Unindustria Treviso

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Sabato 6 Giugno ho avuto l'occasione di andare all'assemblea generale di Unindustria Treviso.

Io ero impressionato da subito. Veneto Banca ospitava in questo enorme salone sotterraneo sotto Villa Loredan, una villa veneziana nei pressi del Montello. Il presidente di Unindustria Alessandro Vardanega parlava alla platea con in prima fila un paio di ministri, e a lato anche un vescovo e dei generali (presumo io dalle copiose decorazioni sulla giacca) dei carabinieri e della guardia di finanza.

Tra un applauso e l’altro l’imprenditore che mi aveva invitato mi confida che rispetto agli anni precedenti pare di essere in chiesa. Mi spiega che gli altri anni c’era un’energia da concerto rock, mentre adesso si sente nell’aria quanto la crisi stia opprimendo la platea.

Crisi o no, il salone era pieno zeppo. Perlomeno tremila imprenditori, e per essere membri bisogna come minimo avere 15 dipendenti. Non so quale sia la media di dipendenti per azienda, ma lì dentro c’era tutta l’industria del trevigiano. In pratica, i responsabili della stragrande maggioranza dei posti di lavoro degli 800 mila abitanti della Marca (escludendo gli statali, ovviamente).

Da una parete all’altra, seduti uno a fianco all’altro (o in piedi sul retro), c’era il Pil di una mini nazione, composta da tutte queste piccole e medie imprese. Un Pil di una neanche tanto mini nazione, dato che da sola la provincia di Treviso ha un’economia grande quanto la molto più popolosa Bulgaria, e più grande della Lituania, della Lettonia, dell’Estonia…

Dopo Vardanega, c’è un intermezzo con un panel di giornalisti, banchieri ed un economista (Andrea Boltho) che ci spiegano come la crisi finanziaria sia la causa di tutti i mali, che è colpa degli stregoni di Wall Street se le banche locali non prestano più una lira alla nostra platea di imprenditori sull’orlo della bancarotta. Subito dopo, the main event: Emma Marcegaglia sale sul podio.

Era la prima volta che sentivo la presidente di Confindustria parlare, sia dal vivo che in TV (dato che non ce l’ho), e ho avuto un’impressione positiva. Molta energia e tante tirate d’orecchio al governo auspicando riforme che levino l’eccessivo statalismo dall’attività privata.

L’unica nota stonata era questo insistere che la causa di questa recessione epocale sia stata la crisi finanziaria. Mi sembra che i burattinai mediatici siano riusciti a convincere l’opinione pubblica (e imprenditoriale), che la colpa è tutta degli operatori finanziari oltreoceano.

In questa assemblea generale era totalmente assente un’analisi dei problemi strutturali del contenitore Italia: una recessione che era già nell’aria prima del crollo azionario, e un declino graduale tutto italiano che viene completamente ignorato.

Scusate se insisto con i miei grafici poco imparziali. Ho selezionato solo le economie nei paraggi del Pil della nostra Repubblica Trevisana.

Il paragone è in Pil totale. Certo che in reddito pro capite un trevisano sta molto meglio di uno slovacco. È anche vero che questi altri stati sono delle economie emergenti, ma è altrettanto evidente che i tempi del mitico Nordest sono finiti da almeno un decennio. Come il resto dell’economia italiana, l’industria trevigiana soffre a prescindere dalla crisi finanziaria.

Un’intuizione sul perché l’ho avuta durante un momento saliente del discorso della Marcegaglia. Alzando il tono della voce, la giovane imprenditrice pretende che il governo paghi i suoi fornitori, che son 3-4 anni che aspettano. Si sente un boato in sala, la gente in piedi emozionata (ma anche con gli sguardi un po’ disperati), è tornato il concerto rock.

Fino a quel momento pensavo fosse solo la grande industria con le mani nella pasta. Ma l’energia sprigionata da quell’affermazione mi ha fatto capire che il problema degli appalti pubblici è molto più diffuso. Non ho dati per dimostrarlo, ma ho avuto la netta sensazione che queste nostre piccole imprese dipendano molto dalle risorse elargite da amministrazioni comunali, provinciali, regionali e nazionali.

Se è effettivamente così, queste sono le mie tre conclusioni:

  • Lo stato è molto più indebitato di quello che sembri. Se la presidente di Confindustria deve richiedere pubblicamente allo stato di pagare i propri fornitori per 3-4 anni (anni!) di arretrati, e tremila imprenditori rispondono come se incitati da Braveheart, allora devo concludere che lo stato si sta indebitando con i propri fornitori come una ditta sull’orlo del fallimento.
  • Gli industriali sono sotto il tacco di regime. Come creditori verso lo stato, non resta loro altra scelta che fare il tifo per il governo dato che questa, ossia trattar bene i ministri, è l’unica possibilità per farsi pagare. Così quando il premier (e padrone di Publitalia) consiglia ad una audience di imprenditori di non fare pubblicità sulla stampa disfattista, tutti applaudono con grande gioia. Un po’ come i primi anni di Saddam, quando con le lacrime agli occhi faceva scortare fuori dal parlamento iracheno i suoi presunti traditori, e tutti applaudivano terrorizzati.
  • La cultura statalista non è solo dei dipendenti statali, ma è ben diramata anche nella nostra classe imprenditoriale. Mi è venuto lo spunto per scrivere questo articolo leggendo i commenti adAbbiamo ciò che meritiamo. Purtroppo quando si viene tassati per oltre il 50% del valore aggiunto e la spesa pubblica ammonta a pressapoco il 50% del reddito nazionale, per tanti settori lo stato rappresenta, oltre che il monopolista della violenza e del diritto, anche una quasi monopsonia commerciale. Allora diventa più importante avere gli agganci giusti che essere concorrenziali, ed imparare all’università come funziona l’economia di mercato diventa poco pratico per il mondo del lavoro.

Con questa cultura socialista e consociativa che pervade la mentalità italiana a tutti i livelli, penso sia difficile sperare in riforme strutturali. Credo che l’unico piano del governo sia di tener duro finché si riprenda l’economia globale, per poi vivacchiare facendosi trainare (ed ovviamente dicendo che c'è la grande ripresa tutta merito della politica governativa), assistendo in silenzio al graduale sorpasso dei vari stati dell’Est Europa.

Allora la selezione di stati che ho usato come paragone nel grafico non è poi così fuori luogo. È una comparazione tra economie che hanno già fatto una transizione da socialismo a economia di mercato, ed il contenitore Italia che deve ancora farlo.

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Commenti

Ci sono 64 commenti

non è solo lo stato che paga poco ma anche le aziende che molto indebitate e qualche mese di ritardo le manda subito in affanno. Ho sentito diversi imprenditorini che volevano chiudere a settembre se non ci sarà già ripresa, cosa molto difficile secondo me

Non ero a Treviso, in quest'occasione. Però, una qualche esperienza di assemblee confindustriali non mi manca. Nonché una certa consapevolezza delle questioni che tratti e che cercherò di chiarire, almeno per sommi capi.

La cosa non ha particolare rilevanza, ma normalmente l'assemblea pubblica - contrariamente alla privata, più centrata sulle questioni operative ed interne - è evento di carattere mediatico e quasi mondano, nel senso che serve a parlare al mondo esterno e richiama anche chi non sopporterebbe di risultare escluso. Da qui la presenza di molte persone esterne al sistema (nel caso specifico, dei 2.700 partecipanti solo 1.800 erano imprenditori iscritti, che comunque non son pochi), comprese le solite "autorità (in)competenti", fornite o meno di stellette od eventualmente abbigliate con le sottane d'ordinanza ..... :-)

Consentimi, poi, di sgombrare il campo da un equivoco, per amor di verità: non occorre "come minimo avere 15 dipendenti", il che ridimensiona alquanto i conteggi. Rimane il fatto che la Marca sia territorio ad altissima concentrazione d'imprese, in particolare piccole e medie, sebbene non tutte siano associate a Confindustria.

Ciò detto - allo scopo di non sopravvalutarci troppo ..... :-) - passiamo alla sostanza, iniziando col dire che la questione non è la colpevolezza degli "stregoni di Wall Street", ma il fatto che il manifatturiero nordestino sia decisamente proteso sui mercati internazionali e ne soffra la crisi di ordinativi e di pagamenti, contestualmente alla carenza di credito che si rivela molto reale a chiunque si prenda la briga di parlare con gli operatori sul territorio, con buona pace dei "pinocchi" di parte bancaria. Si tratta di una situazione complessa, legata anche ad un sistema regolatorio rivelatosi inadatto a gestire momenti di difficoltà - sto citando "Basilea 2" - nonché ad una prevalenza d'incentivi distorti che han prodotto l'affievolirsi delle già scarse capacità di valutazione delle imprese da parte dei funzionari di ciò incaricati, dovuto alla spasmodica attenzione riservata ad attività finanziarie - poi rivelatesi troppo rischiose - che ha distolto risorse dalla formazione al tradizionale "mestiere del credito". Non intendo disquisirne hic et nunc, ma certamente oggi gli istituti di credito non godono di particolare popolarità presso le imprese, in particolare se piccole, e pare faccian di tutto (si veda la querelle circa i nuovi balzelli istituiti in seguito alla velleitaria abolizione bersaniana della "commissione di massimo scoperto") per conquistarne l'antipatia.

Quanto alla messa in luce dei problemi strutturali del Paese, immagino che tu ti sia distratto un attimo - negli ultimi tempi - oppure che, abitualmente, i tuoi interessi siano legittimamente rivolti altrove, dal momento che se ne parla da tempo, con insistenza. La progressiva perdita di competitività legata al mancato incremento della produttività rispetto alla concorrenza internazionale, l'asfissiante presenza dello Stato (e affini) nell'economia, l'abbraccio mortale di una burocrazia stupida ed inefficiente, il costo folle di servizi pubblici da terzo mondo - ed il demenziale prelievo fiscale per pagarli - and so on .... sono oggetto di continue denunce e proposte, purtroppo mai ascoltate dai gestori del potere politico, qualunque sia la bandiera che sventolano.

Mi rendo conto che il commento sta diventando lunghissimo, perciò mi limiterò ora ad accennare al discorso dei pagamenti del settore pubblico. Qui non si tratta di avere le mani in pasta o di attendere supposte "elargizioni". Semplicemente nel Belpaese - questa specie di residuato del socialismo reale - la quota di PIL gestita dalla PA è rilevante ed è quindi normale che arretrati di pagamento cospicui si riflettano su tutto il sistema: se le imprese che vantano quei crediti non ricevono il dovuto, a loro volta non possono pagare i fornitori e s'innesca un circolo vizioso. Fermo restando che sì, lo Stato è più indebitato di quanto risulti dalle cifre ufficiali, per il semplice motivo che i debiti verso fornitori non sono inseriti nelle statistiche .......

Epperò, scusami, io mai ho sentito grandi espressioni di gioiosa approvazione ai consigli di non pubblicizzare la stampa disfattista. Piuttosto sento, sempre più spesso, gran mugugni e persino qualche colorita espressione nei confronti di chi vuol minimizzare i problemi.

Infine - che ormai questo è quasi un post - la cultura statalista è sicuramente molto presente in questo strano Paese. Anche in alcuni ambienti imprenditoriali, per quanto occorra fare attenzione a non confondere le diverse realtà: una cosa son coloro che competono sui mercati, un'altra quegli esimi signori che vivono con agio nelle protezioni garantite dall'azionista pubblico o dalle concessioni che ne regolano gl'incassi. E lo scontro di potere in atto in Confindustria, tra questi due schieramenti contrapposti (uno dei quali - indovinate? - supportato dalla politica), ben evidenzia la faccenda.

 

In quale schieramento sta Marcegaglia? Scusa la naivete', ma proprio non lo so. 

Segnalo un articolo di Oscar Giannino sull'assemblea di Assolombarda.

Lì ho inserito il mio commento. Risponde, credo, anche alla domanda finto-ingenua di Alberto ..... :-)

Potrei lasciarlo in bianco, tanto sono poche le parole che potrei usare per descrivere il desolato panorama.

Confindustria Napoli è in mano agli edili, che dipendono al 100% dalle commesse dello stato. A chiacchere tutti per il mercato, ma l'unico mercato che conoscono bene è quello delle buste, e non aggiungo altro. I pagamenti di Pantalone sono un optional, quello dei comuni e della Regione non pervenuti (i pagamenti).

Siamo in pochissimi (mi ci metto anche io, ma non è un problema a chiamarmi fuori) a competere veramente sui mercati, nazionali e internazionali, ma è un tessuto sfilacciato e poco "territorio", invidio i trevigiani (1.800 imprenditori io non li ho mai visti tutti insieme a una riunione) e il loro comunque sentirsi parte attiva.

Se c'è un punto di partenza è questo: questa borghesia imprenditrice si sta rompendo i coglioni di subire il furto delle tasse che mantiene una classe pubblica (dipendenti e politici) parassitaria e improduttiva, per nulla incline al pragmatismo, ma attenta solo al cavillo e alla forma, si è già rotta i coglioni di pagare la improduttività di una classe operaia tutta attenta ai diritti (grazie ai sindacati), ma poco incline al dovere, per cui quando può scarica i pesi morti.

Nessuno lo dice, o almeno lo si dice poco, ma sapete perchè comunque gli extracomunitari (quelli venuti per lavorare) sono benvoluti dai datori di lavoro ? Perchè lavorano ! E si miglioreranno sempre di più, per questo i razzisti leghisti li odiano, tolgono il lavoro agli italiani dicono, ma credete che qualcuno assumerebbe un ucraino, con cui ha comunque problemi quantomeno di lingua, se trovasse manodopera decente ?

Scusate la tiritera, a Ludovico Pizzati dico che ha ragione su due punti:

1. Lo Stato è molto più indebitato di quello che si dice e non ha soldi, altro che Tremonti bonds.

2. La cultura statalista è fortemente permeata in larghi settori industriali (anche se i trevigiani mi sembrano molto meno coinvolti, vieni a Napoli..)

Non sono d'accordo sul punto che siamo sotto il tacco, il discorso è l'incontrario: è lo Stato che alza continuamente la scarpa per tenere sotto il tacco l'economia, per discorsi interni al potere, a noi il duro compito di correre come formiche per evitare il tacco. E si sa che la formica può portare tre volte il suo peso, per questo quel tacco non scende mai velocemente: non gli conviene.

Trovo davvero stimolante questa lettura.

Mi domando se si tratta di "cultura statalista" oppure se non sarebbe più corretto studiare e parlare di comportamenti.

Sarebbe interessante capire se qualcuno ha studiato i comportamenti di imprese, professionisti, sindacati, pubblica amministrazione trovando delle analogie con i regimi socialisti.

Io per esempio faccio parte della categoria dei commercialisti e spesso trovo nei convegni un florilegio di concetti e retorica statalisti, tipo "cooperiamo per il bene della nazione".

C'è qualcuno che ha cominciato a studiare sistematicamente questa cosa?

Condivido ma - e non per togliere alla propaganda di origine socialista il suo de-merito nella creazione di questa sub-cultura - suggerirei di guardare anche altrove, ossia alla chiesa ed alla sua dottrina sociale ed al corporativismo e consociativismo fascista.

Sia la chiesa cattolica che l'ideologia fascista mi sembrano avere avuto, in Italia, un successo di massa ben maggiore e più duraturo di quello dell'ideologia socialista. Mentre questa predica l'intervento statale e tutto il resto, al contempo insiste sulla lotta di classe, il conflitto, l'ostilità fra gruppi e tende a snobbare, anzi ad osteggiare, il "voemose ben" in cui tutti cooperano "per il bene della nazione". Insomma, l'ideologia social-comunista è senza dubbio statalista, centralista e contraria all'iniziativa privata, ma scarsamente prona al consociativismo, ai sussidi, ai favori reciproci, all'evaporarsi delle responsabilità nella cogestione dell'economia fra piccoli o grandi monopoli economici, organi di governo e politici che li controllano, banche ed altri enti pubblici. Loro, alla fin fine, han sempre predicato il socialismo ed il sol dell'avvenire, non l'arrangiamoci. Li vedo più responsabili per l'esistenza ancora oggi di un sindacato conflittuale ed arroccato su folli "diritti" e richieste di uguaglianza insostenibili, o per la presenza di una gioventù "guevarista" che interpreta il far politica come pura opposizione e distruzione, eccetera.

La commistione fra privato e pubblico o fra stato e mercato, la protezione delle corporazioni professionali, l'assitenzialismo diffuso a pioggia ed incanalato attraverso i network delle conoscenze, delle relazioni personali, parocchiali, partitiche o sindacali, la difesa del modello economico relazionale, anticompetitivo, insomma l'economia semi-medievale che vige in Italia e che viene supportata ideologicamente dall'appello agli "interessi nazionali" è un prodotto della dottrina sociale della chiesa e di quella fascista. Per questo parlo, sbrigativamente, di clerico-fascismo: perché quella è la cultura economica del 60-70% degli italiani, siano essi imprenditori, bancari, funzionari pubblici, insegnanti, commercianti, artigiani o anche camerieri che volevano, ed esigono, di poter esercitare la "professione" di filosofi.

 

 

oggi in Italia si sta instaurando u n regime da grande fratello tramite il fisco. Tra banche dati di tutti i tipi, fotografie, segnalazioni, ormai il fisco ci tiene in ostaggio, (ultime dichiarazioni  chi non rientra negli studi  via alle indagini finanziarie e redditometro). Il problema che dà piccolo i genitori ti portano a catechismo o in sede di partito, dove ti inculcano l'idea del bene comune.  La più grande stronzata della storia. Così da cittadino diventi schiavo. Quello che siamo oggi, schiavi della burocrazia. Lo scrisse Mises allora, ci siamo arrivati oggi. Il paradosso di lottare per lib erarci del Sovrano, per ritorvarci schiavi di Patina (Berlusconi) e Gasparri o di Baffino di puglia.

Gli industriali fiutano l' aria e come disse Hajek e ribadisse Montanelli, non nè ho mai visto uno di liberale, se non di casa sua.Saluti.Gianni.

a me non economista il commento di Marco Esposito sembra bizzarro.

1) da quello che capisco dalle statistiche OECD, i lavoratori italiani costano poco -- non solo guadagnano poco -- rispetto alla media occidentale. O i sindacati sono potenti ma non fanno il loro lavoro o si arrabattano, poverini, ma non sono potenti. Io propenderei per questa seconda ipotesi. La divisione tra le confederazioni, il declino numerico della classe operaia, la proliferazione di nuove forme contrattuali, che, spesso, creano divisioni tra lavoratori soggetti alle stesse condizioni di lavoro sono tra i fattori che spiegano la crescente debolezza dei sindacati.

2) non so se credere alla storia che i lavoratori stranieri sono piu' seri degli italiani. Sono preferiti dagli imprenditori perche' costano meno. Secondo uno studio IRES-CGIL che non ho letto e di cui percio' non stimo l'attendibilita', citato oggi su Repubblica, costano un buon 20% di meno.

3) la Lega non vuole cacciare gli immigrati per proteggere i lazzaroni nostrani. Innanzitutto perche' per la Lega noi nordici siamo (quasi) tutti gran lavoratori. Lendena saranno quelli di Napoli. Poi, seriamente, perche' la Lega vuol vincere le elezioni senza inimicarsi i figli che hanno bisogno di badanti per le vecchiette e gli imprenditori che hanno bisogno di lavoratori a buon mercato. Percio' promette sfracelli, cannonate in alto mare, muri tipo quelli di Israele, per convincere il popolino a votarla, ma poi non porta a compimento che poche delle sue minacce. Come si fa a mettere in galera 600-700.000 clandestini? Al costo di 120€ al giorno farebbero quasi 100 milioni al giorno, Voglio vedere se Tremonti glieli da'. Perche' il pacchetto sicurezza punisce severamente chi affitta un appartamento a un clandestino e non altrettanto o piu' severamente chi gli da' lavoro -- e percio' ne incoraggia altri a venire?  La Lega e' un bluff, di grandissimo successo, ma un bluff. Durera' finche' gli italiani non apriranno gli occhi. E quando mai li apriranno?

1) a prescindere dalle statistiche, il ruolo dei sindacati nel definire il livello delle retribuzioni è marginale.Contano più la produttività e l'abbondanza (relativa) di manodopera.Quando i sindacati riescono a far crescere le retribuzioni più della produttività fanno chiudere aziende e distruggono posti di lavoro.Ovviamente per il settore pubblico è un'altra storia.Se poi rileggi il post di Marco non parlava di soldi ma di "diritti", ossia condizioni al contorno.

2)Ovviamente la cosa è molto variabile, per esempio dalle mie parti sono molto apprezzati gli operai pakistani, disposti a lavorare da 40 ad 80 ore settimanali senza far troppe storie (come facevano i nostri genitori, almeno da queste parti).Ovviamente la gran parte in nero.Tieni presente poi che mediamente gli immigrati sono meno qualificati ed hanno meno agganci, in parte costano meno per quello.

3) concordo.Sono un po' tentato dal marketing federalista, ma visto quel che c'è dietro ho sempre disertato.

I lavoratori italiani guadagnano poco, ma costano tanto. Esattamente (circa) il doppio di quello che gli entra in tasca. Quando parlo di preferenza verso gli immigrati non parlo di salario, o costo/dipendente, ma di produttività. Ovvero quanto mi produce quella persona in un dato tempo e con dati strumenti.

Non so se i sindacati siano poco o molto potenti, so che la loro cultura attraversa l'Italia, e dopo un giusto periodo di giuste rivendicazioni, ha trasformato la cultura lavorativa italiana. In peggio.

Conosco quello studio IRES/CGIL, non approfonditamente perchè la fonte (la CGIL) ha tutto l'interesse a presentare i dati secondo i propri fini, noto solo che gli immigrati regolari hanno (per obbligo di legge) la stessa paga degli altri, forse incidono in maniera diversa gli assegni familiari, perchè difficilmente un immigrato da poco arrivato in Italia ha già una famiglia. Altrimenti, a parità di qualifica (e qui qualcuno, ma qualcuno non fa statistica, potrebbe giocare sporco), ha lo stesso salario.

Sul punto 3 non commento, forse la Lega non ha interesse a buttare a mare gli immigrati, ma lo fa. Non parla a esseri senzienti e razionali, ne parla alla pancia. Se è piena nessuna la ascolta, ma se è vuota (o hai paura che si svuoti..) rimbomba benissimo.

In sintesi:

1) Non fatevi impressionare dai numeri dell'assemblea di Tv . Sono un pò come quelli dei sindacati al comizio a San Giovanni a Roma? Poi ci vanno proprio tutti: commercialisti, direttori di banca, il dirigente mandato dall'imprenditore perchè lui non ha tempo, la Samantha perchè così le fai avere un colpo di vita e al ritorno in ufficio dice che le è passata vicino vicino la Marcegaglia,.... Ecc. ecc.

2) Poi bisognerebbe chiedersi in modo più approndito da chi è fisicamente costituita la rappresentanza degli imprenditori, in particolariedi quelli di Confindustria e delle sue varie categorie e territoriali. Tutti imprenditori brillanti di successo con imprese performanti ed i conti a posto? Uhmmm... Qualcuno che invece cerca visibilità a buon mercato per avere un parafulmine (para-banche) per un pò di tempo? Anche questo da verificare anche se i sospetti, alla prova delle esperienze e dei fatti, ci sono.

3) Una bella ricerca, ad esempio, per capire anche questo segmento della società italiana sarebbe quello di comparare i bilanci di chi riveste incarichi in Confindustria rispetto alla popolazione delle società di capitali. Ad esempio, con riferimento alla provincia di Treviso, come stanno i bilanci delle imprese i cui imprenditori stanno in consiglio di Unindustria Tv rispetto all'aggregato dei bilanci delle prime tot aziende di capitali? Sempre nella provincia di Treviso. E là tiriamo fuori un pò di numeri per capire se stanno meglio o peggio. Redditività, indebitamento, ecc. ecc. Interessano sopratutto gli indici legati all'indebitamento. Poi da quello che viene fuori può essere che qualche considerazione ne consegua anche dal punto di vista - per così dire - sociologico.... Qualche sospetto che più di uno cerchi il careghino per avere un occhio di riguardo con la banca di turno può anche starci. Altro che concorrenza...

4) Avete seguito cosa sta accadendo a Unindustria Venezia? Come mai tutta questa lotta? Per una faccenda di quartiere sono intervenuti fin da Confindustria nazionale. Uhmmmm.... E perchè da qualche anno ci si scanna all'ultimo sangue per prendere un posto di presidente in una territoriale di Confindustria? Dalle nostre parti: già visto a Vicenza, Padova, Treviso. Ora in scena a Venezia. Uhmmm....      

Giorgio (di Treviso I suppose, ma non di "Unindustria Treviso", chiaramente ....), il tuo intervento è emblematico.

Lo è perchè non cita dati, ed invece propone sospetti spacciandoli per verità: se ritieni che

 

più di uno cerchi il careghino per avere un occhio di riguardo con la banca di turno

 

ne dovresti portare evidenza, così come se sei convinto della necessità di

 

Una bella ricerca, ad esempio, per [.........] comparare i bilanci di chi riveste incarichi in Confindustria rispetto alla popolazione delle società di capitali

 

non hai che da lavorarci e presentare le tue elaborazioni dei numeri, i bilanci son pubblici ....

Perché, vedi, tutto è possibile ma va dimostrato, altrimenti ha lo stesso valore dell'aria fritta, così diffusa nella maggior parte delle discussioni in rete. Fortunatamente qui è diverso, ed è il motivo per il quale vale la pena di frequentare quest'agorà virtuale, anziché altri luoghi apparentemente - solo apparentemente - simili.

Inoltre, sarebbe cosa molto opportuna discettare di argomenti che si conoscono, piuttosto che rendere evidente la propria preclusione preconcetta. Un esempio? Se tu avessi anche solo una minima conoscenza della reale situazione in Confindustria Venezia (non più Unindustria, by the way .....), eviteresti accuratamente di definirla

 

tutta questa lotta per una faccenda di quartiere

 

In fondo, ti basterebbe la lettura di alcuni articoli pubblicati nei maggiori quotidiani nazionali ed anche in quelli locali, nel corso dell'ultimo mese: pur tra molte imprecisioni e qualche coloritura, rendono abbastanza bene il senso della vicenda. In estrema sintesi - e con inevitabile semplificazione - si sta giocando una partita di grande rilievo, nella quale la territoriale veneziana è solo la tessera di un mosaico, che vede il tentativo delle grandi (pseudo)aziende delle ex partecipazioni statali di assumere un ruolo di vertice. Un ruolo che non è compatibile con i valori ed i comportamenti di chi sul mercato compete, anziché godere di protezioni od avere i fatturati determinati dalle concessioni governative (a prescindere da quale sia il colore del governo in carica), un ruolo che gli imprenditori "veri" non sono disponibili a concedere. Un amico, recentemente, ha sostenuto che sia un bene questo "litigio" tra noi imprenditori: non gli ho risposto sul punto - che tanto, ora, lo leggerà qui .... :-) - ma sono d'accordo senza riserve - sebbene, talvolta, ciò comporti personali malesseri - purché il fine sia quello di andare ad un chiarimento delle posizioni. Anche alla rottura, se necessario: anzi, in questo caso specifico io mi dichiaro favorevole a tale tipo di soluzione. In fondo, è ciò che penso da anni .....

 

Dimenticavo un'altra cosa:

5) Recentemente sulla stampa è stato pubblicato il reddito per l'anno 2007 di Calearo, noto imprenditore vicentino già potente presidente della Asociazione Industriali di Vi e presidente nazionale di Federmeccanica. Ora deputato per il PD dalle elezioni del 2008. Ricordate il reddito ANNUO LORDO 2007di Calearo, quindi per il lavoro "da imprenditore"? Così è stato recentemente pubblicato: euro 119.000 annui lordi. Aghhhhh...... E' il reddito di un medio dirigente di una neanche tanto brillante azienda del nord-est. E' possibile?! E questo firmava i contatti per la più importante categoria di Confindustria (Federmeccanica)... milioni di lavoratori, migliaia di aziende... Tutto a posto??? Tutto quadra??? Uhmmmm.... A sentirlo parlare sapeva tutto: bisogna fare questo, non bisogna fare quest'altro..... Aghhhhh......   E' un caso isolato? 

 

Ma è possibile che a nessuno interessi niente circa i redditi imponibili degli imprenditori? Dai miei calcoli gli imprenditori con redditi > euro 120.000 annui lordi (IRPEF anno 2007) sono meno di 20.000 in tutta Italia. Tutto bene?  In questi giorni, d'altro canto, apprendiamo che il carico fiscale che grava sui lavoratori dipendenti italialiani non ha eguali in nessuna altra parte in Europa....

Spostato sotto il commento di Marcello...

 

Parli di redditi IRPEF immagino. Potresti per favore precisare, o citare qualcosa di preciso?

Faccio riferimento ai dati diffusi recentemente dall'Agenzia delle Entrate. Sono stati ripresi da gran parte della stampa.


In altre parole, perche' ti aspetti che gli imprenditori dichiarino elevati redditi IRPEF,

Redditi elevati, no. Redditi verosimili (non dico compatibili) con il tenore di vita, si.


quando possono spostare legittimamente tali redditi nella forma di redditi finanziari (plusvalenza di azioni, dividendi, cedole obbligazionarie) tassati al 12.5%?

qui tornerò in seguito. Per il momento mi limito a dire che non è proprio così semplice e/o che magari ci sono sistemi più spicci.... Ma per voi l'evasione non esiste? la fanno solo l'idraulico e l'insegnante che da ripetizioni al pomeriggio? Poi c'è un'altra possibilità nella quale personalmente credo molto: che i "mitici" imprenditori - anche quelli del mitico nord-est - alla fine pecepiscano redditi molto molto più bassi di quelli ipotizzati dai non addetti ai lavori. Ops, un'altra opinione senza dati... Scusate... che vizio del c...

 

 

Ma per voi l'evasione non esiste? la fanno solo l'idraulico e l'insegnante che da ripetizioni al pomeriggio? Poi c'è un'altra possibilità nella quale personalmente credo molto: che i "mitici" imprenditori - anche quelli del mitico nord-est - alla fine pecepiscano redditi molto molto più bassi di quelli ipotizzati dai non addetti ai lavori.

 

L'evasione fiscale esiste in Italia, come in altri Paesi, ma ha poco a che fare con la propaganda politica e la disinformazione diffusa nel circo mediatico italiano. Esistono stime dell'evasione fiscale in Italia, frutto di studi approfonditi da parte di enti statali, che sono state trattate su nFA in un passato articolo di critica di alcune ridicole e indifendibili affermazione di Padoa Schioppa.

Secondo la mia stima personale, idraulici e insegnanti che fanno lezioni in nero evadono probabilmente piu' dell'imprenditore medio, specie quello competitivo e relativamente onesto del Nord-Est.

Le stime esistenti in ogni caso dicono che l'evasione del Nord Italia e' comparabile con quella di Francia e Germania, a parte la Lombardia dove si evade significativamente meno, al livello di Svizzera e Usa. Gli imprenditori del Nord Italia in realta' sono particolarmente onesti, perche' la pressione fiscale cui sono sottoposti e' superiore a quella di Francia e Germania, e i servizi pubblici erogati dallo Stato italiano sono significativamente peggiori, e correttamente definiti "miserabili" dall'Economist.

Invece di contribuire ad un'evasione che in totale fa il 15% circa del PIL locale, come in Francia e Germania, potrebbero benissimo rimanere "europei" ed evadere il 23% come in Belgio, dove lo Stato funziona peggio che in Francia e Germania, ma comunque molto meglio e con minor costo dell'Italia.

L'evasione fiscale inizia ad essere significativamente superiore a quella dell'Europa continentale solo a partire dalle regioni rosse sotto gli Appennini, Toscana, Marche ed Umbria, dove la dimensione delle imprese si riduce rispetto al Nord. L'evasione fiscale poi raggiune livelli africani (dal 60% all' 80% dei redditi privati) nel Sud Italia dove le imprese sono in media di dimensione ancora minore, e sono prevalenti settori economici caratterizzati da elevata evasione fiscale come edilizia (aggravata da abusivismo endemico e lavoro nero) ed agricoltura.

La tua associazione tra evasione e imprenditori del Nord-Est non potrebbe essere piu' scorretta e infondata, alla luce dei dati e degli studi esistenti, e si limita solo a ripetere certa ridicola e infondata propaganda politica per il parco buoi dei sudditi dello Stato italiano.

 


In altre parole, perche' ti aspetti che gli imprenditori dichiarino elevati redditi IRPEF,

Redditi elevati, no. Redditi verosimili (non dico compatibili) con il tenore di vita, si.

 

In Italia non c'e' nessuna legge che impedisca essere molto ricchi e vivere lussuosamente percependo unicamente redditi da obbligazioni come ad es. titoli di Stato.  Ad un imprenditore conviene azzerare il suo personale salario, e anche gli utili di impresa, per esempio usandoli per pagare interessi di un debito contratto con le banche che viene usato poi per acquistare obbligazioni le cui rendite sono tassate unicamente al 12.5%. Quando poi l'impresa e' grande e multinazionale, come ad es. Agnelli e De Benedetti, iniziano a comparire altri strumenti come societa' lussemburghesi e svizzere.

Non si vede quindi perche' un imprenditore debba volontariamente sottoporsi ad una tassazione esosa come quella dello Stato italiano, disponendo di scelte alternative, allo scopo di contribuire a pagare i corazzieri del Quirinale e gli stipendi faraonici dei parrucchieri e dei commessi del Parlamento. Dopotutto l'imprenditore paga allo Stato il 50% circa del costo dei compensi ai propri dipendenti.

 

Secondo la mia stima personale, idraulici e insegnanti che fanno lezioni in nero evadono probabilmente piu' dell'imprenditore medio, specie quello competitivo e relativamente onesto del Nord-Est.

a parte la Lombardia dove si evade significativamente meno

 

 

Davvero? Mi spieghi metodi e fonti per arrivare ad affermazioni del genere?

 

Secondo la mia stima personale, idraulici e insegnanti che fanno lezioni in nero evadono probabilmente piu' dell'imprenditore medio, specie quello competitivo e relativamente onesto del Nord-Est.

a parte la Lombardia dove si evade significativamente meno

 

Davvero? Mi spieghi metodi e fonti per arrivare ad affermazioni del genere?

 

Dati esistenti sull'evasione fiscale nelle regioni italiane sono documentati in "Padoa Schioppa e l'evasione fiscale". A questo aggiungo l'osservazione che la Lombardia e le regioni del Nord-Est con elevata vocazione imprenditoriale e dense di fabbrichette hanno evasione fiscale sui redditi privati stimata significativamente inferiore rispetto ad altre regioni dove e' documentata molto inferiore attivita' imprenditoriale e dove invece mi aspetto numeri comparabili di idraulici e insegnanti che fanno lezioni private in nero, fino a prova contraria.

Ecco cosa succede a chi non si cura amicizie politiche; ti aspettano in agguato al primo momento di debolezza:

http://corrieredelveneto.corriere.it/padova/notizie/cronaca/2009/26-agosto-2009/serenissimo-banche-mi-hanno-strozzato-vendo-1601702714661.shtml

Altre news locali:

http://www.gazzettino.it/articolo.php?id=70770&sez=NORDEST

Resta da capire se la seconda iniziativa sia solo una scusa (ma almeno originale) o un segnale che qualcosa si sta incrinando. Credo, però, che l'opzione 1 sia la più realistica.

 

 

Riassumo quanto letto qui:

-gli enti locali del Veneto (comuni e province) devono 150 milioni di euro a 300 aziende. Mezzo milione per azienda. Mica male... sicuramente non briciole per una piccola impresa in crisi.

-I soldi da dare non ce li hanno. La colpa la danno al patto di stabilita' che non consente di "creare" ulteriore deficit nazionale (il vincolo di bilancio intertemporale e' una brutta cosa)

-Allora dato che da Roma non arrivano aiuti, ci provano con la finanziaria regionale. Insomma il desiderio natalizio e' di creare insieme alle banche uno "strumento" per poter pagare i creditori.

-Le banche pero' dicono che i fondi bisogna reperirli sul mercato poiche' risorse proprie non ce ne sono.

-Viene sottolineata la complessita' (impossibilita') di questa impresa. In effetti pensate al collaterale dietro a un ipotetico fondo. Come collaterale il comune ha le risorse fiscali provenienti dalle ditte locali. E le ditte locali fatturano una volta che gli appalti pubblici verranno pagati. E' un cane che si morde la coda.

-L'articolo finisce cosi:

La vera soluzione sta solo nella modifica ai vincoli del Patto di stabilità


-L'articolo finisce cosi:

La vera soluzione sta solo nella modifica ai vincoli del Patto di stabilità

 

 

Il quale patto di stabilita', poi, e' oramai una burla esso stesso.

Secondo le previsioni della Commissione Europea, il rapporto debito/PIL dei maggiori paesi dell'UE sara', nel 2011, il seguente:

Spagna, 73%

Germania, 80%

Francia, 89%

Portogallo, 91%

Irlanda, 96%

Italia, 118%

Grecia, 135%

Ossia, tutti sopra il 60% di Maastricht (alcune di queste previsioni mi sembrano ottimiste, altre pessimiste, ma lasciamo stare). Non che non l'avessimo detto, noi miscredenti neoclassico-austriaci, che tutti quei ridicoli parametri erano baggianate pronte a saltare al primo urto ...

Fa ridere questa cosa, se uno ripensa ai fiumi d'inchiostro profusi dai "macroeconomisti a la page" sull'importanza capitale del 3% di deficit e del 60% di debito per garantire la stabilita'. Di cosa?


 

Caro Michele, sono commosso per l'apprezzamento!!!

Quanto alla situazione di Dubai non e' facile da spiegare perche' il velo di opacita' che copre le vicende economiche nell'emirato e' difficile da strappare. Comunque potrei fare un articolo in forma di FAQ su quello che so. Inizio a lavorarci.