Un popolo di illusi?

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Giuliano Amato non gode di una grande reputazione in Italia di questi tempi. Gli ex-comunisti  non gli hanno mai perdonato di essere stato capo di gabinetto di Craxi. Gli ex-socialisti non gli perdonano di essersi schierato a sinistra. Gli italiani lo considerano l’epitome della casta – professore universitario, politico, detentore o ex-detentore di innumerevoli cariche e candidato permanente a tutte le altre. Eppure ha scritto, insieme ad uno dei più brillanti storici italiani, un libro che merita di essere letto e meditato con molta attenzione.

Il  libro è un mix, non sempre riuscito, fra ricostruzione “scientifica” della storia italiana dal dopoguerra ad oggi e pamphlet a tesi.  Per essere un pamphlet, di quelli che vanno di moda ora (130 pagine scritte larghe) presenta troppi fatti ed informazioni – compresa un’Appendice statistica. Come ricostruzione “scientifica” è spesso parziale e molte affermazioni sono relativamente poco documentate. In alcuni casi, come l'entità dei trasferimenti fra regioni e gruppi sociali mediati dal bilancio statale, mancano dati e ricostruirli è molto difficile (anche se sarebbe un contributo veramente importante alla conoscenza storica). In altri casi, si tratta di informazioni su fatti e persone note agli anziani politicizzati come me (io c’ero, almeno come osservatore). Probabilmente, un giovane o chiunque non abbia seguito molto l’attualità politica avrebbe bisogno di qualche ricerca aggiuntiva.  Non è quindi un libro facile da leggere sotto l’ombrellone.  Bisogna perlomeno essere su una veranda con accesso alla rete.  Il libro però merita un minimo di sforzo perché la tesi è molto interessante e largamente condivisibile, almeno da chi frequenta questo blog.

In sostanza, Amato e Graziosi sostengono che, a partire dai primi anni Sessanta, gli italiani si sono illusi di essere diventati ricchi e  quindi di potersi permettere un tenore di vita da grande paese europeo. Invece si stavano mangiando il capitale faticosamente accumulato nella straordinaria stagione di sviluppo nota come miracolo economico. In questo modo hanno ridotto le potenzialità di crescita dell’economia italiana fino a portare alla stagnazione, manifestatasi ben prima dello scoppio della crisi attuale. Si è trattato di una illusione, come si dice ora, rigorosamente bipartisan: la DC ed il PCI hanno gareggiato a offrire più diritti, più sussidi, più aiuti (a spacciare più illusioni) almeno  fino agli anni Ottanta. Dall’inizio degli anni Novanta alcuni coraggiosi (in primis Amato con la famosa finanziaria del 1992-1993) hanno tentato di invertire la tendenza, ma sono solo riuscitia convincere gli italiani che non si poteva avere di più. La maggioranza fatica ancora ad ammettere che anche i diritti già acquisiti sono economicamente insostenibili.  O meglio, l’Italia è formata da decine di minoranze, ciascuna delle quali è assolutamente convinta dell’opportunità di eliminare gli ingiusti privilegi altrui, ma risolutamente contraria a toccare i propri diritti inalienabili.

Non  è possibile in questa sede riassumere il libro, per ovvie ragioni. Mi limiterò a citare alcuni dei punti che mi sono sembrati più interessanti o anche criticabili

i) la necessità politica di una redistribuzione delle risorse mediata dallo stato è derivata in ultima analisi dalla sconfitta nella seconda guerra mondiale, che ha distrutto la fragile legittimità della classe politica risorgimentale e delle sue aspirazioni di grande potenza. Quindi si è manifestata già alla fine degli anni Cinquanta, quando il paese è uscito dal clima di emergenza della ricostruzione.

ii) il combinato effetto della protesta studentesca (il Sessantotto) e delle manifestazioni operaie (l'autunno caldo del Sessantanove) hanno accellerato un processo politico già in corso. Personalmente, trovo che gli autori tendano a sottovalutare l'impatto degli avvenimenti della fine anni Sessanta e delle riforme dei primi anni Settanta.  La crescita della spesa pubblica e del welfare a scopi redistributivi è stato un fenomeno comune a tutti i paesi avanzati. Solo in Italia, però, si è accompagnata ad una profonda (e disastrosa) riorganizzazione dello stato in senso regionale che ha moltiplicato i centri di spesa. E solo in Italia il Sessantotto/Sessantanova ha creato una mistica della “lotta” con relativa sospensione della legalità che, seppure in forme  attenuate, ci portiamo dietro ancora oggi, soprattutto nei servizi pubblici.

iii) trovo l’interpretazione della storia degli ultimi vent'anni alquanto manichea, anche se temperata da uno scetticismo di fondo sul popolo italiano.  Da un lato ci sono i buoni – la sinistra riformista che ha tentato di salvare l’Italia negli anni Novanta, con qualche (parziale) buon risultato. Dall’altro ci sono tutti gli altri, che, una volta evitato il disastro, hanno votato Berlusconi che ha sprecato la grande occasione dell’euro. Dopo la fine della stagione delle riforme, anche la sinistra, trascinata dalle sue frange più massimaliste, si è adeguata.

iv) la classe dirigente italiana, con pochissime eccezioni negli anni Cinquanta e negli anni Novanta, si è rivelata assolutamente mediocre ed  incapace di vedere oltre il proprio naso. Come i generali francesi, si è sempre preparata per la guerra precedente.  Non si è accorta delle  grandi trasformazioni della società  italiana, non si è resa conto del carattere eccezionale della crescita economica durante la golden age  (1950-1973) e non ha compreso l’enorme sfida della globalizzazione. Tutte le classi dirigenti dei paesi occidentali hanno peccato di miopia da questo punto di vista, ma quella italiana è stata proprio cieca. A mio avviso Amato e Graziosi trascurano abbastanza il ruolo delle classi dirigenti non strettamente politico/partitiche. In particolare, manca una critica alla burocrazia ministeriale ed alla sua cultura formalistico-giuridica, che negli ultimi anni è stata forse il principale ostacolo alla riforma della pubblica amministrazione.

v) gli autori  sottolineano con forza, ed a mio avviso molto giustamente,  l’importanza dei fattori demografici. L’abbondanza di manodopera giovane negli anni Cinquanta e Sessanta è stato uno dei fattori essenziali del miracolo economico – più in termini di energia imprenditoriale che di riduzione del costo del lavoro.  Ora l’invecchiamento della popolazione è uno dei problemi più gravi del paese, e gli  autori giustamente ritengono  un aumento dell’immigrazione l’unica soluzione ragionevole

Il libro non si chiude con una proposta politica esplicita – casomai si sente il rimpianto per le occasioni sprecate.  L’impostazione generale implica però una visione molto pessimistica.  Le classi dirigenti sono, se possibili, peggiorate e manca infatti in Italia un obbiettivo condiviso che possa giustificare uno sforzo di riforma, come lo era stato l’entrata nell’euro negli anni Novanta. Anzi, gli autori notano con palese dispiacere come l’Europa sia divenuta, nell’immaginario collettivo di una parte cospicua se non maggioritaria degli italiani, il principale  responsabile della crisi. Se solo i tedeschi ci permettessero di tornare ai beati anni Settanta, ovviamente pagando graziosamente il conto,  tutti staremmo meglio.  Aggiungo una riflessione personale. Amato e Graziosi mettono in chiaro che la redistribuzione ha favorito  in  maniera particolare alcuni gruppi sociali – ed in particolare i dipendenti pubblici ed i pensionati (le pagine sulla riforma delle pensioni degli anni Settanta sono fra le più illuminanti del libro).  Si rendono anche conto che la ripresa economica richiede un drastico taglio della spesa pubblica. Ma non traggono le conclusioni su chi deve  pagare il conto.  Forse è politicamente troppo doloroso.

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Commenti

Ci sono 28 commenti

Beh la quantificazione del trasferimento dai redditi alle pensioni scritta dal pensionato più famoso d'Italia sa quasi di beffa. Mi farebbe piacere sapere, tra l'altro, se nel libro scrive "io c'ero", così giusto per capire il personaggio.

Comunque dopo la stagione del "regalo dei diritti" a destra e manca (settanta e ottanta) adesso siamo nella stagione dei "diritti acquisiti", in attesa di arrivare nella stagione degli "acquisiti", ma non alla Germania, alla Cina o all'euro, ma degli acquisiti alla schiavitù di stato.

"gli italiani si sono illusi di essere diventati ricchi . . . "

"necessità di redistribuzione risorse derivata dalla seconda guerra mondiale . . . "

etc.

Insomma, basta.

Il problema dell'italia sono la spesa pubblica e la burocrazia, e questi non sono colpa né degli italiani, né della storia mondiale. E non sono neanche colpa dei "politici", per quanto classe detestabile in quanto tale.

E' colpa semplicemente della forma istituzionale. Che non dà scampo al paese e porta inevitabilmente a questi risultati.

Anche di fronte al baratro, questi problemi aumentano.

Se qualche lettore di questo mio post non è nato ieri, si ricorderà che sono 30 anni che ogni governo ed ogni partito sbandiera la necessità di ridurre spesa pubblica, tasse e burocrazia.

Al "governo", in questi 30 anni, si sono succeduti antistatalisti sfegatati, da Brunetta a tutti i ministri liberali del pentapartito, allo stesso SB, al suo Tremonti, a Monti. Addirittura Martino. Perché, Craxi non metteva questi punti come sua bandiera? Anche Fanfani lo faceva, guarda un po'.

E allora perché? Perché è impossibile a qualunque esecutivo neanche rallentare la crescita della spesa?

La risposta è grande come una casa. Ecco perché nessuno la vede.

Perché, in Italia, il potere esecutivo non esiste. O meglio, c'è, ma è fuori dal controllo del "governo", dei cittadini, del parlamento, di qualunque organo istituzionale.

Chi sono, in Italia, i membri dell' "esecutivo"? Non certo i ministri, che non hanno neanche idea di come funzionino i ministeri che dovrebbero gestire. I ministri, vista la nostra forma istituzionale farlocca, sono degli uomini di partito. In casi eccezionali, tipo governo Monti, sono amici e conoscenti del primo ministro.

E allora, chi governa i Ministeri? Semplice: i dirigenti ed i funzionari ministeriali. Gente pratica, che è arrivata alla propria posizione mediante un sistema a cui debbono tutto, e che non si sognano certo di ribaltare. Anzi, sono pieni di amici, parenti e colleghi a loro cari. Sono soggetti a sanzioni, responsabilità, doveri particolari? Poiché le regole del ministero le fanno loro, la risposta non la do neanche.

Ma allora, che cosa fanno i "ministri"? Amministrano? Ovviamente no. Lo sanno tutti che fanno. Fanno Leggi. Nelle quali sanciscono: "bisognerà fare così e cosà. Come farlo è delegato al ministero". Ovvero ai funzionari di cui sopra. Che ogni tanto qualcosa fanno, se conviene al loro sistema, alla loro corporazione. Altrimenti no. Tanto, chi se ne frega? Dovrebbero far loro, in modo autiolesionistico, ciò che dovrebbe fare qualche ignorante "ministro"? Che altro non sa che delegare le proprie "volontà" a chi ne ha di contrarie?

Nel frattempo, con questo raddoppio del potere legislativo (ed annullamento dell'"esecutivo"), il paese produce una media di 2000 leggi l'anno. La maggiorparte inutili e contraddittorie.

Con il particolare che questo efficientissimo potere legislativo è composto da gente che, per la maggiorparte, non ha mai letto né la costituzione né altro codice. Anche essi sono solo "uomini di partito". E che infatti delega a consulenti le proprie prerogative.

Ma la domanda è un'altra. Perché nessuno si accorge di questo problema enorme? Ma questo sig. Amato, amato tantissimo dalle banche per cui ha inventato le fondazioni, ci è o ci fa? E' veramente cieco, o è un (dr) sottile retore, impegnato in una raffinata presa per il sedere di lettori ammaliabili da logiche complicate?  Purtroppo, è più probabile la prima risposta. E la benda che gli copre gli occhi è il successo accreditatogli.

Ed infine: ma in fondo, ha senso discutere di economia, se tanto è impossibile attuare qualunque misura che non vada a produrre aumento di spesa (oltreché altre leggi)?

Tanto per fare un confronto di tipo istituzionale, ricordo che il "parlamento" Svizzero si riunisce in media 4 volte l'anno,  e che il suo esecutivo resiste al cambiamento di colore del parlamento in quanto le sue funzioni, giustamente,  non centrano niente con quelle dell'assemblea.

E' uno scherzo vero?  Una specie di candid camera via web?

Quali sono i prossimi titoli in programma su Biblioteka?

"Italiane la castità è importante" di B Rodriguez e S Berlusconi.

"Non distraetevi alla guida" di F Schettino

"Discutete pacatamente" di V Sgarbi e G Ferrara

" L'arte di Vincere" di P Bersani  

" Italiani imparate a crossare" di L Antonini e I Abate

Insomma, come non sottoscrivere i commenti di Marco Esposito e Guido Cacciari ? 

 

Ho scritto una recensione ad un libro di storia che sostiene una tesi, che io condivido, anche se con alcune differenze (in parte esplicitate). Se qualcuno ha opinioni sulla tesi, possibilmente dopo aver letto il libro, è benvenuto. Gli insulti sarcastici lasciamoli a Grillo. E lasciamo a Grillo la ricerca di un colpevole "altro" - lui indica la casta, Cacciari, più raffinatamente, gli alti burocrati.

Dalla recensione vedo che mancano accenni alla guerra fredda che pure ha giocato un ruolo fondamentale nelle scelte politiche.

ne parlano abbastanza diffusamente anche se non è al centro del loro discorso. Come detto nella recensione ho brevemente toccato gli argomenti che mi sembravano più interessanti

Secondo me la peggiore illusione italiana e' stata lo sviluppo senza ricerca. Conoscera' forse il saggio "Il miracolo scippato" di Pivato. Circa negli anni del primo centrosinistra, quando il boom stava svandendo si sono fatti errori strategici enormi. Questo molto per colpa di una classe politica supina agli americani e una classe imprenditoriale impreparata alle nuovi condizioni del paese.

In piu' il 68, invece di essere un momento di evoluzione sociale e svecchiamento (abbandono del familismo agricolo, costruire una societa' armoniosa ed equa), e' degenerato: violenza da una parte e apatia politica dall'altra. Su cui sono cresciuti Craxi prima e Berlusconi poi.

Se i baby-boomer italiani avessero incanalato le loro energie in progetti concreti e la politica li avesse assistiti, l'Italia sarebbe avanzata quanto la Germania o il Giappone. Che hanno i loro problemi, ma hanno puntato sulle infrastrutture e le tecnologie con equilibrio.

La ricetta per me e' piu' Scienza e non ascoltare gli industriali e gli economisti italiani, che sono tutti collusi con il potere e in gran parte incapaci. Con tutto il rispetto.

"negli anni del primo centrosinistra" dice tutto. Prima c'era il boom, poi un declino senza fine. Non sopravvaluterei l'influenza americana: Germania e Giappone all'epoca erano addirittura militarmente occupate dagli USA, eppure questo non gli ha impedito di crescere. A mio parere il peccato più grave del '68 è stato di diffondere il disprezzo della "cultura borghese" che si è poi ineluttabilmente trasformato nel disprezzo della cultura senza aggettivi.

la dissennata espansione dello Stato nell'economia, in quegli anni efficacemente simboleggiata dalla nazionalizzazione dell'energia elettrica con la creazione dell'ENEL ha operato una "adverse selection"  fra gli imprenditori: via quelli che innovavano ed esportavano, dentro quelli collusi con il potere e avidi di finanziamenti a fondo perduto, appalti assegnati in maniera poco trasparente etc.

Le forze che hanno scippato il miracolo italiano sono oggi rappresentate da SEL e dal PD; vedere il caso Dolce&Gabbana e la polemica Boldrini-Marchionne, attacchi a quello che resta dell'imprenditoria italiana: i primi sono gli unici nella filiera moda che hanno mantenuto anche la manifattura in Italia, il secondo ha rimesso in piedi, seppure con metodi alquanto spregiudicati, una FIAT avviata al fallimento. Io noto che Marchionne, che prudentemente ha stabiliti la sua residenza fiscale in Svizzera, non è stato attaccato, mentre a D&G vengono richiesti 400 milioni di Euro: quanto ci vorrà perchè ci facciano un pensierino anche loro? E quando l'ultimo imprenditore sarà fuggito, fallito o suicidato chi produrrà ricchezza?

 

Sembra davvero tipico della generazione che s'è mangiata il capitale non trarre le conclusioni su chi deve poi pagare il conto. Anche scendendo dal livello di Amato e Graziosi la conclusione non cambia. Recentemente ho letto un piccolo pamphlet di un ex giornalista regionale della RAI: "LETTERA A CLEMENTINA (Il nonno spiega alla nipote come l'ha indebitata)" (http://www.nonnoracconta.it). La storia è la stessa come pure la conclusione: c'è una spiegazione degli anni della spesa ma manca la presa di responsabilità del salato conto. E noi, "generazione Jeeg (robot d'acciaio)" stiamo a guardare. In silenzio.

Scusa, ciao , posso farti delle domnade sul libro?