Verso un nuovo indulto o amnistia

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Si sta preparando un nuovo indulto (o una nuova amistia, vedremo) dopo quello che, nel 2006, fece uscire dalle carceri italiane circa 20.000 persone, un terzo della popolazione carceraria di allora. In Italia si aprono le carceri regolarmente circa ogni 6 anni (7 volte dal 1970 al 2006), quindi quello che si sta preparando era, in un certo senso, atteso. Da oltre 40 anni la motivazione è invariata: il sovraffollamento delle carceri. Mentre la questione viene dirottata, come sempre, in chiave pro o contro Berlusconi e mentre si perde tempo a discutere di sciocchezze come la lesa maestà, ci pare utile discutere delle seguenti tre domande: (1) Risolve il sovraffollamento? (2) Ci sono misure alternative? (3) Quali sono costi e benefici per la società?

Intendiamoci: il carcere è un'esperienza orribile, e il carcere sovraffollato è ancora peggio. Leggere il racconto di un anonimo malcapitato a San Vittore questa estate per credere. Dal punto di vista umanitario ha certamente senso proporre di far uscire dal carcere persone non socialmente pericolose, migliorando  sia la loro vita sia quella dei loro compagni che restano in strutture meno affollate. Ma i numerosi indulti italiani ci hanno insegnato che non è questo quello che succede.

1. Risolve il sovraffollamento?

Primo, come uno di noi ha già mostrato su questo blog tre anni fa, il sovraffollamento è un problema cronico e gli indulti, nonostante la loro elevata frequenza (uno ogni 6 anni, non dimentichiamolo) non lo risolvono. In media il numero totale dei carcerati ritorna al livello “insostenibile” nel giro di un anno o due, come mostra la figura qui sotto riprodotta dal post linkato sopra (una linea verticale rossa significa un indulto o amnistia)

popcarceri

Pare quindi evidente che in Italia ci sia un problema strutturale: perché non si affronta il problema alla radice? Proviamo a suggerire come. Partiamo dall'osservazione che delle due l'una: o le nostre carceri sono inadeguate (rispetto a un "giusto" tasso di incarcerazione) o i giudici, applicando la legge, spediscono troppa gente in prigione relativamente a una "giusta" capacità delle carceri. Nel primo caso bisogna ampliare le carceri, inutile girarci intorno. Il tasso di incarcerazione in Italia, in effetti, non è tra i più alti in Europa, come mostra la figura qui sotto ripresa da questo articolo.

popcarceri-euro

Inoltre, gli studi sugli effetti dell'incarcerazione nel nostro paese trovano che un più alto tasso di incarcerazione causa una forte e significativa riduzione del tasso di criminalità via impossibilità a delinquere (quella che nella letteratura si chiama incapacitation; l'altro effetto possibile è un effetto di deterrenza). In altre parole: la prigione serve a ridurre il crimine in strada principalmente perché impedisce di delinquere. Troppa poca gente in prigione significa, ovviamente, troppi criminali fuori. Raccomandiamo l'interessante documentazione e analisi di Barbarino e Mastrobuoni The Incapacitation Effect of Incarceration: Evidence from Several Italian Collective Pardons. Questi risultati sono coerenti con la possibilità che il tasso di incarcerazione in Italia sia inefficientemente basso.

2. Ci sono misure alternative?

Nel secondo caso, invece, si dovrebbero depenalizzare reati non socialmente pericolosi. Il primo e più evidente gruppo sono i reati per droga. Circa il 40% dei carcerati sono in carcere per violazione della normativa sugli stupefacenti (si veda per esempio questo rapporto dell'ISTAT del 2011). Molti di questi riguardano droghe leggere e coinvolgono quindi persone con un grado di pericolosità sociale prossimo allo zero. Inoltre di tutti questi, il 40% esce entro un anno, una specie di inutile porta girevole. Degli altri, solo il 30% beneficia di pene alternative al carcere, che andrebbero invece incoraggiate perché funzionano (si veda la relazione annuale al parlamento del dipartimento politiche antidroga, 2012). In Italia, in particolare, non si fa quasi alcun uso del braccialetto elettronico, mentre la ricerca ci dice che e' molto efficace. Depenalizzando le droghe leggere e usando, in generale, misure alternative di incapacitation si può ridurre di molto la popolazione carceraria senza alcun indulto e soprattutto, a differenza dell'indulto, in modo duraturo, e con effetti benefici sia sui criminali sia sulla società.

3. Quali costi e benefici per la società?

Per quanto riguarda, infine, una valutazione costi e benefici dell'indulto, lo studio di Barbarino e Mastrobuoni citato sopra mostra che subito dopo la scarcerazione c'è un picco di crimini, il cui costo sociale (i danni arrecati da rapine e altri crimini gravi) è stimato intorno ai 150mila euro (a carcerato) contro un costo di 70mila euro pro capite di carcerazione. Giovanni lo spiega in modo non tecnico in questo articolo su Lavoce (insieme al suo coautore) e in questa intervista. La stima del costo sociale è probabilmente al ribasso perche non include crimini lievi come gli scippi, che non vengono considerati nei loro calcoli. Anche questo studio mostra che l'indulto del 2006 ha causato un aumento dei crimini in Italia. Se proprio un indulto va fatto, si dovrebbe essere selettivi su chi scarcerare, minimizzando il rischio di reiterazione dei reati. Questo non viene mai fatto quando si progetta un indulto. Se proprio bisogna farlo bisognerebbe farlo applicando un criterio selettivo che tenga conto dei rischi di recidiva.

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Commenti

Ci sono 24 commenti

Il nostro tasso di incarcerazione non è elevato, lo dice il grafico, ma andrebbe messo in realzione con i reati denunciati in Italia ogni anno.  Che poi sono una parte dei reati commessi, visto che in vari casi non si denunciano nemmeno perché tanto a cosa serve?

Non dimentichiamo che abbiamo sul territorio varie organizzazioni criminali, attive non solo nelle regioni di origine ma ora ovunque, Lombardia in testa. Non dimentichiamo la nostra posizione della graduatoria internazionale relativa alla corruzione. In questa situazione il nostor tasso di incarcerazione è decisamente basso.

Dalle statistiche giudiziarie annuali penali piu' recenti (2004).

a) 2'961'909 delitti denunciati
b) 2'390'519 attribuiti ad ignoti (quindi manco sappiamo chi è stato)
c) 549.775 persone denunciate
d) 239.391 condannate (alcune a una multa, altri a pene detentive)
e) 206'000 prescrizioni (dato 2003 rilevato qui)
f) 156'718 condannate a pene detentive
...
g) 66'685 in carcere di cui 1/3 per pochi giorni e gli altri per reati che sarebbe meglio se non fossero tali (immigrazione clandestina o tossicodipendenti)

Incrociando questi dati, soprattutto il primo, i circa 3 milioni di reati denunciati (che sono una parte di quelli commessi) con l'ultimo, la domanda sorge spontanea: ma delinquere in Italia conviene? Parrebbe di sì.

Il tasso di denuncia in Italia e' assolutamente in linea col resto dei paesi europei e anche USA, guarda la figura A1 in questa appendice al mio (et al.) articolo citato sopra. Il tasso di "risoluzione" (clearance rate) e' un'altra cosa ma non ho dati sotto mano.

Giusto per precisare: il consumo personale di droghe leggere o pesanti che siano non comporta sanzione penale, pertanto quando si dice "depenalizzare le droghe leggere" si sta dicendo di depenalizzarne lo spaccio, l'importazione, la coltivazione ecc.. Io sono d'accordo, ma è bene precisarlo.

Certo, grazie della precisazione. Fa comunque effetto sapere che un'enorme percentuale di chi viene incarcerato in base a questa legge alla fine non rimanga dentro più di tanto, segno che il sistema non ritiene comunuqe i reati molto gravi né efficace la loro repressione tramite incarcerazione. 

 Il progetto carceri prevedeva di arrivare ad una capienza di circa 70 mila posti, il  che avrebbe risolto il problema. Pare che le carceri si siano fatte , ma non sono state aperte (vedi anche qui). C'è anche la possibilità di pene alternative fuori dal carcere,  possibilità che viene perseguita solo da pochi direttori carcerari capaci. Anche questo risolverebbe il problema.

La situazione appare incomprensibile e paradossale,  l'unica spiegazione razionale (ma supporrebbe una classe dirigente pensante) è che conviene avere periodicamente l'emergenza carceri per cancellare (amnistiare) i  reati. Con la legge Severino, occorre l'amnistia, non l'indulto, per essere rieletti. Chissà cosa voteranno i 70 parlamentari che hanno processi in corso.

non bastano, se vediamo cosa succede con la prescrizione. Nel 2007 ci sono stati 164'000 casi, di cui più del 70% emessi dal GIP. Anche ammettendo una certa percentuale di assoluzioni, una certa percentuale di pene economiche, se la metà del prescritti venisse  condannata (ammettendo come minimo un reo per ogni procedimento giudiziario) le carceri sarebbero di colpo piene. Dalle statistiche giudiziarie ho calcolato che in media i condannati a pene detentive hanno 12 mesi e mezzo di pena. Naturalmente poi ci sono quelli che già oggi vengono condannati e quelli che oggi non vengono nemmeno individuati (oltre due milioni di reati attribuiti ad ignoti).
Se la giustizia dovesse funzionare, di quanti posti avremmo bisogno?

 

Il primo e più evidente gruppo sono i reati per droga.

 

Ci sono i numeri su quanti di questi reati riguardino effettivamente le droghe leggere?

Inoltre: avete dati su quanti carcerati produce il reato di immigrazione clandestina? Questo a me sembra il primo dei "reati" da depenalizzare, non foss'altro perché oltre ad ingolfare le carceri ingolfa anche i tribunali, ed ha un effetto deterrente pari a zero (chi rischia la vita per venire in Italia non si lascia certo intimorire da certe castronerie legislative italiote).

 

avete dati su quanti carcerati produce il reato di immigrazione clandestina?

 

nonostante i detenuti stranieri siano più di un terzo del totale (23 mila su circa 65 mila detenuti), i detenuti per "legge stranieri" erano al 31 luglio di quest'anno 1205, di cui 1082 stranieri.

Per quanto riguarda le droghe, i detenuti per quei reati sono circa 26 mila, ma non mi risulta una distinzione tra leggere e pesanti, anche perché è lo spaccio che viene sanzionato. In ogni caso, molti dovrebbero aver beneficiato della legge svuota carceri del 2010 che prevedeva i domiciliari per coloro che avevano una pena da scontare inferiore ai 18 mesi. La svuota carceri del 2010 ha "liberato" circa 12 mila detenuti dalla sua introduzione al 3o settembre di quest'anno.

Ogni problema va esaminato da vari aspetti. Ho quindi pensato di far commentare questo articolo da un esperto sul campo. Marco Longo a Padova conosce la realta' carceraria in quanto il suo servizio di Diacono lo svolge all'interno di una struttura penitenziaria della provincia. Penso il suo commento abbia valore quanto l'analisi asettica delle statistiche e possa dare contributo alle discussione. mi ha autorizzato a fare cut and paste. 

L'articolo di nFA è un’analisi un po’asettica e a distanza. Il punto 2, relativo alle misure alternative non è sviluppato, anche se è quello che richiede il maggior intervento sia strutturale che legislativo. In carcere la popolazione residente beneficia di misure alternative (leggi benefici) solo se ha una condotta irreprensibile, dimostra volontà di socializzare e è occupata nelle attività e iniziative di riabilitazione. Nonostante questo, molti sono i richiedenti con le giuste credenziali, ma pochissimi i posti disponibili. Credo che per il nostro istituto che ospita circa 1000 detenuti di cui oltre 100 hanno accesso ai benefici,  i posti realmente fruibili siano meno di 10. Le strutture lavorative di re-inserimento probabilmente ancora meno. La chiesa, preoccupata com’è della carenza di preti  se ne frega perché è fatta per la maggior parte da benpensanti; di fatto solo da due anni esiste una struttura dedica al carcere, direttamente e ufficialmente dipendente dalla diocesi;  lo stato se ne frega perché è una istituzione in stato di fallimento, i cittadini se ne fregano perché di fatto hanno paura. L’informazione parla del “problema”, di cui a me non interessa nulla, e non spreca nemmeno una riga a riguardo delle vite umane delle persone che hanno sbagliato, ma che non rappresentano in se stesse l’errore e/o il male. Nemmeno i peggiori.

Riguardo al punto 1 ritengo che il reale interesse dello stato sia legato soprattutto a rimandare delle spese ad altri capitoli o ad altri momenti poiche’ il costo giornaliero di un ristretto riggiunge i 70K euro all’anno, ma tace relativamente al fatto che da lavoro a circa 60/70k persone in modo diretto e riempie le tasche degli avvocati che per ogni lettera scritta si fanno pagare centinaia di euro, spesso in nero, da indigenti ignoranti e incapaci di relazionare con uno stato burocrate e incomprensibile anche agli stessi cittadini. Qui gli avvocati di strada sono solo quelli senza lavoro!

Riguardo al punto terzo l’articolo trascura i danni sociali che derivano dalla separazione di famiglie, genitori e figli, dagli spostamenti sul territorio nazionale a cui i familiari sono costretti per  poter incontrare per qualche ora i loro cari, trascura i danni psicologici perenni che creeranno altri uomini e donne destinati alla stessa prospettiva, trascura i danni che il sodalizio interno genera sul futuro di uomini che hanno percorso le stesse tragiche storie. Domenica scorsa un amico mi diceva tristemente: “martedì esco e non so dove andare, qui sono solo e in patria non posso tornare” che tradotto vuol dire: prospettive zero. E noi parliamo di costi ?

 

Forse abbiamo veramente perso la bussola o forse l’ho persa io.

Grazie, Giuliana. Il nostro post, e' vero, e' asettico e a distanza. Ma e' volutamente tale. L'analisi statistica dei fenomeni sociali deve necessariamente porsi a un livello dove molti dettagli sono lasciati nello sfondo. Quello che se ne deduce deve quindi essere interpretato allo stesso livello: otteniamo alcune informazioni utili, certamente non tutte, certamente non le sole utili.

Chi, come Marco Longo, lavora sul campo affronta invece quotidianamente questi dettagli, che sono di primaria importanza a quel livello.

Sono due livelli diversi, complementari, ciascuno dei quali ha bisogno dell'altro.

La critica di Marco Longo al nostro terzo punto e', invece, corretta anche dal punto di vista della teoria economica. Ci sono benefici che non abbiamo considerato. Ma questo non priva di utilita' il nostro terzo punto, anzi lo rafforza, ci dice quello che anche noi diciamo, cioe' che e' necessario un corretto calcolo costi-benefici.

Il problema dei dati statistici è spesso di come li si interpreta.

Si dice che il tasso di incarcerazione in Italia non è difforme da quello di altri paesi europei: ma qual è il tasso dei detenuti in attesa di giudizio ?

Qual è il rapporto tra incarcerati "in carcere" e agli arresti (o detenzione) domiciliare ?

 

Circa il 40% dei carcerati sono in carcere per violazione della normativa sugli stupefacenti (si veda per esempio questo rapporto dell'ISTAT del 2011). Molti di questi riguardano droghe leggere e coinvolgono quindi persone con un grado di pericolosità sociale prossimo allo zero.

 

Siamo sicuri che si sappia di cosa si sta parlando ???

I reati degli spacciatori (posto che il mero consumatore non va in carcere, in Italia) sono furti, scippi, rapine ...

Ora dire che si tratta di pericolosità zero mi sembra palesemente fuori luogo.

Lo scippo è punito con la reclusione da 1 a 6 anni, salvo aggravanti; non proprio una sciocchezza !

Detto questo io sono personalmente fortemente contrario sia all'amnistia che all'indulto.

Chiariamo innanzi tutto che l'amnistia non serve ad abbassare il tasso di incarcerati ma a non far salire il tasso di frustrazione dei giudici (che evidentemente non godono a condannare uno che poi non va in galera perché c'è l'indulto).

Inoltre far uscire tutti insieme alcune migliaia di carcerati aumenta il tasso di criminalità perchè la società civile non è in grado di assorbire tutti questi "esuberi" in una volta, per cui essi (gioco forza !?!) tornano a delinquere.

Le leggi "svuotacarceri" sono state delle mezze truffe, nel senso che non è uscito quasi nessuno.

Negli ultimi anni si sono fatte un sacco di leggi per far entrare in galera più gente in meno tempo, adesso occorre aprire le porte perchè non ci stanno più: il problema è quindi innanzi tutto politico.

In conclusione torno al principio: la custodia cautelare in Italia è utilizzata in maniera smodata (v. caso Scaglia, ultimo in cronaca), tanto non ci sono sanzioni per chi sbaglia (a incarcerare, intendo).

Meno carcere preventivo, più misure alternative, detenuti non pericolosi affidati a strutture private che consentano lavoro e reinserimento.

Altrimenti ogni tot anni saremo punto e a capo.

Ma non succederà: in Italia i problemi non si risolvono, si nascondono. Come per la durata eccessiva dei procedimenti: abbiamo fatto una legge sui risarcimenti per evitare i ricorsi alla CEDU, ma la lunghezza dei procedimenti non è diminuita.

La polvere sotto il tappeto.

 

Si dice che il tasso di incarcerazione in Italia non è difforme da quello di altri paesi europei: ma qual è il tasso dei detenuti in attesa di giudizio ?

Qual è il rapporto tra incarcerati "in carcere" e agli arresti (o detenzione) domiciliare ?

 

Il link alla pubblicazione dell'Istat porta i dati che cerchi.  Per quanto riguarda le misure alternative di esecuzione pena, l'Italia è piuttosto mite, anzi mitissima. In Europa per 100 mila abitanti, tra tasso di incarcerazione (127,7) e misure alternative (199.2) si ha un tasso di 326.9 persone con restrizioni alla libertà per esecuzione pena (domiciliari, libertà vigilata etc.). In Italia invce il tasso di carcerazione è leggermente inferiore (112,6), ma le misure alternative al carcere sono un sesto della media europea (30.5 vs 199,2). Ciò fa sì che il tasso medio complessivo di persone con restrizioni alla libertà in Italia (143,1) sia meno della metà di quello medio europeo (326.9). Questi numeri si spiegano con il basso tasso di reati, la minore capacità di perseguire i reati, le condanne molto più lievi che nel resto d'Europa (o una combinazione di queste).

Lo stesso report dell'Istat riporta i dati al 2010 da cui il tasso di detenuti in attesa di giudizio è del 43,1% contro una media europea del 27,1%. Non si fa dstinzione tra detenuti in attesa della prima sentenza e quelli in attesa di appello, comunque i dati del Consiglio d'Europa riportano spaccature di questo tipo e si posono consultare qui.

Per  le droghe non si hanno abbastanza informazioni per quanto riguarda i detenuti in quanto non vi è distinzione tra leggere e pesanti e anche perché detenuti anche per altri reati. In ogni caso, è presumibile che i detenuti per droghe non siano per "droghe leggere" in quanto se si guardano i pochi dati disponibili, il 90% delle segnalazioni riguarda droghe leggere ma nei vari passaggi previsti dalla normativa, si arriva che i consumatori di cannabinoidi spariscono quasi del tutto, non venendo nemmeno considerati degni di trattamento, figurarsi le patrie galere. In definitiva, poco probabile che ci siano semplici tossici non spacciatori in galera, e ancora meno probabile che questi siano per consumo di droghe leggere. Improbabile ma non impossibile, quindi non al di là del regionevole dubbio.

 

Le leggi "svuotacarceri" sono state delle mezze truffe, nel senso che non è uscito quasi nessuno.

 

L'ultima svuota carceri ha liberato 12 mila detenuti. Scusa se è poco.

 

I reati degli spacciatori (posto che il mero consumatore non va in carcere, in Italia) sono furti, scippi, rapine ...

 

In questo casto il motivo dell'incarcerazione sono questi reati piu' gravi e il soggetto in questione non rientra tra quelli di cui stiamo parlando.

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Papa Francesco, in questi primi mesi di Pontificato, ha ricevuto oltre 500 lettere dai detenuti italiani. I cappellani delle carceri del Paese sono 233, al servizio di circa 64.mila carcerati, senza contare le persone agli arresti domiciliari. 


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/10/23/il_papa_ai_cappellani_delle_carceri:_non_%C3%A8_unutopia_una_giustizia/it1-739762 
del sito Radio Vaticana