Aldo: In buona parte no, a mio avviso le preferenze non possono essere modificate, questo per una semplice ragione: perché le preferenze di un individuo sono geneticamente determinate, come lo sono la sua altezza o la sua intelligenza. Però, come vedremo, in una certa parte anche sì. Gli economisti non hanno ancora studiato attentamente le questione della ereditabilità delle preferenze, anche se la ricerca è iniziata. Gli psicologi hanno informazioni importanti, in particolare sulla base di studi di gemelli. L’idea di questa linea di ricerca è semplice: i gemelli monozigoti hanno un corredo genetico identico, mentre quelli di-zigoti sono uguali solo per metà. Quindi se una qualche caratteristica (dicamo avversione al rischio) ha una componente genetica la correlazione fra le caratteristiche dei gemelli monozigoti dovrebbe essere più altà che fra eterozigoti. La differenza fra la correlazione dei primi e dei secondi può infatti essere usata come una misura del grado di ereditabilità della caratteristica studiata. Una esposizione "semplice'' è qui, da uno degli esperti della questione.
Michele: Sia l'evidenza che la teoria suggeriscono che gli individui hanno “personalità” geneticamente distinte. Le preferenze profonde sono, quindi, quelle geneticamente determinate. Possiamo aggiungervi “non modificabili da interazioni del soggetto con l’ambiente esterno”? Lo chiedo sulla base di questa semplice osservazione: la nostra altezza ha senza dubbio una componente genetica ma, di nuovo senza alcun dubbio, essa è determinata anche dall’alimentazione ricevuta, specialmente nei primi anni di vita. Quando diciamo che l’altezza di una persona è geneticamente predeterminata intendiamo dire, in realtà, che il patrimonio genetico del fenotipo determina un intervallo di altezze possibili; quale di essa si realizzerà, nel caso in questione, dipenderà poi da un complesso di fattori ambientali. Ecco, la questione interessante è: vale lo stesso per l'avversione al rischio? La generosità? L'ottimismo? E se vale lo stesso, quanto sono ampi quegli intervalli e come si opera su di essi? Sono domande pesanti, ma sono domande non evitabili.
Aldo: Sì vale lo stesso per l'avversione al rischio, per il fattore di sconto soggettivo, e anche per la generosità e l'ottimismo. Siamo più precisi. L'altezza è ereditabile per circa l' 80 per cento (cioé l' 80 per cento della varianza si spiega con fattori ereditari). Se si guarda a questa differenza per i fattori di personalita (che e il modo degli psicologi di caratterizzare un individuo) allora queste sono ereditabili fra il 40 e il 60 per cento (vedi qui per esempio uno studio ben fatto anche se non più recente). Queste sono stime prudenti: la percentuale di ereditabilità è probabilmente più alta, perché la misurazione di questi fattori è fatta con molta imprecisione. Per chiarire: uno dei fattori è chiamato Openness/Intellect, che è quello che sembra dal nome: curiosità e intelligenza. Questo fattore viene misurato sulla base della stima che il soggetto offre della propria intelligenza. Certo, la misura è quindi approssimativa e sospetta. Infatti una misura più precisa, sulla base di test di QI si può avere. E se il fattore si misura in quel modo, allora la frazione della varianza spiegata da fattori genetici sale. Per gli altri fattori (per esempio, altruismo, tanto per citarne uno che può essere più conroverso) ci si può aspettare che la conclusione sia la stessa. Anche per quelle caratteristiche individuali che determinano le preferenze di cui si interessano gli economisti, siccome sono di natura molto simile ai fattori di personalità, ci si puo aspettare che la frazione di ereditabilità sia di quell’ordine.
Michele: La mia ipotesi è che le preferenze individuali si possano capire solo olisticamente, come il prodotto dell’interazione di un insieme di caratteristiche elementari della personalità con l’ambiente circostante. Il problema scientifico veramente difficile consiste (1) nell’individuare tutte e solo queste caratteristiche elementari (che avranno quasi sicuramente una determinazione genetica nel senso stabilito poc’anzi per l’altezza) che risulta legittimo associare alle preferenze profonde, ossia alla personalità; (2) modellare le loro interazioni nel cervello, ossia cercare di capire cosa diavolo sia la "personalità", over and above i "fattori" che la determinano; (3) modellare e misurare come e quanto l’ambiente esterno le fa muovere negli intervalli geneticamente ammissibili. Mi rendo conto che questo sia (quasi) una fotocopia del modello “model and parameters” introdotto da Chomsky per intendere le nostre capacità linguistiche, ma a questo mi sembrano puntare teoria ed evidenza empirica. No?
Aldo: Possiamo mettere il risultato in due modi, naturalmente: che questi fattori sono invarianti in una misura del 40/60 per cento, o che sono modificabili in una misura del 60/40 per cento. In ogni modo, la sostanza della risposta secondo me è chiara. Diciamo modificabili per metà.
La questione della variabilità è importante non solo fra individui, ma anche fra gruppi. L’idea fondamentale di evolutionary psychology è che abbiamo tutti una mente comune, e quindi anche delle preferenze comuni, e stabili. La ragione è che questa struttura si è formata nel periodo lungo e relativamente stabile di hunters-gatherers, e che è improbabile che ci siano già stati effetti (genetici) di adattamento ad una vita agricola: troppo poco tempo. Meno ancora è probabile un qualche effetto genetico di adattamento al modo di produzione industriale. Quindi: postulato fondamentale che abbiamo una struttura deep, comune a tutti, e che questa è stata determinata nel period HG. L’idea della Elementargedanke è antica, risale a Bastian (http://en.wikipedia.org/wiki/Adolf_Bastian). Questo assunto fondamentale non è più preso come indiscusso: per esempio vedi la controversia nata con il libro The 10,000 years explosion, che sostiene che l’evoluzione nel genere umano è proceduta, anzi accelerata negli ultimi 10,000 anni, e che l’idea di Elementargedanke è falsa. Se non volete comprare il libro, e avete fretta, guardate qui: ci sono diversi articoli interessanti e esposizioni più sintetiche. Il libro vale la pena.
Michele: Scusa Aldo, breve intromissione. Dal punto di vista genetico o di evolutionary psychology questo dibattito è interessante, nel senso che è senz'altro rilevante scoprire se alcuni tratti dell'uomo del 2000, o del 1000 o del periodo dell'impero romano, possano essere geneticamente differenti da quelli dei sumeri o delle prime comunità agricole. Ma dal punto di vista dell'economista, che differenza fa? Se leggo bene, nessuno di questi studi riesce a mettere una data precisa sulle supposte trasformazioni genetiche, o no? A dire: nessuno può neanche lontanamente aiutarci a capire, per esempio, se la creazione dei grandi imperi europei o lo sviluppo del pensiero "occidentale", o, esagerando, il Rinascimento con tutto ciò che ne segue, possano anche lontanamente essere attribuibili a modificazioni delle preferenze definite geneticamente. Ci permettono di capire, questo sì, che affermazioni come quelle avanzate da Gregory Clark (o da Oded Galor, sul piano "teorico") sono ridicole e non dovrebbero essere spacciate come argomenti scientifici, ok. Ma non ci fanno avanzare di un centesimo sulle questioni che ci interessano, non credi? In particolare, nessuno riesce a dirci se, per esagerare, il "primitivismo tecnologico" dei continenti altri dall'EuroAsia possa essere associabile a differenti itinerari genetici, o addirittura a differenti preferenze profonde. Quindi, che uso possiamo noi fare di questa ipotesi? Soprattutto, se queste mutazioni sono adattamenti casuali non prevedibili e non controllabili, che cosa ne può ricavare l'economista?
Aldo: Fa una differenza enorme secondo me per tre ragioni. La prima è che a seconda di quando il processo di mutazione si è fermato dipende anche quanto gli esseri umani sono simili fra di loro. Questo è il punto centrale del libro The 10.000 Years explosion. Il punto è connesso alla questione delle preferenze profonde: se ci sono, e non c'è stato tempo per una grossa differenziazione, allora queste preferenze profonde sono anche comuni a tutti i gruppi . La seconda è che è importante per capire molti fenomeni di differenze fra gruppi. Per esempio il fatto che il livello di intelligenza degli ebrei Ashkenazi possa avere una spiegazione genetica è dibattuto. La terza però è quella fondamentale: se negli ultimi diecimila anni l'evoluzione umana si è fermata, allora la fase dell'agricoltura non ha avuto tempo di aver effetto. Vedrai una conseguenza importante di questa assunzione fra poco.
È credibile questa lentezza? Diecimila anni sono tanti. Per darti un' idea, un esempio è quello di uno scienziato russo, Dmitri Belyaev, che negli anni '50 cominciò a scegliere fra un gruppo di volpi quelle che si dimostravano più disposte ad interagire con gli essere umani. Dopo dieci generazioni, meno di 40 anni, ottenne una specie di volpi completamente diversa per carattere, estremamente più docile e socievole con umani. Qui c'è una esposizione semplice. Certo, il Rinascimento non si spiega in questo modo.
Michele: Mi sembra che qui si diverga, o forse c'è solo confusione. Il problema non è, ovviamente, se una cinquantina (o anche una ventina) di generazioni possano essere sufficienti per dare luogo, in un processo di selezione controllata e forzata, a mutazioni nelle caratteristiche genetiche di una specie o meno! Questa non mi sembra una grande novità: basta guardare come si selezionano le razze dei cani per capirlo. La questione interessante è se 10mila anni siano sufficienti per generare mutazioni casuali sufficientemente grandi, e ad innescare poi un processo di selezione ed adattamento tali da poterci far dire: ok, quelli che discendono dagli agricoltori della Mesopotamia sono geneticamente diversi, lungo dimensioni economicamente rilevanti, da quelli che rimasero in Africa o da quelli che proseguirono il viaggio sino alle Americhe ... Ma qui stiamo andando un po' fuori tema, per cui suggerirei di lasciare la cosa in sospeso: è possibile che le preferenze profonde siano modificabili geneticamente e per selezione in intervalli di tempo di alcune migliaia di anni, però non sappiamo bene se questo sia successo né se sia rilevante per spiegare le differenze fra Copenhagen e Quito. Ad ogni modo, torniamo alla questione che ci interessa: esiste una solida giustificazione economica per avocare politiche pubbliche che cambino le preferenze attraverso cambiamenti dei beliefs?
due domande sui primi due "capitoli":
1) Aldo scrive:
Vi spiacerebbe approfondire un po'? Quale credete sia il "consensus" sulla questione adesso? L'argomento mi interessa soprattutto con riferimento alla Macroeconomia: microfoundations, Lucas critique, etc.
2) Qual è la vostra opinione riguardo agli studi di gemelli? Lo chiedo perché l'anno scorso si è molto parlato di un paper scritto da economisti che sembrava gettar dubbi sull'intero approccio. ...o magari ho capito male io, non è proprio il mio campo!
Rispondo su 2). Anch'io sono scettico sui twin studies, per un motivo un po' piu fondamentale di quello che accenni (che sostanzialmente dice che i gemelli sono meno identici di quanto si creda: hanno differenze di peso, etc fin dal giorno in cui nascono). Il punto e' molto semplice: se sono identici, perche' fanno scelte di studi diverse? Deve esserci un qualche fattore "esogeno" che interviene, per esempio, uno subisce un incidente e si trova a fare un percorso scolastico diverso e non va al collete. Ma allora il coefficiente stimato non e' il "return to schooling" ma "return to schooling + incidenti". Per approfondimenti, consulta Rosenzweig and Wolpin, Journal of Economic Literature (credo 2000).