Passaparola
Settant’anni di leggi elettorali italiane, in numeri presumibilmente poco utili.
Settant’anni di leggi elettorali italiane, in numeri presumibilmente poco utili.
Non lo sono e, con tutto il rispetto per Beppe Grillo, nemmeno aspiro ad esserlo anche se non ci sarebbe dispiaciuto prendere i suoi voti, o anche metà di essi, nel 2013 e nel 2014. Non li abbiamo presi, quindi siamo fuori dal gioco. Ma questo non implica “zitto e mosca”: posso sempre provare ad immaginare cosa direi a Matteo Renzi se avessi l’opportunità, che Grillo ha, di un pubblico dibattito con lui sul tema della riforma elettorale e di quelle istituzionali più in generale.
Direi che a questo punto non esiste un singolo difensore in Italia dell’attuale legge elettorale. In effetti molti invocano la formazione di un governo di scopo con il solo obiettivo di cambiare tale legge, in modo da poter rapidamente andare a votare con una legge diversa. Ma qui di solito casca l’asino: quale legge andrebbe fatta al posto del porcellum? Ed è veramente una buona idea cambiare la legge elettorale, per pessima che sia, proprio prima delle elezioni? Il mio punto di vista, che cercherò di argomentare in questo post, è che nessuna legge elettorale minimamente decente può garantire la stabilità del governo dopo le elezioni e che in generale è una pessima idea cambiare la legge elettorale a ridosso delle elezioni.
Il prossimo 11 gennaio la Corte Costituzionale deciderà in merito all’ammissibilità dei referendum elettorali. I referendum mirano alla abolizione in toto dell’attuale legge elettorale, che verrebbe integralmente sostituita dalla legge elettorale precedente (il cosidetto mattarellum). Come cambiano gli incentivi per le diverse forze politiche, e per i singoli uomini politici, sotto i due sistemi?
È necessario cambiare le regole per la validità dei referendum. La proposta è quella di sostituire la richiesta di un quorum di partecipazione del 50% con la norma attualmente usata in Germania: affinché una norma sia abrogata almeno il 25% degli elettori devono votare in favore dell’abrogazione.
La proposta è in due parti. Primo, mettere automaticamente sulla scheda elettorale l’opzione ”nessuno di questi”. La vittoria di tale opzione comporta il commissariamento dell’ente per tre anni. Secondo, istituire la possibilità della revoca dell’elezione. Tale possibilità è messa in atto raccogliendo un numero sufficiente di firme e istituendo un referendum sulla giunta esistente. In caso di vittoria del referendum l’ente viene commissariato fino alle successive elezioni, tenute alla normale scadenza.
Dove sta l’indipendenza del Parlamento dal Governo?
In due post precedenti ho analizzato i risultati più probabili nel caso in cui si vada al voto. A fronte di questi scenari, possiamo chiederci quali siano gli incentivi delle diverse forze politiche sia in termini di alleanze sia in termini di riforma del sistema elettorale. La mia tesi principale è che se si fa effettivamente un governo tecnico, temporaneo, balneare, ribaltone, o comunque altro si voglia chiamare, è probabile che venga ripristinato il sistema proporzionale senza premio di maggioranza. Ma ci sono due difficoltà. Primo, non è chiaro che il PD sia unito. Secondo, non è chiaro che esistano i numeri in questo Parlamento.
In questo post esponiamo e cerchiamo di interpretare il quadro delle alleanze venutesi a creare per le elezioni regionali del 2010.
Il 28 e 29 marzo si voterà per eleggere i governatori e i consigli regionali di 13 regioni a statuto ordinario. Dedichiamo a queste elezioni un paio di articoli, iniziando con una analisi delle leggi elettorali regionali.
©Copyright 2006-2020 noiseFromAmeriKa.org
I contenuti di noiseFromAmeriKa.org sono riproducibili a norma della licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 anche senza il consenso di noiseFromAmeriKa.org, seguendo le indicazioni aggiuntive elencate in questa pagina