Perché gli intellettuali illudono i cittadini?

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L'altra sera, sbirciando fra gli scaffali della mia libreria preferita, ho notato un annuncio: di lì a poco Innocenzo Cipolletta avrebbe discusso all'associazione industriali di Vicenza la provocatoria tesi che titola il suo nuovo libro: "In Italia si pagano troppe tasse. FALSO!". Sono andato ad ascoltarlo. È sin troppo facile criticarne gli assunti, la logica che li sostiene, e le conclusioni, ma nel mio intervento dal fondo dell'aula non ho mancato di esprimere la considerazione più triste che si può ricavare dalla lettura di questo centinaio di pagine. La riprendo in questa sede; è un tema noto ai nostri lettori di lunga data: la responsabilità delle elites intellettuali e la loro subalternità alla politica. 

Questo libro fa parte di una nuova collana Laterza in cui si propongono diversi luoghi comuni da sfatare. La sua tesi è che, tutto sommato, in Italia non si pagano piu' tasse che in paesi a noi simili (quasi vero); che in cambio delle tasse riceviamo dei servizi pubblici - principalmente scuola, sanità e pensioni, che non sono pessime (opinabile); che la spesa pubblica, tolti gli interessi, non è quantitativamente superiore a quella di paesi simili (quasi vero - peccato però che gli interessi ci sono, e derivano da spesa pubblica); che bisognerebbe piuttosto spingere per la qualità dei servizi (ma va?); che la qualità diminuirebbe se riducessimo la spesa (opinabile); e che inoltre occorre riqualificare la distribuzione fra imposte dirette, soprattutto sul lavoro ed indirette (altra bella scoperta). 

Insomma, "sarebbe bello se fossimo la Svezia", ma non è solo questo. L'autore sembra onestamente credere di svolgere un servizio pubblico nel ricordare al comune cittadino che a fronte delle tasse si ricevono dei servizi; che sanità e scuola non sono poi così male; che questi servizi costerebbero di più se acquistati sul mercato; durante il suo intervento pubblico ha persino auspicato (non so quanto ironicamente) che le scuole dovrebbero mandare alle famiglie una ricevuta con l'indicazione dei costi sostenuti per l'istruzione (con una bella scritta timbrata "pagato"), per educare il cittadino-contribuente che le tasse servono a qualcosa. Nel libro si sostiene senza vergogna che se negli anni settanta-ottanta avessimo aumentato le tasse di un 5% in più ora non staremmo pagando l'eccesso di spesa pubblica in interessi. Viene quasi da sorridere se non fosse tragico: il controfattuale che Cipolletta immagina è successo davvero: le tasse sono aumentate, più di una volta, con i risultati che conosciamo. Ma lui evidentemente vorrebbe che fossero aumentate di più, senza rendersi conto che non sarebbero andate necessariamente a ridurre il debito. Non si tratta della solita minestra keynesiana che la spesa pubblica serve alla crescita. La tesi sostenuta è che la spesa pubblica serve ad un paese moderno, quindi occorre rassegnarsi e pagare, con entusiasmo.

Potrei ora soffermarmi a cavillare sui dettagli e spiegare che sanità e scuola sono sempre più scadenti, ma non a causa delle minori spese. Argomentare che le regioni in cui la sanità è migliore sono anche quelle che spendono meno. Elencare gli studi dove si dimostra che la quantità di spesa non cambia la qualità dell'istruzione. Ribattere che, a fronte del terzo del reddito che sborsiamo all'INPS, i lavoratori ricevono non una pensione ragionevole, ma un investimento figurativo che in questi anni si sta rivalutando a tasso nominale zero. Potrei anche concordare con Cipolletta che l'IMU (sulla prima casa!) tutto sommato non era una cattiva idea, e che va riformato il fisco in direzione di una maggiore imposizione indiretta e minori imposte dirette! Ma tutte queste cose le abbiamo già dette.

Preferisco invece, come annunciato, soffermarmi sul triste messaggio di questo libro: dettagli errati a parte, il libro svolge un pessimo servizio al paese anche per le argomentazioni corrette che propone e fornisce l'ennesima conferma di quanto le elites siano subalterne al potere politico. È intellettualmente disonesto agitare lo spauracchio della scuola e sanità private, che non sono l'alternativa ai servizi che riceviamo. Da una personalità come Cipolletta, da sempre vicina alla stanza dei bottoni, ci aspetteremmo indicazioni su quali siano le specifiche misure da intraprendere per evitare gli sprechi che si sono accumulati in questi ultimi trent'anni. Un lavoro lungo, certosino, pieno di dettagli oscuri al grande pubblico, ma che persone come lui possono e devono fare. 

Si finirebbe per spiegare non che la spesa e le tasse sono genericamente utili, ma che è possibile sia ridurre le tasse, sia ridurre la spesa, sia migliorarne la qualità. Questa frase, caro Cipolletta, non è un discorso da politici, come mi ha replicato. Sono invece frasi come quelle che titolano il suo libro a fornire supporto intellettuale alla politica irresponsabile che ha portato il paese nella situazione attuale. Aggrapparsi demagogicamente all'inopportunità di ridurre la spesa per scuola, sanità e pensioni non può che fornire alibi alla cattiva politica. Una politica che ha dimostrato, ripetutamente, come spendere di più sia non solo inutile, ma alla lunga dannoso, perché la maggiore spesa finisce, sempre, a gravare sulla componente produttiva e onesta del paese, che ora, asfissiata, non ce la fa più a mantenere il resto del paese. Questa è la drammatica situazione , dalla quale non si può uscire ribadendo le magre consolazioni propinateci in questo libro.

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Commenti

Ci sono 68 commenti

   Mi è capitato di vedere una trasmissione TV nella quale era presente il dott. Cipolletta, che tentava di difendere (invano) il suo libro. Il solo titolo fa inorridire: l'Italia è stroncata dal peso delle tasse, ed abbiamo un signore che ci spiega la funzione sociale della estorsione a danno degli italiani. Gli è che il Paese è finito nelle mani di qualche centinaio di persone che attraverso i propri servi e vassalli, ai quali viene elargito un tozzo di pane a fronte di un lavoro figurativo, tengono in semischiavitù milioni di cittadini che lavorano onestamente e mandano avanti il Paese. Ma siamo forse alla resa dei conti: la fame dei più sarà il detonatore che porrà fine al "sistema". 

Anche ponendo il fatto che la spesa pubblica italiana e la tassazione siano ai livelli degli altri Paesi europei, è giusto comunque mantenere tale situazione? L'Europa è un esempio da seguire di crescita economica sostenuta derivata dalla spesa pubblica? La spesa pubblica è sempre necessaria?

Inoltre: in una gestione maggiormente centralizzata della spesa pubblica italiana e di conseguenza altamente inefficiente, non dobbiamo cercare di mettere in chiaro altre alternative?
Semplicemente Cipolletta non ha ben chiara la realtà italiana, per non dire qualcos'altro.
Partendo da quello che le élites dello status quo "emanano" nell'ambiente intellettuale, ecco che i media ne restano ammaliati e impossibilitati (per ragioni non sempre di difesa di padroni, classe politica alleata, purtroppo) di fare una ragionevole critica. 

 

...nel mio intervento dal fondo dell'aula...

 

Perché non dal centro dell'aula? O dalle prime file? :-)

 E se non è un aspetto rilevante, perché menzionarlo? (Lo è, lo è.)

Capisco, si vorrebbe che contasse l'argomentazione, e non da dove arriva (o come viene porta). Ma in politica, e qui di politica si tratta, conta eccome.

Non del tutto off topic, spero.

Il titolo pone una sfida che, a voler rispondere seriamente, fa tremare le vene ai polsi. Voglio azzardare qualche straccio di risposta:

 

1) perchè i cittadini vogliono farsi illudere ? Possiamo irridere chi vota M5S, ma non ignorare le sue grandi illusioni: vogliamo meno politica/politici, ma anche nazionalizzare le banche, l' acqua pubblica, il reddito di cittadinanza, l' ADSL a 100 Mbits anche a Linosa con non si sa quali fondi: ovvero grande illusioni e miracolismo. Ebbene stiamo parlando, mi pare, di un elettore ogni 5 (e, sui referendum, più di 1 ogni 2);

 

2) sulla grande illusione che i disavanzi e, peggio, la moneta del Monopoli posssano avere effetti reali positivi: com' è che in Italia questa grande illusione ha preso piede almeno dal 1922 e va tutt' ora fortissimo ?

3) sicuramente perchè gl' intellettuali hanno capito che è molto meglio vivere di G piuttosto che guadagnarsi la pagnotta seriamente: tempo fa Muti diresse alla Scala pontificando su possibili tagli alla lirica, cioè quella specie di Nibor Dooh (sarebbe un Robin Hood al contrario, che leva ai poveri per dare ai ricchi) da cui in gran parte dipende il suo sicuramente stratosferico tenore di vita; mi taccio sulle provvidenze all' editoria;

 

4) perchè l' idealismo in questo paese è sicuro nemico della libertà economica: in primis la Chiesa, ed in secundis una fetta di liberalismo ("L' economia è la scienza delle serve" [B. Croce] che offende economia e serve all in one);

5) perchè per secoli in Italia spesso la ricchezza non ha garantito la tranquillità, ma il potere sì, dando pure montagne di soldi;

6) perchè l' italiano vuole più stato, che eroghi a lui le prebende, ed imponga agli altri i sacrifici (per i pochi che si pongono la domanda: "chi paga" ?, perchè i più nemmeno si pongono il problema). Ovviamente nel ruolo degli "altri" ci sono i nascituri, che infatti già compiango.

 

Tutto sommato, e sarò pessimista, gl' intellettuali mostrano un olfatto politico finissimo quando fanno gli statalisti: hanno capito che esattamente questo vogliono gl' italiani. E non ci nascondiamo dietro alle tesi di laurea sbugiardate: "You can' t handle the truth - You don' t want the truth, because deep down in places you don' t talk about it at parties": assolutamente adattabile al caso di specie.

 

Tutto sommato, e sarò pessimista, gl' intellettuali mostrano un olfatto politico finissimo quando fanno gli statalisti: hanno capito che esattamente questo vogliono gl' italiani

 

Non confondiamo le cose.

L'intellettuale del genere denunciato da Andrea Moro se ne frega altamente di quel che vogliono gli italiani. D'altra parte la massa degli italiani se ne frega di quel che scrivono gli intellettuali.

Agli intellettuali, del tipo, interessa servire il Signore del momento che li foraggia (o potrebbe farlo). Servirlo cercando di fornire dotte giustificazioni a quel che il Signore ha comunque già deciso di fare (nemmeno il Signore ascolta l'intellettuale).

Invece del popolo italiano e dei suoi desideri l'intellettuale se ne frega, anzi un po' lo schifa, appena uno di loro vende più di 25 copie la categoria inizia a disprezzarlo e lo mette ai margini.

In risposta la grande massa degli italiani, un po' per diffidenza, un po' per ignoranza, non si forma nè leggendo i saggi (che hanno tirature omeopatiche), nè leggendo i quotidiani (che  compra una sparutissima minoranza). Insomma: siamo troppo rozzi per farci coglionare da Cipoletta.

Se esponesse le stesse tesi in una qualsiasi piazza di provincia verrebbe mandato a "dar via il cu' dopo 10 minuti (al Nord...al Sud non andrebbero neanche a sentirlo).

Data la qualità degli intellettuali italiani testè denunciata questo è paradossalmente un aspetto positivo dell'ignoranza. Purtroppo l'aspetto negativo è che, se i sofismi degli intellettuali non attaccano, si è troppo esposti alle semplificazioni grossolane degli imbonitori (chi promette un milione di posti di lavoro, la terra ai contadini, cure miaracolose per il cancro ad esempio). E' la pancia che muove gli italiani, non la testa.

 

 

sicuramente perchè gl' intellettuali hanno capito che è molto meglio vivere di G piuttosto che guadagnarsi la pagnotta seriamente

 

Unico punto oscuro (lasciamo perdere accordo/disaccordo, che al 80% è per l'accordo)  è 'sta storia del vivere di G (che non credo c'entri con noto punto).  Se la spieghi meglio, è bene.

Vorrei chiarire: per me "intellettuale" è semplicemente chi lavora con l' intelletto, bene o male è irrilevante, e contribuisce a costruire un modello a cui la cultura di tutti i giorni si uniforma; in questo senso anche Pippo Baudo è un intellettuale, come lo può essere Santoro o altri mille, chi ad esempio non presenta mai una campana liberistica nell' analisi del credit crunch, chi nei servizi speciali del telegiornale non parla mai dei successi svedesi, chi dice "di cultura non si mangia", o aborre un minimo di investimento dei privati nel primo patrimonio artistico del mondo, chi dice "un pezzo di Italia se ne va" perché Krizia ha venduto, ... . Costoro, vuoi per vocazione culturale, vuoi per mero tornaconto personale, si rendono deliberatamente funzionali alla costruzione e perpetuazione dei modelli statalistici che ci affliggono. Poi, certo, se l' opinione pubblica italiana fosse composta di persone che vogliono vivere libere, col minimo possibile di burocrazie sulla testa, costoro dovrebbero cambiare registro. Ma il 24 ed il 25/2 dell' anno scorso hanno dimostrato che loro hanno vinto, ed a noi toccano almeno 2 generazioni di frigorifero.

E' questa, a mio parere la vera domanda. Non tutti gli intellettuali Italiani la pensano come Cipolletta. Un esempio basti per tutti: Piero Angela. 

Con Wanna Marchi, io avrei condannato anche quelli che si sono fatti abbindolare.

Sono gli Italiani il problema. Certo non tutti, ma molti, troppi.

Non credo esista un altro popolo di paese sviluppato che immola il buon senso sull'altare dell'ideologia piu' degli Italiani.

L'Italia e' un covo infestato da parassiti abbarbicati all'ultimo brandello di carne rimasto. Mangeranno senza remore finche' ce n'e', poi si scanneranno tra loro, infine moriranno di fame.

Allora forse, dalle ceneri, potra' rinascere qualcosa di sano.

Con i migliori auspici ai combattenti di donchisciottiana memoria che continuano a crederci.

 

Con Wanna Marchi, io avrei condannato anche quelli che si sono fatti abbindolare.

 

Consapevole del rischio concreto di andare OT e di essere accusato del fatto, spezzo una lancia a favore di NoiseFromAustralia, io che a ben vedere potrei siglarmi come NoiseFromSguizzerland.

L'Italia non condannna gli allocchi che si fanno abbindolare, anzi li coltiva, li protegge. Perché ne ha bisogno per sopravvivere. A fronte di una truffa esisteva addirittura  il reato di plagio o comunque esiste ancora oggi il reato di circonvenzione di persone incapaci (art 643 CP).  Fattispecie abbastanza umilante per l'incapace ma tutto sommato assolutoria e deresesponsabilizzante. Recentemente invece ho scoperto che dove ci si afferma il principio della responsabilità individuale e parimenti quello che la legge è uguale per tutti, se un pirla si fa fregare 100'000 euro perché li manda gratis ad una nigeriana avvenente (o presunta tale) conosciuta in rete e con decine di fratelli ammalati in punto di morte, ed una volta realizzata la truffa cerca di avvalersi della rivalsa delle giustizia (quasi potesse compensare la sua dabbenaggine) potrebbe avere come responso una risposta negativa. Se il truffatore non ha messo in atto particolari astuzie, tu sei responsabile di aver affidato soldi volontariamente al truffatore. E non solo ma a questo punto si fa vivo il fisco il quale dice che se hai deciso di regalare 100'000 euro alla nigeriana, hai effettuato una donazione, che se la legge è uguale per tutti è soggetta a tassazione. Elevatissima, vista l'inesistenza di legami di parentela. Quindi anche lo Stato passa alla cassa, perchè se il ricevente non esiste e non è identificabile, allora il responsabile dell'imposta è il donatore.

Paese che vai, regole che trovi, popolo che plasmi.

il vero problema è che gli intellettuali nostrani paion tali solo per la pochezza che li circonda... in un paese di nani basta poco per sembrare fenomeni. di seguito propongo un divertente articolo che mette in parallelo il livello di scolarizzazione e la qualità della politica, a fronte dei sempre peggior risutlati del test PISA le prospettive son più che buie...

www.theatlantic.com/education/archive/2014/03/highly-educated-countries-have-better-governments/284273/

L'ottimo libro di Cipolletta andrebbe fatto leggere in tutte le scuole, per contrastare la maniacale ventata ideologica che cerca di far obliare anche le verità fattuali più semplici.

Con tutti gli evasori e gli elusori che ci sono dalle nostre parti, poi, è chiaro che coloro che pagano si accollano come tordi anche le quote degli altri.

RR

Senza offesa ma in questa discussione di intellettuale io ne vedo soltanto uno. E' quel signore intervenuto dal fondo dell'aula puntualizzando su certe affermazioni un po' discutibili. L'altro signore, l'autore di dette osservazioni, mi sembra che sia un famoso manager, magari anche bravino, ma che tutto fa tranne che dedicarsi alla produzione attiva di conoscenza.

Però è presidente dell'università di Trento

Come scordarsi di questo

Senza polemiche, non ho ben capito perché il libercolo di Cipolletta sia falso o sbagliato. Se quello che dice sul livello relativo della nostra pressione fiscale è "quasi vero", la tesi dell'autore del Post secondo cui c'è una migliore combinazione di tasse e spesa è una tesi "politica", nel senso migliore del termine. Cioè è la preferenza, ben argomentata secondo me, di una diversa opzione di politica fiscale tra quelle esistenti, ma non una confutazione del titolo del libretto di Cipolletta. Questa cosa, da lettore silente di nfA, mi stupisce parecchio: se è quasi vero che non paghiamo molte più tasse dei nostri comparables, di che cosa parliamo quando denunciamo l'insostenibile pressione fiscale italiana in cima a ogni classifica pensabile? Capisco la tesi per cui si potrebbe avere minor fisco con uguale se non migliore qualità dei servizi, ma questo è appunto un tema politico, da argomentare, discutere e sperabilmente implementare. Ma i dati sono dati: abbiamo tante tasse rispetto alle democrazie occidentali oppure no? Grazie se trovate il tempo di rispondermi.

mi verrebbe da dire che se tutti pagassero le imposte, a parità di gettito, FORSE la tesi dell'autore del libro in questione sarebbe già più veritiero. Il fatto è che prendendo parametri abbastanza oggettivi come il vat gap o il livello di evasione in genere, paga sempre Pantalòn. E tendenzialmente Pantalòn è quello che segue la legge. Il che fa un pò girare le maracas.

 

Questa cosa, da lettore silente di nfA, mi stupisce parecchio: se è quasi vero che non paghiamo molte più tasse dei nostri comparables, di che cosa parliamo quando denunciamo l'insostenibile pressione fiscale italiana in cima a ogni classifica pensabile?

 

Pressione fiscale è quanto si paga, per definire se il quanto sia troppo, il giusto o troppo poco bisogna vedere che cosa si è pagato. Solo così si possono fare paragoni con altri paesi.

Ad esempio (ma è solo un esempio teorico) se il paese X ha la stessa pressione fiscale del paese Y ma gli abitanti del paese x il dentista se lo devono pagare loro mentre nel paese Y è gratis, l'oculista se lo devono pagare loro, la badante per i genitori anziani se la devono pagare loro, la pensione del nonno è la metà, non hai sussidio di disoccupazione universale o formazione permanente ecc ecc allora dire che "hai la stessa pressione fiscale" è almeno fuorviante. 

Inoltre la pressione fiscale è il totale pagato dai cittadini del paese, bisogna vedere chi l'ha pagato e in che proporzione come fa notare Vittorio Tison.

Questo in generale, nello specifico di quel che dice Cipolletta (almeno secondo quanto riporta Andrea Moro) non si può elogiare le tasse come produttrici di servizi nello specifico italiano, senza notare che la pressione fiscale è in continuo aumento ma non così i servizi. Non si può ignorare che nella sanità le regioni che spendono meno (in proporzione) spesso sono quelle che danno servizi migliori.

Non è un argomento che si possa liquidare in due righe (soprattutto io non sarei in grado di farlo) ma i numeri vanno contestualizzati meglio sia che si voglia sostenere una tesi sia che si voglia sostenere l'altra (ripeto mi baso su quanto letto qui, magari Cipolletta ha spiegato tutto in modo mirabolante nel suo libro)

 

Voglio aggiungere una cosa rispetto a quanto gia detto da Tison e Ruggeri.

Il titolo può essere corretto semanticamente ma ricordati che il titolo è essenzialmente marketing.

Potrebbe aver titolato "in italia si pagano troppe imposte dirette" ed aver svolto il tema illustrando i dati, spiegando le distorsioni che questo provoca, e proponendo le soluzioni di cui effettivamente parla da qualche parte nel libro (più imposte sulla -prima- casa). Oppure potrebbe aver titolato "in italia c'è troppa spesa improduttiva" ed aver svolto elencando quale sia, anche sostenendo che secondo lui è meglio deviarla in spesa produttiva piuttosto che tagliarla. 

Invece la scelta è: le tasse e la spesa servono, e non sono troppo alte, e gran parte della spesa serve a cose utili in un paese moderno (scuola sanita e pensioni), quindi è sbagliato lamentarsi. 

 

in Italia non si pagano piu' tasse che in paesi a noi simili (quasi vero)

 

Caro Andrea Moro,

potrebbe esplicitare il "quasi vero" ed i "paesi simili"?

O si tratta della conferma di una definizione (paesi simili = quelli in cui si pagano quasi gli stessi tributi)?

Andrea, non so perché tu sia così leggero con le menzogne di IC. Sono menzogne.

1) I paesi simili a noi sono quelli del sud Europa, non la Danimarca. Siamo circa 8-10 punti di PIL di tasse in più che gli altri paesi mediterranei. Io definisco "simile": con reddito, produttività, efficienza della macchina statale, eterogeneità regionale, distribuzione di imprese per classi diemonsionali (la principale spiegazione dell'evasione) simili all'Italia. CP non definisce simile e questo gli permette di imbrogliare.

2) Dice il vero solo sulle pensioni (vedi sotto) a riprova che mente coscientemente. Per il resto e' falso: comparati a quelli dei paesi con pressione fiscale uguale alla nostra i nostri servizi pubblici essenziali fanno schifo ed hanno una variabilità territoriale spaventosa. Comparati a quelli greci o portoghesi, effettivamente, sono leggermente meglio ...

3) Falso anche questo e non solo per  la ragione che menzioni (qui l'equivalenza ricardiana conta, quindi l'argomento delle tasse negli anni '80 e' fallace!) ma anche perché noi spendiamo 5 punti di PIL in pensioni più degli altri. Questo non è un "buon" servizio pubblico ma parassitismo e spesa clientelare allo stato puro. Quei 5 punti in piu'  sono maggiori del differenziale di spese per interessi fra noi è Spagna, per dire, e spiegano la maggior tassazione! Non solo, mente perché sa che, anche se il totale della spesa pubblica (tolti interessi e pensioni) e' uguale a quella di alcuni paesi del nord Europa (a noi dissimili) non lo è la sua composizione. In particolare, noi spendiamo molto più degli altri in salari e prebende per la parte alta dell'impiego pubblico  ed abbiamo una presenza occulta del settore pubblico nell'economia che non ha uguali nel mondo. Mi riferisco a CDP, alle partecipate regionali, a Trenitalia, eccetera. 

4) Non è opinabile che la qualità diminuirebbe se si riducesso la spesa, come troppo gentilmente Andrea scrive. Tutto quanto sappiamo dice che è falso. Ovviamente ridurre la spesa RICHIEDE introdurre criteri meritocratici e di efficenza e richiede introdurre concorrenza fra offerta pubblica e privata di servizi. Ma e' falso quanto dice IC secondo cui una scuola privata costerebbe di più della pubblica: in Italia e' già il rovescio! Basta confrontare i costi sociali totali e non essere così stupidi da pensare che il "costo" della scuola privata e' maggiore della pubblica solo perché le quote pagate direttamente dalle famiglie sono maggiori!  Analogamente, confrontate RAI e Fininvest: quale costa di più? O Trenitalia ed Italo ... eccetera.

Insomma, IC racconta consapevolmente balle. La domanda interessante che credo valga la pena farsi e': perché?

Si consigliano buone letture.

RR

Diciamo perche' sono stato eccessivamente generoso perche' (1) volevo fare il punto "anche se avesse ragione ..." (2) nel libro i dettagli sono generalmente corretti, anche se non li ho controllati punto per punto, solo che sono interpretati sempre nella direzione che serve a sostenere la tesi generale, per esempio nel capitolo "Ma quanto paghiamo di tasse" troviamo:

 

Con riferimento al 2011 (anno per il quale si dispone dei dati di tutti i paesi da parte dell’Eurostat, ossia l’ISTAT dell’Europa), la pressione fiscale effettiva dell’Italia era pari al 29% e quella dell’Europa al 26% (si veda Eurostat, Taxation trends in the European Union, 2013). Ma nei paesi più simili al nostro la pressione fiscale non è molto diversa. Pagano più tasse di noi i belgi, i danesi, i finlandesi, gli svedesi e anche gli inglesi (proprio in ragione della loro precaria copertura previdenziale), mentre la media europea è tenuta bassa da molti paesi dell’Est Europa, dove la pressione fiscale è inferiore al 20% (Bulgaria, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Lituania, ecc.), e dalla Germania (23%). C’è da dire, comunque, che in tutti i paesi la pressione fiscale è considerata eccessiva. In Francia (27%) il ras-le-bol fiscal è ormai generalizzato, al punto che si temono rivolte

 

il che e' consistente con il tuo punto (1), solo che per lui serve a dire che le tasse non sono piu' alte che altrove. Chiaramente, dipende dalla definizione tutta speciale di "altrove" che lui vuole dare. 

Così dice Boldrin, dandogli così del disonesto.

Premetto che ammiro, fra le altre sue doti, l'integrità intellettuale di Boldrin, dal quale imparo molto. Però ritengo che sbagli a dare del disonesto a IC. Mi spiego.

In molti casi è indecidibile quale % delle cazzate che uno dice dipenda dalla sua disonestà e dalla sua stupidità. Credo anch'io che, in tipi come IC, la disonestà si mescoli con la stupidità, ma la dose della seconda può essere, secondo la mia esperienza, inaspettatamente alta.

Allora ha senso chiedersi, in casi del genere, se sia più conveniente insistere sulla disonestà o sulla stupidità. Secondo me la seconda, per una serie ragioni che dirò se interesserà a qualcuno.  

Sopportate questi miei interventi marginali. So poco di economia e un po' di più di comunicazione, interpersonale e politica.

Immaginavo che la domanda fosse retorica.

Ma visto che potrebbe essere presa sul serio,
riprendo a mò di risposta la nota analogia dei tacchini,
da cui non si può pretendere che votino per anticipare il Natale.

Il signor Cipollettamente e le sue prepende dipendono da un'economia di Stato. In particolare, da quella peggiore.

Possiamo sinceramente chiedergli di sostenere che lui ed i suoi simili devono andare a cercarsi un lavoro serio?

Daltronde, lasciare illese le balle propagandistiche del gruppo "intellettuale" della classe politica sarebbe l'errore peggiore, e bene hanno fatto Moro e Boldrin a riprenderle.

Come insegnò l'ineguagliato G. Mosca (raccomando la voce in WIK da me curata) nella sua "teoria delle classi politiche", la via del ricambio politico ed istituzionale vede necessariamente come prima fase l'annullamento intellettuale delle "formule politiche" che le giustificano (classi ed istituzioni).

Al festival dell' economia di Trento, discutono del libro l' autore e Saccomanni.