Per un capitalismo popolare

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Come si può evitare che il paese delle opportunità, nella quale l'autore ha trovato riparo 25 anni fa, degeneri per rassomigliare sempre più alla "terra dei cachi" da cui era scappato?

Due professori corrono sotto la pioggia in un campus americano. Uno dei due è più anziano e di origine Europea (io dico che è italiano, ma andrò all'inferno perché penso male). Mentre corrono, al primo sfugge una battuta un po' inappropriata: "sai che se fossimo in Europa toccherebbe al giovane assistente reggere l'ombrello al professore?" L'altro senza scomporsi risponde:
"se hai nostalgia di certe pratiche, perché non te ne torni in Europa?"

Questo aneddoto è uno dei passaggi più interessanti di un volume che ho molto apprezzato e credo sia un utile punto di partenza per parlarne. Manifesto Capitalista è il titolo (infelice, a mio avviso, traduzione di A capitalism for the people) dell'ultimo libro di Luigi Zingales, un testo che parla di economia, ma anche di etica; dei benefici che il capitalismo può portare alla collettività, ma anche delle sue possibili degenerazioni, il tutto analizzando e illustrando in modo asettico ruolo e responsabilità degli intellettuali, in primis degli economisti e delle classi dirigenti. Il libro è diviso in due parti, nella prima c'è una diagnosi dei motivi alla base del calo di popolarità registrato dal modello capitalista negli Stati Uniti e nella seconda una serie di proposte per non gettare l'acqua col bambino, ossia evitare che l'avversione, giustamente suscitata da alcune degenerazioni clientelari, possa rivoltarsi contro il meccanismo virtuoso del mercato.

Il giovane dell'esempio iniziale si è potuto permettere una risposta di quel tipo, rara tra molti suoi omologhi d'oltreoceano (e non solo), perché l'accesa concorrenza tra i vari atenei per aggiudicarsi i talenti migliori lo mette al riparo dalle eventuali decisioni arbitrarie di colleghi più anziani. Dunque la concorrenza promuove il merito e questo meccanismo consente ad alcune delle istituzioni che competono tra loro di raggiungere l'eccellenza. Tuttavia, man mano che la concorrenza diventa globale, il premio per il ristretto numero dei vincitori si fa smisuratamente grande rispetto a quel che ottiene chi è rimasto indietro: nel 1948 il primo premio dei Masters di golf negli stati uniti era pari a 3 volte il salario annuo di un addetto alla cura del green, nel 2008 questo rapporto era salito a 103 volte. Dunque la disuguaglianza aumenta e si porta a livelli ritenuti preoccupanti anche dall'Economist che a questo tema ha dedicato un recente special report.

Ma non è tanto la disuguaglianza in sè, ancorché in crescita, a suscitare l'indignazione popolare, quanto la percezione che essa non sia il risultato di un processo di competizione meritocratica ad armi pari e che non sia più accompagnata da una crescita generalizzata del benessere per tutta la popolazione. Le due facce di questa indignazione sono rappresentate dai movimenti, in apparenza antitetici, di Occupy Wall Street e del Tea Party. Che si tratti dello stato ipertrofico o delle banche troppo grandi per fallire il popolo americano sente una crescente avversione verso quella che percepisce come una specie di scommessa truccata del tipo "testa vinco io, croce perdi tu". E' esattamente questo il meccanismo dei salvataggi delle imprese operati dallo stato che, alimentando il moral hazard, gettano le basi per disastri ancora maggiori in futuro. Come Zingales ripete spesso, un cartello nel Grand Canyon dice di non dare da mangiare agli animali, altrimenti perdono l'abilità di cacciare e procurarsi il cibo da soli. I sussidi e i salvataggi delle imprese funzionano allo stesso modo.

Ma come si può evitare che il paese delle opportunità, nella quale l'autore ha trovato riparo 25 anni fa, degeneri per rassomigliare sempre più alla "terra dei cachi" da cui era scappato? La soluzione non può venire dal protezionismo (come ottimamente illustrato nell'esempio di un immaginario torneo di Wimbledon riservato solo agli inglesi) né tanto meno da un maggiore intervento dello stato, che è parte integrante del problema. Occorre livellare il campo di gioco per garantire eguali opportunità in partenza (ancora un calzante esempio sportivo, il sistema degli handicap nel golf) in modo che in seguito la concorrenza possa dispiegare i suoi effetti positivi contribuendo a ridurre le disuguaglianze. Occorre un'etica basata sul mercato e per svilupparla gli economisti dovrebbero abbandonare le loro reticenze nei confronti delle considerazioni morali. Occorre infine che vi sia semplificazione nelle norme, nei sistemi fiscali e nella regolamentazione finanziaria e la massima trasparenza e diffusione delle informazioni in modo i risultati delle analisi basati su di esse, se sufficientemente indipendenti (anche qui la garanzia è data dalla concorrenza) ed espressi in linguaggio divulgativo, possano esercitare una positiva moral suasion sui politici e le grandi imprese.

A capitalism for the people (non me ne vogliano i titolisti dell'editore italiano) è una lettura raccomandabile sia per chi è digiuno di economia che per gli economisti di professione. Ai primi consentirà di comprendere una serie di concetti di base (come la distinzione tra il capitalismo e la sua degenerazione clientelare) attraverso esempi e aneddoti di immediata comprensione. Ai secondi suggerirà nuovi percorsi di autocritica, soprattutto per quanto riguarda le implicazioni morali di una materia che troppi di loro vorrebbero fosse più vicina alle scienze naturali, e la necessità di scendere dal piedistallo per divulgare le proprie analisi ed esporle al vasto pubblico in linguaggio comprensibile.

Per concludere, vista l'adesione del sottoscritto e di questo blog a Fermare il declino, movimento che l'autore ha contribuito a fondare, ho regalato una copia del libro a mia moglie e una a mia zia, che generalmente sono poco sono interessate alle tematiche economiche. Hanno accolto il dono con un certo scetticismo, inizialmente. Cambieranno idea? Forse la via per fermare il declino passa anche da qui, dall'essere meno elitari.

@massimofamularo

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Commenti

Ci sono 56 commenti

Fai benissimo a criticare le traduzioni dei titoli in italiano, e la colpa e' dei traduttori e non tua. Vero, occorrerebbe uno studio anche qui prima di sparare su tutta la categoria, ma spesso mi e' capitato di osservare che le traduzioni dei titoli dei film sono orribili (uno per tutti, si veda la traduzione del film francese Hors de prix).

Nel passato, il problema dell'estrema accumulazione di ricchezze da parte di piccoli gruppi si estingueva sempre con fatti tragici (sbaglio?), o si estingueva perche' il sistema nel suo complesso falliva.

L'accelerazione dell'accumulazione di ricchezza in pochi e' una conseguenza della stabilita' del sistema attuale, ma puo' appunto portare alla sua crisi e fine. Sembra che molti ricchi (Bill Gates? Warren Buffet?) chiedano effettivamente di poter pagare piu' tasse, perche' ben si rendono conto di questo problema.

La periodica riduzione delle disuguaglianze sarebbe una sorta di "manutenzione periodica" a cui una societa' dovrebbe sottostare, per il suo proprio benessere. Come farla, questo e' il problema, se aspettare che il sistema la produca autonomamente (magari tragicamente), se e' possibile introdurre correttivi sistemici, o se e' meglio attendere che tutti gli individui, come Gates e Buffet, la capiscono.

Questo libro sara' certamente una buona lettura. Di certo non sara' apprezzato in Italia, con quel titolo li'.

In realta' praticamente tutte le societa' umane hanno prodotto disuguaglianze (la disuguaglianza e' nella natura delle relazioni sociali). Forse la colpa del capitalismo e' quella di aver anche prodotto un reale aumento di ricchezza, cosicche' quelle disuguaglianze sono diventate piu' inaccettabili.

L'accelerazione dell'accumulazione di ricchezza in pochi e' una conseguenza della stabilita' del sistema attuale,...

Non solo. Qui su NFA se ne era parlato tempo fa. Il motore di ricerca interno di NFA fa pena ma per fortuna c'è google ed ho trovato il testo di Sandro. L'accumulo è legato alla crescita della produttività (che consente di accumulare maggiormente) ed alla crescita della speranza di vita media, che allunga il tempo di lavoro e di accumulo e migliora la qualità della vita durante il periodo lavorativo (maggiori successi sanitari).

Quindi accumuliamo di più nello stesso periodo (anno) e per piu' tempo (per piu'anni).

basta considerare quale fosse la speranza media di vita 100 anni fa (era circa la metà di oggi).

Anche nella società di uguali, ipotizzata nel testo di sandro, dopo tot anni trovi che la ricchezza (lo stock) si è accumulata.

Mi sembra di ricordare, in maniera vaga, che qui su NfA si guardava all'idea che l'aumento delle differenze di reddito come ad una specie di trovata krugmaniana un po' populista. Zingales invece sembrerebbe averla fatta sua. Mi sbaglio? C'è contraddizione?

ìMi rendo conto di essere molto vago. Diciamo così: prendetela come la provocazione dell'uomo della strada e se la mia obiezione è una fesseria spiegatemi dove sbaglio con parole facili e corte.

 

Mi sembra di ricordare, in maniera vaga, che qui su NfA si guardava all'idea che l'aumento delle differenze di reddito come ad una specie di trovata krugmaniana un po' populista. Zingales invece sembrerebbe averla fatta sua. Mi sbaglio? C'è contraddizione?

 

Qui abbiamo sempre sostenuto (e continuiamo a sostenere, visto che e' quello che si evince da praticamente tutta l'evidenza empirica disponibile) che non c'e' un chiaro nesso causale che va dall'aumento della disuguaglianza tra il 1980 e il 2006 e la crisi finanziaria del 2007-2008.

Cioe' nessuno nega che le differenze di reddito ci siano e siano aumentate (non si nega l'evidenza) ne' si afferma che la disuguaglianza sia cosa bella e desiderabile per una societa' (io personalmente non la trovo ne' bella ne' desiderabile). Si afferma solo che se si prende l'evidenza empirica seriamente non si puo' dire che questo processo e' alla radice della crisi.

Non vedo contraddizioni, quindi.

Mi pare opportuno che nFA non si trasformi in una dependance di Fermare il declino, ma conservi il suo ruolo originario di sito di discussione critica. Una recensione acritica, come quella qui proposta, sarebbe adeguata al sito di propaganda politica, dove stimolerebbe i fedeli (Zingales for president!). Su nFA si potrebbe impostare una riflessione più approfondita, che non pretenda di applicare sic et simpliciter le esperienze nordamericane alla realtà italica, per quanto questa sia insoddisfacente.

Ieri assistevo ad un convegno al quale partecipavano illustri giuristi italiani, molti dei quali politicamente schierati, tutti impegnati a discutere dei mutamenti del concetto di proprietà ed all'esigenza di ripensarlo, soprattutto in riferimento ai "nuovi beni" prodotti dall'evoluzione della tecnologia. Mentre alcuni giuristi italiani, relativamente giovani, manifestavano una moderata apertura alle novità, altri (tra i quali illustri emeriti) coglievano dappertutto il segno del conflitto tra l'egoismo proprietario ed i diritti fondamentali: ne risultava un quadro di nette contrapposizioni, sia pure sfumato dall'apparente rispetto reciproco.

Per fortuna, parole di saggezza hanno concluso la discussione, invitando a trovare punti intermedi tra pubblico e privato e ad attribuire all'uguaglianza contenuti più ampi della mera contrapposizione delle disponibilità monetarie. Questo invito è venuto da un autorevole giurista nordamericano, di origini italiane ma naturalizzato da molti anni: Guido Calabresi. Mi auguro che, con il tempo, anche Zingales maturi una capacità autocritica che oggi, forse, non ha e che certo non manifesta nelle sue prese di posizione pubbliche.

Luciano sei ingiusto nei confronti dell'autore dell'articolo: parla del libro e solo alla fine parla di Fermare ilDeclino,e la descrizionedei contenuti è solo da stimolo, come per tutte le recensioni sui libri che appaiono su nFA.
Il libro, pur trovandolo debole in alcune parti, in particolare quando Zingales cerca di costruire un sistema morale partendo dalle business school , è godevolissimo, molto americano (ahimè), ma mette il dito nella piaga: il capitalismo (americano, che quello italiano già lo è)sta scivolando verso il capitalismo clientelare e di relazione. Ed è su questo che si dovrebbe dibattere, non sull'appartenenza politica, altrimenti ricadiamo nell'errore e nel vizio italiano di appiccicare le etichette.

In primo luogo non mi sembra affatto che nfa sia diventata una succursale di Fermare il declino. Se osservo gli ultimi 10 articoli pubblicati trovo, il pezzo usuale sul nobel all'economia, un pezzo di Marco sulla Fiat (anche quello di provata tradizione) una bella e tranchant illustrazione di come sugli esodati nessuono applichi l'aritmetica più semplice e un bel pezzo di Scacciavillani sull'invadenza dei controlli anti evasione. 

Dove starebbe la deriva verso il movimento politico? 
Non ce n'è evidenza.
Ma anche se fosse, i redattori del sito a cui da tempo qualcuno chiedeva di fare qualcosa di più che critiche intelligenti dall'Amerika, hanno iniziato a investire danaro e tempo  in un movimento del quale condividono i valori e che ha nientepopodimeno che l'ardire di voler salvare il paese del declino

Ma veramente c'è qualcuno che vuole lamentarsi? 

Ad ulteriore testimonianza del fatto che nfa per quanto aderente al movimento resta un entità autonoma, faccio presente che la proposta di nfa per l'università è su questo sito ma non è stata ancora recepita da Fermare il declino.

Questo per le critiche al sito, per quelle alla recensione scrivo commento a parte. 

In primo luogo non mi sembra affatto che nfa sia diventata una succursale di Fermare il declino. Se osservo gli ultimi 10 articoli pubblicati trovo, il pezzo usuale sul nobel all'economia, un pezzo di Marco sulla Fiat (anche quello di provata tradizione) una bella e tranchant illustrazione di come sugli esodati nessuono applichi l'aritmetica più semplice e un bel pezzo di Scacciavillani sull'invadenza dei controlli anti evasione. 

Dove starebbe la deriva verso il movimento politico? 
Non ce n'è evidenza.
Ma anche se fosse, i redattori del sito a cui da tempo qualcuno chiedeva di fare qualcosa di più che critiche intelligenti dall'Amerika, hanno iniziato a investire danaro e tempo  in un movimento del quale condividono i valori e che ha nientepopodimeno che l'ardire di voler salvare il paese del declino

Ma veramente c'è qualcuno che vuole lamentarsi? 

Ad ulteriore testimonianza del fatto che nfa per quanto aderente al movimento resta un entità autonoma, faccio presente che la proposta di nfa per l'università è su questo sito ma non è stata ancora recepita da Fermare il declino.

Questo per le critiche al sito, per quelle alla recensione scrivo commento a parte. 

Ormai partecipo pochissimo alla vita di questo blog e devo dire che le rare volte in cui torno non mi pento della mia decisione di andarmene. Chi mi conosce sa cosa penso di Zingales, per chi invece non lo sapesse c'è sempre la possibilità di informarsi qui. A tutti i fan italiani di Zingales, che non siano imprenditori, consiglio di leggere qui cosa scrive uno dei colleghi di Chicago di Zingales, è davvero molto educativo. Ho inviato anche un commento, che è stato censurato, forse perché mi sono permesso di dire che quello che leggevo mi appariva molto Rothbard. Saluti.

 

Ormai partecipo pochissimo alla vita di questo blog e devo dire che le rare volte in cui torno non mi pento della mia decisione di andarmene.

 

 

eccebombo, 1978

come ero giovane...

quello dal blog di Cochrane

 

Luigi Zingales' great new book 

 

.... e allora?

Incredibile il numero di fesserie che John Law riesce a dire nel post linkato. Una serie di luoghi comuni difficile da inanellare. Ne smentisco solo uno. Non occorrono 70 mila euro l'anno per frequentare la università top americane. Ci sono le borse di studio di cui molti (tra cui Zingales) hanno potuto e possono beneficiare.

Mi spiace seriamente che tu debba affrontare il fastidio di dover ottenere nuove conferme della correttezza della tua scelta di non frequentare questo sito. Esiste un modo efficace per evitare questo increscioso inconveniente e consiste  nell'astenerti dal visitarlo.
Non ti conosco, non conosco cosa pensi di Zingales e non ho intenzione di andarmelo a leggere sul tuo sito. Se hai delle critiche sulla recensione o sul libro o sugli aromenti trattati, felice di discuterne in modo circostanziato qui: se vuoi che altri  investano del tempo per discutere con te, dovresti avere la pazienza di scrivere quello di cui vuoi discutere. Altrimenti, hai avuto la tua occasione per linkare il tuo sito e la cosa finisce qui.

Non è chiaro dove tu abbia inserito il commento che hanno censurato, su questo sito vengono rimessi solo gli attacchi personali e offensivi.

Scusate, ma sapete che cos'è il "capitalismo"?

E' semplicemente una forma di investimento.

Si investe in mezzi di produzione, con la speranza di poter ridurre il costo del prodotto in quantità sufficiente a compensare l'investimento.

Che c'entrano le "derivazioni clientelari" con questo concetto?

Che c'entra l'aneddoto citato dei professori?

Il "capitalismo" SICURAMENTE NON E' un sistema politico né giuridico. Né una dottrina politica né una teoria economica. Cosa che mi sembra invece che sia l'autore dell'articolo che del libro abbiano equivocato.

In conclusione, come è possibile sperare che il libro citato spieghi qualunque concetto di economia, se l'autore prescinde da certe definizioni basilari?

 

NB: tale chiarimento vale anche per i fanatici "nemici del capitalismo", che anche in questo blog scagliano frecce di nulla contro il nulla.

Ma in fondo lo sto facendo anch'io, che il libro non l'ho letto e sto commentando solo il "commento" dell'articolista . . .

Mai pensato di provare a guardare, tipo su wikipedia prima di dire agli altri che hanno  equivocato? 
Se ti risulta faticoso ti incollo il testo (aggiungo qualche grassetto)

 

 

 Il termine capitalismo può riferirsi in genere a diverse accezioni quali:

 

Una combinazione di pratiche economiche, che venne istituzionalizzata in Europa, tra il XVII e il XIX secolo, che coinvolge in particolar modo il diritto da parte di individui e gruppi di individui che agiscono come "persone giuridiche" (o società) di comprare e vendere beni capitali (compresi la terra e il lavoro; vedi anche fattori della produzione) in un libero mercato (libero dal controllo statale).

Un insieme di teorie intese a giustificare la proprietà privata del capitale, a spiegare il funzionamento di tali mercati, e a dirigere l'applicazione o l'eliminazione della regolamentazione governativa di proprietà e mercati;

Il sistema economico, e per estensione l'intera società, il cui funzionamento si basa sulla possibilità di accumulare e concentrare ricchezza in una forma trasformabile (in denaro) e re-investibile, in modo che tale concentrazione sia sfruttata come mezzo produttivo;

Regime economico e di produzione che nelle società avanzate viene a svilupparsi in periodi di crescita, riconducibile a pratiche di monopolio, di speculazione e di potenza.

La parola "capitalismo" è usata con molti significati differenti, a seconda degli autori, dei periodi storici, e talvolta del giudizio di valore che l'autore porta sull'organizzazione sociale vigente. Volendo trovare un comune denominatore alle diverse visioni, si può forse affermare che per capitalismo si intenda, generalmente e genericamente, il "sistema economico in cui i beni capitali appartengono a privati individui".

 

Va anzitutto distinta la nozione di "capitalismo" come fenomeno (cioè, come sistema politico-economico e sociale) dalla nozione di "capitalismo" come ideologia (la posizione che difende la "naturalità" o la "superiorità" di tale sistema, basato sulle competizioni di detentori di capitali privati).

 

Essendo un termine carico di significati diversi, esso ha rappresentato spesso uno spartiacque politico che ha diviso le posizioni ideali in fautori, oppositori e critici del capitalismo.

 

Alle diverse definizioni di "capitalismo" come sistema economico-sociale fanno spesso riscontro diverse definizioni di cosa sia il "capitale". Molto raramente gli autori hanno definito in modo esplicito l'uno o l'altro dei termini, e pertanto tali definizioni spesso (anche se non sempre) devono essere ricavate attraverso un'analisi critica del complesso dei loro testi.

 

Lo fa in questo articolo sul futuro del partito repubblicano. Per essere un idiota totale ha abbastanza credito sui media internazionali. 

Panunzi mi scusi ma... quell'articolo che lei linka parla della sconfitta di Romney, e Zingales viene citato solo di striscio, insieme ad altri, come possibili "embrioni" (testuale) di una nuova agenda politica per il Partito Repubblicano. A parte il fatto poi che l'autore dell'articolo è un op-ed, un esterno, quindi un sacrificabile, detto questo mi spieghi una cosa, il repubblicano Zingales con il suo neo attivismo politico in Italia cosa vorrebbe fare? Vorrebbe importare il programma elettorale di Romney e Ryan? Vorrebbe abbassare le tasse ai ricchi e alle società per togliere l'assistenza sanitaria a chi non ha reddito? Perché questo era il programma repubblicano. Saluti.