Passaparola
Quanto hanno studiato gli italiani? Laureati, diplomati, e meno – regione per regione.
Quanto hanno studiato gli italiani? Laureati, diplomati, e meno – regione per regione.
Questa settimana: le impercettibili differenze di reddito e occupazione fra laureati in diverse discipline.
Il numero dei giovani che, ogni anno, si iscrivono per la prima volta nelle università italiane ha superato, da qualche anno, il 50% dei diciannovenni (Tabelle 1.1 e 1.2 del Nono Rapporto sullo Stato del Sistema Universitario, Dicembre 2008, del Comitato Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario, disponibile nel sito www.cnvsu.it). Una domanda di istruzione terziaria di queste dimensioni corrisponde necessariamente ad una popolazione studentesca molto diversificata in termini di preparazione iniziale, capacità, interesse allo studio, ambizioni e aspettative. Eppure l’università italiana risponde a questa domanda di istruzione con un’offerta didattica uniforme, o meglio, diversificata solo per facoltà o corso di studio e non per livello di approfondimento all’interno dello stesso corso. Si rischia in questo modo di abbassare per tutti il livello degli studi a quello che si adatta agli studenti meno preparati (come certamente avviene in molti corsi di laurea), o di respingere la maggioranza degli studenti che chiedono una formazione superiore, incrementando irragionevolmente i ritardi e gli abbandoni (Tabella 1.46 e Fig. 1.9, del citato rapporto del CNVSU.) E’ naturale che a questo punto sia riproposta da più parti, l’ipotesi di diversificare il sistema di istruzione superiore, per rispondere meglio ad una domanda di istruzione diversificata. Questa ipotesi prevedrebbe, ad esempio, università “di serie A” dove si svolgerebbe ricerca scientifica e dove sarebbero ammessi solo gli studenti più preparati e università di “serie B” dedicate prevalentemente all’insegnamento e dove entrerebbe la maggioranza degli studenti. Come giudicare questa ipotesi?
In un precedente post sostenevo che l’università italiana continua a produrre pochi laureati ed attrarre pochi iscritti, rispetto ai potenziali. Tale conclusione venne criticata perché la base dati del MIUR che utilizzavo era (ed è?) gravemente incompleta (ma il MIUR non lo diceva, e continua a non dirlo!). Grazie all’intenso scambio di commenti che hanno fatto seguito a quel post le cose sono ora abbastanza più chiare.
I dati riportati in una lettera di Alessandro Figà Talamanca al Corriere mi hanno sorpreso. Sono andato a controllare, ricordandomi che mia madre mi dava sempre del "san Tommaso che no ghe crede fin che no'l ghe mete el naso" … È del tutto possibile che AFT ed il sottoscritto usino fonti di dati distinte. Le mie son riportate in ciò che segue.
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