L’euro non c’entra

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L'euro è erroneamente visto come la causa della crisi mediterranea, e la politica monetaria estrema di uscire dall'euro è vista come la soluzione. Gli attuali problemi sono interamente dovuti a politiche fiscali sbagliate sia nel passato che nel presente. La soluzione sta in riforme di natura fiscale, anche se estreme.

Per giustificare il titolo basterebbe notare che durante questi 12 anni dell’euro i due paesi dell’eurozona che hanno perso meno quote di export nel totale mondiale sono proprio la Spagna e l’Italia. Ma la situazione è sempre più drastica, e il pessimismo crescente per l’Italia sta fomentando tra l’opinione pubblica ricette di politica economica sempre meno lucide. In parte questo è dovuto ad un gioco di credibilità che tenta di fuorviare le colpe ad elementi esterni (i subprime, gli speculatori, le banche, le agenzie di rating) per celare con il mantello dell’ottimismo le debolezze interne che sono alla vera base della crisi. In parte però i facili rimedi oggi in auge sono dovuti ad una confusione sulle dinamiche della crisi e sulla differenza tra politiche fiscali e monetarie. Così, il capro espiatorio dell’attuale caccia alle streghe è diventato l’euro, che viene sempre più di frequente additato, se non addirittura come colpevole della crisi, perlomeno come elemento che deve per forza saltare perché l’economia si riprenda.

Ci sono almeno tre luoghi comuni sull’euro. Il primo riguarda la convinzione che la politica monetaria può funzionare solo se sotto il diretto controllo dei governi di ogni stato. Qui si potrebbe aprire un vaso di Pandora sia di convinzioni errate (tipo che la BCE sarebbe un istituto privato), sia di argomenti discutibili (tipo se è proprio necessaria la moneta unica). A prescindere si sta sbagliando bersaglio, perché la politica monetaria con l’attuale crisi c’entra poco. Intanto la BCE ha comunque tentato il possibile, dati i limiti della politica monetaria. Il fatto è che una banca centrale, anche se praticatasse il rimedio estremo di stampar moneta a manetta, non creerebbe ricchezza e non stimolerebbe la crescita. Avere più euro in circolazione, o lire e dracme, non affronta per niente il vero problema di questa crisi. Il problema odierno è di debito pubblico (l’accumulo di decenni di politica fiscale sbagliata), di poca crescita (dovuta ad una politica fiscale sbagliata), e di un mercato finanziario che considera sempre più rischioso fare credito a certi stati che perseverano in questa politica fiscale sbagliata.

Il secondo luogo comune considera il peccato originale nel cambio euro-lira sbagliato in partenza che ha causato un decennio intero di crescita anemica per l’Italia. Intanto quel cambio era stabilito dalle forze di mercato e ci si dimentica che il cambio di quasi 2000 lire per euro era dovuto anche al fatto che lo stato italiano aveva anche allora un enorme debito pubblico (dovuto a decenni di politica fiscale sbagliata). I 2,5 milioni di miliardi di lire di debito nel 1999 sono diventati “solo” 1300 miliardi di euro, anziché 2500 miliardi di euro se il cambio fosse stato, per fare un esempio, 1000 lire per euro. L’unica cosa che l’entrata in vigore dell’euro ha causato è stato il privare lo stato italiano della valvola di sfogo della svalutazione come rattoppo per una politica fiscale perdente. L’euro ha costretto lo stato italiano a guardare in faccia i propri problemi strutturali privandolo della scorciatoia della svalutazione, cosa che comunque non sarebbe stata concessa all’infinito in un mercato unico come quello europeo. Quindi anche qui il problema non è l’euro, ma la politica fiscale italiana che fa lentamente perdere competitività e crescita alla propria economia.

Il terzo luogo comune riguarda l’inevitabile uscita dall’euro “per evitare il default” della Grecia o dell’Italia. Un eventuale default e la permanenza della Grecia e dell’Italia nell’euro sono due cose separate. Dal punto di vista degli altri paesi europei, l’unica conseguenza avversa per loro sarebbe se la BCE decidesse di monetizzare il debito greco e italiano. Questo spalmerebbe il peso del debito pubblico greco e italiano a tutta l’Europa tramite un euro svalutato e più inflazione per tutti. In assenza di questa politica monetaria europea non c’è alcun motivo nel credere che l’uscita dall’euro avvenga per “espulsione”. Dal punto di vista del paese in difficoltà (Grecia o Italia), si può discutere se far parte dell’euro convenga o no, ma questo non è pertinente con la crisi attuale. Uscire dall’euro servirebbe a ripagare i propri creditori (i detentori dei titoli di stato) in dracme o in lire svalutate. Che differenza fa ripagare i propri debiti in lire svalutate piuttosto che rimanere nell’euro e dichiarare un default parziale? Nessuna, perché in ambedue i casi il creditore rimane fregato e si perde di credibilità avendo più difficoltà a trovare chi finanzia il proprio deficit pubblico in futuro.

In conclusione pensare che l’euro sia colpevole dell’attuale crisi, o addirittura credere che si possa venirne fuori tramite una politica monetaria disperata (tipo l’uscita dall’euro) è sbagliato. È come bombardare l’Iraq in risposta all’attacco alle torri gemelle: c’entra poco o nulla. Magari si vuole fare per altre ragioni, ma con la crisi attuale l’euro proprio non c’entra. Quello che c’entra non è appunto la politica monetaria, ma bensì la politica fiscale dei paesi in maggior difficoltà.

È vero che l’attuale crisi ha le sue radici in uno shock esterno. La crisi finanziaria del 2008 e 2009 non è nata in Italia o in Grecia, ma l’atrofizzarsi dell’economia globale ha ridotto le entrate fiscali per tutti i paesi, e gli stati fiscalmente più deboli, e cioè con un debito pubblico maggiore, si sono trovati in prima linea. Quando arriva un’epidemia sono i più deboli di salute a lasciarci le penne, anche se i più avveduti al proprio stato fisico. L’economia italiana oggi paga i decenni di indebitamento dello stato italiano. Una politica fiscale che ha speso addirittura di più di quanto tassava, drogando temporaneamente la crescita con una spesa pubblica eccessiva, e con investimenti pubblici che evidentemente non hanno lasciato traccia come maggiore crescita. Esistono purtroppo ancora troppi dinosauri che nel 2012 credono ancora che la ricetta della ripresa stia nelle opere pubbliche. In parte sbagliano nel credere che la perdita di competitività sia dovuta ad una mancanza di infrastrutture rispetto ad altri paesi europei, perché sono ben altre le ragioni che inducono le nostre imprese a chiudere. In parte ignorano totalmente il vincolo di bilancio, perché la spesa pubblica la devi finanziare o con ulteriore indebitamento (e siamo arrivati al capolinea per il debito pubblico) o sottraendo risorse tramite ulteriori tasse (e siamo arrivati al capolinea anche qui) agli stessi cittadini che vorresti stimolare con una spesa pubblica.

La zavorra del debito pubblico l’abbiamo comunque ereditata, ma anche la politica fiscale attuata nell’ultimo anno lascia a desiderare perché si basa sul mantra “prima il rigore fiscale e poi la crescita” che ignora il banale fatto che il rigore fiscale basato su ulteriori tasse (IMU, IVA, ecc...) fa a pugni con gli stimoli per la crescita. L’attuale governo sta attuando una politica da contabili miopi svolta a far cassa oggi e che, o sottovaluta il peggioramento che causerà per il Pil, oppure spera che il Pil si riprenda in maniera esogena grazie alla ripresa dell’economia globale. Qui non si tiene conto che con la globalizzazione una ripresa della locomotiva tedesca non ha lo stesso impatto sull’economia italiana come vent’anni fa, perché la competizione si è fatta globale e l’industria italiana ha perso di competitività a causa di un problema strutturale che sta alla base di tutto.

I timidi tentativi di riforma del mercato del lavoro, delle privatizzazioni, o la recente promessa di ripagare i debiti che lo stato ha verso le imprese aiutano solo in maniera marginale. Se non si tocca il vero problema di competitività che ha l’Italia e che ormai ha messo in ginocchio troppe imprese uno scenario greco sarà alle porte. Il problema che l’economia italiana subisce è di natura fiscale, ed è sempre quello. Parte dell’Italia è soffocata da una pressione fiscale insopportabile che non viene minimamente bilanciata da altrettanti servizi pubblici come potrebbe essere in un’economia scandinava. I residui fiscali delle regioni settentrionali parlano da soli, dove la differenza tra tasse pagate e servizi pubblici ricevuti è a livelli di colonialismo. Non è possibile competere in una economia globale con uno svantaggio simile. Queste risorse sono poi redistribuite in maniera disastrosa, finanziando il sottosviluppo delle regioni meridionali anziché la crescita.

La vera riforma deve essere fatta alla radice di questo problema, e subito. Il primo passo da fare immediatamente è simbolico ma aiuterebbe guadagnare credibilità verso i mercati finanziari. È ridicolo che lo stato più indebitato d’Europa abbia una classe dirigente (i parlamentari) che vengono pagati tre volte tanto la media dei loro colleghi europei. Solo riportando immediatamente gli stipendi in media europea si risparmierebbero 100 mila euro per parlamentare all’anno. 100 milioni di euro risparmiati ridimensionando il migliaio di parlamentari, 100 milioni di euro facendo altrettanto con il migliaio di consiglieri regionali strapagati, e si potrebbe arrivare tranquillamente ad 1 miliardo operando sulle migliaia di pensioni d’oro e privilegi. Una manovra di un miliardo può sembrar poco ed insignificante, ma è inacettabile risquotere 10 miliardi a milioni di cittadini con l’IMU quando la classe dirigente assomiglia all’aristocrazia francese di fine ‘700.

Il secondo passo è la vera riforma: un’immediata struttura federale, non quella centralista della Lega, ma una vera struttura federale dove ogni regione trattiene la totalità delle proprie risorse e ha la piena libertà di politica fiscale (per abbassare le tasse) come avviene nei veri sistemi federali. Questo permetterebbe di eliminare le inefficienze abissali nelle regioni abituate all’assistenzialismo, e consentirebbe alle altre regioni di praticare una politica fiscale adatta per poter competere con il resto d’Europa e del mondo. Il problema del debito pubblico? Dovrà essere ripartito per regioni, anche se questo con tutta probabilità si tramuterà, in alcuni casi, in potenziale default.

Se questa riforma non avviene dal parlamento di uno stato che si è dimostrato irriformabile, ricordiamoci che uno stato altro non è che un ente che offre un servizio (pubblico) in cambio di un prezzo (tasse). Se questo ente si rivela obsoleto e inefficiente, si ristruttura anche smantellandolo come si fa per le grosse imprese.

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Commenti

Ci sono 155 commenti

non sono un economista, ma un assiduo lettore di questo blog. come sono anche un assiduo lettore dei blog di krugman, cowen, delong, thoma, FT etc. lo faccio - o almeno ci provo - con pazienza e open-mindedness. e con uguale pazienza leggo affermazione più o meno perentorie che portano a diagnosi e terapie diverse o addirittura incompatibili.

 

per un lettore, come dire?, educated ma non tecnico di dispute macroeconomiche e di political economy, è frustrante. non mi è mai piaciuto il principio di autorità, quindi per me un premio nobel non vale più di un altro prof che argomenta con coerenza e precisione.

 

vorrei quindi chiedere alcune cose:

 

1) che effetto avrebbe una ristrutturazione fiscale severa sulla domanda già depressa? ce la possiamo permettere in tempo di recessione? quali sono le ragioni specifiche per cui si ritiene del tutto sbagliata oggi, nel breve periodo, una politica fiscale espansiva finanziata da Germania e stati più in salute a fronte di misure di ristrutturazione avviate oggi per produrre effetti nel medio periodo?

 

2) in altre parole: delong-summers sulla autofinanziabilità di una politica fiscale espansiva USA in tempo di recessione è replicabile in una Europa a tesoreria accentrata o quasi (eurobond etc?)? oppure c'è una contrarietà di fondo all'idea della policy espansiva per se? e questa contrarietà è più politica che economica?

 

3) siamo d'accordo che una severa correzione dei flussi fiscali verso il sud accentuerebbero nel breve-medio periodo i problemi del sud? che gli "sprechi" sono pur sempre sprechi verso qualcuno che poi fa la spesa in bottega, va dal dentista, paga il meccanico e manda i figli a lezioni private? più in generale: il federalismo perché dovrebbe fermarsi alla regione? perché non al comune o al quartiere? dopotutto milano è 10volte la val d'aosta e due volte il wyoming (per popolazione)? non so se ci siano studi sulla dimensione ottimale di un ente impositore (che poi trattiene tutte le entrate fiscali). il mio sospetto è che ci sia un enorme retaggio storico nonché un'enorme arbitrarietà nello stabilire questi confini.

 

grazie per l'eventuale risposta a questo o quel dubbio.

Come RobertoT, non sono un economista e, a differenza sua, ho iniziato a leggere questo blog solo recentemente, quindi probabilmente mi sono perso qualche discussione gia' fatta a riguardo. Ma, in ogni caso, quando leggo che:

 

Il problema odierno è di debito pubblico (l’accumulo di decenni di politica fiscale sbagliata), di poca crescita (dovuta ad una politica fiscale sbagliata), e di un mercato finanziario che considera sempre più rischioso fare credito a certi stati che perseverano in questa politica fiscale sbagliata.

 

la prima cosa che mi viene in mente e': e il Giappone? E' il paese con uno dei piu' alti debiti pubblici (rispetto al PIL) del mondo, ma quali sono i paesi che vengono invece puniti dai mercati finanziari? Mi sembra difficile non interpretare questa differenza come un problema di capacita' percepita di ripagare il debito (piuttosto che di livello di debito) e mi sembra difficile non attribuire tali diverse capacita' al diverso ruolo svolto dalla banca centrale.

Ma, ripeto, probabilmente mi sono perso qualcosa.

 

che effetto avrebbe una ristrutturazione fiscale severa sulla domanda già depressa? ce la possiamo permettere in tempo di recessione?

 

Ma questo è proprio il motivo per cui molti osservatori anche attenti (Krugman, Ryan Avent [R.A. del blog Free Exchange @ economist.com], De Long, talvolta anche Cowan) ritengono che l'€ sia un serio problema!  Se la BCE avesse una politica monetaria sensata (che significa: molto più espansiva di quella attuale, perché le aspettative di mercato sono quelle che sono) non staremmo troppo a preoccuparci degli effetti di domanda di una politica di austerità.  Alla questione fanno riferimento anche Alesina e Giavazzi in questo articolo su Vox, inserendo easy money policy al primo posto tra le necessarie "politiche di contorno" all'austerity.

(È vero che si pone una questione di distribuzione degli effetti tra i paesi dell'Eurozona, ma tale problema è semmai ancora più evidente nel caso di una politica di bilancio espansiva da parte dei paesi core, come pure viene proposto.  Qui acquista importanza il livello di integrazione economica tra paesi.)

Attenzione, non è che con un intervento di questo tipo si risolvano tutti i problemi, anzi: i limiti di questa politica iniziano ad essere evidenti nel Regno Unito, che soffre di evidenti difficoltà strutturali dopo un decennio di statalismo laburista e una reazione mal ponderata alla crisi del 2008.  E tuttavia, gli interventi di risanamento previsti dal governo Cameron sarebbero stati inattuabili senza il sostegno della Bank of England all'economia britannica.  Lo stesso vale per altri tipi di "riforme strutturali": senza una stabile politica della domanda sono politicamente insostenibili.

1) Non ritengo la politica fiscale espansiva sbagliata. Tanto per essere sicuri di capirici, anche la riduzione delle tasse e' una politica fiscale espansiva. Non sono nemmeno contrario a finanziamenti esteri. Il punto e' che la Germania che ti tira un osso non e' una soluzione al problema di fondo, ma al massimo un rattoppo temporaneo (come la svalutazione periodica).

2) Allora, politica fiscale espansiva puo' essere piu' spesa o meno tasse. Politic fiscale restrittiva puo' essere meno spesa o piu' tasse (quella attuata da Monti). Se vuoi sapere quello che avrei fatto io e' meno spesa e meno tasse, in aggregato neutrale, con meno impatto immediato sui conti pubblici di oggi, ma perlomeno con un minimo di pieta' sulla crescita.

3) Hai ragione, questo punto andrebbe sviluppato. Io credo che l'evasione al sud e' rampante perche' culturalmente e' come pagare le tasse ad uno stato straniero. Credo (forse e' piu' una speranza) che con uno stato proprio (in un sistema federale o no, centra poco) aumenti la responsabilita' e le risorse per pagare i propri servizi arrivino dall'enorme economia sommersa.

Ho provato a cercare di rispondere a queste domande. Mi sono reso conto di non essere in grado di farlo, non le capivo. Le trovavo "autocontradittorie". Incuriosito mi sono quindi andato a vedere chi le faceva. 

Nella presentazione di RobertoT trovo questa frase (che riassume a suo avviso una profonda riflessione di Paul Krugman).

 

 

Dice, in soldoni, che quando si prendono a mutuo 100k per comprare casa, il taglio di bilancio domestico non sarà mai per tutti i 100k ma per, diciamo 6k annui, nonostante i Nostri sappiano bene che il finanziamento in deficit dell'infrastruttura "casa" riduce la loro capacità di spesa futura. 

 

Bene, vediamo. La famiglia Rossi guadagna 30mila all'anno, ed e' in affitto. Spende 3mila per l'affitto. Fa un mutuo per comprare una casa perche' deve finanziare 100mila del prezzo della casa.  Glielo concedono e si compra la casa. Il mutuo e' N-ennale (N=10, 20, 30, fa lo stesso) e la rata annuale e' di 6mila, come nell'esempio di Krugman.

Il valore di 6mila (per definizione di rata ipotecaria) deve essere tale che  la rata ipotecaria fissa contiene quota capitale e interessi tali da rendere uguale il valore scontato presente dei due flussi (pagamenti mensili della famiglia alla banca, prestito inziale ed interessi sul prestito residuo della banca alla famiglia) lungo la durata del mutuo, N anni. In parole povere, il valore di 6000 e' quello che, dato 100mila, N ed r (tasso dell'interesse fisso su N anni) soddisfa il vincolo "ricardiano" nel linguaggio della vulgata (la parola tecnica suona complicata, evitiamola). 


Il reddito della famiglia non varia in seguito all'acquisto della casa, ne' all'accensione del mutuo. Vi sono  quindi solo due scenari possibili:

 

1) La famiglia Rossi intende fare default sul debito prima o poi. In questo caso non riduce il proprio consumo dei 3000 all'anno che, sommati all'affitto che gia' pagava, son sufficienti a pagare la rata del mutuo uguale a 6000. Lo riduce, per dire, di solo 2000, pagando un totale di 5000. Dopo qualche mese la casa viene espropriata. 

2) La famiglia Rosse non intende fare default. Riduce il proprio consumo di 3000, paga 6000 per il mutuo durante gli N anni a venire e tutti vivono felici e contenti.

Nel caso 1) l'equivalenza ricardiana e' violata. 

Nel caso 2) l'equivalenza ricardiana e' soddisfatta.

Paul Krugman, evidentemente, ritiene che tutte le famiglie che accendono mutui (o, almeno, tutte quelle di cui lui parla e scrive) lo facciano con l'intenzione di fare default cosicche' lui possa andare in giro a dire che l'equivalenza ricardiana sul debito pubblico non vale ed i consuamtori sono irrazionali. 

Per quanto mi riguarda io traggo le seguenti conclusioni da questa storiella

i) se l'equivalenza ricardiana su debito pubblico e tasse vale, storicamente, e' questione empirica ancora non risolta in modo definitivo, se mai lo sara';

ii) Paul Krugman dovrebbe cercare di inventarsi esempi almeno coerenti nel suo tentativo di convincere il popolo che le sue affermazioni di politica economica sono corrette;

iii) forse non serve lo faccia perche' chi ha voglia di credergli gli crede comunque, in base al principio di autorita', fregandosene del fatto che dica cose assolutamente incoerenti. 

Mi sto convincendo che tutti questi mesi di discussioni inconcludenti rivelino che, rispetto al problema del debito, si  stiano confrontando principi millenari.

Da una parte da molti secoli, il (1) principio non-scritto secondo cui i debiti di uno Stato (o di un Sovrano) si possano/debbano trasferire sui cittadini.

Dall'altra principi quali la perpetuatio obligationis e la par condicio creditorum, per cui (2) i debiti, per definizione, attengono a soggetti determinati.

 

Ora se prevale il primo principio e gli Stati vengono privati del potere sulla moneta (uno strumento piuttosto agevole per trasferire sui governati le conseguenze delle  misure dei governanti, per dirla con Hayek), non rimangono che le tasse, e la loro tendenza alla mostruosità, nella dimensione e nei meccanismi di funzionamento.

 

Se prevale il secondo principio, come già è stato scritto in questo blog, si potrebbe tranquillamente tenere l'euro codificando, a cura della Commissione europea (organo terzo rispetto agli Stati), una chiara procedura di default per gli Stati ed applicarla.

 

Il brutto di tutta la faccenda è continuare a vedere dei vertici europei che sono in realtà espressione di sovranità nazionali, che non hanno alcun interesse a risolvere il problema.

Nell'articolo si parla di una transizione immediata al federalismo fatto e finito. Lasciando anche perdere l'infattibilita' politica della cosa, siamo sicuri che sia la stategia migliore? Vorrei capire.

È tutto giusto, ma se l'Euro non è LA colpa, esso è una parte della colpa:

"il problema non è l’euro, ma la politica fiscale italiana che fa lentamente perdere competitività e crescita alla propria economia"

"L’unica cosa che l’entrata in vigore dell’euro ha causato è stato il privare lo stato italiano della valvola di sfogo della svalutazione come rattoppo per una politica fiscale perdente."

Il problema è tutto lì: leggo che se l'Italia uscisse dall'Euro la nuova Lira si svaluterebbe del 20-25%. Supponendo che la stima sia giusta ciò vuol dire che la valuta che circola in Italia è oggi sopravvalutata in eguale misura. E mi chiedo se ciò sia salutare per l'economia di un paese (dove vigono regole corporative rigide che la gente vuole mantenere).

"la scorciatoia della svalutazione, cosa che comunque non sarebbe stata concessa all’infinito in un mercato unico come quello europeo."

Nel lungo periodo è il mercato che svaluta (o rivaluta) una moneta.

 

Il problema è tutto lì: leggo che se l'Italia uscisse dall'Euro la nuova Lira si svaluterebbe del 20-25%. Supponendo che la stima sia giusta ciò vuol dire che la valuta che circola in Italia è oggi sopravvalutata in eguale misura. E mi chiedo se ciò sia salutare per l'economia di un paese (dove vigono regole corporative rigide che la gente vuole mantenere).

 

 

Probabilmente hai ragione, però questo stesso ragionamento si potrebbe applicare all'Italia: se avessimo la Lira e la Campania facesse default e volesse uscire dall'unione monetaria nazionale per adottare moneta propria, di quanto si svaluterebbe? Quanto sarebbe sopravvalutata la Lira tra le varie regioni?

Faccio le mie riflessioni su questo interessante articolo da non addetto ai lavori (quindi abbiate pietà se sbaglio):

 

- la politica fiscale è sbagliata e le cosiddette élites lo sanno. E' a questo che sarebbe dovuto servire Monti. Invece però il premier non ha fatto la finanziaria di Monti, ha fatto la finanziaria di Prodi che ci portò nell'euro risanando il bilancio a colpi di tasse e quindi ammazzando la crescita, ragion per cui il debito pubblico rimase dov'era essendo stato solo messo sotto controllo e a prezzo altissimo. Con vere riforme l'economia italiana avrebbe consolidato il bilancio pubblico e fatto ripartire la crescita portando così il debito sotto il 100% ed ora staremmo messi se non come la Germania quantomeno come la Francia (purché non si fosse creata una bolla di cui al punto sotto)

 

- non so la Grecia ma sicuramente Spagna e Irlanda non hanno una politica fiscale sbagliata, quantomeno non sbagliata sullo stile italico. Entrambe le nazioni sono in boom dalla metà degli anni '90 e tale la situazione è rimasta fino al 2007. Quindi non solo il debito era basso ma il bilancio era in surplus. Il problema è che hanno avuto la bolla immobiliare, scoppiata la quale sono andati o stanno rischiando la bancarotta: per salvare le banche che avevano prestato i soldi ai palazzinari (per la Spagna mi pare una cifra identica all'intero debito pubblico greco) lo stato si è indebitato rovinando perciò tutti quegli splendidi conti che portava fino al 2007. Per metterci una pezza almeno in Spagna il governo ha aumentato le tasse deprimendo quindi ancor di più una crescita tracollata causa bolla e aggravando una disoccupazione in crescita dovuta al fallimento delle imprese edilizie che, si sa, impiegano un sacco di manodopera. Quindi la disoccupazione della Spagna ormai è a livelli inverosimili, un lavoratore su 4 è disoccupato.

 

- L'Inghilterra è nella stessa situazione di Spagna e Irlanda, però non avendo l'Euro non ha subito attacchi speculativi a causa della maggiore libertà della politica monetaria. La situazione resta grave ma il paese ha più margini di manovra non avendo la camicia di forza dell'Euro. Quindi possiamo dire che l'Euro abbia aggravato se non quella italiana , almeno la crisi spagnola e irlandese. Almeno l'Euro inteso così com'è, altro conto sarebbe lo stato federale europeo col bilancio unico

 

- il federalismo italiano così com'è concepito nell'articolo mi sembra più uno sfaldamento del paese ed un ritorno agli stati regionali del 1500. Se tutte le regioni contassero sulle loro forze tenendosi tutte le tasse cosa resterebbe al governo centrale? Tra l'altro il federalismo per quanto possa responsabilizzare gli amm.ri locali (se bene attuato) e avvicinare politica e cittadini non è una panacea: in Spagna dove le regioni hanno amplissima autonomia il federalismo è diventato un problema perché il governo non riesce a risanare il deficit non potendo agire sui bilanci regionali e rifiutandosi le regioni di dar retta al governo. Inoltre si torna al problema dell'Euro: se la Calabria fallisce la cacciamo dall'Italia come si vuole cacciare la Grecia dall'Euro? In teoria non avere un bilancio e un governo vero dell'UE avrebbe dovuto responsabilizzare gli stati membri. Però a quanto pare non è successo, se la Grecia non la si vuol cacciare la si deve salvare altrimenti la si caccia e si sfalda l'Unione. Nel federalismo spinto è uguale. Qualcuno dovrà pagare o si sfalda il paese.

 

Il secondo passo è la vera riforma: un’immediata struttura federale, non quella centralista della Lega, ma una vera struttura federale dove ogni regione trattiene la totalità delle proprie risorse e ha la piena libertà di politica fiscale (per abbassare le tasse) come avviene nei veri sistemi federali.

 

Concordo con Luca, quello descritto qua non è federalismo, e non risolverebbe nulla.

Non te la prendere, ma io personalmente chiamo quell'approccio "localismo neolitico".

Il federalismo può funzionare, ed io sono federalista, ma solo se ci si accordo per il minimo comune multiplo centralista (e ci sono tante cose che conviene fare in maniera centralizzata, non territoriale), e poi si lascia una certà libertà, ben regolata, ai vari stati di fare di più e meglio.

Nella Repubblica Italiana, per non fare che un esempio, non ha senso che manchi un ammortizzatore sociale universale stile la ayuda spagnola o la JSA britannica, e quella prestazione va amministrata e gestita centralmente, non ha senso stare nello stesso stato altrimenti. Poi, se il Veneto o chi per lui vuole dare di più della prestazione comune ai propri disoccupati, si tassino loro stessi e si gesticano come vogliono la prestazione aggiuntiva.

Non so la Spagna, ma l'Italia ha perso quote sull'export mondiale, e comunque questo c'entra poco con il dibattito.

 

Io concordo con l'autore che l'Euro c'entra con la crisi attuale come i cavoli a merenda, riducendo la cosa ai minimi termini, se hai un debito di 2.000 lire o di 1 € sempre un debito rimane, SE ci fosse una uscita dall'euro il cambio non lo stabiliscono nottetempo al Bildenberg, ma lo fanno i mercati, e quella conversione ti becchi, per di più i mercati ti rialzeranno immediatamente i tassi di interesse del tuo debito, per cui nelle successive 24 ore ti sei fumato tutta la svalutazione, nelle 48 ore successive ti sei fumato anche il patrimonio del paese.

 

Questo perchè in economia esiste una legge, nota come legge di Gresham, per cui hai voglia a stampar dracme e lire, se non lo fai su carta morbida non avresti alcun uso per le banconote, d'altronde lo stato che più di tutti al mondo svaluta la sua valuta è lo Zimbabwe, non proprio un modello di sviluppo economico.

 

Per le imprese, tra l'altro, l'euro ha costituito un perfetto mezzo di scambio intereuropeo, io acquisto resine dal Belgio e dalla Francia, pezzi di ricambio dalla Germania e ho venduto in Spagna. Senza rischi di cambio e costose transazioni monetarie (in cui le banche italiane, per chi se lo fosse dimenticato, erano le più care).

Fine del discorso sull'euro, che è una moneta, una denominazione, ma NON è il problema, e l'uscita dall'euro, secondo me, assomiglia molto a un salto da un aereo con una busta di plastica, puoi sperare che freni la tua caduta e salvi la vita, ma le probabilità sono molto contrarie. Diciamo che io non mi metto in coda per quel salto.

 

La soluzione non è altro debito spalmato anche sui tedeschi (gli eurobond), ma la riduzione delle spese, come ho fatto io e tutti gli imprenditori che conosco (e ne conosco una marea) negli ultimi due anni, e come stanno facendo in tutto il mondo.

 

Ho i miei dubbi che la ripartizione delle entrate fiscali su "base regionale" sia la soluzione, anzi, poichè è la finanza locale quella che più allegramente ha speso negli ultimi 10 anni (vedi mio post sul paper di Giarda), io per la riduzione delle spese vedo solo un approccio del tipo "buget costraint",  nei cui limiti rientrino anche gli stipendi dei dipendenti pubblici, e per le Regioni Meridionali un ulteriore limite: in ogni caso lo stipendio medio del dipendente pubblico non può essere superiore a quello medio di un dipendente privato, il tutto aggiustato per la PPP regionale (tutti gli stipendi, intendo, pubblici e privati).

faccio una domanda leggermente ot: tu dici, giustamente, che avere un debito di 2000 lire o di 1euro nulla cambia, sempre un debito hai.

Allora perchè Ludovico nell'articolo dice che, per il debito, è stato meglio fissare a (circa) 2000 lire, invece che a 1000, il cambio iniziale?

In realtà, anche fissandolo a 1000 lire, non sarebbe cambiato nulla nei riguardi del debito. Sarebbe stato il doppio, certo, ma in una valuta che valeva la metà. Invece la percezione sarebbe stata migliore con 1ooo lire o 1deutsch mark uguale (sempre circa) a un euro. Io penso che sarebbe stato un cambio piú opportuno e avrebbe evitato la percezione di aumento che è seguita all'introduzione della moneta unica (e anche qualche "speculazione"di qualche furbetto)

 

Per giustificare il titolo basterebbe notare che durante questi 12 anni dell’euro i due paesi dell’eurozona che hanno perso meno quote di export nel totale mondiale sono proprio la Spagna e l’Italia.

 

Per la serie, i meno peggio siamo noi. Ma intanto con la tua fantastica retorica hai dimenticato che abbiamo comunque perso competivita' rispetto alla Germania sull'export. La causa e' proprio l'euro che non permette una svalutazione del cambio in base ai differenziali di inflazione dei due paesi. Ed infatti l'ipotetica svalutazione della lira del 20% e' proprio calcolata sui differenziali di inflazione a partire dall'introduzione dell'euro.

 

Non si tratta di fare una svalutazione per "barare", ma per mettere in moto una meccanismo naturale che ha sempre funzionato prima dell'introduzione del SME che ristabiliva i cambi in base a quanto le valute erano richieste e quindi da come andavano gli scambi commerciali tra i vari paesi.

Lo SME e poi l'euro hanno forzato questo meccanismo naturale, rinchiudendoci in un sistema a cambi fissi, che ora sta esplodendo, cosi' come esplose nel 1992 (quando eravamo nei cambi semi-fissi dello SME).

 

 

Il problema odierno è di debito pubblico (l’accumulo di decenni di politica fiscale sbagliata), di poca crescita (dovuta ad una politica fiscale sbagliata), e di un mercato finanziario che considera sempre più rischioso fare credito a certi stati che perseverano in questa politica fiscale sbagliata.

 

Il problema e' proprio il debito, e gli interessi crescenti che paghiamo su di esso. Ma il debito e' esploso proprio a causa degli interessi alti che abbiamo iniziato a pagare dal 1981 in poi, ovvero dal divorzio bankitalia-tesoro. Avendo un cambio semi-fisso (SME), e avendo rimosso bankitalia come prestatore di ultima istanza, per finanziarci abbiamo dovuto alzare i tassi di interesse e quindi il risultato e' quello che vediamo ora. Certo il deficit dello stato c'e', ma e' proprio causato dagli interessi, visto che il saldo primario e' in positivo (e tu dovresti saperlo bene). Quindi la causa del debito e' una politica monetaria sbagliata! E casomai il capro espiatorio che ci stai cercando di propinarci e' la spesa statale, quando invece se conosci i dati, e' evidente che sono scelte macroeconomiche e monetarie sbagliate.

 

 

È vero che l’attuale crisi ha le sue radici in uno shock esterno. La crisi finanziaria del 2008 e 2009 non è nata in Italia o in Grecia, ma l’atrofizzarsi dell’economia globale ha ridotto le entrate fiscali per tutti i paesi, e gli stati fiscalmente più deboli, e cioè con un debito pubblico maggiore, si sono trovati in prima linea.

 

La crisi dell'euro ha radici differenti, da cercare nella mancanza di un sistema di ridistribuzione delle risorse economiche o da un tasso di cambio variabile tra i paesi europei.

Ti invito a reperire i dati sull'indebitamento estero privato di Spagna, Portogallo e Grecia.  Proprio la differenza tra i tassi di inflazione intra-euro, ha causato questi squilibri, poiche' la germania dopo l'introduzione dell'euro ha operato una deflazione interna, e ha guadagnato competivita' verso gli altri paesi. Ha quindi iniziato ad incrementare gli export verso i paesi del club-med usando i soldi che le banche tedesche prestavano a tassi bassissimi proprio a questi paesi, e quindi favorivano in parte gli acquisti dalla germania.

I dati sono tutti reperibili online e ti consiglio di verificare che quanto dico e' vero.

 

Ma sai, tutti questi debiti prima o poi devono essere pagati, e ora infatti le banche del sud si trovano in difficolta', perche' manca un meccanismo per ridistribuire il surplus tedesco verso i paesi del sud, ovvero manca un sistema fiscale europeo! Quindi casomai, se ci fosse una soluzione europea, sarebbe proprio da cercare in questo! Ma ho forti dubbi che i tedeschi saranno d'accordo!

 

La svalutazione del 20% non e' assolutamente disastrosa. Nel 1992 dopo la svalutazione del 20%, che era una cosa che molti avevano gia' previsto (bastava guardare i differenziali di inflazione), il tasso di inflazione e' andato tranquillamente per la sua strada, e' stato minimamente toccato, ma invece le aziende italiane producevano e creavano occupazione.

 

Per quanto mi riguarda uscire dall'euro e' l'unica soluzione di lungo termine per l'Italia, ed e' meglio farlo ora, prima di finire come la Grecia e poi rendersi conto che e' l'unica scelta possibile.

 

La svalutazione del 20% non e' assolutamente disastrosa...

 

Per quanto mi riguarda uscire dall'euro e' l'unica soluzione di lungo termine per l'Italia, ed e' meglio farlo ora, prima di finire come la Grecia e poi rendersi conto che e' l'unica scelta possibile...

 

 

 

certo, una svalutazione del 20%, cioè una rivalutazione del 20% (almeno) della bolletta energetica e dei generi alimentari importati (versione soft della tassa sul macinato o giù di lì) faranno miracoli per la crescita e la domanda interna. L'hanno fatto pure in Argentina, no?

 

La Germania ha quindi iniziato ad incrementare gli export verso i paesi del club-med usando i soldi che le banche tedesche prestavano a tassi bassissimi proprio a questi paesi, e quindi favorivano in parte gli acquisti dalla germania 

 


certo... tutta colpa dei maledetti crucchi se con i soldi prestati a basso tasso d'interesse ci hanno comprato le Mercedes e le BMW per gli evasori fiscali greci, invece chessò, di macchinari per ammodernare le fabbriche.


Cantiamo tutti  Blame Germany...

 

 

 

 

Premetto un aneddoto: in principio partecipavo alle discussioni su questo blog con un nickname. L'ho abbandonato dopo una discussione con Michele Boldrin che, giustamente, invocava trasparenza sull'identità degli interlocutori: credo che l'esigenza non sia venuta meno.

Vedo che in codesto intervento si imputa la crisi dell'euro alla "mancanza di un meccanismo per ridistribuire il surplus tedesco verso i paesi del sud", seguendo la linea di pensiero (?) propugnata da Guido Rossi sul Sole 24 Ore. Ma l'obiezione che viene subito in mente è: in base a quale principio costituzionale sarebbe dovuta questa redistribuzione?

La UE è un'unione di Stati, che le hanno sì trasferito parte della loro sovranità, ma ne hanno conservata una maggiore parte. Pertanto, manca del tutto il presupposto perché si possa invocare il trasferimento della ricchezza tedesca ad altri Stati Membri.

Un nuovo trattato potrebbe trasformare l'UE in una federazione vera e propria, che avrebbe un suo sistema fiscale. Ma è notorio che i trattati sono accordi tra Stati sovrani, non possono essere imposti a nessuno se non, eventualmente, con la forza delle armi. Allora che senso ha invocare obiettivi non raggiungibili?

 

la germania dopo l'introduzione dell'euro ha operato una deflazione interna, e ha guadagnato competivita' verso gli altri paesi. Ha quindi iniziato ad incrementare gli export verso i paesi del club-med usando i soldi che le banche tedesche prestavano a tassi bassissimi proprio a questi paesi, e quindi favorivano in parte gli acquisti dalla germania.

I dati sono tutti reperibili online e ti consiglio di verificare che quanto dico e' vero.

 

Ma sai, tutti questi debiti prima o poi devono essere pagati, e ora infatti le banche del sud si trovano in difficolta', perche' manca un meccanismo per ridistribuire il surplus tedesco verso i paesi del sud, ovvero manca un sistema fiscale europeo! Quindi casomai, se ci fosse una soluzione europea, sarebbe proprio da cercare in questo! Ma ho forti dubbi che i tedeschi saranno d'accordo!

 

E speriamo che i tedeschi continuino ad essere contrari e non estendano all'Europa il pessimo sistema italiano in cui Roma prende soldi a Nord per pagare consumi e voti del Sud sottosviluppato e mantenuto sottosviluppato, un sistema tanto ridicolo quanto fallimentare.

" una svalutazione del cambio in base ai differenziali di inflazione dei due paesi" 

Certamente. Difatti un paese come l'Italia che ha costi di produzione proibitivi non puo' competere senza continue svalutazioni. Potresti stare nell'euro abbassando questi costi, tipo le tasse sul lavoro, e qui torniamo a riforme di tipo fiscale.

 

"per finanziarci abbiamo dovuto alzare i tassi di interesse"  No guarda, i tassi d'interesse erano piu' alti ma avevi anche inflazione. Comunque certo, il deficit non e' causato dal bilancio primario, ma dagli interessi (su un livello di debito enorme).

 

"La crisi dell'euro ha radici differenti, da cercare nella mancanza di un sistema di ridistribuzione delle risorse economiche"

"le banche del sud si trovano in difficolta', perche' manca un meccanismo per ridistribuire il surplus tedesco verso i paesi del sud, ovvero manca un sistema fiscale europeo! "

 visione ortogonale dalla mia, ma proprio anni luce. Non per snobbarti, ma qui si apre un argomento troppo lungo. Alla prossima.

Gli interessi sul debito pubblico sono saliti un poco a partire dal divorzio del 1981, questo è normale quando è il mercato a decidere quanti titoli comprare e non tramite l'arbitrarietà del governo. Peccato che il debito pubblico fosse salito in modo vertiginoso fino al 1994, grazie al 10% annuo di deficit statale dei politici della "questione morale". Quello non è giustificabile con lo SME o l'euro, altrimenti anche Spagna e altri paesi avrebbero dovuto avere gli stessi problemi in quegli anni. I problemi dell'Italia sono problemi dell'Italia, l'euro ha solamente rallentato quello che prima o poi sarebbe avvenuto. Con l'euro i tassi d'interesse sono calati moltissimo dal 2001, così come l'inflazione da quando Bankitalia ha pieni poteri per quanto riguarda la politica monetaria (dal 1994 al 2002, poi è subentrata la BCE). Anche i costi delle materie prime sono decisamente calati, e il paese ne ha indubbiamente beneficiato. Il problema dell'Italia è l'alta tassazione, l'elevata evasione, troppi soldi per la spesa pubblica sprecati, poca libertà d'impresa, basse possibilità per le imprese di licenziare, banche semi-pubbliche in mano ai partiti, i rimborsi elettorali dei partiti stessi, troppi conflitti d'interesse tra impresa e pubblico, meridione e altre regioni centrali e settentrionali finanziati dalle regioni più ricche, ecc...

ma negli anni 80 abbiamo avuto continui deficit primari,che cumulati fanno qualche decina di punti di PIL,nonostante le svalutazioni che davano sollievo per qualche anno,senza risolvere nessun problema.

"Ma il debito e' esploso proprio a causa degli interessi alti che abbiamo iniziato a pagare dal 1981 in poi, ovvero dal divorzio bankitalia-tesoro. Avendo un cambio semi-fisso (SME), e avendo rimosso bankitalia come prestatore di ultima istanza, per finanziarci abbiamo dovuto alzare i tassi di interesse e quindi il risultato e' quello che vediamo ora. Certo il deficit dello stato c'e', ma e' proprio causato dagli interessi, visto che il saldo primario e' in positivo (e tu dovresti saperlo bene). Quindi la causa del debito e' una politica monetaria sbagliata! E casomai il capro espiatorio che ci stai cercando di propinarci e' la spesa statale, quando invece se conosci i dati, e' evidente che sono scelte macroeconomiche e monetarie sbagliate."

Errato:vai a vederti i dati dei deficit primari continui dall'80 all'89,insieme,sommati fanno diverse decine di punti di PIL di maggiore indebitamento dovuto a disavanzi primari.E la spesa pubblica primaria dall'80 agli anni 2000 è aumentata almeno di 10 punti di PIL,da circa il 32 nel 1980 a circa il 43,4 nel 2007,anno prima dello scoppio della crisi.Quindi,sia i deficit primari che la spesa pubblica primaria c'entrano eccome con l'elevato debito/PIL italiano.

Il federalismo che proponi sarebbe efficace e corrisponde a quanto proporrei io, ma specie nelle condizioni fallimentari odierne mi sembra svantaggioso complessivamente  (anche se cosa buona e giusta) dividere il debito centrale tra le regioni.

a me sembra un controsenso.

La crisi e' causata da una moneta unica e da stati con debiti nazionali e qui si propone di fare lo stesso errore a livello nazionale! E' un assurdo, cosi' assurdo che porterebbe il sud ad una poverta' estrema, a meno che il sud non si doti di una valuta propria!

Ma comunque stiamo facendo un discorso per assurdo!

 

L'europa ha due scelte:  o si integra fiscalmente e le risorse vengono ridistribuite, oppure l'euro si rompe e ritorniamo alle valute nazionali, libere di fluttuare in base agli scambi commerciali.

Sarebbe stato più diretto scrivere Veneto Stato, piuttosto che ideare una confederazione svuotata con 20 debiti pubblici e default a catena.

 

E' probabile che le regioni meridionali facciano rapidamente default. Considerando il PIL del sud e una ristrutturazione tipo argentina (il 75%), più o meno non sarebbero onorati 250-300 mld di debito. grecia.

Ancora. Dopo gli LTRO il 60% del debito è in mani italiane. Non conosco la percentuale esatta in mano alle banche italiane ma anche qui non credo di andar lontano supponendo una perdita per esse sui 100 mld. Gli effetti li possiamo immaginare.

Aggiungiamo che dopo questa "cura", è altamente probabile che nel sud prendano piede movimenti populisti o peggio ed abbiamo il quadro. Auguri.

Condivido completamente quanto ha scritto Pizzati, capisco anche che di questi tempi con la maggior parte di economisti e politici a livello globale che ci massacrano con la necessità di stampare denaro portando gli esempi degli USA, del Japan ecc. che ritengono Krugman la bibbia, si arrivi alla conclusione che l'Euro ed i suoi meccanismi rappresentino il male assoluto.

 

E' innegabile che la crisi che ha colpito i PIIGS parte da una mancata credibilità che hanno questi paesi nell'affrontare e riassorbire l'enorme debito pubblico. La finanza scommette che non ce la faranno a portare il debito a livelli acettabili,  di conseguenza  i tassi per rifinanziarsi crescono, arrivando  al livello di quasi non ritorno, vedi Grecia.

 

Essendo paesi dell'Euro è naturale che la debolezza di uno possa contagiare l'economia dell'altro, se la Grecia va in default molte banche europee perdono molto, se capitaa paesi più grandi come l'Italia le perdite sono ancora più importanti ma giustamente come fa notare Pizzati uscire dall'Euro non avrebbe nessuna funzione salvifica.

 

Una politica espansiva intesa come stampare denaro o immissione nel mercato di Eurobond può solo nell'immediato dare un po di ossigeno rimandando i problemi di qualche anno, ma se strutturalmente i paesi del sud non si riformeranno i problemi odierni si ripresenteranno in un futuro prossimo  ed allora si richierà il crack definitivo dove a cadere non sarà il singolo stato ma l'intera area Euro.

 

Che i paesi del sud si ristrutturino, che facciano le riforme modificando i problemi di fondo, poi si uniranno le politiche fiscali ed economiche ed arriveranno gli eurobond come passo finale, quando tra l'altro non ce ne sarà neanche più bisogno con un debito europeo sotto il 60%.

 

Dimentichiamo sempre le cose più semplici, se con la mia famiglia sono pieno di debiti ma ho un lavoro e delle professionalità  che mi consentono di guadagnare molto ed ogni anno riesco a ridurre il debito sono potenzialmente molto più credibile di una famiglia senza debiti ma che annualmente comincia ad andare in perdita e nessuno dei componenti della stessa ha un know out e delle professionalità che garantiscono benessere ed entrate certe.

 

L'Italia e molti paesi del sud riescono ad unire tutte le negatività, (1) debito alto, (2) know out e professionalità non al passo con i tempi, (3) spese annuali che superano le entrate. Il fiscal compact permetterà di risolvere il punto (3), per migliorare i punti (1) e (2) servono le riforme strutturali e pensare di risolvere i problemi della famiglia che rischia il default senza lavorare sui punti (1) (2) e (3) ed immettendo nuove banconote o facendo pagare il debito da altre famiglie,  è secondo il mio modestissimo parere errato.

 

Gianluca

 Qui non si tiene conto che con la globalizzazione una ripresa della locomotiva tedesca non ha lo stesso impatto sull’economia italiana come vent’anni fa, perché la competizione si è fatta globale e l’industria italiana ha perso di competitività a causa di un problema strutturale che sta alla base di tutto.

 Questo mi pare essere un passaggio chiave.Ciò che sempre più si sostiene è che l'export tedesco abbia destabilizzato la zona euro in virtù di una politica attuata a scapito dei lavoratori e dei loro stipendi ,rendendo competitivi i beni tedeschi rispetto a quelli degli altri paesi euro.Quindi adesso il rimedio dovrebbe consistere nell'aumentare i salari tedeschi e tutto come d'incanto tornerebbe a posto,ricomincerebbe il surplus aumenterebbe il pil ,le entrate ecc.

Ma a questo punto io mi chiedo:

1)se il tutto fosse dipeso dai tedeschi che ci hanno sottratto quote di mercato attraverso politiche aggressive ,perchè i PAESI BASSI hanno fatto registrare un aumento delle partite correnti dal 2000 al 2012 da 7 billion a 64 billion mentre noi nello stesso periodo siamo passati da -5 a -56 billion?Non è che forse come si sostiene nel post i problemi vadano ricercati nella spesa ,nelle tasse e soprattutto nella capacità del sistema produttivo italiano di produrre beni e servizi che sappiano competere a livello globale ?Controllando la pressione fiscale olandese ,per esempio, è al 38-39%,quella italiana al 43 44% 

Pensare che un aumento dei salari  e dei prezzi tedeschi  si tradurrebbe, in un mercato globale ,in un  aumento dell'export italiano senza mettere mano ai meccanismi di spesa e alla pressione fiscale mi pare un'illusione.Sarebbe interessante capire a questo proposito 1)chi sono i competitor delle industrie italiane nei mercati globali e in quale segmento operano2)cosa importiamo noi dal resto del mondo(oltre le materie prime ).Io ho come l'impressione che ci troviamo in mezzo al guado.Avendo costi troppo alti per competere con i produttori asiatici e dell'europa dell'est  e troppo pochi beni che incorporano conoscenza per competere nella qualità (faccio notare che abbiamo una percentuale bassissima di lavoratori tra 25 e 64 ad aver raggiunto un livello di istruzione terziaria,14,5% contro,per esempio,netherlands 33% e germany 26,4%)

Cioè no, sono assolutamente convinto che le cause ultime della crisi italiana e greca risiedano nella dissennate politiche economiche perseguite per decenni e aggravatesi con l'euro (se non altro per l'irresponsabilità di elite che dall'appartenenza all'euro si sentivano definitivamente scudate).

Ma mi sembra che continuare a dire "ci va più crescita", "ci vanno riforme" etc. finisca con il mescolare problematiche con tempi scala molto diversi. Anni e anni per le riforme e la crescita. Mesi  (o settimane, per la Grecia) per le dinamiche del debito.

 

Provo a fare alcune domande:

 

  1. 1)  Come altri hanno già fatto notare, la dissipatezza fiscale è senz'altro la causa ultima della crisi di paesi come Italia e Grecia, ma che dire di Spagna e Irlanda ? Il fatto che paesi che hanno perseguito politiche fiscali e di bilancio così diverse siano oggi tutti travolti più o meno nella stessa misura dalla crisi non lascia qualche dubbio sulla univocità delle sue cause ?

     

  2. 2)  Rimanendo all'Italia e alla Grecia, certamente questi sono paesi che hanno perseguito politiche scellerate e che affrontano oggi gravi e strutturali problemi di crescita. Ma è pensabile che essi possano crescere ed “outgrow their debt” grazie a politiche fiscali adeguate in una situazione di depressione planetaria e con interessi crescenti su uno stock di debito così alto ? Le migliori riforme fiscali e del mercato del lavoro richiedono comunque anni per materializzarsi in crescita, mentre l'ascesa costante e rapida dei tassi di interesse ci mette poco a far saltare il banco. Sicuro che l'espediente (e dico espediente) della svalutazione non sia cruciale perlomeno per guadagnare tempo ?

     

  3.  

    3) Lei dice: si può sempre fare default.e non è diverso da svalutare. Ma il default colpisce innanzitutto se non esclusivamente gli investitori esteri, mentre la svalutazione colpisce in modo equanime tutti i detentori di titoli in una data valuta, oltre a migliorare la competitività di quel paese. Sicuro che un pesante haircut non danneggi la reputazione internazionale di un paese assai di più di una proporzionale svalutazione ?

     

  4.  

    4) Lei dice che il problema è quello:

     

    di un mercato finanziario che considera sempre più rischioso fare credito a certi stati che perseverano in questa politica fiscale sbagliata”

     

     

    Sicuramente fare una politica fiscale sbagliata gioca un ruolo fondamentale nella fiducia che possono accordarti i mercati, ma per dire né gli USA, ne UK, ne il Giappone hanno problemi di credito, nonostante che abbiano rilevanti rapporti debito/GDP e bassi livelli di crescita. Davvero il fatto di avere una moneta nazionale e una banca centrale nazionale che può monetizzare il credito non c'entrano nulla in tutto ciò ?

     

  5.  

    5) Dato che un'uscita dall'euro non è praticabile o comunque è sconveniente per troppi motivi, quali alternative ci possono essere alla parziale monetizzazione del debito dei paesi maggiormente in difficoltà ? Se mi risponde “la crescita” allora vuol dire che non mi sono spiegato bene nei punti precedenti.

 

Grazie se vorrà rispondermi.

 

Gli attuali problemi sono interamente dovuti a politiche fiscali sbagliate sia nel passato che nel presente.

 

(1) Ce' anche il problema del diverso andamento del costo del lavoro nei vari paesi (grafico)

 

(2) L'Euro non e' del tuto estraneo alla facenda. Come gia fatto notare da lorenzo, i nipponici e i brittanici se la cavano meglio, nonostante abbiano grossi debiti. Trovo convincente l'ipostesi di De Grauwe secondo cui un sistema con molteplici debiti di stato e una sola moneta (eurozona) e' piu instabile del caso tipico un debito una moneta (UK, Giappone, USA). Tale sistema impone una maggior cautela fiscale ai paesi membri perche sono piu fortemente penalizzati quando "esagerano".  Devono dunque coordinare la politica fiscale tra di loro. Puo essere un preggio, ma anche un punto debole del sistema Euro, a secondo del punto di vista.

1. lavoriamo più ore dei tedeschi  ma abbiamo una peggiore produttività , non tutto è fisco.

 

 

2. J USA e UK hanno fatto QE.

 

Il secondo passo è la vera riforma: un’immediata struttura federale, non quella centralista della Lega, ma una vera struttura federale dove ogni regione trattiene la totalità delle proprie risorse e ha la piena libertà di politica fiscale (per abbassare le tasse) come avviene nei veri sistemi federali. Questo permetterebbe di eliminare le inefficienze abissali nelle regioni abituate all’assistenzialismo, e consentirebbe alle altre regioni di praticare una politica fiscale adatta per poter permettere con il resto d’Europa e del mondo. Il problema del debito pubblico? Dovrà essere ripartito per regioni, anche se questo con tutta probabilità si tramuterà, in alcuni casi, in potenziale default.

Mi associo a chi in altri interventi ha fatto notare che quanto descritto (forse troppo sommariamente per mancanza di spazio) non sarebbe propriamente federalismo. Anche nel paese piu' federalista che riesco a concepire nessun territorio trattiene "la totalità delle proprie risorse" come indicato. Si dice che nei "veri paesi federali avviene così" ma non è vero.  Il livello federale, pur limitato che possa essere, ha delle spese e queste vanno finanziate con un prelievo fiscale che, gioco forza, proviene dai territori. Si puo' discutere di quali imposte debbano andare al livello federale (io sostengo che le indirette siano piu' adeguate) e quali ai territori (per me le imposte dirette) ma parte delle risorse locali vanno per forza di cose ad alimentare spese comuni (altrimenti non è una federazione).  Sul debito pubblico non vedo perché suddividerlo, dato che sarebbe solo l'inizio di un litigio infnito. Poi con quele criterio? Quota di PIL, quota di popolazione, spesa storica, un misto delle tre con una formula magica? Lasciamo pure il debito al livello federale e la spesa degli interessi (70-80 G€) sarà una delle cose da finanziare a livello federale. L'importante è che l'emorragia del debito pubblico cessi.

Sono invece d'accordo sul concetto che un assetto federale, che dovremmo definire con maggiore precisione qui in uno spazio adeguato, sia la strada giusta per ottenere due obbiettivi:

1) realtà virtuose e responsabili sulla spesa pubblica e sulla qualità dei servizi erogati

2) politiche locali di sviluppo del decotto sistema produttivo (anche solo con la semplificazione e la delegificazione in ambito locale).

Sottolineo il fatto che un assetto federale è incompatibile con l'attuale stato di iper-legislazione italiana (nessuno sa con precisione quante leggi ci siano) mentre in germania sono circa 4000 ed in CH meno di mille. Ed è incompatibile anche con la pletora di enti inutili, dispensatori di permessi e nulla hosta (quando sono? 21'000 leggevo in una stima di una decina di anni fa). Quindi la strada federale necessita di una straordinaria semplificazione legislativa e burocratica, che è poi quella che fa risparmiare spesa, funzionari e pressione fiscale.

 

 

 

"l'attuale stato di iper-legislazione italiana (nessuno sa con precisione quante leggi ci siano) mentre in germania sono circa 4000 ed in CH meno di mille."

Lo dico per scherzo, ma non del tutto: abolire TUTTE le leggi vigenti e sostituirle con una sola:

Dal 1 giugno 2012 in Italia valgono solo le leggi vigenti nel Canton Ticino alla medesima data, che i giudici interpreteranno in modo da applicarle per analogia, ove necessario, alla situazione italiana.

Concordo e rilancio; alla descrizione concreta che ha fatto Francesco Forti del sistema federale aggiungerei 2 o 3 precisazioni: 1) Individuare i servizi oltre che lo specifico potere impositivo (tasse dirette indirette etc) per il reperimento delle disponibilità finanziarie da affidare allo stato centrale (pardon federale!!)? Penso ad esempio alla difesa/sicurezza, alla giustizia agli organi istituzioniali... 2) Quantificare un fondo di solidarietà che esiste in tutti i sistemi federali e che serve proprio ad eliminare o attutire le differenze tra aree ricche e svantaggiate in base a specifici parametri. Il trasferimento servirebbe a garantire diritti inalienabili come l'istruzione e la sanità; su queste cose sarebbe inaccettabile ipotizzare cittadini di serie A e B..... 3) fare ordine tra regioni ordinarie a statuto speciale e province autonome. Le differenze dovranno essere eliminate o attutite in modo sostanziale. E' giusto garantire minoranze o peculiarità ma con trasparenza e razionalità e comunque tutte le entità devono rispettare regole oggettive e nel caso contribuire al fondo di solidarietà. Ad oggi, mi risulta che ci siano regioni che amministrano il 100% delle risorse e in più ottengono un bonus a forfait indipendentemente dalle condizioni economiche e sociali in cui si trovano.... 4) Regionalizzazione del mercato del lavoro: parametrizzazione degli stipendi in base al reddito procapite regionale per la parte pubblica e contrattazione regionale per quella locale.

Condivido l'analisi sull'Euro "capro espiatorio" e si potrebbero aggiungere altri luoghi comuni...  tra l'altro faccio notare che oltre ad essere una foglia di fico per i politici italiani, greci ecc… l’euro è comunque la bestia nera della quasi totalità dei commentatori “finanziari” internazionali, che sono o anglosassoni o anglofoni o almeno anglofili e quindi per definizione avversi al progetto di integrazione europea. Vero che la moneta unica ha in qualche caso incoraggiato i comportamenti più irresponsabili, per esempio in termini di propensione all’indebitamento forsennato pubblico e privato, ma sostanzialmente si tratta di fenomeni in espansione autonoma e probabilmente inarrestabile.


Quanto alla teoria che solo con una continua svalutazione della moneta nazionale i paesi mediterranei possono rimanere competitivi… è talmente delirante che quasi non varrebbe la pena di commentarla, se non per dire che si giustifica essenzialmente in chiave razzista (i popoli culturalmente e geneticamente inferiori – ossia quelli “latini”– possono sopravvivere solo ricorrendo ad una serie di mezzucci un po` truffaldini e comunque squalificanti).

il valore dell'euro fu fissato alla pari con l'ecu (il cui paniere di valute fu calcolato per l'ultima volta nel 1989).

vado a memoria, ma mi pare che a inizio anni '90 l'ecu era pressapoco 1500 lire, e a fine anni '90 era a quasi 2000.

Non sarei mai stato capace di scrivere un articolo simile, ma è esattamente il mio pensiero. Condivido parola per parola quanto detto dall'autore. Mi batto giornalmente con amici e colleghi con queste argomentazioni, ma resto quasi sempre in minoranza, il pensiero unico è che è tutta colpa della Germania e dell'euro. Non sono il malgoverno, la cattiva imprenditoria assistita, l'eccesso di dipendenti pubblici e gli altri mali che da decenni ci affliggono. L'Italia purtroppo è avviata ad un destino miserabile, ma gli artefici di questo destino siamo noi, popolo italiano incapace di darsi una classe politica degna di questo nome.

Saluti al blog.

Volevo solo fare i complimenti all'autore dell'articolo,lodovico pizzati.

Finalmente un articolo di facile lettura con cui posso cercare di far capire ad alcuni amici ottusi che l'euro non è la cusa dei nostri mali.

Sempre più un vostro assiduo lettore.

 

qui

 

chiarissimo. Personalmente su federalismo come condizione per gli eurobond concordo pienamente. Su quanto dice sul QE no, ma spero abbia ragione lui. per me manca il tempo.

Ma gran parte della colpa del caos economico attuale va imputata alla mole di derivati partoriti per occultare il debito. Si sono tutti cullati su una montagna di denaro virtuale( e l'euro ha concorso alla costruzione di questi castelli di hedging) poi qualcuno ha chiesto il banco. Un'opinione personale ovviamente.

Saluti,

Soros a Trento.

che il problema non e' assolutamente fiscale ma totalmente monetario :D

 

"il giocattolo [la UE] si è rotto quando si è capito che i tedeschi non erano disposti a condividere l’eccessivo indebitamento degli altri paesi europei"

 

"perché all’integrazione monetaria non ha fatto seguito una vera e propria integrazione politica"

 

Totalmente contrario a questi ragionamenti.