione della nuova imposta sia stato ritardato al 2014, ossia a una data sicuramente posteriore alle prossime elezioni, per non render chiare le sue conseguenze all'elettorato è a mio avviso più che legittimo. In ogni caso, a Cortina e Capri si preparano a festeggiare, a Mestre e Catanzaro abbastanza di meno.
L'addizionale sull'IRPEF è anch'essa soggetta a varie restrizioni in termini di aliquota e non è nullla di nuovo. Si tratta comunque dell'aspetto più visibile dell'aumento di tasse indotto dal federalismo municipale, dato che non solo è immediato ma è anche retroattivo. I comuni possono infatti, se lo deliberano entro il 31 marzo, applicare un'addizionale dello 0,4% all'imponibile IRPEF relativo al 2010. È una pessima abitudine italiana, che una volta di più si rivela bipartisan, quella di istituire tasse retroattive (sono sicuro che molti lettori ricordano la ''tassa per l'Europa'' del primo governo Prodi). È un sintomo della improvvisazione e del dilettantismo con cui questo governo ha affrontato la questione del finanziamento degli enti locali. Negli anni passati si sono cancellate fonti di entrata (ICI, trasferimenti statali e addizionali) senza alcun piano chiaro in mente e per ragioni di pura propaganda. La concessione della possibilità di tassare retroattivamente il reddito serve a dare una boccata di ossigeno ai comuni. Chiaramente il governo spera in questo modo di continuare a poter affermare di non aver messo le mani nelle tasche degli italiani, assegnando la colpa agli enti locali. La realtà è ben diversa.
Poco da dire infine sulle nuove tasse. L'imposta di soggiorno in principio dovrebbe dare responsabilità agli amministratori locali, ma è strettamente regolata dal centro sia nella quantità (non più di 5 euro), sia nelle modalità di esercizio (deve essere proporzionale al prezzo dell'albergo, può essere applicata in alcuni comuni e non in altri), sia nella destinazione del gettito (che ''è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, etc. etc.''). Nella misura in cui la domanda è rigida può anche essere scaricata sui clienti degli alberghi, ossia su non-elettori, con ulteriore effetto deresponsabilizzante. Le restrizioni scritte nella legge sono probabilmente generiche e inefficaci, ma rappresentano un segnale in più di come il governo non creda veramente all'autonomia degli enti locali. L'imposta di scopo è di fatto una addizionale all'imposta sugli immobili, da istituire per finanziare opere pubbliche. Difficile al momento dire che impatto potrà avere.
Sostenibilità della normativa
Il nodo cruciale su cui da sempre si sono infranti i disegni di riforma federalista è quello della disparità delle basi imponibili tra nord e sud. Da questo punto di vista la nuova normativa prosegue semplicemente la lunga tradizione di far finta di niente, delegando a trattative future la ricomposizione degli squilibri. La legge prevede un ''Fondo sperimentale di equilibrio'' della durata di tre anni, che poi verrà sostituito da un fondo perequativo, a sua volta articolato su due componenti, etc. etc. etc. La determinazione delle quantità dovrebbe essere legata ai famosi fabbisogni standard che però nessuno sa bene come determinare e la cui approvazione definitiva è ancora in alto mare (qui trovate il decreto approvato lo scorso novembre e qui un commento di Arachi e Zanardi). E abbastanza facile prevedere che la determinazione dei fabbisogni standard si tramuterà in poco più di un esercizio di contrattazione politica teso alla rideterminazione del livello dei trasferimenti. Data la perdurante incertezza sulla materia e dato l'impianto complessivo della legge, che di fatto non fa alcun serio tentativo di responsabilizzare gli enti locali, la previsione più plausibile è che la perequazione continuerà a essere affrontata come è stata affrontata finora, ossia con trattative ex post e provvedimenti speciali. Nulla di nuovo sotto il sole.
Alla luce di queste considerazioni è semplicemente stupefacente la valenza politica che è stata assegnata al provvedimento. I dirigenti della Lega Nord sembrano convinti che questi provvedimenti valgano il prezzo di accettare qualunque compromesso su tutti gli altri aspetti dell'azione governativa. Il fatto è che perfino per i ristretti interessi di casta degli amministratori del Nord, che evidentemente sperano di ottenere più risorse senza assumersi troppe responsabilità, questa legge fornisce benefici abbastanza limitati. Almeno parte dell'elettorato della Lega sembra essere convinto di doversi aspettare grosse cose da questo provvedimento. Sarebbe interessante sapere quanti di questi elettori sono coscienti che la maggiore repressione dell'evasione fiscale e l'aumento della tassazione sulle imprese sono tra le poche novità della legge. È infine abbastanza deprimente il tono generale del dibattito che si è venuto svolgendo. Comprensibilmente, le organizzazioni degli amministratori locali hanno puntato al reperimento di sufficienti risorse per i loro enti. Ma in questo braccio di ferro le possibili reali innovazioni che si potevano auspicare, in termini di maggiore responsabilizzazione e riduzione della tassazione, sono completamente scomparse dal radar. L'ennesima occasione persa.
Da "leghista" mi sembra che l'articolo sia del tutto condivisibile.
Tuttavia, una risposta alla domanda:
non potrebbe essere:
perché può votare comunque con i piedi?
No, perche' nel caso che discute Sandro andandotene non porti via con te la base imponibile, che e' cio' che fa funzionare il meccanismo "votare con i piedi". L'immobile resta dov'e', anche se tu lo vendi.
P.S.: mentre scrivevo e' riaffiorato un ricordo d'infanzia :-) una storia di Topolino intitolata "Zio Paperone e il deposito semovente", in cui Paperone per evitare l'applicazione di una nuova tassa municipale ad hoc sul contenuto del suo deposito mette i cingoli all'edificio e lo trapianta altrove. In questo caso funziona.