Dei valori e delle pene, dilemma di un sabato sera

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Alcuni dei lettori e redattori trovano che sia o curioso o interessante il commento mio allo scritto di S. Brusco, il quale infierisce su Rodotà e sulle rodomontate del medesimo sui fondi della morte. Lo si legge su noisofromamerika.org in data 2012/02/10 e il lettore ha tutto il tempo di guardarselo. Qui mi trovo a spiegare due punti. Uno è pretestuoso e biografico, il secondo è teorico ed assai più complicato.

Sono una delle persone la cui vita è stata calcolata dal punto di vista della contabilità. Per chi sia curioso la mia vita è stimata dover durare tra ventimila e venitduemila giorni. Il suo valore è stato stimato a 1200,000 (in dollari US del quarto trimester del 1985) la ragione per cui il conto all'epoca mi lasciò abbstanza di “stucco”, – tanto per usare termini tecnici – è che la vita di un operaio di Bhopal costa circa $56.000. I conti li fece il sottoscritto e non sto a tediarvi con le algebre e le stime. Se vi interessano ve li spiego in altra sede. Non so bene voi, ma che io valga 21 operai... mi sembra dubbio assai.

Il primo paragrafo è un pretesto che indica solo la mia sensazione di incertezza e insoddisfazione. In prima approssimazione, chiamatela sdegno morale (“ma come, questo demente che fa il filosofo, all'epoca, manco quello, studiava da filosofo, non fa figli ed è eccentrico e dir poco, vale 21 operai?!?!?”)

Qui comincia la questione seria, visto che della serietà della mia esistenza ha seri dubbi, in primis, il sottoscritto. Brusco, a mio avviso giustamente, fa notare come vi sia un forte retrogusto di arbitrarietà nel sostenere, come appar fare l'ignavo Rodotà, che vi sia una “dignita” non calcolabile e a fortiori non monetizzabile della “vita” umana, e non ad esempio delle stime che si fanno sui cavalli che galoppano più veloci o le squadre che giocano meglio al calcio, con conseguenti fenomeni di assicurazione e distribuzione del rischio. Credo sia analiticamente vero e condivido nessuna delle preferenze, dicansi “morali”, di Rodotà. Essendo professionalmente delegato a spaccare il capello in sezioni di trentaduesimi, però.. però... mi vengon dei dubbi.

Dunque vi propongo una maniera di pensare il problema. Personalmente credo sia un problema date certe implicite premesse. Per cui un modo di annullare il problema è negare tali premesse. Su questo punto torno in un minuto.

Si chiami “Brusco” il pensiero economico, sse (quello è il se-e-solo-se dell'identità funzionale in logica e in matematica) Sandro Brusco non si offende. Brusco propone il seguente, tutto meno che stupido, argomento. Smettetela di babbionare sul valore intrinseco, d'uso, secondo gusto di x e y. È perfettamente possibile che il valore d'uso dell'apriscatole sia determinato dalla rottura della scatola, ma è irrilevante e scientificamente nullo, se non si capisce che per il naufrago in Patagonia con lo scatolame il valore di un apriscatole venduto da me, piazzista dei mari, sia più elevato del valore di Kubang per Montezemolo, che di Kubang ne ha tre, una per ogni banda verticale del tricolore. Si capisce, spero il punto, il valore di un X, sia X intuitivamente una merce o meno, è dato da curve di domanda e offerta, da scarsità relative in termini più semplici. Se così è, ne seguono due conseguenze. Vi è nessun limite naturale in termini di definizione concettuale o di legge fisica su che cosa sia una X con un valore. Dall'apriscatole al tempo tutto ha un valore. La cosa dovrebbe esser ovvia ai lettori di Das Kapital, il tempo di lavoro è valutabile quanto il risultato del medesimo. Ne segue che anche un picco di mortalità e finanziariamente e attuariamente calcolabile. Tutto il resto che Brusco S. ridicolizza è fanfaroneria dei moralisti un po' d'accatto. E fino a qui siamo tutti (circa) d'accordo.

Dove forse non siamo tutti d'accordo e attendo le furenti smentite dei lettori è sul seguente ragionamento. Se tutto è dotabile di un valore, tutto è calcolabile. Dopo tutto le singolarità avranno appunto valori altissimi data la loro completa e assoluta inutilita: I sovrani del Qatar che pagano 250 000 000 (us$) per I Giocatori di carte di Cezanne hanno di fatto comprato 250 Hummers corazzati, e il quadro non si può nemmeno guidare. La mia “vita” di cui sopra va valutata in termini della sua relativa scarsità, qualche anima pia deve aver computato che addestrare un PhD implica sforzi equivalenti a produrre 21 ooperai etc..

Se questo è corretto vi è un valore, arbitrariamente elevato, per qualsiasi cosa. Perché arbitrariamente elevato? Perché se inseguito dai pescani una gita un motoscafo la pagherò molto di piu che scelgo di far la gita in motoscafo per scuotermi dal tedio delle spiagge.

Propone dunque Brusco, signori, signore e Rodotà,  tutto è monetizzabile/calcolabile e se così non fosse non capiremmo nulla, ne dell'assicurazione sulla vita ne del motivo per cui si paga il carbone in prezzi così diversi (per gli incolti il diamante è allotropo di carbonio, il carbone costa 72 dollari per tonnellata corta – di 2000 libbre – un diamante, bruttino pure, di un carato costa 9000 dollari). 

Ora per riscaldamento cerebrale, prima domanda stupida, qual è il valore della tua vita lettore? Dovrebbe esserci un prezzo pure per quella... La domanda è un tranello, ma solo fino ad un certo punto. La tralascio, è possibile parare il colpo sostenendo che non potendo 'iò usufruire del beneficio se mi suicido a pagamento, il problema è un po' futile. Meno, assai meno, futile è l'estensione  di “Brusco” a merci come la vita (se vi garba di più “altrui” vita) o il tempo. Qui la domanda è seria. “Brusco” implica o no, una volta che vengano a mancare le regole morali di guarantigia “alla Rodota'”, che tutto ha un valore? Si può sperimentare. Prendete quel che piaccia a voi, forse che piace molto a voi (a seconda dei gusti, il proprio marito, il proprio cane, la propria figlia, il diritto di passeggiare in Val Sugana., etc.) a quale prezzo siete disposti a cederlo?

La domanda che posi nel commento (sovra menzionato) è semplice e mi sembra un dilemma di non ovvia risoluzione. Si prenda la mamma di X e si assuma che la mamma di X è una singolarità assoluta (nessuno, ma proprio nessuno, può rimpiazzare/sostituire/farquelche fa la mamma di X) e X deve dichararne un prezzo. Due possibilità (almeno algebricamente) devono presentarsi: tale prezzo è infinito, e quindi qualsiasi offerta di acquisto della mamma d X viene rifiutata da X. Oppure tale prezzo è, sia pur arbitrariamente alto, un prezzo finito. Qui parla Palma e non X: X è un pazzo in ambedue I casi. Nel primo perché rifiuta e rigetta le supremamente razionali e scevre da moralità da burletta istanze di “Brusco”. Nel secondo scenario perché X ha venduto la mamma di X a Y per, dicasi, un miliardo di sterline. Vale lo stesso per chi venda il proprio cane, pargoletta, etc. Se avete dubbi controllate le sentenze dei tribunali contro chi vende la propria figlia a gangs che organizzano prostituzione minorile.

Qui gradisco che I lettori mi dican la “loro”: venderebbero la mamma a un prezzo arbitrariamente alto? Rifiuterebbero ogni offerta?

Per quel che mi riguarda vi propongo una schema di interpretazione (e se vi interessa in separata sede vi racconto cosa rispondo io, per deformazione professionale son di scuola francese, in “pratica” sembra così e così ma come funziona la teoria?)

Una possibilità è che “Brusco” (Sandro, chiedo venia, vedi la nota su “Brusco” che non è identico a Brusco) sia errato e che non sia vero che il modello avalutativo amorale sia un buon modello di come funzionano agenti (o agenti umani, le aragoste sono agenti economici ho appreso di recente). “a” in amorale è l' alpha privativa, non si riferisce ai “cattivi.” E se Brusco ha torto, si apre la, spaventosa, prospettiva che un qualche Rodotà abbia avuto un'intuizione se non la teoria di una cosa seria. Esistono “beni” che non transitano sul cammino del valore, non sono scambiabili, nell'espressione più estrema esistono valori che non hanno un valore. Siccome so di esser odiato, se leggete il Battaglia “valore” è ambiguo tra ciò che si stima e ciò che si valuta, un valore che non ha valore è un bene positivo in qualche senso il cui esser tale è non misurabile, indipendemente dall'unità di misura (se avete dubbi, usate di nuovo la mamma di X, la mia congettura è che X se non disposto a ceder la mamma di X a me per un miliardo di sterline, non è nemmeno disposto a ceder a me la mamma di X in cambio Helen Mirren & Angelina Jolie & Denzel Washington & tre ville a Hong Kong & dodici cassette di Saint Émilion)

Ne segue una canea infinita di discussioni su quali siano o debbano essere I beni che non posson esser soggetti a transizioni valoriali (le persone? Gli umani? I gatti? L'acqua? Il paesaggio nel senso di spiagge e monti?). La ragione per cui insisto è che ho l'impressione che vi sia una maggioranza di umani che non venderebbe la mamma a nessun prezzo.

Seconda possibilità. Ha ragione “Brusco” e la mamma si può (ad un certo livello di prezzo si “deve”) vendere. A meno di non avere una preformata ed assai dogmatica nozione di un'innata morale che blocca la razionalità, a me pare che la seconda opzione sia giusta. Perché dunque tutti non son disposti a vender la mamma al suo giusto prezzo?

Mi interessa sentire cosa ne pensate. Con meno sottintesi, l'economia seria è un derivato della filosofia morale e mi sembra proprio che dovrebbe prendersi la seconda alternativa e rivendicarla, allo stesso tempo ci dovrebbe speigare come mai sia così lontana dall'essere un modello di come molti (??) alcuni (??) sottogruppi (??) illuminati (??) di individui esibiscono questa malsana certezza che esistano valori di valore infinito, il che spero sia chiaro è qui il punto chiave. Se un valore ha valore infinito (non può esser assegnato ad un prezzo) non è un valore, è una bestia di tutt'altra specie.

Spinto da lamentele e critiche di acuti lettori (Bisin, Boldrin, Forti, Michelangeli, Urbani, altri con cui mi scuso per la dimenticanza) ritorno sul problema, anche per evitare punti che generano insulse ambiguità. Cito, per primo un lungo testo (dovuto a Michele Boldrin, spero di citare con permesso)

Reply Requested: By 2/12/2012

>>> Michele Boldrin <micheleboldrin@gmail.com> 2/11/2012 8:21 PM >>>
per evitare discussioni assurde sul blog, meglio farle prime le domande critiche.

0) Il problema, con la mamma, è un po' mal posto. La mamma è, per
definizione, maggiorenne (a meno che non si consideri un figlio di un
anno che intende vendere la mamma di 17 ...) e quindi proprieta'
propria e non altrui. Nessuno, di per se, può "vendere" la mamma se
si accettano le regole antiche (e precapitalistiche) di proprietà.
Questo complica inutilmente l'intera cosa, perché l'atto di vendita
implica e richiede sia la coercizione che la violenza su altra
persona. Io userei una figlia minorenne o roba del genere, ed anche
qui abbiamo problemi di violenza implicita. Ma si possono risolvere
rispondendo alla prossima questione.

1) Cosa implica, per la figlia, venderla? Trattasi di, per esempio,
affitto temporaneo come serva residente 24/7 in casa di ricco
possidente? Avvenne milioni di volte, inclusa alla nonna materna mia
per un certo tempo ... Insomma, meglio definire COSA l'atto di
"vendita" implichi.
2) Stai affermando che nessun umano mai "vendette" (chessò,
costringendola a prostituirsi) la mamma/figlia/sorella/moglie?
Ovviamente no, perché accadde. Quindi andrei cauto con la
generalizzazione. Forse vuoi argomentare che tu pensi che nessun umano
DOVREBBE vendere, eccetera. Ma è altra cosa.

3) Positivamente stai quindi affermando che tu (e molti altri) non
riescono a pensare alla figlia come vendibile? E tu in procinto di
morir di fame, sete e stenti veri con un'agonia di due mesi, sei
sicuro che daresti la stessa risposta? Io non son certo per nulla. Se
poi son con mio figlio e la vendita della buona figlia può salvare
anche lui, temo d'aver pochi dubbi.

4) Se mettiamo la mamma (sorella, figlia o financo figlio) dal lato
potenzialmente perdente nel famoso paradosso della buona Philippa, a
quanti milioni di morti alternative occorre arrivare, secondo te,
perché persino PPP ammazzi la sua di mamma? Isn't that a TRADE?

P.S. Non mi perderei a notare che ti mettono in galera se fai
prostituire la figlia dodicenne. Ti mettono in galera anche se giri
con un po' di coca, ma questo nulla implica sulla moralità dello
sniffare.

Cheers

m

Allora. L'obiezione giuridica. Dato che la mamma è maggiorenne e ho nessun diritto a venderla, non si vede perché ponga il problema del prezzo a cui la venderei. Ho nessun diritto perché la mamma non è una proprietà mia, e se la vendo sono come Totò che vende la fontana di Trevi. Tutto vero sul piano del codice civile (posso vendere le scarpe mie e non tue). Ma falso sul piano, di estrema astrazione, in cui mi propongo di distendere queste osservazioni. Questo a sua volta ha due ragioni. 1. Il diritto è positivo, è scritto dal Lycurgo del giorno, è posto appunto. Quindi il modello “Brusco” ha il compito di mostare quale sia la scelta razionale di Lycurgo nell'escludere le persone e la dignità dal rango del possedibile, e secondo questa linea, dunque del vendibile. E, seconda ragione, perché esiston casi giuridici (nel passato, credo) in cui si poteva vendere se non madre, prole. Ancor più impressionante, a mio avviso, è che la mamma non può, sotto il paradigma dominante nel diritto attuale, italiano ma non solo, vendere se stessa. Nel caso meno buffo del nano, il nano non ha diritto, ancora per ragioni di dignità di vendere il proprio tempo di lavoro se il lavoro circense consiste nel farsi lanciare 2. La mia risposta: l'esempio indica come, e soprattutto nei casi che coinvolgano umani, non sia l'unicità, rarità, singolarità, a far la differenza e che, a meno che il Rodotà non abbia un accesso unico alla ragion giuridica che esisbisce dei principi altrove impenetrabili, anche la salvaguardia giuridica della non-possedibilità degli umani va giustificata razionalmente.

Le precedenti considerazioni primarie mi appaiono sufficienti per sbarazzarsi di quelle che chiamo sofistiche dei giuristi (ma l'esempio non “conta” perché è un crimine etc.)

Passiamo dunque ai fatti e abbandono le pandette degli avvocati. 

Vuole il mio esempio sostenere che non esiste una “vendita mamma”, vale dire che non è un evento di vendita etc.? No, succede e ed è accaduto 3. È l'esempio invece il suggerimento che io, o una persona, non sia mai in grado di concepire la vendita della propria madre? Qui la situazione è un tantino più contorta. È concepibile, ci si scrivono tutti romanzetti su “Scelte da Sophie” e qualche caso vero ci sarà. La criptica critica di Boldrin (si veda qui sopra, al quarto punto della sue disanime) è l'invenzione assai geniale dovuta a P.R. Foot appunto per mettere alla prova il tipo di scelte razionali che uno immaginare di fare. Per chi non segue questo tipo di problemi, quando maturò il tramonto dell'epoca più dorata dell'utilitarismo vari gruppi intellettuali raccolti intorno a varie scuole si misero a metter sotto sforzo le struttre, di qui varii problemi di carrelli ferroviari e l'esempio più chiaro. Foot immagina, nel saggio del 1967 che una giudice sia

a. perfettamente razionale
b. perfettamente informata del fatto che l'accusato sia innocente e vittima di un inganno, ingiustizia

  1. assolutamente convinta che il crimine commesso da altri in realtà sia orrido e meriti, ad esempio, la pena di morte,
  2. ma--- qui sta il problema – le masse sono in rivolta con scontri con la polizia perché il giudice non si decide all'impiccagione. Le masse vogliono vedere il dissoluto punito.

Ergo: la magistrata deve decidere se sia legittimo commerciare (scambiare) la vita dell'innocente accusato in cambio della vita dei molti innocenti e scemi e confusi che tumultano per le strade. Il dilemma è: esiste o non esiste  un numero sufficiente di vittime (tra le vittime degli scontri e dei tumulti) che renda “giusta” (?) “razionale” (??) “moralmente auspicabile” (??) l'azione del giudice di far impiccare l'accusato/innocente?

Se la vostra inclinazione è a dir sì, siete in pieno accordo con “Brusco”, se la vostra inclinazione è di dir di no, siete con Rodotà, o una cosa simile a Rodotà. Nel modo in cui io posi il problema: se il numero di vite che siete disposti a sacrificare per un pene (la dignità dell'innocenza dell'accusato) è infinito, avete dato un valore infinito al salvataggio e preservazione della 'dignita” dell'innocenza dell'accusato (come lo dareste alla mamma in condizioni normali.) Se avete un numero finito di vite fa pender l'asse della bilancia, siete modellizati bene da “Brusco.”

Forse adesso è un po' più chiaro almeno in che cornice vada letto il paradossale richiamo alla follia di chi vende la mamma e di chi non la vende (chi più aulico di me e più dotato parla, chiama queste cose le tragedie.)

Ritorno al punto che approssima di non pochi gradi quella che ritengo sia la dissoluzione del problema. Per metterla formalmente: si considerino due modelli detti di Rodotà e di “Brusco”, quale dei due è corretta approssimazione alla verità? Riassunto ai (rimanenti) tre lettori, Rodotà sostiene che ad esser trattatibili, scambiabili, commerciabili, valutabili sono sottoinsiemi di beni (è probabile che il modello sia pure inclusivo di gruppi e gruppetti illuminati che hanno il compito di interpretare lo Zeitgeist e decidono di tempo in tempo se far una legge sui nani, sui trapianti organi, sulla mamma, sulla criminalità assoluta della schiavitù etc.) “Brusco” sostiene che tutto è trattabile in principio e in pratica e si fissano alcuni paletti giuridici che hanno il compito di lubrificante ed evitano condizioni deviate (commercio di troppi reni di bambini mongoloidi, etc.)

Qui la questione è empirica e esprimo solo e solamente la mia impressione. Vince “Brusco”, non tanto per la massa di fatti storici (la schiavitù e l'abolizione della medesima un terreno eccellente in cui metter sotto sforzo sperimentale la domanda), ma perché anche se non trovassimo nessun caso di vendita della madre, mi appare chiaramente una verità di ragione che si riesce a concepire la condizione in cui sarebbe la soluzione da scegliere. Se l'analogo problema di Dame Foot vi sembra più facile da concepire, il mio “prezzo” valore a cui farei impiccare l'innocente è due. Tuttavia, credo sia vero, molti e forse moltissimi in condizioni non troppo riflessive son tentati da un modello Rodotà. Perché? Due diagnosi. In una essi impongono condizioni normative fortissime (vale a dire la loro risposta deve tradursi: “Guarda, Palma, può darsi e forse è persino vero che mi riesci a costruire uno scenario in cui io stesso impiccherei il capro espiatorio innocente/accusato, mia madre, etc. e detto tutto ciò NON DEVO farlo, se lo faccio esibisco solo il mio fallimento morale”). La risposta è debole, a mio avviso, ma implica un tipo di problemi che interessa solo I filosofi, e lascio perdere. La seconda diagnosi, molto meno filosofica, è a mio avviso molto più interessante. L'economia è scienza deprimente, dicevano I romantici per irridere. Vi propongo un'ipotesi alternativa della depressione indotta da “Brusco”. Se accettiamo “Brusco” dobbiamo lacerare il velo di civiltà, diritti umani, e generale buona creanza che vieta di vender mamme, siamo su un crinale estremamente instabile e subito ne segue un abisso in cui tutto è merce, l'incubo descritto dalle prime righe di Das Kapital. E il tutto è psicologicamente invivibile per molti.

Esercizio spirituale: a scuola mi han detto che Cristo è l'agnello di dio e il suo figlio prediletto che EGLI accettò per la remissione dei peccati degli umani, in cambio della remissione? Che Dio avesse in mente il modello “Brusco”?

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Commenti

Ci sono 93 commenti

La domanda finale. 

Dio sapeva che non c'e' free lunch.

se non chi sono free lunches neanche per Dio, allora non è onnipotente, che invece è un attributo necessario della divinità

OT per i tecnici: quando ho salvato il post è comparso al suo posto il testo dell'altro commento e sono dovuto andare a cancellarlo da edit

Discussione molto interessante e che a mio avviso sconfina nella metafisica (quindi usciamo una volta tanto dal collegamento fisica-economia) ma che in termini piu' pratici possiamo ricondurre al dilemma individuale di chi deve decidere se salvare 10 persone tramite l'accettazione implicita della morte di una sola.  Classico caso in cui si assiste ad un incidente con un pulman che cade su una linea ferroviaria. Ci sono due biinari ed osservate che una persona giace su un binario e 10 sull'altro. Sta arrivando un treno e c'è uno scambio che potete usare, per salvare piu' persone possibile. Semplice? Altra versione: non avete alcuno scambio ma vicino a voi c'è un grosso  macigno che puo' agire da risolutore per salvare le 10 persone. Altra versione. Nessun macigno ma un vostro amico di 160 kg, che dovrete gettare per salvare le  persone. O vostra madre? Il vostro coinvolgimento emotivo cambia il valore delle persone che salvate?

Due persone stanno annegando, potete salvarne una sola. Una è vostro figlio. L'altra è vostro padre. Esiste una scelta razionale?  Dawkins dice di si' e la spiega, senza tirare in ballo il "valore". 

Sono dilemmi morali non facili ma una trattazione oggettiva dovrebbe tuttavia essere fatta operando con termini logici univoci. Epppure partiamo male perché già "valore" ha in realtà ben 11 definizioni diverse.

  • 1 Complesso delle doti e capacità, spec. intellettuali e professionali di una persona: avvocato di v.; abilità in qlco.: un uomo di gran v. in politica

  • 2 Pregio, importanza di qlco. dal punto di vista estetico, culturale, storico, scientifico, morale ecc.: opera letteraria di autentico v.; conoscere il v. dell'amicizia; (spec. pl.) elemento stilistico che caratterizza un'espressione artistica: i v. cromatici di una pittura

  • 3lett. Virtù

  • 4 (al pl.) L'insieme degli elementi e delle qualità morali e intellettuali che sono generalmente considerati il fondamento positivo della vita umana e della società (ideali, principi morali, tradizioni ecc.): v. civili, religiosi; crisi dei v.

  • 5 Coraggio nell'affrontare gravi pericoli o anche la morte per senso del dovere SINeroismo: atti di v.; medaglia d'oro al v. militare

  • 6econ. Caratteristica di un bene che indica il suo rapporto quantitativo di scambio con altri beni o con moneta (v. di scambio) o l'utilità che esso rappresenta per chi lo possiede (v. d'uso) || v. di mercato, quello effettivo di scambio, desunto da contratti di compravendita conclusi sul mercato | v. nominale di una moneta, di un titolo di credito, quello ufficialmente fissato all'atto di emissione | v. aggiunto, maggiore valore dei beni o servizi prodotti rispetto a quello dei beni o servizi acquistati e impiegati nel processo produttivo | v. reale, quello calcolato al netto dell'inflazione

  • 7Nel l. com., costo, prezzo: v. di un terreno edificabile

  • 8 (al pl.) Oggetti preziosi, titoli di credito, valute pregiate: custodire i v. nella cassetta di sicurezza || v. bollati, francobolli, marche da bollo e carte bollate

  • 9 Efficacia, validità: documento senza v.; il v. legale di un titolo di studio

  • 10 Significato, funzione, soprattutto in ambito linguistico: l'aggettivo ha assunto qui v. di sostantivo

  • 11mat., fis. Numero che indica quantitativamente una variabile o la misura di una grandezza: i v. minimi, massimi della temperatura

  • • sec. XIII

Se poi passiamo al prezzo, troviamo altre 3 definizioni

  • 1 Controvalore in moneta di un oggetto o di un servizio: p. alto; aumentare i p.; vendere a buon p.; accordarsi sul p.; scendere di p. || p. al consumo, al dettaglio, al minuto, pagato dal consumatore al negoziante | p. all'ingrosso, adottato nella compravendita di grandi quantità | p. di costo, equivalente al costo che l'imprenditore sostiene per la produzione di un bene o servizio | p. fisso, non soggetto a contrattazione | p. di favore, scontato | p. di mercato, determinato dall'incontro della domanda e dell'offerta | p. politico, inferiore al costo del prodotto o del servizio fornito per considerazioni di ordine sociale | rivoluzione dei p., rialzo dei p. intorno alla metà del sec. XVI in concomitanza con l'arrivo dell'oro dal Nuovo Mondo

  • 2estens. Etichetta con il costo di una merce: togliere il p.

  • 3fig. Ciò che si deve pagare moralmente in cambio di qlco.: p. del successo; pagare a caro p. la propria imprudenza || non avere p., essere di valore inestimabile | a qualunque p., a tutti i costi • loc. prep.a p. di, a costo di: è riuscito nell'intento, ma a p. di molti sacrifici

Se proviamo a rileggere lo scritto di Palma, vediamo che valore viene usato con significati diversi (anche se non tutti e 11) e leggendo la nostra mente balzerà da un significato all'altro, creando una equivalenza valorex=valorey che non è corretta. 

Non è una novità. Lo faceva ben notare Bertrand Russell, parlando mi pare di "tipi logici" e di insiemistica, spiegando che se usiamo lo stesso simbolo (valore) con significati leggermente diversi all'interno della discussione, è possibile dire tutto ed il contrario di tutto. Quindi si fa metafisica, non logica.  Ma se basiamo una scienza sulla metafisica, su un linguaggio incompleto ed incoerente con cui possiamo credere di dimostrare tutto ed il contrario di tutto, non facciamo un buon servizio a chi ha bisogno dell'economia.

I miei 2 c

L'articolo fa parecchia confusione usando significati diversi per le stesse parole (senza poi dividerli, come con Brusco e "Brusco", ma usandone la sovrapposizione come indispensabile link logico).

E lo fa già in partenza: dice di rispondere all'articolo di Brusco, che sosteneva come ogni transazione volontaria su beni di cui si abbia la proprietà (inclusa la propria speranza statistica di vita) dovrebbe essere legittima, ma poi parla di vendere la propria madre (o in generale di compiere un delitto a pagamento) confondendo la ripulsa morale per l'atto delittuoso ("vendere qualcuno", che allude alla riduzione in schiavitù) con quella per la relativa parcella (che invece nasce solo dal modo in cui la si è ottenuta).

ps: Sia Rodotà che Palma non hanno citato l'unico punto debole (o più che altro da approfondire) che vedo nello schema "Brusco": la difficoltà di verificare la "volontarietà". Il diritto non dovrebbe considerare volontari gli atti fatti per minaccia o costrizione (esempio: è stupro anche se la vittima è stata resa "consenziente" a suon di pugni), ma non è sempre facile stabilire il confine, per questo è probabilmente giusta la scorciatoia considerare "indisponibili" alcuni "beni" (esempi: la segretezza del voto o il pagamento di un riscatto): ci sono ragioni per inserire la valutazione attuariale della propria speranza di vita tra questi? Quali sono le conseguenze pratiche?

Mi piacerebbe capire una cosa, la teoria del piano inclinato "siamo su un crinale estremamente instabile e subito ne segue un abisso in cui tutto è merce" non mi ha mai convinto, per quanto formalmente condivisibili alcune osservazione sulla vendita della mamma o della morte di un innocente per salvare altri eserei umani comportano TUTTE una differenza sostanziale, che il bene in questione ( che chiamare MERCE mi sembra ambiguo ) è , per così dire con un termine equivoco NATURALMENTE nella disponibilità esclusiva di una singola persona, la mia vita, la mia digintà sono nella mia esclusiva disponibilità, quella di mia mamma no, io posso sacrificare la mia vita per salvare altri innocenti , e verrei considerato un santo, un giudice non dovrebbe poterlo fare, mia mamma può vendersi ( per quanto dato la veneranda età e le condizioni di salute potrebbe faticare a trovare un acquirente ) ma io non posso farlo, chi volontariamente vende la possibilità di scommettere sulla durata della propria vita non sta, PALESEMENTE, vendendo la propria vita, se accettiamo Brusco accettiamo il fatto che in assenza di un azione che faccia del male ad un altra persona lo scambio di un bene che è nella propria disponibilità possa essere possibile senza interferenza di un autorità.

Trovo ridicolo che si debba considerare la mia dignità ( il lancio del nano nel caso in cui io sia il nano ) come un bene indisponibile.

P.S. la frase "il numero di vite che siete disposti a sacrificare per un pene " è decisamente surreale.........

uno dei migliori post letti qui. e il guaio è che mi lascia turbato. meglio meditarlo un po' prima di eventualmente commentare. Solo una considerazione: ho sempre pensato che un giudice debba applicare la legge in quanto tale senza far considerazioni su cosa sia più conveniente per la società. Il passo da qui al cosa è più conveneinte per me o per il potente di turno è troppo breve.

Non solo: potrebbe sbagliare valutazione e comunque quella scelta spetta a chi fa le leggi e non a lui.

ho sempre pensato che un giudice debba applicare la legge in quanto tale senza far considerazioni su cosa sia più conveniente per la società.

date alcune condizioni al contorno per evitare l'obiezione "allora vale per il giudice nazista che applica le leggi di Norimberga contro gli ebrei" (c'è l'uguaglianza di fronte alla legge, la legge risulta da un dibattito democratico in cui si sono valutati pro e contro, ci sono judicial remedies ecc. ecc.), l'applicazione della legge dovrebbe essere in sè la cosa più conveniente per la società. 

In quanto al caso del giudice e del capro espiatorio: le folle tumultuanti... beh, è una loro scelta scendere in piazza, potrebbero non farlo, potrebbero informarsi meglio sul caso, sanno che la polizia potrebbe sparare, hanno deciso che l'impiccagione dell'innocente ha per loro una utilità superiore alla loro vita stessa, quindi io assolverei l'innocente pure a costo di mitragliare la folla (ma siamo sicuri che non ci siano mezzi meno letali per disperderla?). Lo pongo in un modo leggermente diverso: c'è un cordone di polizia che deve difendere il quartiere di una minoranza etnica o religiosa, mettiamo 50 persone , una folla di razzisti/fanatici vuole sterminarli, ma se faccio sparare ammazzo sicuramente almeno 51 persone. Quale è la scelta giusta?

Adriano scusa il titolo contorto, ma forse il modello logico funziona se poniamo un bene come valore tendente a infinito senza raggiungerlo, comparato a un altro valore.

Ovvero, non esitono beni assoluti (come sostiene Rodotà), ma beni relativi, con dei valori tendenti a infinito (mammà), ma che poi, per una serie di circostanze tendono a scendere o in valore assoluto, o perchè comparati ad altri beni il cui valore pure tende a infinito.

Sostiene Brusco che tutto ha un valore, ma è ovvio, come tu fai notare, che son valori relativi, per l'emiro del Qatar andare in giro con appeso al collo il quadro di Cezanne  è più importante dei 250 Hummer corazzati, per me mia madre è perfettamente vendibile se devo scegliere fra vender lei o le mie figlie, ma solo se mi trovassi a scegliere (circostanza in cui si devono compararare due beni di valore tendente a infinito), oppure sono uno strafatto di eroina, e per me l'eroina è più importante di mia madre, per cui l'ammazzo per vendermi le sue collane, in entrambi i casi effettuo delle scelte basate sulle "aspettative razionali personali ( vedi post di Levine ) e me ne impippo di Rodotà che mi insegue dandomi dell'amorale.

Probabilmente se nel caso del giudice l'imputato fosse Rodotà sarebbe stesso lui, al solo pensiero che qualcuno possa subire un danno a dire "Sig. Giudice confesso: sono stato io", sollevando anche il giudice dal dubbio morale, perchè forse per Rodotà l'altruismo è un bene tendente a infinito superiore alla sua vita stessa. In tal caso Rodotà compierebbe una scelta secondo Brusco senza nemmeno saperlo (non ci arriva proprio), pur sentendosi "moralmente superiore".

Quindi se vuoi la mia risposta, che porrai sul caminetto assieme alle altre per accenderti quei pestiferi sigari, sì, Brusco ha ragione, perchè sempre e comunque ci saranno circostanze per cui venderai tua madre, anche se per te è insostuibile, quindi tutto è merce, compresa la vita di Rodotà, che se accusato ingiustamente di un crimine mai commesso sarà ben lieto di immolarsi per il suo superiore altruismo, in questo caso scambierebbe sè stesso per un numero X di persone (può darsi, però varrebbe la pena di chiederglielo).

Quando i giudici ti hanno valutato 21 operai indiani ti hanno dato un valore basato sul fatto che un bianco, nato in Italia (che non fa tanti figli), filosofo spaccacapelli che insegna ai zulu lo spirito hegeliano sia più difficilmente sostituibile dei 21 operai di Bhopal, la cui insostuibilità è grande per le famiglie, poi magari ci han messo che tu con quei soldi nell'Upper Side ci fai la fame, mentre a Bhopal con quei soldi ci compri un villaggio e ti avanza anche, per cui non sarei tanto convinto che tu vali di più dei 21 operai. Tutto è relativo, anche il tuo valore.

Domanda finale: essendo agnostico dubito che tale esercizio sia mai esistito, ma pur dando per esatta la questione preliminare (sì, Dio esiste, ed è dei nostri) credo che la domanda vada posta a Gesù/Rodotà, visto che (sembra) per 40 giorni Brusco nel deserto cercò di convincerlo che tutto è relativo, e lui si poteva sottrarre al volere del padre, e che la sua vita valeva di più dei pastori/pescatori ignoranti che popolavano la Palestina all'epoca.
E che mentre per Dio il figlio era un bene tendente a infinito, ma di perfetto valore economico, Gesù/Rodotà scelse liberamente di salire sul Golgota pur sapendosi innocente, compiendo quindi anche lui una scelta economica, ovvero barattare la propria vita per la salvezza del genere umano. E il baratto è una vendita...

In pratica una quantità è infinita quando è molto maggiore di un'altra. Se confronto due cose di valore praticamente infinito, rispetto alla maggior parte delle altre cose che mi circondano, l'esito del confronto non è affatto scontato.

Ne approfitto per osservare che porre pari a due il valore di soglia per impiccare l'innocente vuol dire: i) dare valore all'umanità solo per il numero dei suoi membri e non per le cose di cui è capace; ii) dare valore nullo alla giustizia e al suo ruolo nella società; iii) giudicare equivalente l'omicidio di un innocente e la morte occasionale di un manifestante. A me pare una scelta logicamente legittima, ma per il resto insostenibile... a meno che il due non sia riferito alle ultime due femmine della specie (nel qual caso dovrei comunque valutare se essendoci ridotti a quel punto non sia meglio estinguerci).

La question e' complicata, non per caso  fu esercizio spirituale, non terreno di teorema

Mi sono collegato fiducioso al vs blog. Speravo di trovare già una risposta/commento all'articolo di rampini sulla mmt oggi su repubblica..è colpa del fuso orario o non merita risposta? Ciao e grazie 

a me ha convinto. Che la MMT è snake oil, cioè. Almeno in quei termini lì.

qui sono le 5 di mattina e mi sono appena svegliato. Se vuoi domani posso provare a svegliarmi alle 4 ma ti confesso ho altro da fare che commentare l'articolo demente random che passa su Repubblica, che normalmente nemmeno guardo. Io questa MMT non sapevo nemmeno cosa fosse, e nella mia ignoranza stavo benissimo. 

In generale, tutta la redazione ha un lavoro, che NON E' scrivere su nfa. Lo facciamo nel tempo libero/liberato, sui temi peri quali  ci sentiamo di riuscire a dire qualcosa di intelligente e diverso da quello che trovi ovunque. Critiche alle scemenze di repubblica non sono difficili da trovare. L'aspettativa di trovare l'articolo di risposta al tema che repubblica decide di essere "hot"  7 ore dopo che e' uscito e' come minimo mal riposta. 

...dell'articolo di Rampini è che non si degna di menzionare nessuna argomentazione. In pratica dice: ci sono dei tizi X che dicono una cosa e sono brutti e cattivi (perché al momento gli si sta dando retta e navighiamo nella m***a), e ci sono degli altri tizi Y che dicono l'esatto contrario e sicuramente hanno ragione, perché i loro blog hanno molti lettori e qualcuno di loro ha anche discusso con Obama.

Me cojoni... anche senza entrare nel merito (ché io sono ignorante) è un pezzo ridicolo. Era dai tempi del partito dell'amore contro il partito dell'odio che non si sentiva roba così...

Nella frase

Nel modo in cui io posi il problema: se il numero di vite che siete disposti a sacrificare per un pene (la dignità dell'innocenza dell'accusato) è infinito, avete dato un valore infinito al salvataggio e preservazione della 'dignita” dell'innocenza dell'accusato (come lo dareste alla mamma in condizioni normali.) 

credo ci sia un simpatico refuso. La discussione mi sembra molto interessante, anche per un non economista, ma credo che introducendo la variabile tempo e il concetto di scambio si scenda ad attualizzazioni più condivisibili. Assunto che il tempo che passo con mia madre sia il bene massimo per me, in cambio di che cosa sono disposto a rinunziarvi? Di un lavoro ben pagato all'estero? Della realizzazione professionale nelle foreste dell'Amazzonia per un progetto decennale di studio delle orchidee? Di un'occupazione 7/24 che mi permetta però di curare con efficienza i malanni della genitrice? Etc. etc.

... ma il dibattito, tra chi si occupa di law and economics (mi riferisco solo a questa disciplina, che sul resto nulla so, tanto che leggo nfA per imparare da voi), non è certo nuovo e mi pare sia stato sin qui ignorato. Vedi:

en.wikipedia.org/wiki/Property_Rules,_Liability_Rules_and_Inalienability:_One_View_of_the_Cathedral

oppure: mises.org/journals/jls/17_2/17_2_3.pdf

oppure: www.jstor.org/pss/1122458&nbsp;

Ma la letteratura sul paper di Calabresi e Melamed is really huge.

o legger il refuso come 'bene' o meditare

Mi ricordo che questo problema aveva tormentato anche me anni fa. Come facevo io, tu fai una tragedia di quello che è solo un banale tecnicismo. Dopo molto leggere e pensare io l'avevo infine capita così:

NON è vero che preferenze lessicografiche (termine tecnico per "overwhelmingly more
important") implicano valore infinito, e non è vero che l'assunzione di comparabilità, che
sottende al formalismo delle curve d'indifferenza, implichi (formulazione UNO) che data una
quantità di un bene esista sempre una quantità sufficientemente alta di un altro tale da
essergli preferita. Non è vero poiché l'utilità marginale decresce, e dieci miliardi di X non
valgono nulla se non so che farmene. (Se prendiamo utilità cardinale possiamo dire che la serie converge).

Quello che comparabilità significa è: (f. DUE) data una quantità del secondo bene, esiste
sempre una quantità del primo sufficientemente piccola che la seconda gli è preferita.
Questo è necessario perché siccome i beni sono assunti continui, e l'ordine totale transitivo
(se ricordo bene, è passato tempo assai) assumere diversamente sarebbe equivalente ad
assumere che una quantità attuale infinitesima (nel senso dell'analisi non-standard) possa
procurare un incentivo non nullo. Cosa questo potrebbe significare, io non lo saprei.

Nessuno ti impedisce di avere preferenze lessicografiche e la continuità insieme, tra
l'altro. Ma ovviamente non ha senso: a che scopo infatti, avere infinita accuratezza, se non
per fare trade-offs infinitamente accurati?

La cosa importante: nella misura in cui quel "sempre" (in f.UNO o DUE) vale, esso è conseguenza di ConTinuity, non di ComParability. Non ti piace? Droppa CT, non CP.
Usa preference schedules come faceva Menger, non usare la continuità. Puoi formalizzare la
teoria dell'utilità usando un formalismo combinatorio. Vedrai che la scala delle preferenze è
una e c'è ancora comparabilità; eppure che  qualcosa deve stare in cima alla scala delle
preferenze: sarà forse per molti la mamma.

E' quindi chiaro che tua figlia ha un costo opportunità come ogni altra cosa, ovvero, ci sono
cose a cui devi rinunciare per lei, o viceversa. Il problema dell'inalienabilità però
consiste nel chiedersi se può essere usata come merce, cioè venduta e usata nella produzione,
non se la realtà della vita ti obbliga a sceglierle una posizione nella stessa scala delle
preferenze dove poni ogni altra cosa, il che è inevitabile. E' un bel problema anch'esso ma, non avendomi esso tormentato, non saprei che dire :-)

“Guarda, Palma, può darsi e forse è persino vero che mi riesci a costruire uno scenario in cui io stesso impiccherei il capro espiatorio innocente/accusato, mia madre, etc. e detto tutto ciò NON DEVO farlo, se lo faccio esibisco solo il mio fallimento morale”. La risposta è debole, a mio avviso, ma implica un tipo di problemi che interessa solo I filosofi, e lascio perdere.

Complimenti per il post: davvero interessante. Dato che io darei esattamente la risposta succitata, se ha tempo mi interesserebbe sapere perché considera la risposta debole. Non c'è dubbio che se mi costruisce uno scenario alla Conte Ugolino io possa agire contrariamente alla morale, ma sarebbe solo frutto di una debolezza umana e continuerei a considerarlo profondamente sbagliato.

  caro dr. Bernasconi,

la domanda che pone e' sia difficile che immensa. Mi provo a spiegare solo perche' la "risposta" del dovere e' debole. 

Il modo in cercai di impostare il problema e' di vedere se esista una discriminazione vera tra un aumentato "brusco" e un "riveduto e corretto Rodota'."  Presi le due come due teorie, in un senso piuttosto stretto del termine 'teoria'. Le propongo un'idea (che non e' mia, ma e' molto plausibile) di teoria: una teoria e' tale se ha un contenuto che esclude delle possibilita'. Le faccio un esempio, forse chiarificatore. La presente teoria dei terremoti dice che son effetti di movimenti di falde della crosta terrestre. Sembra sia vero, quel che mi interessa qui e' che il contenuto della teoria esclude (nega) che vi sia un terremoto che e' effetto di sessa, di fasi lunari, di una tempesta solare e cosi' via. Fissi l'attenzione su questo aspetto. Una teoria in questo senso ha un contenuto che esclude delle possibilita'. Ora consideri (nel testo che Lei cita) l'ipotesi del "dovere" un'ipotesi teorica. Le suggerisco che non vi e' nessuna condizione sotto le quale lei "debba" mangiare i suoi bambini come il Conte di Dantesca memoria. In altre parole, in nessuna condizione attuale, o possibile/concepibile il suo editto ('NON SI DEVE DIVORARE LA PROPRIA PROLE') risulta falso, in quanto come giustamente nota chi mangia i suoi figli ha torto, se si vuol esser generosi, si puo' perdonare --dicevano i preti-- il peccatore i non il peccato. Le suggerisco che la risposta sia debole semplicemente perche' non e' una teoria. Si puo' contestare e dire che esistano teorie (ad esempio tutte le teorie assiomatiche in algebra o in geometria) che risultano infalsificabili. Non sto a tediarla su quali possano essere le repliche a tale osservazione, a me risultanon teorie in quel senso. Se Le interessa ci si puo' ripassare sopra, ma e' fuori tema ed ha un interesse solo per chi vuol fare il "filosofo della matematica." 

Siccome son in tema le due referenze, mancate dal testo. Il problema di P. Ruth Foot e' in  b Philippa Foot, The Problem of Abortion and the Doctrine of the Double Effect inVirtues and Vices (Oxford: Basil Blackwell, 1978)(originally appeared in the Oxford Review, Number 5, 1967.)


mentre il problema del nano lo trovate in  Conseil d'État statuant au contentieux, n°143578, lecture du 27 octobre 1995 e per critiche e commenti (di un giurista) in 

http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=116928  di Mcgee


Erano anni che non leggevo un post così lungo e cosí interessante..... 

Soprattutto di Palma, del quale mi sfugge il significato del 99,99% dei post ;) ...mea culpa.

Semplicemente geniale, grazie. 

ma la risposta alla domanda del perchè la gente non vuol vendere la mamma (trascurando per comodità il fatto che sia o meno nelle disponibilità del venditore) non potrebbe essere una semplice dissonanza cognitiva?

Non ci va di ammetterlo, ma al prezzo di salvare la vita di uno o più  altre persone  (probabilmente con l'assenso dell'interessata) la madre la venderemmo tutti, dunque l'unico problema è che ci pare brutto ammetterlo.

Colgo altresì l'esistenza dell'argomento più sottile ossia, può essere che la mamma sia inestimabile e l'esser forzati a scambiarla non inficia necessariamente la considerazione che il suo valore sia infinito.Ma non è il fatto stesso che alla fine accettiamo se pur di malavoglia lo scambio una prova che il valore infinito non è?

Mi spiego: mamma impazzisce e sta per affogare un neonato. L'unica possibilità di fermarla è spararle in fronte con una pistola (sì, mi piacciono i fumetti horror). Se il valore di mamma è infinito io tengo la pistola in tasca e la guardo commettere un'infanticidio. Se mamma vale meno del salvare la vita del bambino sparo. Sarò un figlio degenere, ma io sparo.

Detto altrimenti  chi è che accetterebbe, per dire, la fine del genere umano per salvare una persona sola? Non è sempre possibile trovare, per quanto grande e non necessariamente espresso in moneta, un prezzo finito per ogni cosa?

ma al prezzo di salvare la vita di uno o più  altre persone  (probabilmente con l'assenso dell'interessata) la madre la venderemmo tutti

Non capisco l'esempio, sarà che potrei lasciar morire molte persone pur di non vendere mia mamma...ma anche per mia zia. Intendo dire: do comunque più valore a familiari e amici che alla vita umana di sconosciuti (si sono una pessima persona :-( )

 In generale: la penso esattamente come ne'elam nel commento sotto intitolato trade offs

Sono una delle persone la cui vita è stata calcolata dal punto di vista della contabilità. Per chi sia curioso la mia vita è stimata dover durare tra ventimila e venitduemila giorni. Il suo valore è stato stimato a 1200,000 (in dollari US del quarto trimester del 1985) la ragione per cui il conto all'epoca mi lasciò abbstanza di “stucco”, – tanto per usare termini tecnici – è che la vita di un operaio di Bhopal costa circa $56.000.

 

In effetti i prezzi relativi sono cambiati assai rispetto a qualche tempo fa:

 

Ma se segue una disgrazia, allora pagherai vita per vita: occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido. Esodo 21

O meglio trovarsi nella condizione di dover scegliere. Di solito tra due o piu' cose.

Il che non implica giudizi di "valore" ma solo la necessità di adottare e applicare un "peso" che sia idoneo ad una scelta razionale (quella emotiva non ha bisogni di molti ragionamenti). 

Come quando si deve decidere se salvare madre o nascituro. 

PS: era una risposta a Massimo Famularo ma per sbaglio è finita qui sotto.

Lessi, parecchio tempo tempo fa, un libretto intitolato Trade offs di H. Winter. L'autore appartiene alla categoria di quei brutti soggetti alla Brusco. Nelle prime pagine racconta una storiella, se non vera , certamente possibile. Era ad un party dove chiacchierava del più e del meno con una signorina che era appena arrivata nella sua università e che lavorava nel dipartimento health education. Quando fra un drink e l'altro l'autore gli raccontò che insegnava economia, lei gli rispose che si, aveva fatto dei corsi sulla materia ma che l'applicazione di quei metodi nel suo campo portava a delle conclusioni assolutamente riprovevoli, in particolare non trovava condivisibile l'idea che la vita umana potesse essere monetizzata: a suo parere la vita, tutte le vite, non avevano prezzo. Allora lui le domandò se era venuta al party con la sua autovettura. Ottenuta la risposta affermativa lui la incalzò domandandole se era disposta ad ammettere che nel percorso stradale che aveva compiuto esisteva una probabilità, piccola piccola per carità, di subire un incidente mortale. Lei ammise che in effetti ciò era possibile. Ma allora, razionalmente, ella avrebbe dovuto rinunciare a prendere la sua auto. Ma la piccola probabilità si intrufolava in tutti gli altri mezzi di locomozione e, a ben vedere, faceva pesare la sua presenza anche in questioni diverse dall'andare ad un party. L'autore conclude il suo racconto limitandosi a dire che aveva perlomeno posto un dubbio alla granitica certezza della sua interlocutrice.
Il punto a me pare sia che se si ammette che qualcosa ha un valore infinito, ovvero non esiste prezzo al quale possa essere scambiata, allora chi la detiene dovrebbe prendere tante e tali precauzioni per la sua salvaguardia che la cosa stessa finirebbe con il non poter più essere utilizzata.
Quanto alla questione etica mi raccontava un caro amico di aver ritrovato in solaio le lettere che la sua mamma aveva inviato nella seconda metà dei lontani anni '70 al suo partner, soggetto diverso dal padre dell'amico in questione. Vi si leggeva che la signora interrogandosi sulla propria identità, inclusa quella di essere madre, concludeva che la sua unica vera identità era quella di essere la donna dell'uomo a cui stava scrivendo. Il mio amico non ci rimase bene e sosteneva, con ragioni non disprezzabili, che il valore della mamma era fortemente diminuito dopo quella lettura. Dalla qual cosa deduco che l'attribuzione del valore infinito presuppone una conoscenza totale e completa di tutti gli attributi posseduti dalla cosa, faccenduola nella pratica difficiluccia assai.

Sono d'accordo sulle conclusioni (le tue non quelle del tuo amico :-) ).
Solo qui:

Dalla qual cosa deduco che l'attribuzione del valore infinito presuppone una conoscenza totale e completa di tutti gli attributi posseduti dalla cosa, faccenduola nella pratica difficiluccia assai.

Aggiungerei che l'attribuzione del valore infinito della cosa presuppone anche la conoscenza completa di noi stessi e l'immutabilità della nostra scala di valori. 

Tutti conosciamo gente che mai avrebbe venduto la moglie/fidanzata e, a distanza di anni, magari non la venderebbe ma l'affitterebbe volentieri.

Non è detto che sia cambiato il valore della fidanzata, siamo cambiati noi.

I due modelli da lei esposti mi pare di capire si basano sulle seguenti ipotesi:

(a) non esistono beni con valore infinito ("Brusco")

(b) esistono beni con valore infinito (Rodotà)

Lei poi dice che (b) implica che questi beni non possono essere scambiati. Questo credo che sia sbagliato. Con la sola ipotesi (b) potrebbe essere perfettamente possibile scambiare un bene di valore infinito, con un altro bene di valore infinito!

Questo significa, senza voler complicare la cosa, che la decisione del giudice (che scambia infinito con infinito) è coerente con Rodotà.

Se poi volendo complicare la cosa in analogia con l'analisi si introducono infiniti di ordine superiore/inferiore (due vite sono "più infinite" di una) allora la decisione del giudice si può vedere come massimizzazione dell'utilità.

Ciò che (b) implica è che non si possono scambiare beni di valore infinito con beni di valore finito. L'esempio da lei portato non va contro (b).

Spero di essermi espresso chiaramente.

Intanto ho scoperto che per noi economisti una pubblicazione su rivista top vale mezzo pollice destro. (e' l' American Economic Review, le altre valgono pezzi piu' piccoli).

Allora mi chiedo: perche' io non lo darei, mezzo pollice per un paper su AER?

Non perche' la valutazione mi sembri monetariamente insensata: non so quanto costi una sofisticata operazione di chirurgia plastica che ristabilisca in qualche modo la funzionalita' della mano, ma a naso non credo che non possa essere pagata dall'incremento nel valore attuale del reddito futuro che consegue ad una publicazione su AER.

Allora perche'? Nel mio caso, perche' un paper su AER ottenuto senza la normale procedura di referaggio e tramite la vendita del pollice snatura il bene, non e' piu' "un paper su AER" (con tutti le conseguenze per la self-esteem eccetera). Per questo non posso dire che per me un paper su AER vale mezzo pollice (e neanche un'unghia di mignolo).

E' il caso del ricco che non puo' comprare l'amore: se lo compri, non e' amore.

Mi sembra quindi che i casi di incommensurablita' (assenza di trade-offs) valgano non tanto per beni 'unici' (la mamma, la vita), ma per beni la cui natura dipende almeno in parte dal non essere scambiati.

Per me e' ovvio invece che nessuno dei beni considerati negli esempi (mamme, figli, vita) abbiano un valore infinito, ovvio al punto da non riuscire a comprendere la posizione opposta.

Marco, rispondo a te, ma segue anche il mio commento fiume sul pezzo di Palma (che e' venuto giu' anche se stasera avrei dovuto lavorare a ben altro referee report).

Come osservo nel mio commento alla discussione riguardante SR, io sono d'accordo con te sul fatto che alcuni beni non si possono proprio vendere o comprare per loro natura (e.g., amore, o la soddisfazione ricevuta dall'aver scritto un ottimo paper). O non c'e' nessuno che questi beni li vende, o come osservi tu, l'atto stesso di comprarli li trasforma. Chiamiamoli beni del primo tipo.

Poi ci sono anche beni, che sono in principio vendibili, ma che mantengono il loro valore per terzi proprio perche' non sono vendibili (o rivendibili) di fatto (o comunque la cosa accade raramente). Questi, secondo la mia casistica di cui al commento citato, rientrano nel caso di beni la cui vendita e' proibita perche' genera esternalita'. Chiamiamoli beni del secondo tipo. Per esempio, una pubblicazione su AER ha principalmente valore perche' segnala qualcosa agli altri. Se tu fossi autorizzato a rivendere la tua pubblicazione su AER il signalling value andrebbe perso.

Ora, una pubblicazione su AER puo' essere pensata come bene del secondo tipo o come bene del primo tipo (in questo caso seguendo il tuo ragionamento). 

Se la pensi come bene del secondo tipo, e' ovvio che puoi chiedere agli economisti quanto sarebbero disposti a pagare. Inoltre puoi anche chiedere all'editor di quanti soldi avrebbe bisogno per farsi corrompere (inciso: qualcuno diceva che tutto e' stato venduto sulla faccia della terra - ma siamo sicuri che un paper in AER sia mai stato venduto?). Secondo quella che ormai e' conosciuta come la "dottrina Brusco", anche l'editor avra' un suo prezzo. 

Se la pubblicazione la pensi invece come bene del primo tipo, quello che dici tu e' vero. Non ha senso nemmeno parlare di prezzi, perche' nel passare di mano il bene diventa semplicemente un'altro bene. Quindi si puo' chiaramente dire che il bene non ha prezzo. Ovviamente questo non vuol dire che il bene ha prezzo infinito. Il fatto e' che il bene non si puo' fisicamente vendere.

Invece, io credo che il punto che si vuole fare in questo post riguarda il caso in cui tu hai qualcosa che puoi vendere. In particolare, mi sembra di capire che Palma sia alla ricerca di una teoria positiva del comportamento. Palma vuole discriminare tra due teorie del comportamento umano. Plama dice: 

"Una possibilità è che “Brusco” (Sandro, chiedo venia, vedi la nota su “Brusco” che non è identico a Brusco) sia errato e che non sia vero che il modello avalutativo amorale sia un buon modello di come funzionano agenti (o agenti umani, le aragoste sono agenti economici ho appreso di recente)."

e poi

"Seconda possibilità. Ha ragione “Brusco” e la mamma si può (ad un certo livello di prezzo si “deve”) vendere. A meno di non avere una preformata ed assai dogmatica nozione di un'innata morale che blocca la razionalità, a me pare che la seconda opzione sia giusta. "

Ma se siamo in cerca di una teoria positiva, a me sembra che il modello "Brusco" estremo sia empiricamente non testabile. Infatti, ci si puo' sempre immaginare un prezzo a cui la mamma si puo' vendere (magari il prezzo include l'approvazione della mamma...e perche' no un mondo migliore per tutti). Inoltre, quand'anche si fosse osservato qualcuno che non ha venduto la mamma, i Bruxisti possono sempre dire che in effetti per un dollaro in piu' si sarebbe venduta. Insomma e' chiaro che come dice Boldrin, il modello "Brusco" estremo genera "discussioni assurde".

Quindi dovremmo forse continuare a ragionare considerando un modello "Brusco" ristretto. Ma a questo punto qual'e' esattamente l'ipotesi che si sta facendo nel modello "Brusco" ristretto? Mi pare che il mondo sia pieno di gente che ha pagato con la vita per (provare) a mantenere beni ben piu' futili della mamma, come per esempio l'onore. E gli esempi abbondano. Qual'allora il prezzo esatto con cui testare il modello Brusco? Un miliardo? Tutti i soldi del mondo :)? I'm sure che per ogni numero empiricamente sensato qualcuno trovera' almeno un controesempio.

Quindi, il modello Brusco e' al piu' la descrizione di una regolarita' empirica. Ed ovviamente io sono d'accordo che il modello Brusco ristretto e' un ottimo modello in a wide variety of economic interactions. Ma non e' certamente l'unico ed in certi campi, vedi il comportamento delle aragoste, potrebbe funzionare peggio di altri che invece magari sono basati su una dosi di Bruxismo ma anche su quella che Palma chiama "preformata ed assai dogmatica nozione di un'innata morale che blocca la razionalità". Insomma, ai dati l'ardua sentenza.

disclaimer: ogni riferimento ad un Brusco realmente esistente e' puramente casuale 

Come sapete io sono molto terra-terra. Per com l avedo io e' un problema di incentivi, ch non sono solo costituiti da quantita' di dnaro  che non hanno la stssa importanza per ogni essere umano. Visto che io con la filosofia ci ho litigato alcuni decenni addietro (e mai riusciro' a perdonare il liceo classico per avermela tanto fatta odiare che neanche ora riesco ad avvicinarmici ) vorrei provare a portare un esempio che non coinvolge la vendita di cose che non si e' autorizzati a vendere, ma un caso reale con cui mi sono trovato a decidere io stesso. Esiste un incentivo, non solo di vile denaro, per convincere qualcuno ad andare a lavorare in posti non solo disagiati, ma pure a richio di morte non causata da proprie azioni sbagliate (che a fare lo "spiritoso" puo' finire male anche qui da me). STo pnsando a posti come l'Afghanistan, la Dancalia, le repubbliche Caucasiche ex sovietiche, la Somalia, il Sahel settentrionale, il Venezuela, la Libia settentrionale, il Sudan e tanti altri posti in cui si spara senza motivo su tutto quello che si muove e c'e' un rischio oggttivo di restarci secco)? Evidentmnte si', visto che personale europo vive' in quelle regioni per lavoro. ' giusto che l aziende mettano a rischio i propri dipendenti offrendogli un salario e dell eposizioni lavorative sufficienti a fargli accettare il rischio oggettivo di non tornare a casa? Per me si', - solo una question di quanto mi piaccia il lavoro da fare, che grado di liberta' ho nelle scelte di come farlo, quali soddisfazioni ne potro' ricevere e, per ultimo, quanti soldi sono in ballo. Altri non accetterebbero mai e poi mai di andare a lavorare in certi posti (per fortuna molti di questi sono quelli piu' bravi di m, pr cui resto il piu' bravo ad essere disponibile, cosi' da essere una scelta quasi obbligata nelle selezioni per lavori in localita' "scomode"). Dicevo, altri dicono che non accetterebbero mai e poi mai di mettere a rischio la propria salute o la loro stessa vita, pr nssun incentivo al mondo. Ma secondo me e' che l'incentivo che li farebbe partire non glielo offre nessuno. Saro' banale, ma nella mia esperienza in giro per posti dimenticati da dio e dagli uomini, e' solo la disponibilita' di qualcuno che offre il "prezzo" giusto ch fa accettare certe scelte e tutte le scelte ferree si possono smuovere, disponendo della leva giusta. Senza che questo mi dia alcun fastidio.

ps, Palma, ma davvero sai dell'esistenza delle sesse? Se per caso conosci anche i punti anfidromici mi stendi completamente, ma non barare con wikipedia.

con affetto e senza barare, ma devo ammettere che ho un vanatggio posizionale, per chi viene dai luoghi del caigo perenne, tutti sanno cosa sessa sia (1966, per chi se la ricorda, io ero bambino e ho passato venti giorni a fare lo sciacallo di tutto quello che venne meso per strada) e l'alto Adriatico e' punto anfidromico, qui si' -- guardato-- un altro e' Candia, adesso vedo dove sono i punti dell'emisfero Sud che dato Coriolis dovrebbe andare contro... corrente...

Commento ( inutile ) rimosso dall' autore.

Norme sociali (o morali) e norme di mercato coesistono ma quando si sovrappongono creano confusione. Andrebbero tenuti distinti. Dare il passaggio a un amico (o offrire un bicchiere di vino, o una cena, un aiuto di emergenza etc.) lo si può interpretare all'interno di un set di norme sociali o all'interno di un set di norme di mercato. Ad esempio, se mi offrisse l'equivalente di una corsa in taxi sarei portato a riconsiderare la mia offerta di un passaggio e lasciarlo andare col taxi (magari gliela pagherei la corsa). In questo caso il set di norme sociali ha lasciato il posto a qeullo di mercato. I risultati quindi cambiano. E cambiano in relazione al contesto, alla persona e al momento. Posso ragionare con un set di vincoli e obiettivi in un caso e con l'altro altrimenti.

Quindi, se il set è quello sociale, vendere la madre può essere non ammissibile perchè le norme sociali (anche autoimposte) lo impediscono (se lo impediscono) e quindi farlo non sarebbe pazzia ma una semplice violazione di questo set di norme sociali. Se il set di norme di riferimento è invece quello di mercato (nel caso di madri e figlie è possibile in alcuni casi, ma solo in alcuni), definire un prezzo e vendere la propria madre è coerente.  I due set di norme possono coesistere nella stessa persona ma non nello stesso istante. Soddisfare i due set di norme contemporaneamente può non essere possibile.

La mia impressione e' che se ci fosse un significativo numero di compratori di mamme ad un miliardo di sterline i venditori spunterebbero come funghi.

Non dico sarebbero la maggioranza, ma sarebbero molto piu comuni di quanto siano ora: basta confrontare il mercato delle mamme con quello delle figlie, per cui i compratori sono abbondanti (a prezzi minori) ed i venditori si trovano.

Discutere di prezzi in assenza di compratori e' un po' come giocare a poker con soldi finti: credo che tutti abbiamo avuto occasione di rispondere a qualche offerta vera in modo diverso da come avremmo dichiarato in una discussione da bar.

hai acquisito un intuito economico eccezionale, Marcello.

Condivido.

Il punto elementare che molti non sembrano cogliere e' che la "mamma"  ha sempre un prezzo perche', tautologicamente, tutto ha un costo.

Il problema, empirico, e' di capire che prezzi abbia, che non sono sempre uguali. Dipende, appunto, da domanda ed offerta.

 

Discutere di prezzi in assenza di compratori e' un po' come giocare a poker con soldi finti: credo che tutti abbiamo avuto occasione di rispondere a qualche offerta vera in modo diverso da come avremmo dichiarato in una discussione da bar.

 

Questo è chiaro, o almeno dovrebbe esserlo. Io oltre a questo faccio notare che discutere di "valore" della mamma mischiando (implicitamente e per problemi di naturale confusione linguistica tra significati diversi) il valore economico, che è enumerabile, con altri valori (affettivi, familiare, storico, morale) che sono uncountable, non ci permette di arrivare a dimostrazioni logiche (se lo scopo è dimostrare qualche cosa).  Qui sta l'errore di Rodotà. In pratica per avere una discussione coerente, i simboli che usiamo per scambiarci informazioni e dialogare devono avere significati univoci. Se il significato è biunivoco allora il contesto ci aiuta in "stay away from the bank" (se siamo al molo o di fronte ad una banca in cui avviene una rapina) ma non ci aiuta molto con gli 11 significati che convenzionalmente diamo a  "valore". Inoltre se esiste una classe "valore" che è l'insieme di tutti i membri che noi riconosciamo come tali (come per il gatto) non è corretto scambiare il termine "valore" che usiamo quando di riferiamo alla classe con quello, identico, che usiamo quando ci riferiamo ad un singolo membro (comee il valore della mamma". I due "valori" sono diversi e non vanno confusi in una discussione, pena la inconsistenza di quanto si tende a dimostrare. Se fossero uguali avremmo che la classe sarebbe anche membro di se stessa, cosa vietata da ogni convenzione sugli insiemi. Naturalmente nel linguaggio comune queste cose accadono, non ci facciamo caso e non sono gravi. Lo sono pero' quando pretendiamo di usare il linguaggio comune per dimostrare qualche cosa.

 

... grazie, Palma.

Per seconda...

e detto tutto ciò NON DEVO farlo, se lo faccio esibisco solo il mio fallimento morale”). La risposta è debole, a mio avviso, ma implica un tipo di problemi che interessa solo I filosofi, e lascio perdere.  

...se un lettore curioso volesse provare ad avvicinarsi ai problemi sopra evidenziati, da dove gli suggerirebbe di cominciare? 

di nulla, un piacere o una modesta soddisfazione se le considerazioni la fecero pensare, mi occupo professionalmente di quello, il resto lo risolvono --se va bene-- le teorie.

Su quel che chiede, mi e' difficile dare una risposta sommaria e breve.

Quel che ho in mente (ed e' schematico, ma non esisti a chiedere di piu') abbiamo una teoria su che cosa sia una necessita' nomologica (vale a dire f=ma e' una legge, se vera, che se riceve istanze falsificanti e' falsa), a mio avviso non abbiamo la piu' pallida idea di che cosa sia una necessita' di ordine normativo o morale (per darle un esempio, se vi fosse una condizione in cui lo stupro e' universalizzato, Ost- Preussen a partire da o1\1945 e.g., e' -- suggerisco--  concepibile che molti dicano che lo stupro rimane sbagliato, ergo se "legge" e' un'altra bestia; quel che indicavo e' che non si capisce bene che cosa sia tale legge.)

L aprego se vuole indicazioni piu' dure sull'argomento di contattarmi quando le pare a palma@ukzn.ac.za

(annullato)

ho spostato il commento dove andava

che forse le discussioni vengono fuorviate dalle vendite di madri innocenti e di valore, si consideri 

il seguente

 

/beg quote

 

 

Le nuove elaborazioni in punta di diritto sui beni comuni ci ricollegano alle rivoluzioni culturali in corso in America latina: in particolare alle nuove costituzioni dell’Ecuador di Rafael Correa e della Bolivia di Evo Morales. Il quale in un discorso alle Nazioni Unite in occasione del Mother Earth Day ha affermato: «Se il XX secolo è stato l’era dei diritti umani, il XXI dovrebbe essere il secolo dedicato alla natura e a tutti gli esseri viventi […]. So che questo compito non sarà facile. Molte persone, specie gli avvocati, affermano che solo noi esseri umani abbiamo diritti». Ecco, ci sono cose come la rilevanza morale dei beni comuni, l’incommensurabilità dei beni naturali e culturali con i parametri dell’economia, l’intangibilità di Pacha Mama e la dignità di ogni essere vivente, che molti – e non solo avvocati – «stentano a capire».  I beni comuni sono davvero un nuovo paradigma giuridico e filosofico, economico e sociale, scientifico e politico, che ci permette di ricomporre una visione d’insieme del carattere intrinsecamente unitario dell’essere umano e delle relazioni esistenti tra gli individui e il vivente tutto.

/end quote


Il paragrafo e' tratto da 



http://www.alfabeta2.it/2012/02/29/una-comunita-di-comunita/

 

 

 

L'autore che e' un "teorico" assumendo vi sia una teoria, del 'bene' comune, intende dire che la natura determina dei valori e che, ergo, essi non sono valutabili.

marx buonanima aveva osservato che il valore e' un rapporto sociale (disse scemenze a rotta di collo, ma l'idea non e' balzana --vedasi la nota alla fine) questi dicono che esiste un valore del "vivente" (il bacillo di Koch? la pianta sul davanzale? il cameriere al caffe'?)

E' di prammatica non ripertersi, ma quanto vale il "vivente"? e' un valore finito od infinito -- vedasi supra.




Nota per gli incliti. Marx che tutto scemo non era aveva notato subito il gran problema della sua teoria del valore (di derivazione Ricardiana, mapoco importa.)

Sosteneva il "moro" (cosi' lo chiamarono i suoi amici), supponi che tu debba calcolare il valore di un paio di scarpe prodotte da Prada, quanto valgono?

1. i fattori devono includere l'affitto che paga Miuccia al padrone della fabbrica

2. la vacca morta che si compro' a fini di scuoiamento

3. il salario che pago a m.lle Vietname33 perche' metta insieme la tomaia col tacco--

ora dato che tutti i fattori morti non possono trasformarsi in un metafisico crescendo, nessuno guadagna nulla se i valori fossero equivalenti al costo (diciamo a quel che paga la signora Pina che si compra le scarpe da Prada), il che e' falso ergo l'argomento e' riduttivo, riduce se stesso all'assurdita'.

Contromossa i fattori sono morti e il lavoro e' "vivo" ed quella la fonte del valore (una parte della quale e' un plusvalore etc. scemenze sulla lotta di classe seguono.)

Ma, e' marx lo capiva perche' era meno scemo degli allocchi di adesso, se insegno a un cavallo a far scarpe che succede?

risposta: il valore e' un rapporto tra umani, non tra oggetti, in questo senso e' una relazione sociale feticizzata, e' una proprieta' relazionale, non un oggetto.

Questi, piu' recenti, teoric del bene comune hanno una visione Tomista in cui la "natura" fissa delle soglie quantitative, in qualche caso non finite (la "vita" cosidetta umana non "ha prezzp" perche' il suo "valore e' infinito" e' in effetti un dono di dio etc. 

Sarebbe il caso che qualcuno mi dicesse dove erro, magari a Moncalieri