È di questi giorni la notizia che Lactalis, società francese leader nel settore del latte e dei suoi derivati, già presente in Italia con molti marchi storici, è entrata in possesso di poco meno del 30% del capitale di Parmalat. È rimasta al di sotto del fatidico 30% per non essere costretta a lanciare un’OPA, obbligo che scatta quando il rastrellamento di azioni di una società quotata raggiunge quella soglia.
Parmalat, dopo le sciagurate iniziative del duo Tanzi-Tonna, ricostruite di recente in un film abbastanza fedele allo svolgimento dei fatti, gode di eccellente salute. Chi ne vuole sapere di più e si diletta di bilanci, qui trova le informazioni. Di seguito alcuni dati salienti relativi al 2010.
Parmalat ha fatturato 4,3 miliardi di euro e ha conseguito un margine operativo lordo del 9%. Vende latte (59%) e derivati (32%) come yogurt, dessert e formaggi, questi ultimi in misura trascurabile. È presente in mezzo mondo: il principale mercato del gruppo è il Canada dove si concentra il 37% delle vendite, seguono Italia con il 22%, Australia con il 17%, Centro e Sud America e Africa con il 10% ciascuno.
Ha una situazione finanziaria senza paragoni: ha praticamente zero debiti finanziari, crediti e debiti commerciali praticamente si equivalgono e una liquidità netta di circa 1,4 miliardi di euro, investita in depositi bancari a breve termine ed in titoli governativi italiani, francesi e tedeschi; la scadenza degli investimenti è per oltre la metà entro i tre mesi e per il resto da tre a sei mesi. Insomma, più che un’impresa leader nel suo settore, un forziere molto ben rifornito.
È da qua che bisogna partire. La gigantesca liquidità non trae origine dalla gestione delle tradizionali aree di attività. È stata generata dal successo delle iniziative di Bondi, solo omonimo di quello che si diletta di poesia, attuale amministratore delegato che, a partire dal 2006, attraverso azioni revocatorie e risarcitorie, ha fatto entrare nelle casse della società oltre 1,7 miliardi. Nell’azionariato di Parmalat sono (meglio erano) presenti Zenit, Skagen e Mackenzie Cundill, tre fondi di investimento che a più riprese hanno sollecitato il vertice a fare qualcosa di quella liquidità. L’opzione preferita era senza dubbio quella di dare più generosi dividendi; magari si sarebbero accontentati di una mirata campagna di acquisizioni; lasciarli in quel modo, rimanendo seduti su quella gigantesca montagna di quattrini, non li metteva di buonumore.
E qui entra il gioco il transalpino. Lactalis, alla fine dello scorso anno si era vista dire di no alla sua proposta di acquisire Yoplait, marchio francese molto noto nel mercato dello yogurt. Si è guardata in giro e colto al volo l’occasione, il 30% di Parmalat, che capitalizza poco più di 4 miliardi, vale grosso modo (forse un po’ meno) quanto l’offerta fatta a suo tempo per Yoplait.
La questione interessante riguarda il modo in cui funziona la nomina del Consiglio di amministrazione di Parmalat. Alle pagine 58-59 del Bilancio si legge:
All’elezione del Consiglio di Amministrazione si procede come di seguito precisato:
a) alla lista che avrà ottenuto la maggioranza dei voti sarà assegnato un numero di Amministratori proporzionale ai voti ottenuti più due con il limite massimo comunque di 9 (nove) Amministratori. Le frazioni superiori a 0,5 (zero virgola cinque) si arrotondano all’unità superiore mentre le frazioni pari a 0,5 (zero virgola cinque) o inferiori sono azzerate;
b) i restanti Amministratori saranno tratti dalle altre liste; a tal fine i voti ottenuti dalle liste stesse saranno divisi successivamente per uno, due, tre, quattro secondo il numero degli Amministratori da eleggere. I quozienti così ottenuti saranno assegnati progressivamente ai candidati di ciascuna di tali liste, secondo l’ordine dalle stesse rispettivamente previsto. I quozienti così attribuiti ai candidati delle varie liste verranno disposti in unica graduatoria decrescente. Risulteranno eletti coloro che avranno ottenuto i quozienti più elevati. Nel caso in cui più candidati abbiano ottenuto lo stesso quoziente, risulterà eletto il candidato della lista che non abbia ancora eletto alcun Amministratore o che abbia eletto il minor numero di Amministratori.
Quindi lo schema è chiaro. C’è un bel premio di maggioranza accordato alla lista che ottiene più voti e che garantisce il controllo. L'assemblea Parmalat verrà chiamata a rinnovare i vertici nella prima metà del prossimo mese, la mossa di Lactalis è quindi di un tempismo perfetto. I soggetti che vorranno contrastarla dovranno organizzarsi in pochissimo tempo per ottenere più voti. Inoltre, per superare Lactalis, rischiano di avvicinarsi pericolosamente alla fatidica soglia del 30%, quella che, facendo scattare l’OPA, li costringerebbe a mettere sul piatto una cifra che triplicherebbe il costo dell’operazione. Un bagno di sangue che farebbe felici ''solo'' i risparmiatori che possiedono i restanti due terzi del capitale, e che in questo modo si vedrebbero riconoscere un prezzo che incorpora il premio di maggioranza che l’OPA invariabilmente determina.
E qui la bella trovata del governo: issa la bandiera dell’italianità per ostacolare Lactalis e risponde così in modo patriottico all'insopportabile arroganza transalpina che si vuole portare a casa i nostri gioielli di famiglia. La prima mossa è consistita nell’approvare un decreto legge che fa una cosa alquanto bizzarra, ma perfettamente funzionale all’obbiettivo di prendere tempo per organizzare la cordata italiana. Si legge sul sito del governo
Il terzo decreto-legge dispone in ordine alla proroga del termine per le assemblee societarie nei casi di cui al testo che segue:
“In sede di prima applicazione del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 27, è consentito alle società alle quali si applica l’articolo 154-ter del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, convocare l’assemblea di cui all’art. 2364, secondo comma, e 2364-bis, secondo comma, del codice civile, nel termine di centottanta giorni dalla chiusura dell’esercizio 2010, anche qualora tale possibilità non sia prevista dallo statuto della società. Nel caso in cui alla data di entrata in vigore del presente decreto l’avviso di convocazione dell’assemblea è già stato pubblicato, è consentito al consiglio di amministrazione o al consiglio di sorveglianza di convocare l’assemblea, in prima o unica convocazione, a nuova data, nel rispetto dei termini e delle modalità di cui all’articolo 125-bis del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Qualora l’assemblea sia stata convocata anche per la nomina dei componenti degli organi societari, le liste eventualmente già depositate presso l’emittente sono considerate valide anche in relazione alla nuova convocazione”.
In soldoni questo significa che si possono far slittare le assemblee societarie già convocate, e quindi anche quella di Parmalat potrà essere spostata da metà aprile a fine giugno. Si prende tempo per riorganizzare le fila degli italici campioni e poi, per ridurre i francesi a più miti consigli, si minacciano misure draconiane che impediranno le acquisizioni in settori strategici. Già, perché negli ultimi 5 anni i cugini d’oltralpe hanno fatto shopping per circa 36 miliardi di euro, acquistando fra l’altro BNL, Cariparma, Bulgari, Gucci, Edison (in questo caso, però, la partita è ancora aperta) e se non venivano fermati dal governo del fare, si portavano a casa anche Alitalia. Per converso gli italiani in Francia, nello stesso periodo, hanno investito meno di 3 miliardi: poca roba e niente di rilievo a parte i magazzini Printemps (Borletti), Sorgenia (gruppo de Benedetti) e Altergaz (Eni).
Questa storia, ancora in divenire, è istruttiva. Un’impresa straniera è più abile e pronta dell’italico caravanserraglio a cogliere al volo un’occasione che si presenta. Quando ci si accorge di ciò che sta per accadere, si invoca l’italianità.
Cosa significhi italianità, in questo particolare contesto, è presto detto. Parmalat produce e vende quasi cinque volte di più all’estero che da noi. Una multinazionale che tale è diventata, facendo quello che adesso si vuole impedire a Lactalis. Se all'estero avessero praticato gli stessi metodi che ora vengono invocati, oggi Parmalat sarebbe al massimo una latteria di paese. Curioso.
Parmalat però acquista una montagna di latte dagli allevatori italiani e questo latte costa tra il 15 e il 20% in più del suo equivalente francese: qui per avere un’idea dei numeri, qua invece il grafico. Se il francese si compra Parmalat la pacchia, per molti di loro, imprese troppo piccole per essere efficienti, finisce. Contrariamente al latte usato per i formaggi DOP, che deve rigorosamente provenire da stalle localizzate nell'area geografica dove si produce il cacio, il latte fresco che tiriamo fuori dal frigo può arrivare e arriva (entro certi limiti) da ogni dove dell’Europa. Gli allevatori sanno che un‘impresa straniera può facilmente sostituirli, se non riducono il prezzo di cessione del prodotto e quindi temono l’ingresso dello straniero. Gli allevatori sono situati principalmente al nord e votano massicciamente e compattamente un partito di governo che in questo momento è bene non scontentare. L’italianità quindi significa, in questo caso come in tutti gli altri, rassicurare coloro che devono essere rassicurati che si sta facendo qualcosa per loro.
Una banca (Intesa) era nel Consiglio di Amministrazione di Parmalat. Si presume ne conoscesse vita, morte e miracoli. Sapeva della liquidità esistente, e si unisce al coro quando il blitz è stato oramai compiuto. Curioso anche questo.
Si invoca l’intervento dell’italico antitrust per bloccare l’operazione. Niente di più insensato. Se Lactalis riuscirà a ottenere il controllo, l’operazione dovrà essere notificata a Bruxelles, poiché è di dimensioni comunitarie. Qui le regole. In astratto è possibile che l’autorità italiana possa chiedere di essere lei ad esaminarla. Però, per fare questo, deve sostenere che l’operazione Lactalis-Parmalat possa creare nel mercato italiano dei problemi. L’unica area di sovrapposizione è quella dei formaggi, core business di Lactalis in Italia, dove comunque ha quote di mercato modeste, e la presenza di Parmalat è trascurabile. Quindi l’antitrust che se ne dovrà occupare è quello europeo. Meno male, così almeno di pericolose fregnacce come quelle dell’italianità, non ne sentiremo parlare.
Prima di chiudere sull’italianità è bene ricordare quanto scriveva, all’inizio del secolo scorso, Egidio Galbani, creatore del mitico formaggio Bel Paese
"Non era senza un vero dispiacere che per l'addietro, sostando davanti al negozio dei principali salumieri delle nostre città, non si potesse scorgere alcun formaggio di lusso che portasse un nome italiano. Fui il primo che, dopo lunga esperienza, riuscii a soppiantare l’importazione estera, mettendo in commercio i miei formaggi di lusso, uso Francesi".
Il marchio Bel Paese appartiene ai francesi dal 1989 e a Lactalis dal 2006.
Questo per me è sorprendente. Qualcuno ha una spiegazione?
Intesa, 2,18% di Parmalat stava organizzando una cordata per preparare una lista da presentare all'assemblea per riconfermare Bondi. Obiettivo non tanto segreto di Intesa è organizzare una qualche operazione con Parmalat che prevedesse l'inserimento di Granarolo società uscita da una crisi ma squattrinata. Si trovano varie dichiarazioni del management di Granarolo. Casualmente Intesa detiene il 20% di Granarolo. Il resto è facilmente intuibile. Replicare lo schema ignobile di Alitalia dove intesa era creditrice di AirOne. Beninteso la cordata di Intesa era con piccoli soci ma senza sborsare un centesimo, come tipico del capitalismo parassita italiota.
Lactalis, soldi in bocca, ha comprato il 30% della società spiazzando tutti. L'assurdo è che il dossier parmalat era aperto su tavoli di banche, Finanziarie, concorrenti da oltre 20 mesi ma avrebbe richiesto di metter mano al portafogli. Solo che questi scienziati che ambivano a Parmalat non hanno comprato ad 1,80€uro quello che dovranno oggi pagare almeno 2,80% prezzo pagato da Lactalis. Intesa non molla e stanno mettendo in croce Ferrero che dice di essere interessato ma in realtà non lo è molto. Sarà interessante vedere come risciranno, e ci proveranno questi asini dei nostri governanti, a sterilizzare il 30% di capitale della Lactalis. Insomma una miserabile puntata della squallida storia del capitalismo dei salotti italioti, quello del controllo delle imprese con lo 0, %..del capitale e banche a disposizione. Vedi caso Ligresti-UniCredit, nuova vergogna della metastatizzata finanza italiota.