Leggo, su Repubblica cartacea di mercoledì, che il ministro della pubblica istruzione, Fioroni, è intervenuto per proibire ad una preside di formare una classe con gli studenti bocciati. Perplessità sull'intervento di un ministro (alla faccia dell'autonomia) sui criteri di allocazione di studenti a classi (ma lui, davvero non ha altro da fare?) a parte, son certo che i lettori di nFA troveranno gli interventi di quasi tutti i protagonisti tristemente prevedibili.
Il collegio dei docenti, unanime, respinge l'iniziativa della preside, tacciandola di razzismo (of course, quasi tutti gli studenti bocciati son stranieri); l'ispettore scolastico si riferisce "alla dottrina pedagogica" (alla? come se i pedagoghi fossero tutti d'accordo), il direttore del ministero, che la chiama "discriminante" (perché?), il giornalista parla di cappelli da somaro e classi differenziali. Mi pare che manchi solo l'opinione del sindacato scuola, che chissà cosa mai direbbe.
Gli studenti delle altre classi, anche loro contrari ("io non sono bocciata, ma in quella classe lì rifiuterei di andare"). Guarda caso, gli studenti coinvolti (e i loro genitori) si dicono a favore. Già ovviamente, sono zucconi no? dimostrano così la correttezza della decisione di bocciarli. O no? O magari sono d'accordo con la preside, che prova ad aiutarli, dedicando risorse e insegnanti solo a loro, invece di lasciarli a languire in una classe le cui lezioni proprio non riescono a seguire? La proposta della scuola (Gastaldi-Giorgi, a Genova), altro non è che un esempio della pratica di streaming/setting/tracking, cioè di mettere nello stesso gruppo studenti di abilità e livello simile, comune in USA e nel Regno Unito e totalmente aliena in Italia, al punto che non c'è neanche un termine per descriverla.
È discutibile, ed infatti è discussa, spesso violentemente (da un punto di vista tecnico se sia un'idea buona o no dipende dalla derivata seconda incrociata tra l'abilità individuale e quella media dei compagni nella funzione risultato), ma in generale le scuole possono farlo, in autonomia e senza interventi stalinisti di ispettori/direttori/ministri. Ma se sia giusta o sbagliata is not the point. The point is: come si fa a sapere se un'idea è buona o cattiva se non la si prova? Perché non si lascia sperimentare alle scuole e alle persone che hanno idee originali, per vedere l'effetto che fa? Magari qualcuno ha un'idea che funziona, poi altri la copiano o la modificano in meglio? Nessuno in Italia si rende conto di quanto poco innovativa sia la società? Che il mito assurdo della parità di trattamento (per cui tutti gli studenti devono operare con le stesse regole, altrimenti qualcuno potrebbe essere danneggiato dalle diverse regole di un esperimento) condanna invece l'intera società a un catastrofico esperimento nazionale in uniformità e grigiore? Che il mondo cambia, e se non ci si adegua si va a fondo? Tutti si rempiono la bocca di autonomia, ma appena una scuola fa, autonomamente, qualcosa di diverso, ecco gli ispettori con le loro idee conservatrici (con la c piccola). E l'aspetto più triste è che questa preside cercava di proporre, in strutture pubbliche, e in competizione con le scuole private, il "recupero anni scolastici" in cui queste si sono specializzate da decenni. E allora, mio caro Fioroni mi spieghi perché, se è legale e ammesso negli istituti privati, non lasci che provino a farlo anche quelli pubblici?