La teoria del ciclo austriaca e l'attuale crisi economica

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La notorietà della teoria del ciclo economico di Mises e Hayek è fortemente anti-ciclica e così, negli ultimi anni, se ne è parlato su blog, giornali, e journals. In questo articolo si cerca di rispondere ad una semplice domanda: gli austriaci hanno qualcosa da dire sull'attuale crisi economica? Dapprima descrivo la teoria e spiego cosa questa dica riguardo ciò che va cambiato nel modo di implementare la politica monetaria durante le recessioni e soprattutto durante i boom. Occorre però anche chiedersi se la teoria sia completa e corretta, argomento che ho cercato di trattare, nei limiti del possibile, in appendice, sottolineando anche quelli che a parer mio sono ancora i suoi limiti.

La teoria del ciclo economico di Mises e Hayek ha almeno una cosa in comune con l’oro: sono entrambi anticiclici. Gli austriaci vengono dimenticati durante il boom, quando hanno qualche consiglio da dare, e riscoperti durante la recessione, quando è ormai troppo tardi per evitare guai. Il recente articolo del Wall Street Journal su Peter Boettke (George Mason University), conferma la maledizione di Cassandra, come anche l’interessante lavoro di Diamond e Rajan del 2009 sull’effetto perverso delle politiche monetarie sull’illiquidità degli investimenti, in cui si cita e in parte si recupera la teoria di Mises e Hayek in una nuova veste “finanziaria”.

Quanto esporrò non è la teoria originale di Mises e Hayek, ma lo stato attuale della teoria, con alcune aggiunte mie personali. La teoria si compone di due tesi principali. La prima tesi è che una politica monetaria persistentemente espansiva, modificando i tassi di interesse, modifichi il rapporto costi/benefici dei vari tipi di investimento, producendo un eccesso di capitale fisso, bisognoso di un continuo flusso di nuovi investimenti complementari (risparmi) per poter essere fruttuosamente impiegato: questo è il boom insostenibile, in quanto la produzione dapprima aumenta, per poi diminuire in un secondo momento, anche bruscamente.

Questa tesi si presta ad una serie di obiezioni. Ne elenco quattro: a tre rispondo nella prima appendice perché le risposte non sono né semplici né concise, mentre alla quarta obiezione dedicherò la seconda appendice, perché qui secondo me c'è ancora del lavoro da fare per ottenere una teoria ben fatta, e ci sono almeno due strade da percorrere per gli austriaci (che finora hanno scelto la più impervia, apparentemente senza grossi risultati).

Perché l’espansione monetaria non genera semplicemente inflazione? Perché beneficia gli investimenti di lungo termine e non ad esempio i consumi? Come si modifica la struttura produttiva durante il boom e durante la recessione? L’ultima obiezione - il problema ancora aperto - è: perché la politica monetaria è non-neutrale proprio nel modo richiesto dalla teoria? Perché gli imprenditori "sbagliano"? Si assume forse che siano degli allocchi? Quest'ultimo problema, chiamato "ratex critique" (critica delle aspettative razionali), tocca le fondamenta stesse del modo di considerare la non-neutralità monetaria, ed è il più complesso di tutti.

Per farsi un'idea - prima di leggere l'appendice I - di quale possa essere la risposta alle prime tre obiezioni, è forse sufficiente affermare - al momento senza scendere nei dettagli - che durante il boom i prezzi sono tenuti stabili da livelli di crescita economica insostenibili, che il boom è caratterizzato da un eccesso di capitale fisso (qui sia Mises che Hayek avrebbero protestato per la semplificazione), creato perché le politiche monetarie espansive persistenti hanno l'effetto di ridurre il costo del capitale (abbassando il tasso di interesse lungo tutta la curva dei rendimenti), e questo capitale fisso aggiuntivo, che aiuta a produrre di più nel breve termine, non sarà rinnovabile nel lungo termine per mancanza di sufficienti risparmi, cioè andrà a scontrarsi con un eccesso di consumo durante la recessione.

La seconda tesi tipica dell’economia austriaca è che un tale stato di cose non può durare, e che una crisi è quindi necessaria, cosa che comporta una serie di problemi quali la necessità di spostare risorse dai settori che sono cresciuti troppo, la perdita di capitale (fisico e umano) fisso inconvertibile, e potenzialmente la crisi degli intermediari finanziari (banche). In pratica, la recessione è la risposta del sistema economico a problemi preesistenti, e consiste in un doloroso processo di aggiustamento.

Da dove vengano i problemi della recessione, cioè l’insostenibilità della crescita che si ha nel boom, lo chiarirò nella prima appendice. Ma cosa succede esattamente nell'economia durante una recessione? Qui rimando nuovamente all'appendice I per i dettagli, ma, in poche parole, succede che sia gli investimenti che i consumi crollano, che si ha un panico bancario, e che una parte della dotazione di capitale si rivela inutilizzabile (come le gru delle imprese di costruzioni dopo la crisi del settore) e ciò comporta una compressione della frontiera delle possibilità produttive.

Sebbene la teoria della crisi in qualche modo spieghi parte della gravità delle recessioni, nessuno degli elementi considerati dalla teoria poteva però spiegare la Grande Depressione, e dopo la “General theory” la teoria finì nel dimenticatoio. Nessuno infatti aveva previsto le politiche di Hoover e Roosevelt, le cui conseguenze sono state solo di recente chiarite da Cole e Ohanian [1].

È quindi necessario aggiungere una terza tesi: che oltre ai necessari e costosi cambiamenti strutturali, ci siano dei fenomeni di accelerazione che intensificano la crisi, ad esempio dovuti al crollo degli aggregati creditizi (come sosteneva l’austriaco Richard Strigl nel 1937), cosa che rende la teoria austriaca simile all’attuale letteratura sul credit channel, e alla teoria di Irving Fisher delle depressioni [2]. La principale differenza è che contrastare i fenomeni di accelerazione della crisi tende, per gli austriaci, a perpetuarne le vere cause, ad esempio attraverso il "loan evergreening", cioè la perpetuazione di investimenti da liquidare [3]. Per le teorie del credit channel, invece, in genere l'intervento è praticamente un pasto gratis, senza conseguenze di lungo termine.

Chiarito di cosa stiamo parlando, chiediamoci: la teoria austriaca serve, magari opportunamente aggiornata, a spiegare la genesi e l’evoluzione dell’attuale crisi? Per rispondere, ripercorriamo la storia che ha portato all'attuale situazione, partendo dal 1987, anno in cui, per la prima volta dopo la disinflazione di Paul Volcker, i mercati cominciarono a rendersi conto di poter contare sull'intervento della Federal Reserve di Alan Greenspan in caso di crisi. La "safety net monetaria" - per gli austriaci il moral hazard non è nato con i recenti bailout - si è poi successivamente attivata in diverse occasioni, con la recessione del 1990, la crisi di LTCM nel 1998, il Millennium Bug nel 2000, e l'Undici Settembre nel 2001. Proprio in questo periodo si cominciò a parlare di Greenspan Put [4], ma la Fed continuò imperterrita a socializzare rischi e costi (per approfondire questo punto fondamentale, si veda l'appendice II). Arrivati al 2007, però, la Fed si ritrovò senza più munizioni, e sono cominciati i guai veri. Questa “narrativa” giustifica la prima tesi: un lungo boom, prodotto dalle autorità monetarie, intervallato da tentativi di aggiustamento abortiti “manu monetari”: nel frattempo, i problemi strutturali sono aumentati, rendendo la necessaria recessione più grave.

In sostanza, la teoria del ciclo austriaca sostiene che le politiche di stabilizzazione creino un trade-off tra la stabilità del breve termine (cioè finché l’economia può permettersi il boom e la politica monetaria è efficace) e la stabilità di lungo termine (quando la Fed – o magari la BoJ – diventa impotente e l’economia ha accumulato tanti di quei problemi da bloccarsi, o collassare).

Sto parlando di moral hazard. Mises e Hayek conoscevano tale concetto? Mises scriveva nel 1928 [5] riferendosi alla politica monetaria inglese del XIX secolo:

 

“It was usually considered especially important to shield the banks which expanded circulation credit from the consequences of their conduct. One of the chief tasks of the central banks of issue was to jump into this breach. It was also considered the duty of those other banks who, thanks to foresight, had succeeded in preserving their solvency, even in the general crisis, to help fellow banks in difficulty.”

"Era normalmente considerato molto importante difendere le banche che espandevano il credito dalle conseguenze della loro condotta. Uno degli obiettivi principali delle banche centrali di emissione era intervenire [quando necessario]. Era anche considerato dovere delle banche che, per via della loro maggiore oculatezza, erano riuscite a rimanere solvibili, anche in tempo di crisi generale, aiutare le altre banche in difficoltà."

 

Nello stesso testo, Mises afferma che il fatto che il Peel Act (una legge del 1844 che impediva l’espansione di credito tramite banconote – ma non depositi) fosse sospeso ad ogni crisi lo rendeva incapace di prevenire l’espansione, visto che nessuno lo prendeva sul serio. Anche Hayek parlava esplicitamente dello stesso problema, scrivendo nel 1937:

 

“the fundamental dilemma of all central banking policy has hardly ever been really faced : the only effective means by which a central bank can control an expansion of the generally used media of circulation is by making it clear in advance that it will not provide the cash (in the narrower sense) which will be required in consequence of such expansion, but at the same time it is recognised as the paramount duty of a central bank to provide that cash once the expansion of bank deposits has actually occurred and the public begins to demand that they should be converted into notes or gold.”

"il fondamentale dilemma di tutte le politiche delle banche centrali è stato a malapena compreso: l'unico metodo efficace attraverso cui la banca centrale può controllare l'espansione dei mezzi monetari è rendere chiaro in anticipo che non fornirà liquidità quando richiesta come conseguenza di tale espansione, ma, allo stesso tempo, è stato riconosciuto come dovere fondamentale della banca centrale provvedere alla liquidità una volta che l'espansione dei depositi bancari è già avvenuta e il pubblico comincia a domandare la loro conversione in banconote, o oro."

 

Sul moral hazard tornerò nell'appendice II.

Tornando alla situazione attuale, l’economia americana consuma troppo, ha un deficit pubblico e un debito privato eccessivi, e deve gran parte degli investimenti domestici alla buona volontà degli investitori stranieri. Inoltre la struttura finanziaria è ancora in condizioni critiche, per via dell'eccesso di leva finanziaria e dell’intrinseca opacità di strumenti finanziari che hanno funzionato finché qualcuno ha provveduto alla loro liquidità. Ritroviamo qui la seconda tesi: i mercati necessitano di una pausa di riflessione, che oggi è chiamata “deleveraging”, e che Mises e Hayek chiamavano “liquidazione del malinvestment”. La differenza è che Mises e Hayek avevano in mente una crisi della struttura produttiva, e la crisi bancaria era solo la conseguenza secondaria di questa crisi (anche se verosimilmente è la componente che causa più danni in recessione).

(Breve nota metodologica: cosa significa "debito eccessivo"? Rispetto a cosa? La mancanza di una definizione operazionale di “malinvestment” - cioè di investimenti insostenibili nel lungo termine - limita l’applicabilità empirica della teoria di Mises e Hayek. Lo stesso vale per le bolle speculative: nessuno sa se esistono, e magari un rapido aumento delle quotazioni è fondato, o forse no. Operazionalizzare aiuterebbe a testare gli aspetti testabili della teoria, come ad esempio i movimenti della struttura produttiva nelle varie fasi del ciclo economico. I lavori a riguardo saranno una decina in tutto. Sicuramente si può fare di meglio.)

Oltre alla finanza, ci sono poi una serie di problemi a livello di produzione da tenere in considerazione, e che è troppo facile dimenticare quando si ragiona in maniera aggregata: la necessità di ristrutturare interi settori produttivi, la perdita di valore dei beni capitali (fisici e umani) in questi settori, etc. La teoria austriaca, basata sulle nozioni di eterogeneità, specificità e complementarità dei fattori di produzione, può microfondare ad esempio l’aumento del tasso naturale di disoccupazione che probabilmente è accaduto negli ultimi tre anni (rimando a questo post di O'Driscoll). Investigare queste questioni con un occhio all’eterogeneità e alla struttura produttiva è quindi importante, e i primi a farlo furono Mises e Hayek negli anni ’30. Oggi probabilmente non sono più soli.

Una delle conseguenze importanti della teoria è che la macroeconomia ha ben poco a che fare con la domanda aggregata: chi parla di domanda aggregata usa spesso un qualche modello semplificato in cui non c’è alcun motivo per una crisi salvo la rigidità dei prezzi, e poi ne deriva, come necessaria conseguenza, che l’inflazione aiuta. Ma se l’economia ha problemi strutturali, le politiche di domanda aggregata sono inutili: anzi, se queste politiche impediscono l’aggiustamento, sono dannose.

A questo punto occorre porsi una domanda fondamentale: le politiche monetarie anticicliche sono irrilevanti, necessarie, o dannose? Al giorno d’oggi, non esiste una teoria standard che consenta di giustificare la dannosità di lungo termine delle politiche anticicliche, mentre per l'irrilevanza abbiamo ad esempio le teorie del ciclo economico reale, e per la necessità quelle neo-keynesiane. La teoria austriaca può coprire questo buco, a patto che si riesca a microfondare la non-neutralità monetaria in maniera rigorosa (si veda l'appendice II), che è il più importante lavoro teorico che è ancora da fare.

Questa intuizione di base della teoria di Mises e Hayek è finora rimasta fuori dai modelli di equilibrio generale (DSGE) che sono alla base di tutte le altre teorie macroeconomiche: purtroppo, per una serie di motivi (di cui all'appendice II), la loro teoria non è facilmente integrabile in questa cornice teorica, e comunque finora di tentativi ce ne sono stati pochi. Se qualcuno tra i lettori arriverà in futuro ad un modello del genere (magari sul solco del paper di Diamond e Rajan di cui si è parlato), sappia che starà recuperando quanto dicevano Mises e Hayek negli anni ’30.


Appendice I - Dettagli della teoria e risposte ad alcune obiezioni

Alle prime tre obiezioni riportate nel testo ho risposto in un solo paragrafo, che temo fosse incomprensibile. Questa appendice sviluppa le argomentazioni accennate.

La prima obiezione tipica alla teoria austriaca è che l'espansione monetaria dovrebbe semplicemente generare inflazione: a riguardo ci sono tre possibili argomentazioni.

La prima è che l'inflazione può essere coperta da guadagni di produttività. Negli anni '20, e negli ultimi venti anni, l'innovazione tecnologica ha tenuto i prezzi sotto controllo nonostante la politica monetaria. Lunghi periodi di innovazione tecnologica (o guadagni di efficienza, come la deregulation o la globalizzazione) possono nascondere gli effetti inflazionistici dell'espansione creditizia. Senza innovazione, il boom insostenibile durerebbe di meno, e farebbe meno danni, perché le banche centrali si spaventerebbero prima. La stabilità dei prezzi, in buona sostanza, non implica la stabilità economica: contro la stabilizzazione dei prezzi si espressero molto chiaramente sia Mises che Hayek, in diversi scritti.

La seconda risposta è che il boom genera un aumento delle transazioni, e una rivalutazione degli asset, che implica un aumento della domanda di moneta. Se la domanda di moneta è correlata positivamente col livello di attività economica, infatti, questo frena gli effetti inflazionistici impedendo a questa di fluire verso i mercati dei beni finali. Si noti del resto che il paniere "ISTAT" contiene quasi esclusivamente beni finali, mentre l'espansione creditizia genera sì inflazione, ma inizialmente degli asset finanziari. Qui il problema è che il livello dei prezzi dei beni finali è dato dai flussi monetari impiegati per comprarli, e non dal flusso monetario complessivo, comprese cioè le transazioni sui beni intermedi (per flusso intendo il prodotto dello stock di moneta e della sua velocità di circolazione).

La terza è legata al concetto di crescita insostenibile, e quindi gioca un ruolo fondamentale nell'analisi che segue. La politica monetaria espansiva genera un aumento insostenibile della produzione, che può durare qualche anno (per i dettagli, si veda la terza obiezione, sotto). In questa situazione il sistema economico produce più di quanto sia sostenibile nel lungo termine, perché la produzione di breve termine è stimolata a danno di quella di lungo termine. Questo contribuisce a ridurre l'inflazione, aumentando l'offerta di beni finali.

Qui è da sottolineare una cosa: durante il boom i risparmi diminuiscono, e sia i consumi che gli investimenti aumentano (qui Hayek non era d'accordo con Mises, almeno in alcuni lavori: negava che ci fosse il "sovraconsumo"). L’apparente contraddizione (Il vincolo di produzione Y = C + I che fine fa?) richiede di introdurre il concetto di crescita insostenibile, che spiegherò tra poco. Comunque, il sovraconsumo non è una condizione necessaria della teoria, è solo una conseguenza naturale dei bassi tassi, e delle rivalutazioni patrimoniali.

La seconda questione è perché la politica monetaria stimoli gli investimenti anziché i consumi. Il canale di trasmissione austriaco è il tasso di interesse reale, perché la politica monetaria genera un margine di profitto tra il tasso di rendimento sugli investimenti e il costo del capitale che le imprese pagano agli intermediari finanziari (i.e., il primo non si adegua istantaneamente al secondo come avverrebbe in equilibrio generale, altrimenti la moneta sarebbe neutrale).

Forse è abbastanza semplice concludere che in linea di principio uno sconto persistente sul tasso di interesse abbia forti effetti sui beni capitali durevoli, ma effetti secondari sul “capitale circolante”. Si noti che la persistenza dell’effetto richiede una politica monetaria espansiva nel lungo termine, in modo da distorcere tutta la curva dei rendimenti. Risulta difficile infatti credere che una diminuzione di breve durata del tasso a breve comporti forti profitti nell'investire in beni capitali durevoli, ma se l'effetto liquidità è persistente la cosa diventa meno misteriosa.

La terza obiezione standard è: cosa succede alla struttura dell'economia durante il boom e la recessione? Non esiste un modello formale di produzione “austriaca”, e ciò che ci si avvicina di più sono i “triangoli di Hayek”, un costrutto usato in “Prices and production”, ma di cui non sono un fan. Anche Huston McCullogh [6] ha fornito un buon esempio di struttura di produzione in cui un mismatch temporale tra risparmi e investimenti genera una perdita netta di produzione sia nel presente che nel futuro. Quel che è certo è che nulla della teoria austriaca si può ricavare assumendo funzioni di produzione come Cobb-Douglass.

Propongo un "mio" modello, che non si trova pubblicato da nessuna parte ma credo sia abbastanza fedele all’idea originale di Mises e Hayek: supponiamo che un’economia abbia beni capitali durevoli che durano N periodi, e che alla scadenza sono da ricostruire da capo. Il fondo di ammortamento per il capitale fisso lo chiamo fondo A: sono le risorse che si accumulano per N periodi e che ricostituiranno il bene capitale alla scadenza. Poi c’è il fondo che serve per usare il capitale fisso e produrre ogni anno beni di consumo, che chiamerò fondo B. Attenzione ai ruoli di questi due fondi (per fondo intendo le risorse necessarie a comprare forza lavoro, materie prime, semilavorati e altro "capitale circolante").

Durante il boom c’è un picco della produzione di beni durevoli, che aumenta la dimensione del fondo A che sarà necessaria tra N periodi (badate bene: non subito), generando cioè una domanda futura di risparmi. Infine c’è un incremento del fondo B, perché i consumatori neooccupati, o con salari maggiorati, o con asset sopravvalutati, consumeranno di più, magari con spostamento di risorse a danno del fondo A. Quello che conta è che dopo N periodi ci sarà un picco della domanda di fondi per il rinnovo del capitale durevole in scadenza (Hayek lo spiega qui), ma ci sarà anche un elevato livello di consumo, e questo tiro alla fune tra le due domande incompatibili smetterà di spingere l’economia verso un livello di produzione insostenibilmente alto e diventerà un “binding constraint”: questo avviene però dopo N periodi, non subito.

Dopo N periodi, quando comincia la recessione, dapprima i consumi, troppo alti, vanno a togliere risorse al fondo di ammortamento del capitale fisso, il fondo A; nel frattempo, il capitale fisso, ormai troppo vecchio, diventa un collo di bottiglia per la produzione di beni finali, che non può più espandersi come prima e anzi probabilmente deve contrarsi; poi, parte di questo capitale fisso, in mancanza di investimenti e di fattori di produzione complementari (un aumento dei consumi sposta ad esempio i lavoratori verso il fondo B [7]), diventa submarginale, e smette di essere utilizzato, con conseguente disoccupazione; e le banche, che hanno un portafoglio di prestiti in rapido deterioramento, si vedono costrette a diminuire il livello di intermediazione (cosa che Hayek chiamava “deflazione secondaria”).

In questa teoria viene naturale che l’output gap sia anticiclico, ma ciò non è (necessariamente) un’inefficienza. Il capitale fisso creato nel boom è veramente submarginale, non è un problema di domanda aggregata come nei modelli neo-keynesiani.

Si deve anche notare che la crisi bancaria, in questo modello, è in larga parte endogena: nessuno shock esterno colpisce le banche, sono gli investimenti in essere che prima o poi si riveleranno fallimentari. La cosa è banale: se la struttura della produzione è insostenibile, prima o poi deve collassare, e le banche rimangono vittime del processo, e lo aggravano col “deleveraging”. Ovviamente possono esistere shock esogeni al capitale bancario con effetti macroeconomici: ma questa è la teoria del credit channel, non quella austriaca.

Non ci sono molti lavori “empirici” che abbiano investigato queste modificazioni strutturali, che ad occhio però mi sembrano compatibili con i “fatti stilizzati” dei cicli economici. La struttura della produzione nelle società capitalistiche è però così complessa che probabilmente si nascondono problemi del genere un po' ovunque: non è detto che ogni crisi segua esattamente il percorso precedentemente descritto. Ogni domanda di risparmi al tempo t+x, necessaria a completare gli investimenti iniziati al tempo t, quando si scontra con un eccesso di consumo al tempo t+x, produrrà una liquidazione degli investimenti, e quindi una crisi economica. Ogni specificazione della funzione di produzione con queste caratteristiche è sufficiente per avere un modello austriaco della struttura produttiva.

La teoria austriaca è agnostica sull'andamento del livello assoluto dei prezzi. Se le banche hanno problemi, può esserci deflazione; se continuano a pompare liquidità, prima o poi ci sarà inflazione. Mises e Hayek insistevano che l'inflazione (o meglio l'iperinflazione) fosse l'esito finale necessario del processo: dopo vent'anni di crisi giapponese credo si debba ammettere che problemi strutturali che inibiscono il processo di moltiplicazione della moneta possano durare molto a lungo.

Rimane da vedere perché la moneta è non-neutrale, e perché agisce sui tassi di interesse (reali) in maniera persistente. Se ciò accade, diventa relativamente semplice capire il perché dell'eccesso di investimenti in capitale fisso (il cui valore è interest-sensitive), il perché dell'eccesso di consumi (che aumentano col tasso di interesse e la ricchezza finanziaria), e quindi rimane da spiegare come mai tutto ciò accada a discapito del fondo di rinnovo del capitale fisso (che non è detto comunque che debba ridursi: l'aumento della quantità di capitale fisso rende necessario un fondo ben maggiore quando ci sarà la necessità di rinnovo).

Appendice II - Il lavoro teorico che andrebbe ancora fatto

Rimane da discutere il quarto problema: come fa la politica monetaria ad avere effetti persistenti sul tasso di interesse (reale)? Questo è un problema ancora oggi aperto.

Su questo argomento gli austriaci hanno un approccio argomentativo (ne hanno più d’uno, ma tratterò il migliore) che non mi convince del tutto, e quindi ritengo che ci sia ancora del lavoro da fare per microfondare il meccanismo di trasmissione che va dalla politica monetaria alla struttura produttiva attraverso la curva dei rendimenti. Proporrò inoltre un percorso argomentativo alternativo più graduale e più compatibile con l'economia standard, che allo stato attuale non si trova però nella letteratura austriaca, salvo un paper del 2001 [8].

L’approccio austriaco tipico parte da una considerazione secondo me vera, e poi salta troppo presto alle conclusioni. La considerazione vera è che i modelli standard (quelli da libro di testo) di economia monetaria non sono adeguati per lo studio del loro soggetto: se si assumono mercati completi, prezzi flessibili, aspettative razionali, ed equilibrio walrasiano, di fatto si sta dicendo che la moneta è superflua, e che non c’è motivo per detenerla. Essendo superflua, è abbastanza naturale che sia anche neutrale o quasi. Insomma, questi modelli non aiutano a studiare come la moneta influenzi il processo economico, perché le loro stesse ipotesi escludono che la moneta serva a qualcosa (già solo giustificare l'esistenza della moneta richiede ipotesi ad hoc): questo problema è inerente alla teoria dell'equilibrio generale, a meno di non introdurre frizioni apposite (come nei modelli neo-keynesiani).

Per provare a dare un'idea della visione alternativa austriaca, ho scritto questo paragrafo, che è così conciso che forse genererà più confusione che informazione. Gli agenti economici austriaci non conoscono tutto ciò che serve per raggiungere l'equilibrio generale, ma si avvicinano all'equilibrio generale in maniera non-walrasiana, cioè effettuando scambi prima che i prezzi finali si siano formati (i.e., scambiando "at false prices"). Attraverso questo processo, si genera il sistema dei prezzi, che è la guida necessaria per prendere decisioni "informate", rendendo possibile il calcolo di profitti e perdite. C'è cioè un feedback tra l'attività imprenditoriale, che ingloba le nuove informazioni nel sistema dei prezzi, e quest'ultimo, che funge da guida per la prima. In questo modello in cui gli scambi sono parte del processo che dovrebbe portare all'equilibrio, e non sono successivi all'instaurazione di questo, e in cui la moneta ha un ruolo chiave nel permettere la coordinazione tra gli agenti (permettendo la formazione dei prezzi e il calcolo dei profitti), ovviamente gli shock monetari non possono essere neutrali, perché la moneta sarebbe tale solo se gli agenti fossero così razionali e onniscienti da poterne fare a meno, cosa che va contro l'ipotesi di partenza (qui c'è un breve testo di Mises sulla non-neutralità monetaria, che parte proprio da queste ipotesi). Un'altra conseguenza è che gli agenti non possono essere così razionali da formare aspettative razionali: hanno limitazioni cognitive che impediscono di comprendere la struttura di tutto il sistema economico in cui vivono, e devono limitarsi ad "algoritmi di massimizzazione" più euristici e locali. C'è una stickiness nelle aspettative e nell'apprendimento legata al fatto che di fronte ad un problema nuovo non si conosce subito "la soluzione ottima", ma la nuova informazione deve diffondersi nei vari mercati attraverso processi di arbitraggio che richiedono tempo. La caratteristica più peculiare della "visione" austriaca consiste nell'analisi della coordinazione microeconomica in presenza di limitazioni - cognitive e informative - che impediscono un equilibrio immediato, come invece supposto dai "neoclassici" (per inciso: tutti i marginalisti sono neoclassici, anche gli austriaci: non sono neoclassici solo i marxiani, gli sraffiani e i post-keynesiani, al giorno d'oggi).

Il problema è che questo argomento non è sufficiente a provare la tesi degli errori imprenditoriali orientati verso un eccesso di investimenti fissi. Se anche la moneta avesse un effetto maggiorato nel mondo reale rispetto ad un modello neoclassico standard, questo non è di per sé sufficiente a dimostrare che l’effetto vada nella direzione indicata dagli austriaci.

Inoltre, questa linea di argomentazione richiede di ricominciare da Adamo ed Eva, eliminando la teoria dell’equilibrio generale, sostituendola con una teoria del processo di mercato al di fuori dell’equilibrio, e costruendo sopra quest’ultima una teoria monetaria alternativa. Io trovo più illuminante la visione austriaca di quella "neoclassica", ma ritengo anche che alla teoria monetaria austriaca manchi ancora qualche pezzo. I lavori di Mises e Hayek degli anni ’30, come anche alcuni lavori successivi, come questo libro di O’Driscoll su Hayek, cercavano proprio di rifondare la teoria monetaria su una teoria microeconomica diversa da quella allora (e tuttora) imperante. La quantità di insights che ne è derivata sul processo di mercato è secondo me rilevante, ma una teoria sufficientemente dettagliata non fu partorita allora, e tuttora non esiste.

Si può provare quindi un approccio più graduale. A parte [8], questo approccio non si trova in letteratura, è quindi fondamentalmente una mia elucubrazione. Innanzitutto, basta introdurre una qualsiasi frizione per generare una maggiore non-neutralità: un modello con una qualche frizione finanziaria potrebbe quindi generare risultati simili al modello di Mises e Hayek senza dover tornare ad Adamo ed Eva. Qualsiasi frizione va bene: essendo tutte sostanzialmente ad hoc, più frizioni vanno bene più la teoria è robusta.

Qui gli austriaci hanno sempre posto l’accento sugli effetti redistributivi delle iniezioni di moneta: chi ottiene per primo la nuova moneta compra prima dell’inflazione, mentre gli altri comprano dopo. Siccome non tutti i prezzi aumentano subito e della stessa quantità, alcuni guadagneranno e altri perderanno. Siccome la coordinazione di mercato avviene attraverso gli scambi, e non prima di essi, la reazione allo shock richiede tempo e non può essere istantanea. Lo Stato guadagna a danno dei cittadini, e l’imprenditore a danno dei risparmiatori: questo è chiamato “effetto Cantillon”. L'esistenza di questo effetto è fuori discussione, altrimenti non esisterebbero i falsari, e lo Stato non si sarebbe mai interessato alla moneta: l'effetto esiste anche nella letteratura standard (i.e., il signoraggio), ma non è pervasivo come nell'approccio austriaco, dove la percolazione della nuova monea attraverso i vari mercati genera una lunga sequenza di profitti e perdite (gli effetti redistributivi non richiedono variazioni del livello dei prezzi, come nei modelli di credito con inflazione non anticipata: è sufficiente che cambino i prezzi relativi in modo da generare profitti e perdite fittizi).

Il trucco dovrebbe essere (uso il condizionale: sto descrivendo una teoria che non esiste ancora) che se la politica monetaria è redistributiva, allora gli agenti economici cercheranno di sfruttarla per ottenere profitti, e quindi si potrebbe dimostrare che espandere il credito ed investirlo è la strategia dominante per banche e imprese [8]. Che il moral hazard abbia di questi effetti è fuori discussione, il problema è microfondarlo in modo da "forzare" gli agenti ad adottare proprio la strategia che gli austriaci finora hanno imputato agli "errori imprenditoriali" indotti dalle politiche monetarie.

Per fare un esempio: se le imprese possono decidere tra un investimento rischioso A e un investimento sicuro B, il moral hazard renderà l'investimento A meno rischioso e quindi genererà profitti per chi investe in A; inoltre, l'aumento della produzione farà diminuire i prezzi finali, e aumentare quelli dei fattori di produzione, riducendo quindi i margini di profitto di B (sto immaginando che A e B siano due tecnologie che usano gli stessi input e producono lo stesso ouput, ma hanno diversi livelli di rischiosità). Insomma, con un po' di lavoro, forse, si può dimostrare che l'investimento B è dominante su A in condizioni normali, ma diventa dominato da A in condizioni di credito facile.

Una volta dimostrato che la politica monetaria ha (sufficienti) effetti redistributivi, e che agisce sui canali creditizi, il "moral hazard" (per gli austriaci "l'effetto Cantillon") può diventare il motore teorico della non-neutralità monetaria. Il boom avviene perché la banca centrale genera moral hazard, le politiche anticicliche funzionano perché il mercato si dimentica (generando endogenamente ulteriore credito) dei problemi grazie al moral hazard, e il gioco finisce quando la banca centrale cambia politica (magari per via di pressioni inflazionistiche), oppure quando non è più in grado di generare effetti redistributivi sufficientemente forti da perpetuare gli investimenti "erronei". In quest'ottica, gli investimenti non sarebbero più neanche erronei: il problema diventerebbe che gli incentivi individuali non sarebbero adeguati a generare risultati efficienti.

Credo di aver elencato le difficoltà di creare una teoria del genere, però a me non sembrano insormontabili: è difficile essere fedeli alla teoria originale, ma non dovrebbe essere difficile replicarne i risultati senza ripartire dalle microfondazioni. Alcuni temi della ricerca macroeconomica contemporanea mi sembrano convergere su temi austriaci: credo che i tempi siano pronti per tappare i buchi rimasti nella teoria e recuperare le lezioni di macroeconomia che sono andate perdute con la rivoluzione Keynesiana, e che oggi sono largamente assenti dal dibattito macroeconomico, e soprattutto dalle politiche delle banche centrali.

Credo che l'approccio graduale che ho descritto possa dar luogo a qualche risultato valido in tempi relativamente brevi, mentre l'approccio "massimalista" di ricominciare dalla critica all'equilibrio generale - per quanto convincente nelle premesse e affascinante nelle conseguenze (e io sono convinto che sia un approccio migliore di quello walrasiano nel comprendere certi fenomeni economici) - sia una strategia a più lungo termine. Entrambe sono fondamentali per il futuro delle teorie austriache o anche, semplicemente, per lo sviluppo della ricerca economica.


Riferimenti

[1] Su Hoover, “What, or who, started the Great Depression”, Lee Ohanian, Journal of monetary economics, 2009, e, su Roosevelt, “New Deal policies and the persistence of the Great Depression”, Lee Ohanian e Harold Cole, Journal of Political Economy, 2004.

[2] “The debt-deflation theory of great depressions”, Irving Fisher, Econometrica, 1933.

[3] "Unnatural selection: perverse incentives and the misallocation of credit in Japan", Joe Peek e Eric Rosengren, American Economic Review, 2005.

[4] “Moral hazard and the US stock market: analyzing the ‘Greenspan Put’”, Marcus Miller, Paul Weller e Lei Zhang, Economic Journal, 2002.

[5] “Monetary stabilization and cyclical policy”, Ludwig von Mises, 1928. Si trova nella raccolta “Causes of the economic crisis” [http://mises.org/books/causes.pdf]

[6] “Misintermediation and macroeconomic fluctuations”, Huston McCullogh, Journal of monetary economics, 1981.

[7] “The Ricardo effect”, Friedrich von Hayek, Economica, 1942.

[8] “Expectations in Austrian business cycle theory: an application’s of the prisoner’s dilemma”, Tony Carilli e Gregory Dempster, Review of Austrian Economics, 2001.

 

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Ci sono 216 commenti

Molto interessante. Una domanda da ignorante. Se ho capito bene,  la teoria addossa la "responsabilità" della crisi ai banchieri centrali, che creano troppa moneta, e contemporaneamente riduce la responsabilità delle banche che agiscono da puri intermediari  per allocare la moneta generosamente creata (en passant, esattamente il contrario dell'intepretazione prevalente della crisi attuale). La domanda è: i banchieri centrali sono stupidi (non capiscono i danni futuri dell'espansione monetaria) e/o criminali (li capiscono ma preferiscono soddisfare le pulsioni più basse dell'opinione pubblica, magari per essere riconfermati nella carica) ovvero sono "costretti" ad espandere dalle aspettative dell'opinione pubblica? In altre parole, mi sembra che sia necessario anche microfondare il comportamento dei banchieri centrali, non solo degli  agenti

Io ho smesso di stupirmi quando i politici fanno cose insensate.

Esistono le microfondazioni del comportamento dei politici: si chiama public choice. Non conosco bene la teoria, ma sostanzialmente dice cose assolutamente evidenti: i politici sono miopi, raccontano balle, nascondono i costi, privilegiano le lobby organizzate, e fanno disastri, se non sono vincolati da leggi e costituzioni rigide.

Siccome la Fed non è vincolata da nulla - ha pure il problema del dual mandate, che praticamente concede al suo capo un certo margine di discrezione extra rispetto a Trichet - l'analisi "costituzionale" credo sia del tutto applicabile.

Quello che non capisco della public choice è come si fa a credere che dei politici del genere possano autolimitarsi rispettando una costituzione.

Comunque, tornando alla macroeconomia, i motivi principali sono per me i seguenti:

1. Una teoria austriaca completa ancora non esiste, e anche se la reputo molto verosimile, non la conosce nessuno. Di conseguenza, non può influenzare le policy.

2. I politici sono sempre miopi: il mondo finirà dopo la prossima campagna elettorale. Le recessioni hanno costi immediati, dunque bisogna evitarle ad ogni costo.

3. Gli economisti danno troppa importanza alla stabilità dei prezzi. Se la leva finanziaria va a 100 a 1 ma i prezzi sono stabili, molti dicono che non ci sono problemi. E così è stato per la Great Moderation, e per gli anni '20.

4. La cosa sorprendente non è che nessuno si fila gli austriaci, è che per venti anni un tizio di nome Greenspan ha eliminato la coda sinistra dei rendimenti dai mercati finanziari, e nessuno si è spaventato per il fatto che in questo modo il sistema economico diventava del tipo "profitti privati / perdite pubbliche". I mercati finanziari USA funzionano con lo stesso principio della FIAT fino a qualche anno fa...

Scusa, non riesco a trovare l'articolo di Cole e Ohanian del 2009 sulla Great Depressione sul JME- Mi puoi ripetere la reference

Ho sbagliato ref. E' il Journal of economic theory, novembre 2009. In rete c'è un file di 38 pagine con lo stesso titolo, scaricabile gratuitamente. Credo sia la versione working paper dell'articolo finale, che è più corto.

www.econ.ucla.edu/people/papers/Ohanian/Ohanian499.pdf

innanzitutto grazie per il focus sulla scuola austriaca, inspiegabilmente ignorata in toto nel corso di macro e storia economica della mia uni.

comunque non sono sicuro di aver ben capito una cosa riguardo la non-neutralità della moneta. dal momento che all'inizio dell'articolo viene messo in luce come le politiche monetarie evitino i naturali aggiustamenti di mercato nel breve periodo, non ne consegue che la moneta sia non-neutrale ?

Se la moneta fosse neutrale, la politica monetaria non potrebbe impedire gli aggiustamente. Il problema è spiegare da dove si origina e quali effetti abbia la non-neutralità, in modo da permettere poi alla politica monetaria di creare danni (nella teoria).

Se io dico che il ciclo è causato dalle macchie solari, ho bisogno di spiegare quale meccanismo leghi causalmente le macchie solari al ciclo economico. (La teoria delle macchie solari esisteva davvero, era di Jevons. :-D)

Senza questo meccanismo di trasmissione, Apollo può fare quello che vuole col Sole, ma non farà mai nulla di rilevante per il ciclo economico.

Non capisco bene i dubbi espressi dall'appendice II e in ogni caso la crisi è destinata a manifestarsi persino indipendentement da effetti distributivi che comunque esistono

Le banche centrali non possono ovviamente sapere quale sia il prezzo del risparmio e falsificano il suo prezzo fissando tassi di interesse "politici". Ne segue che gli imprenditori assumono come data una vasta disponibilità di capitale che in realtà non esiste. Qui giova ricordare che contrariamente allo stupidario keynesiano il tasso di interesse non è affatto un fenomeno monetario. I progetti di investimento quindi prima o poi sono destinati al fallimento perchè quel capitale non esiste, il suo costo prima o poi è destinato a aumentare rendendo quindi non profittevole l'investimento o semplicemente il capitale è esaurito prima del completamento di quei progetti. Quelle allocazioni di risorse devono quindi essere liquidate da qui lo scoppio della bolla

E perché è la crisi destinata a manifestarsi? Il suo ragionamento è corretto se si ASSUME che i tassi reali siano pilotati dalla banca centrale in maniera persistente, ma non bisogna assumerlo, occorre spiegarlo.

Io sono convinto che non sia una cosa difficilissima, ma non è stato fatto in maniera adeguatamente rigorosa, né all'interno del paradigma austriaco (parte 1 dell'appendice II) né uscendo al di fuori (parte 2).

Complimenti per la presentazione! Affascinante. Avrei pero' un paio di dubbi che mi piacerebbe sottoporre all'attenzione di tutti.

1 - Per quale ragione gli agenti economici (i.e. imprenditori) persistono nell'intraprendere nuovi malinvestments a seguito dell'allargamento creditizio? Non dovrebbero, sia pure con diversi livelli di consapevolezza e in diversi momenti, realizzare che un tasso di interesse artificalmente basso non è sostenibile nel lungo periodo e, quindi, andare a detrimento della loro redditività? Come dire, percepisco un che di "meccanico" nel modo in cui gli agenti seguono pedissequamente le variazioni dei tassi.

2 - Mi pare di comprendere che la composizione totale fra beni capitali e di consumo si assume come data. Se questa assumption è corretta, quale ruolo gioca, allora, l'aumento della produttività del sistema nel suo complesso? 

Noterei che gli imprenditori anche nel caso conoscessero la teoria austriaca avrebbero interesse a sfruttare almeno inizialmente il boom indotto dalla banca centrale. Tentando di uscire dalla bolla prima del suo scoppio. Ma così facendo il boom sarebbe amplificato

Esistono poi ragioni pratiche per cui gli imprenditori non possono sottarsi agli effetti della manipolazione dei tassi: il boom è reale quindi rischiano di perdere importanti quote di mercato e/o essere oggetto di take-over 

 

Ciauz, provo a risponderti io

 

Per quale ragione gli agenti economici (i.e. imprenditori) persistono nell'intraprendere nuovi malinvestments a seguito dell'allargamento creditizio?

 

Questa è la cosiddetta obiezione ratex a cui esistono due filoni di risposte:

1) la politica monetaria incide sul tasso di interesse ma nessuno conosce il tasso naturale. Insomma ci troviamo in presenza di noisy signal (vedi Muprhy consultingbyrpm.com/files/2009.05.14%20ABCTRatExp%20Excerpt.pdf)

2) Gli imprenditori si trovano in una specie di dilemma del prigioniero. Anche se dovessero escludere un'espansione di lungo periodo (es. aprire nuovi stabilimenti), tuttavia in determinate condizioni potrebbe esistere una strategia dominante che le induce a sfruttare nel breve periodo la sua capacità produttiva in maniera subottimale per produrre un poco di più e non perdere la corsa.

Es. normalmente uso un macchinario operato da 10 lavoratori per produrre 100. Ora lo faccio utilizzare da 12 lavoratori per produrre 110. Nel farlo rovino il mio macchinario la cui vita operativa si accorcia e lo faccio lavorare in maniera subottimale (la produttività si è ridotta). Però magari mi conviene farlo perché nei prossimi anni so che ci sarà un aumento della domanda di questo prodotto indotta dal boom e se costruisco la tabella dei payoff del dilemma del prigioniero la mia strategia dominante è espandermi.

Marco

1 - cercare di giustificare l'assunto è lo scopo della seconda appendice. sul piano empirico che gli imprenditori si trovino di colpo tutti insieme a scoprire che hanno fatto errori credo non sia sorprendente. perché ciò accade è la domanda teorica a cui gli austriaci devono rispondere meglio.

quando lei afferma che gli agenti si accorgono del problema in momenti differenti, però, ha già di fatto dimostrato che la moneta è non-neutrale. finché non se ne accorgono in numero sufficiente, è possibile infatti investire di più.

2 - al contrario, tutto l'articolo gioca con le variazioni strutturali della produzione. di progresso non ne parlo, tranne all'inizio dell'appendice I, quando dico che può nascondere l'effetto visibile sul livello dei prezzi dell'espansione monetaria. più il progresso è persistente, più manipoalre i tassi di interesse è pericoloso. per tutto il resto dell'analisi, credo che si possa trascurare il fenomeno della crescita economica, perché non influenza le dinamiche del ciclo.

Dimenticavo: vorrei ringraziare Leonardo, Silvano e Claudia per alcuni consigli sostanziali e/o stilistici.

Questo è probabilmente il post piu' interessante comparso sul sito dalla sua fondazione

Un vero peccato che gli economisti di noisefromamerika non abbiano nulla da dire. Saranno tutti impegnati a inseguire qualche correlazione o a capire la differenza tra risparmio e credito ma mi sembra davvero un'occasione persa

Grazie,

però il buco non sta nell'evidenza econometrica (la "correlazione"), ma nella teoria (appendice II). Se si riempie quel buco, magari si vince pure il Nobel (:-D), fino a quel momento è un'ipotesi di lavoro che reputo molto verosimile.

 Complimenti all’ing. Monsurrò per la sua continua ricerca nel campo della teoria economica. E non capisco dove trovi il tempo per studiare tutto quello che studia. Dirò subito che condivido molto di ciò che scrive. Le seguenti osservazioni vogliono solo integrare alcuni punti del suo ragionamento.

1) Cos’è il “debito eccessivo”? Con una battuta, si potrebbe dire che un debito è eccessivo quando non viene onorato e i creditori rimangono col becco asciutto. Il fatto è che quello che cerca Pietro nella “nota metodologica” – una “definizione operazionale di ‘malinvestment’” – nel senso da lui inteso, è impossibile formularla: nessuna ricognizione preventiva può dare certezze sull’esito di un qualsiasi particolare investimento, soprattutto con il crescere di M (il moltiplicatore di Hayek, che è tutt’altra cosa rispetto al moltiplicatore di Keynes). Il malinvestment, come la “bolla speculativa”, si scopre solo ex post.

Altro tipo di previsione è quella (generale) di Mises e Hayek sulla ineluttabilità di questi fenomeni, in conseguenza di una cheap money policy (soprattutto se protratta nel tempo). E chiedersi quale sia il limite tra una politica monetaria sana ed una malata, oggi, è una domanda senza senso, con le politiche del tasso zero (non per i veri imprenditori, naturalmente!).

2) Sull’Appendice I

A) L’espansione monetaria ‘endogena’, collegata all’innovazione, senza inflazione, è stata trattata ampiamente da Schumpeter.

B) Il “Modello Monsurrò” coinciderebbe con il modello di Hayek (di “Profits, Interest and Investment”, 1939), se si aggiungesse allo schema:

a) Il rapporto tra Investimento netto e Risparmio netto;

b) La distinzione tra obsolescenza tecnica e obsolescenza economica (nella recessione il problema non è il capitale fisso diventato troppo vecchio, ma l’impossibilità di completare l’ammortamento degli investimenti programmati, a causa della divaricazione dei tassi di profitto, che fa mancare il risparmio proprio a quel tipo d’investimenti).  

Grazie prof! :-)

1) So che le definizioni operazionali sono spesso impossibili, però esistono i proxy, le approssimazioni, le rule-of-thumb. Inoltre è possibile operazionalizzare ex post: una cosa è prevedere il problema - cosa che devono fare gli imprenditori - e un'altra è armarsi di strumenti concettuali per fare l'autopsia della crisi.

La Scuola austriaca non si è mai occupata di questi strumenti di indagine storica (detta anche: econometria, ma ovviamente non è solo questo). Che Mises e Hayek si occupassero solo di alta teoria è comprensibile, dato il costo-opportunità di occuparsi delle minuzie, ma i loro allievi meno dotati qualcosa di più pratico avrebbero pure potuto farlo, sarebbe stato più costruttivo di ripetere le teorie precedenti, inventando la letteratura dei "paper compilativi"... :-D

Il mio prof di Scienza delle Costruzioni diceva che la decadenza di una Scuola diventa evidente quando gli allievi cominciano a ripetere le teorie dei maestri, e, invece di arricchirle, perpetuano i vecchi errori, e ne aggiungono di nuovi. Come fan di Mises e Hayek, sono molto triste per questo. :-)

B) Avevo letto "Price Expectations, Monetary Disturbances and Malinvestments" (capitolo IV di "Profits") prima di scrivere, l'idea di base è molto simile, però io scrivo in maniera molto più chiara di Hayek. :-D

a) Cosa sono risparmio e investimento netti? Se si tratta di crescita, è un problema che ho "assunto via" - come direbbero negli USA.

b) Conosco la distinzione, ma nel mio modello non c'era abbastanza eterogeneità. Avevo in mente un solo capitale fisso che invecchiava, mentre per l'obsolescenza economica ho bisogno di introdurre la complementarità tra beni capitali, in modo che se uno manca l'altro diventa submarginale, o cambiamenti tecnologici.

Ad esempio, nel mio modello "a due fondi" non c'è materiale per dire "se hai un pozzo petrolifero ma non hai i soldi per una raffineria, il pozzo è economicamente inutilizzabile anche se tecnologicamente perfetto". Il mondo reale invece è pieno di questi problemi.

Comunque, il fondo di ammortamento serve per rinnovare i beni capitali, dunque questi devono invecchiare. Possono invecchiare per motivi tecnologici o economici, ma comunque devono invecchiare. Se non invecchiano, il fondo di ammortamento non serve, l'investimento è solo un costo sommerso.

Non vorrei fare il guastafeste (Pietro Monsurrò non si sorprenderà, ne son certo, di questi miei commenti perché li ha già sentiti) ma il problema della "teoria" cosidetta austriaca del ciclo è che, seppur sembri attraente ed interessante ha dentro a se alcuni buchi fatali.

Vorrei avere il tempo che non ho (fra le altre cose perché sto cercando disperatamente di finire un paper "pseudo-asutriaco" sulla politica monetaria, che devo prensentare la settimana prossima) per dilungarmi di più, ma in soldoni i problemi sono:

- cosa vuol dire "espansione insostenibilie"? La domanda è chiave: cosa si intende per "insostenibile"? Da nessuna parte nella letteratura "austriaca" ho trovato una definizione formale coerente e testabile. Quindi?

- gli imprenditori/investitori sbagliano sistematicamente previsioni o no?

- da dove vengono le risorse "straordinarie" usate nella crescita "insostenibile"? Detto altrimenti, la teoria assume che vi sono "idle resources" nel senso di "disoccupazione keynesiana"?

- i prezzi si aggiustano e contengono le informazioni rilevanti, a-la Hayek tanto per dire, o no?

- questo è già stato rilevato, ma è importante: ma la banca centrale è sempre gestita da delinquenti? E le banche, pure?

- il metodo di "aggiungere frizioni qui e là" non è solo che è poco scientifico è semplicemente assurdo: quali, perché e come?

Occorre anche aggiungere che molti elementi che vengono "menzionati" come chiave dagli austriaci (struttura multisettoriale, moral hazard, irreversibilità degli investimenti, tanto per dire i tre più rilevanti) sono "neoclassici" puri e duri. Basta dare un'occhiata a Von Neumann-McKenzie per il primo ed il terzo ed alla sterminata letteratura sul tema per il secondo. Che per colpa di JMK e seguaci tutti giochino con funzioni di produzione aggregate non è colpa della teoria economica, ma solo di JMK da un lato e della miseria della macroeconomia contemporanea dall'altro.

Vi sono poi questioni teoriche o di storia del pensiero (tipo la fissa assurda della scuola "austriaca", specialmente in tempi moderni, con la fractional reserve banking e via discorrendo) ma le lasciamo stare.

Infine, non me ne voglia Pietro ma il modello di produzione che lui descrive, spero lui intenda che non è un "modello" di nessun technology set. Se mi sbaglio me lo può provare scrivendo le funzioni di produzione e tutto il resto.

Anyhow, ritorno sull'argomento appena ho un po' di tempo in più, ma volevo evitare che si creasse l'atmosfera per cui è tutto "chiaro" e com'è che i "neoclassici", queste strane bestie, non hanno capito. Non è proprio chiaro nulla, purtroppo ... quella "austriaca", oggi come oggi e da 100 anni, è ancora una "bella storia" ed è molto lontana dall'essere una "teoria", let alone un "modello".

Aggiungo un paio di cose:

1. Di modelli "realistici" di tatonnement c'e' una letteratura, che non conosco ma penso che un fedele riassunto sia che non sia la strada da seguire per trovare grosse fiction

2. Sul "tuo" modellino a N periodi con i fondi A e B (appendice I):

Quello che conta è che dopo N periodi ci sarà un picco della domanda di fondi per il rinnovo del capitale durevole in scadenza

Perche' c'e' un picco della domanda? Se si e' accantonato in misura giusta il capitale accantonato nel fondo A viene speso per rinnovare il capitale e tutto continua. Gli imporenditori  sbagliano ad accantonare? E poi, perche' tutti devono rinnovare nello stesso momento? Il processo non dovrebbe essere staggered, ammesso anche che il numero N sia uguale per tutti?

Scusate l'intromissione ma molte domande mi sembra abbiano avuto risposta molto semplice:

- "insostenibile" vuol dire che il credito non è sostenuto da risparmio; è un tipico strafalcione del keynesismo considerare il tasso di interesse un fenomeno soltanto monetario e il credito (non il risparmio) motore dello sviluppo

- gli imprenditori sono indotti in errore dalla falsificazione di un prezzo ma anche se conoscessero la teoria austraica del ciclo avrebbero comunque un incentivo a partecipare al boom (se non altro per non perdere queote di mercato e quindi nel piu' lungo periodo l'impresa)

-le risorse "straordinarie" arrivano per esempio dal consumo di capitale (mancati o insufficienti ammortamenti) o dalla soppressione di alcune lavorazioni intermedie

- la banca centrale è governata spesso da new-keynesians (vedi Helicopter Ben) e comunque i banchieri centrali sono nominati da  politici; vi immaginate che fine farebbe un banchiere centrale che "austriacamente" dicesse: "mi rifiuto di manomettere i tassi perchè è necessario che il mercati sia ripulito dagli investimenti errati originati dalla precedente manomissione (...a parte che nessuno puo' sapere dove debba essere fissato un prezzo)"?

Non ho capito la storia di Hayek...ma visto che ha preso il Nobel per la teoria austriaca del ciclo...

 

 

 

- cosa vuol dire "espansione insostenibilie"? La domanda è chiave: cosa si intende per "insostenibile"? Da nessuna parte nella letteratura "austriaca" ho trovato una definizione formale coerente e testabile. Quindi?

- gli imprenditori/investitori sbagliano sistematicamente previsioni o no?

- da dove vengono le risorse "straordinarie" usate nella crescita "insostenibile"? Detto altrimenti, la teoria assume che vi sono "idle resources" nel senso di "disoccupazione keynesiana"?

 

Ovviamente non ho risposte esaurienti, altrimenti non sarei qui probabilmente, però in questo articolo Robert Murphy illustrava mi pare bene cosa si intenda per "unsustainable boom" e perché sia importante studiare la struttura del capitale. (la parte rilevante è dal capitoletto "A sushi model of capital consumption".

Quindi le risorse straordinarie usate nella crescita insostenibile possono provenire da:

- risorse non occupate precedentemente (durante il boom aumenta l'occupazione dopotutto), quindi il lavoro può costituire una idle resource

- risorse riallocate in modo subottimale. Durate il boom del dot com in quanti, tra programmatori, sistemisti, etc.  hanno mollato un lavoro in cui erano molto produttivi per passare ad una azienda della new economy dove erano pagati molto di più?

- sfruttamento subottimale delle risorse esistenti. Magari la mia azienda ha dei macchinari che producono 100 lavorando in maniera ottimale per 12 ore (ma poi richiedono 12 ore di riposo). Posso impiegare altri operai e farle lavorare 14 ore per produrre un po' di più (es. 115 per i primi 3 anni e poi sono da sostituire o produrranno solo 70 operando 8 ore al giorno). Può capitare che in particolari condizioni sia conveniente fare così (ved. gli accenni ad un ipotetico dilemma del prigioniero in tal senso).

Riguardo agli errori sistematici degli imprenditori non dimentichiamo poi che molte aziende si sono espanse a tal punto (magari integrando verticalmente la produzione) da non avere più un sistema di prezzi a fare da guida. In un certo senso soffrono in piccolo degli stessi problemi di calcolo economico di uno stato socialista e quindi molto più facilmente prendono abbagli.

Inoltre è difficile interpretare un segnale distorto e confuso. Possiamo avere il banchiere centrale con le migliori intenzioni di questo mondo, i migliori modelli e pur tuttavia avere un ciclo economico. Forse Greenspan conosceva il livello "di mercato" dei tassi di interesse? Anche con le migliori statistiche a disposizione spesso si troverebbe come un giocatore di poker texano che ha coppia d'assi in mano con un flop Re,9,9.  Punta e l'avversario rilancia all in. E' in vantaggio (l'avversario ha il Re o una coppia alta) e deve chiamare oppure è sotto un treno (l'avversario ha un 9) e deve passare la mano? Qual è il livello "giusto" dei tassi di interesse oggi? A sentire PK è -7% .....

Per finire, seguendo il paper di Friedman del '53 (ma forse semplifico troppo e traviso il pensiero di MF), se una teoria è buona perché fa buone previsioni e non ci interessa se le assunzioni sono realistiche, come dovremmo giudicare la teoria austriaca del ciclo?

Marco

 

Temo che la mia risposta sia lunghissima. Però ho specificato meglio il modello di produzione.

Io ho scritto in App. II che c'è un buco nella teoria, che sia fatale non credo - descrivo in maniera pessima due possibili linee di argomentazione - ma sicuramente c'è. Inoltre in App. I che mancano sufficienti dati per giudicare se quanto descritto è effettivamente rilevante, anche se mi sembra realistico.

**** cosa vuol dire "espansione insostenibilie"? ****

Venendo al dunque, ieri mattina stavo esplicitando cosa intendevo con quanto ho scritto sulla struttura produttiva.

Supponiamo che un'economia usi beni capitali che durano N periodi. Ogni anno il più vecchio "vintage" scompare e viene sostituito da un nuovo bene capitale prodotto attraverso il lavoro Lk. I beni capitali vengono poi usati in ogni periodo per produrre beni finali, attraverso il lavoro Lc.

La struttura produttiva che avevo in mente - molto schematica - era:

K*(1) = Lk (la nuova coorte di capitale viene prodotta impiegando Lk lavoratori ogni anno)
K*(2:N) = K(1:N-1)
Y = A * sum(K)^a * Lc^(1-a)
Lk + Lc = Ltot

K è il vettore di capitali di anzianità 1, ..., N, e K* il vettore futuro. Y è la produzione di beni finali, prodotta con una funzione di Cobb-Douglass. Ltot è la forza lavoro totale.

Ho definito nel testo "crescita insostenibile" come un aumento di Y che va a discapito di sum(K), di fatto, e cioè un consumo del capitale (nozione che ricorre in Mises, Hayek, Machlup) durevole legato ad un aumento della domanda di consumo odierna.

E' infatti possibile calcolare:

1. Il massimo Y compatibile con lo stato stazionario. Basta imporre credo K(i)=K=Lk, Lc=Ltot-Lk, e derivare sul controllo Lk.
2. Il dY/dt = Gy nello stato stazionario, che è zero, se la TFP A è costante.
3. Il massimo dY/dt che si può ottenere nel breve termine, con la conseguenza però di generare un dY/dt negativo in futuro (anzi, di far scendere Y sotto lo stato stazionario).

Per crescita insostenibile intendo un aumento di Y generato dal consumo di K, cioè dallo spostamento di lavoratori da Lk a Lc. Questo comporta un aumento della produzione perché il capitale invecchia lentamente, mentre la funzione di Cobb-Douglass permette di produrre di più rapidamente. Nel lungo termine però K diminuisce e l'economia si ritroverà sotto lo stato stazionario, e dovrà ridurre Y e il consumo (Y = C perché non ci sono investimenti).

Ciò è esattamente ciò che intendevo. Come ha fatto notare Muscatello nel commento, era anche la base - molto semplificata - di ciò che scriveva Hayek a fine anni '30.

**** cosa si intende per "insostenibile"? Da nessuna parte nella letteratura "austriaca" ho trovato una definizione formale coerente e testabile. ****

La definizione formale non esiste perché non esiste il modello. Credo che quanto ho scritto prima aiuti a chiarire però che il concetto è coerente e si può formalizzare, probabilmente in maniera meno "awkward" di come lo faccio io.

La definizione informale si trova in Garrison, "Time and money": la crescita insostenibile è un movimento dell'economia al di fuori della frontiera delle possibilità produttive di lungo termine (trascurando la crescita, ma immagino basti detrendizzare). Garrison non getta grande luce sul come ciò può accadere, salvo dire che Ltot è pro-ciclico (come nei modelli real business cycle e nei modelli di money illusion). Credo che il mio modellino sia più ricco e significativo a riguardo, ma sicuramente quanto dice Garrison è rilevante. 

Qui il mio modello fa schifo perché non tiene conto degli investimenti. Diciamo che la crisi avviene quando i consumi sono così alti che non è possibile investire a sufficienza per mantere il capitale, e la domanda di capitali netti per mantenere il capitale è così alta che non è possibile continuare la produzione senza ridurre il consumo.

Sulla testabilità, non so cosa si intende. Non credo che concetti come "potential output" o "output gap" siano testabili, ma vengono usati. La mia crescita insostenibile è un "output gap" negativo, di fatto, a patto di definire "potential output" come output massimo in stato stazionario. Non mi piace granché come definizione, però è tanto testabile quanto quella in uso in macroeconomia standard, e cioè non lo è. Anche la nozione di tasso di interesse naturale non è testabile, mi sembra.

A me piacciono le proposizioni testabili, ma dato che quasi tutti fanno economia usando idee non testabili, credo che non sia un difetto esiziale. Anzi, mi chiedo se qualcuno abbia mai testato l'equilibrio generale walrasiano. Un'idea è giusta o sbagliata, rilevante o irrilevante, illuminante o insignificante, indipendentemente dalla sua testabilità. La testabilità aiuta il lavoro di interpretazione dei fatti storici.

**** gli imprenditori/investitori sbagliano sistematicamente previsioni o no? ****

Empiricamente o teoricamente? Teoricamente dico in appendice II che non esiste una teoria soddisfacente del perché ciò accada: è il lavoro da fare.

Empiricamente parlando, sì: mi pare evidente che in recessione tutti si ritrovino con portafogli e investimenti erronei all'improvviso.

**** da dove vengono le risorse "straordinarie" usate nella crescita "insostenibile"? ****

Le risposte che si trovano in letteratura sono:

1. Impiego di risorse idle (Mises/Hayek)
2. Sovraimpiego di risorse durevoli in modo da ridurne la durevolezza rovinandole (Hayek)
3. Sottoinvestimento in fondi di ammortamento per il futuro capitale fisso (Hayek/Monsurrò: è il mio modello)
4. Pro-ciclicità dell'offerta di lavoro (Garrison, credo anche Hayek)
5. Uso di risorse idle, magari beni capitali submarginali.

**** i prezzi si aggiustano e contengono le informazioni rilevanti, a-la Hayek tanto per dire, o no? ****

Questa non la capisco. La interpreto come "per Hayek i prezzi contengono tutte le informazioni, o no?". La risposta è no. Per Hayek lo stato finale di perfetta coordinazione in cui ogni prezzo era associato a tutta l'informazione rilevante è un costrutto astratto: appena introduce la moneta l'equilibrio si rompe (il perché non fu mai chiarito, come ammetto in App. II).

E' più facile interpretare Hayek in questo modo: gli imprenditori usano i prezzi come guida per le decisioni, e le loro azioni, inglobando man mano l'informazione (Kirzner direbbe "eliminando opportunità di profitto"), avvicinano il sistema dei prezzi allo stato finale.

Credo che sia logicamente contraddittorio assumere che:

1. I prezzi servono per trasportare informazione
2. I prezzi inglobano tutta l'informazione

Infatti, se vale (2), gli agenti sanno tutto ciò che serve, e allora non hanno bisogno di (1). Se vale (1), gli agenti hanno bisogno di informazione, e dunque il sistema è ancora scoordinato.

Non ricordo, ma non è che Stiglitz e Grossman 1980 diceva la stessa cosa?

Riguardo l'interpretazione di Hayek non come "equilibrista" ma come "processista", probabilmente la tesi di dottorato di O'Driscoll del 1977 è il testo migliore: "Economics as a coordination problem". Hayek lesse la tesi e disse "non me n'ero reso conto, ma intendevo proprio questo!"

**** questo è già stato rilevato, ma è importante: ma la banca centrale è sempre gestita da delinquenti? E le banche, pure? ****

Sono politici, c'è bisogno che siano delinquenti per far far loro cose stupide? E' nella natura della loro professione cercare di massimizzare i benefici di breve termine, e un boom insostenibile è decisamente una fonte di voti nel breve termine. E poi la "policy capture" del settore finanziario - che prospera solo grazie ai politici, visto che vive in perenne stato di fragilità sistemica - è sicuramente una pressione potente, come anche i costi sociali di una eventuale inevitabile recessione, che rendono terribile per il politico l'idea che si possa avere un deleveraging finanziario o una eliminazione di investimenti erronei.

Le banche possono fare qualcosa? Non credo. Un mercato più o meno concorrenziale costringe le banche ad adeguarsi allo stato del mercato. Nel mercato ci sono reti di protezione, in primis le politiche monetarie anticicliche, e sono costrette a cambiare strategia per tenerne conto. Una banca assicurata dai rischi che non espande il credito è una banca masochista. Qui il link a Carilli e Dempster 2001 aiuta, analizzano - in maniera incompleta ma illuminante - proprio il tipo di problema. A parer mio non dicono nulla che non sia ovvio.

La banca centrale è monopolista e ha margini di manovra, le banche sono followers condizionate dallo stato del mercato, almeno in parte. Sarei estremamente stupito se la banca centrale offrisse protezione e tutte le banche insieme la rifiutassero.

**** il metodo di "aggiungere frizioni qui e là" non è solo che è poco scientifico è semplicemente assurdo: quali, perché e come? ****

Qui credo di non essermi spiegato. Il mio ragionamento si articola in quattro parti:

1. Assumere il mondo senza frizioni tipico dei modelli di base elimina la moneta come mezzo economico utile. Queste assunzioni non solo sono contrarie all'evidenza (uso della moneta, investimenti in Fed watching, effetti "annuncio" delle politiche monetarie).
2. Assumere frizioni specifiche è ad hoc: il mondo reale è un coacervo di rigidità dei prezzi, rigidità reali, asimmetrie informative, costi di transazione, limitazioni cognitive, incertezza pura (Knight).
3. Se una teoria si basa solo su un modello, non è robusta, perché dipende da assunzioni troppo specifiche.
4. Se una conclusione si può derivare da N modelli, è robusta, perché ci sono vari modi per immettere un po' di realismo nel modello, e vanno più o meno tutti bene.

Io credo che ogni frizione per cui: (1) la moneta serve a qualcosa, (2) la moneta influenza i mercati finanziari vada bene. Vedo le frizioni come qualcosa di puramente strumentale.

Il vero canale di trasmissione austriaco - che la moneta è essenziale nel processo di coordinamento - altrimenti ci sarebbe solo caos e niente ordine - non è in nessun modello di economia monetaria. Introdurre questo sarebbe la rivoluzione, mentre aggiungere frizioni qua e là è una toppa che serve a coprire - in maniera robusta - un difetto esiziale dei modelli di economia monetaria neoclassici: l'idea che la moneta è una cosa superflua.

Per me, studiare la moneta con un modello walrasiano è come investigare i processi cognitivi di un cadavere. C'è qualcosa che non va in profondità.

**** molti elementi che vengono "menzionati" come chiave dagli austriaci (struttura multisettoriale, moral hazard, irreversibilità degli investimenti, tanto per dire i tre più rilevanti) sono "neoclassici" puri e duri ****

Perché chiamare neoclassico cose che Mises e Hayek scrivevano negli anni '30? Quando Hayek diceva che la promessa della banca centrale di intervenire creava un boom creditizio, era forse diventato Stiglitziano ante litteram? Non è più semplice dire che il mondo si sta avvicinando alla teoria austriaca, se non in tutta la teoria perlomeno in alcuni suoi dettagli, perché gli economisti pian piano stanno sviluppando gli strumenti formali necessari a comprendere parti delle argomentazioni degli economisti pre-matematici?

Che i modelli multisettoriali siano migliori di un modello con un solo bene non lo metto in dubbio, ma chi ha posto in luce il problema? Che le banche siano assicurate dai politici e quindi facciano cose cretine è detto esplicitamente da Mises e Hayek, anche se poi oggi parliamo di "moral hazard" e scriviamo tutto in equazioni.

Insomma: a me le etichette non piacciono - a molti altri austriaci però sì - la teoria austriaca è una teoria neoclassica con 4-5 varianti. Alcune di queste varianti si stanno riscoprendo nella letteratura del credit channel, o nel paper di Diamond e Rajan sopra linkato, o nei modelli multisettoriali (che non conosco). Se tra 30 anni le 4-5 varianti austriache saranno ortodossia, tanto meglio per tutti.

Concordo su Keynes e la miseria della macroeconomia. Un testo di macro è così inutile per capire questa crisi che i difetti della teoria austriaca mi sembrano quasi secondari, anche se non lo sono.

**** la fissa assurda della scuola "austriaca", specialmente in tempi moderni, con la fractional reserve banking ****

Concordo che siano cretinate ideologiche. Non ne parlo apposta: niente di scientifico. La Scuola austriaca oggi è piena di matti, incompetenti, amatori, fanatici, ideologici, agit prop. Quasi tutti i problemi "sociologici" (cioè su come si comportano gli austriaci odierni) nascono con Rothbard. E' difficile liberarsi dalla sua eredità, ma è un binario morto, perché è una mentalità che non porta da nessuna parte sul piano scientifico. Esistono anche persone serie, sono solo una ristretta minoranza: Kirzner, O'Driscoll, Garrison, Rizzo, Boettke, Leeson, Koppl... la lista è incompleta ma temo che a completarla si arriverebbe a 20-30 nomi al massimo.

**** Infine, non me ne voglia Pietro ma il modello di produzione che lui descrive, spero lui intenda che non è un "modello" di nessun technology set. Se mi sbaglio me lo può provare scrivendo le funzioni di produzione e tutto il resto. ****

Fatto in precedenza. Posso ora anche elencare i difetti - cioè gli aspetti della teoria austriaca che nel modello non si trovano, ma già ne ho parlato nei commenti con Muscatello. Sono tanti, ma l'essenza dell'argomento torna, ed è già tanto. L'idea mi è venuta sabato mattina... e non ho mai modellato alcuna economia in vita mia.

**** è tutto "chiaro" e com'è che i "neoclassici", queste strane bestie, non hanno capito ****

Chi è convinto che è tutto chiaro nella teoria austriaca è perché non l'ha studiata bene. Io ho elencato i buchi teorici nell'articolo, credo che la differenza di prospettive è che io li ritengo colmabili. Però il problema esiste, ed è grave.

PS Credo che essere più critico e realista di me sugli austriaci sia difficile, quindi non voglio essere confuso con gli esaltati di cui sopra. :-)

Michele, questa frase

 

Che per colpa di JMK e seguaci tutti giochino con funzioni di produzione aggregate non è colpa della teoria economica, ma solo di JMK da un lato e della miseria della macroeconomia contemporanea dall'altro.

 

 

è in riferimento a quella che chiami "struttura multisettoriale"?    Hai in mente dei modelli/papers?

 

 

 

Per fare un esempio: se le imprese possono decidere tra un investimento rischioso A e un investimento sicuro B, il moral hazard renderà l'investimento A meno rischioso e quindi genererà profitti per chi investe in A; inoltre, l'aumento della produzione farà diminuire i prezzi finali, e aumentare quelli dei fattori di produzione, riducendo quindi i margini di profitto di B (sto immaginando che A e B siano due tecnologie che usano gli stessi input e producono lo stesso ouput, ma hanno diversi livelli di rischiosità). Insomma, con un po' di lavoro, forse, si può dimostrare che l'investimento B è dominante su A in condizioni normali, ma diventa dominato da A in condizioni di credito facile.

 

Non so se qualcuno di voi gioca a poker e specificamente alla variante Texas Hold’em (il poker mi serve per fare un’analogia). Se la risposta è no il prossimo paragrafo vi aiuterà a capire di cosa si tratta, se siete invece figli illegittimi di Doyle Brunson saltate pure.

 Il Texas hold’em è una variante del poker che si gioca utilizzando un mazzo di 52 carte. Ogni giocatore ha due carte personali, che tiene coperte, mentre sul tavolo vengono man mano svelate fino a 5 carte che sono in comune. Ogni giocatore può utilizzare le sue due carte e le cinque del tavolo per formare la migliore combinazione di 5 carte.

 Nei tornei (ed è la situazione che ci interessa) ogni giocatore paga una quota di ingresso e riceve un certo numero di fiches che non rappresentano denaro vero. Quando rimane senza più chip viene eliminato (si può stilare quindi una classifica) e si continua fino a quando non ne rimane soltanto uno. Maggiori info ad esempio qui. Questo tipo di torneo si chiama “freezeout”.

 

Tutto sto spiegone per cosa?  Immaginiamo di essere all’inizio di un torneo ed avere 10000 chip, bui 25 50 (cosa sono i bui? Vedi qui). Abbiamo come mano una coppia di donne e rilanciamo fino a 200. Tutti passano tranne l’ultimo giocatore che decide di rilanciare con tutte le chip che ha (ovvero 10000). Insomma va all in. Che cosa ci conviene fare?

 Immaginiamo di conoscere abbastanza bene in nostro avversario. Gli abbiam già visto fare queste mosse con determinate mani e, pur non sapendo esattamente le sue carte, possiamo restringere il range. Diciamo che può avere una coppia vestita, Asso donna oppure Asso Kappa. Se usiamo un calcolatore per calcolare la nostra equity (ovvero se giochiamo infinite volte contro questo range di mani e puntiamo 100 euro, quanti ne vinciamo?) La risposta è 44,56 euro.

 Chiaramente non ci conviene chiamare. Ampliamo un po’ il range e diciamo che potrebbe fare la stessa mossa anche con una coppia di 10. Il nostro range ora è 51,03 euro. Questo significa è corretto chiamare? La risposta è di nuovo NO. Perché?

 Siamo all’inizio del torneo e a premi ci va il 10%. Raddoppiare le chip ora non significa raddoppiare le probabilità di andare a premi mentre invece uscire significa aver perso il buy in. Passiamo lo stesso. (*)

 E’ sempre così all’inizio dei tornei? No. Ci sono particolari tornei, i cosiddetti tornei rebuy, dove se rimaniamo senza chip possiamo, per un certo periodo iniziale, ripagare la quota di iscrizione e tornare al tavolo con le chip iniziali. Non solo! Se vogliamo possiamo pagarla doppia e partire col doppio delle chip (**). Bene, la strategia vincente in questo tipo di tornei è fare subito rebuy e poi giocare in modo molto aggressivo e da “gambler” situazioni in cui, in un torneo normale, avremmo passato. In un torneo rebuy non passerò mai QQ preflop, per lo meno durante la fasa di rebuy. (***)

 Ultima cosa. Chi gioca un torneo rebuy come se fosse un freezeout perderà sistematicamente denaro. L’inserimento di una piccola clausola, che non cambia drasticamente le regole del gioco,   cambia totalmente le strategie e le valutazioni delle singole situazioni.

 Marco.

 

(*) Non contateci se giocate online! Ho parlato di giocata corretta maturata analizzando le informazioni incomplete in nostro possesso. Questo non impedisce a certi giocatori molto gambler che non sanno nulla di come giocate di chiamarvi lo stesso.

 (**) Assomiglia un po’ al mondo bancario, no?

 (***) Il succo è che se mi va bene posso accumulare uno stack di chip importante che mi permetterà di arrivare lontano (ed più si avanza più i premi salgono). Se va male posso ripartire con le chip iniziali e giocarmela lo stesso quando il periodo di rebuy finirà. Il premio finale (e intendo quello dei primi posti in classifica) è infatti molto grande rispetto alla quota iniziale e quindi posso permettermi di pagare 5 o 6 buy in per giocare il torneo da “big stack”.

 

Aiuto, un commento totalmente folle! :-)

Ho capito l'essenza del ragionamento.

In condizioni normali conviene fare una strategia poco rischiosa, ma se c'è il continuo ripieno di fiches (non so se la s ci va, ma è meglio di scriverlo senza, poi chissà cosa pensate), tanto vale usare la strategia più rischiosa.

In entrambe i casi, giocare la stessa strategia è una soluzione dominante per tutti (per simmetria), e quindi i due equilibri "sono tutti responsabili" e "sono tutti pazzi" dipendono dalla regola del gioco.

Noi viviamo nell'equilibrio "sono tutti pazzi" perché la banca centrale fa il pieno di fiches ogni volta che servono.

Yes, era questo quello che volevo dire in appendice.

Rimane il problema: le fiches influenzano il gioco perché i giocatori hanno un vincolo di cassa (le fiches sono il cash-in-advance constraint), è possibile replicare lo stesso risultato in un modello di economia monetaria? Io temo che il vincolo CIA abbia effetti minuscoli, o almeno questo è quel che mi ricordo dalla mia pessima e svogliata lettura di parti del Walsh, Monetary Theory and Policy.

Il motivo è sempre lo stesso: la moneta è superflua, si può aggiungerla ad hoc, ma non la si può rendere granché utile, se non si introducono limitazioni forti sulle ipotesi di equilibrio, ratex, prezzi flessibili, etc.

Gentile Prof. Boldrin,

quelli che Lei chiama "buchi fatali della teoria", evidenziati dalle Sue obiezioni, sinceramente a me sembrano lacune Sue dovute probabilmente ad una conoscenza superficiale della letteratura sull'argomento.

In realtà, degli argomenti citati da Lei come non spiegati o lasciati senza risposta, la teoria austriaca ne parla in modo piuttosto approfondito, esauriente, e logico. Il commento di phileas ad esempio ne indica velocemente alcuni.

Mi chiedo sinceramente quale sia la sua bibliografia di riferimento a questa teoria, che forse c'è qualche editore da mettere in galera ;)

Cari saluti e complimenti per il sito, vi leggo spesso.

E' proprio necessario scrivere commenti del tipo "ci sono cose che non vi posso raccontare, che troverete se cercate abbastanza bene e che spiegano tutti i vostri dubbi, solo che oggi siete irrimedibilmente ignoranti"? Non è un po' maleducato? Le risposte o si danno o non si danno: è inutile riferirsi ad una letteratura generica senza neanche cercare di spiegare di cosa si tratta e dove si può trovare.

Grazie Pietro e Marco per lo sforzo intellettuale.

Non rispondo alle cose serie per la ragione detta ieri, al ritorno spero di poter essere molto più esaustivo, incluso con un pdf.

Solo due cose, relativamente rapide.

- Pietro, c'è una letteratura gigantesca su tatonnement in prezzi e quantità, "out of equilibrium" transactions, eccetera. Purtroppo non ha prodotto nulla di chiaro: Sonnenschein's result on excess demand functions kills all hopes. Se entri "out of equilibrium price dynamics" o "out of equilibrium trading" in Google e poi passi a Google Scholar, ne escono a palate. Al tempo di fix-price models (Benassy, Grandmont, etc) inizio anni settanta, ci fu un esplosione. Yves Balasko mi ha mandato una cosa anche recentemente (cerca con il suo nome). Anche Andreu ci ha scritto, c'è un volume Springer edito da Hugo Sonnenschein con un pezzo di Andreu (premio a chi scopre l'errore :-)). 

- Pietro: ABM will go nowhere, trust me. Almeno, non per i problemi che ti interessano e che occorre cercare di risolvere per modellare come prezzi e quantità si aggiustano nel tempo all'arrivo di nuove informazioni. Ci abbiamo provato 20+ anni fa, non si arriva a nessuna conclusione robusta e convincente, purtroppo. Sono giochetti, interessanti, forse insegnano qualcosa su casi particolari e mercati ristretti e specifici. Certamente in auctions e bilateral trade servono. Anche qui, evito di citare troppo ma giusto quest'estate, in San Sebastian, Alan Kirman ed il sottoscritto hanno dibattuto la questione arrivando, di fatto alla conclusione di cui sopra. Dopodiché Alan continua a giocarci perché gli piacciono mentre a me annoiano un pelino ... ma quella è questione di gusti.

- Marco, quello di Murphy NON è un modello. Un modello, mi dispiace, o passa il testo della formalizzazione E dei dati o non è. Se almeno passasse il test della formalizzazione, son disposto a chiamarlo teoria, ma anche quella ancora non c'e. È anch'esso una storia, ed è una storia molto "classica" se vuoi ma anch'essa ... ma devo andare.

P.S. L' aspirante dottore di Salamanca si offenderà, suppongo, ad essere ignorato. Almeno lo spero, perché quella è la mia intenzione. L'ignorante che non sa di esserlo, saputello e religioso allo stesso tempo, non ha mai appartenuto all'insieme delle persone con cui ho interesse a dialogare; anche perché con costoro non si dialoga, si perde tempo. Al nuovo giovane anonimo, che sembra possedere una conoscenza accurata delle mie lacune intellettuali, posso solo consigliare (con sincera "paternalità" ed anche "cariño" come dicono dove mi trovo in questo momento) di fare due cose: leggere e studiare un po' di più (in particolare ciò che io ho scritto negli anni '80 e primi anni '90 sulla teoria del ciclo, visto che mi rendo conto non possa venire in classe mia il prossimo semestre ...) e fare uno sforzo per chiarirmele, le lacune, in modo rigoroso. Magari firmandosi, che non guasta mai fra intellettuali seri quando hanno fiducia nelle proprie idee ...

Mi dispiace non averle fatto raggiungere il Suo obbiettivo ma non mi sono offeso, come immagino che non si sia offeso Lei, quando Castelli l'ha sfottuta per l'orecchino in diretta tv.

Le parlo sinceramente, figurarsi se penso di essere onniscente come Lei ha sostenuto, so benissimo che Se potesse abbassarsi al mio livello mi potrebbe spiegare moltissimo degli studi mainstream di economia degli ultimi 50 anni (non sono ironico, sia chiaro).

Però vedere certe Sue obiezioni sulla teoria in oggetto di questo articolo, da parte mia che la scuola austriaca l'ho approfondita nel mio piccolo con molto interesse e da molti anni, è stato piuttosto desolante, proprio perchè queste obiezioni sono venute da Lei e non da uno dei firmatari della "lettera degli economisti".

Sempre con stima, 

Tommaso Gava, suo fedele amico e fan su facebook

Su Murphy. L'ha chiamato "sushi model" ma non credo che intendesse costruire nessun "modello". E' una storia illustrativa per chiarire cosa si intendesse per sustainable vs unsustainable growth e come venivano trovate le risorse per incrementare temporaneamente la produzione durante il boom. Tutto qua.

Cmq mi preme sottolineare una cosa. Qui in Italia a ad interessarci di scuola austriaca di economia siamo quattro gatti e non è vero (almeno x quanto mi riguarda) che pensiamo di "aver capito tutto". Ci mancherebbe. Però ci troviamo in grossa difficoltà. Nessuno di noi fa ricerca in accademia e non conosciamo nessuno in Italia che lo faccia (questo almeno x quanto mi riguarda). All'università io personalmente ho dato una decina di esami di economia (tra cui micro, macro, economia politica "che voleva essere una sorta di storia del pensiero economico", ecc.) e non avevo mai sentito nominare, non dico Mises, ma nemmeno Hayek.

Visto che all'università ho solo imparato "più volte" il modello IS-LM non ho una grandissima opinione dei nostri professori di economia. Quindi si pone un problema: uno legge Time and Money di Garrison e vede il suo schema della teoria austriaca del ciclo messo in termini più familiari. Si è magari letto Human Action, qualche saggio di Hayek, Kirzner etc. Ha delle domande, magari delle idee su come trattare alcuni punti, vorrebbe fare dei confronti, capire perché la teoria è andata da una parte e non dall'altra ma all'università spesso e volentieri è come se parlasse arabo e se un argomento è già stato dibattuto in accademia (magari in altri termini) è ben difficile saperlo.

Per cui se c'è da studiare, imparare, leggere paper interessanti e chiarire dubbi Wow alleluia, felicissimo di avere dei riferimenti....

Marco.

DK Levine su ABM e simili.  Lettura interessante

http://www.dklevine.com/archive/refs4661465000000000155.pdf

 

 

 

volevo segnalarvi le gradevoli scemenze che passano per sapere, e vengon passate al popolo

http://www3.lastampa.it/tuttolibri/sezioni/edicola/articolo/lstp/231332/

 

 

 

segnalo solo, per la grande componente di economistic he scrivo e leggono nFA

 

volevo segnalarvi le gradevoli scemenze che passano per sapere, e vengon passate al popolo

http://www3.lastampa.it/tuttolibri/sezioni/edicola/articolo/lstp/231332/

 

Interessante. Nell'articolo viene detto che Florence Noiville invita a "cambiare l'economia (modelli, equazioni, scopi) e i modi di insegnarla". Presumo che agli economisti faccia lo stesso effetto che ad un fisico provocherebbe un affermazione del tipo "cambiamo la legge di gravitazione universale di Newton (e aboliamo le equazioni differenziali). Potrete liberamente buttarvi da un palazzo di dieci piani."

Ma questa è una miniera d'oro!

Un po' di note buttate giù in un ozioso sabato pomeriggio...

Preso dalla curiosità sono anche andato a vedere chi fosse l'autore del sorprendente articolo: sarà per caso costui?  E' molto istruttiva la lettura degli appunti del suo corso: pur non essendo un sociologo ho molte perplessità (per esempio l'Economia come un mezzo per potenziare la Tecnica); a questo proposito mi piacerebbe conoscere il parere di qualcuno più addentro alla materia.

Nell'articolo ci sono alcune perle tipo questa sull'uccisione della ricchezza:

il capitalismo ha davvero in sé una potentissima coazione a ripetere gli errori e un'irrefrenabile pulsione di morte (uccidere ricchezza è importante quanto produrla)

Uccidere ricchezza in che senso?  Mi viene in mente la distruzione di beni: una casa abbattuta, dei generi alimentari lasciati al macero... Sarebbe interessante capire perché una cosa del genere è importante.  Ma che sciocco!  Ho gli appunti del suo corso!  Andrò a leggere, e infatti trovo:

Il moderno principio di riproduzione indotto dalla tecnica e dal con-seguente modello organizzativo  impone una sorta di eutanasia dei prodotti/servizi: tutto nasce per essere sostituito/distrutto, quindi “ucciso”, ovvero la durata non è più un valore, ma lo sono la transitorietà, il cambiamento, la velocità di sostituzione. Per molti beni/servizi si prevede la data di scadenza. Legata a valori come salute, benessere, ma non solo.

Ho la vaga idea che sia un cugino del modello superfisso: credo (mi sento buono) che intenda dire che in un determinato bene la durevolezza sia un valore con un vantaggio comparato basso; aggiungere questa caratteristica a un bene costa al produttore più di quanto l'utente sia disposto a pagare, quindi le risorse che sarebbero state impiegate per aggiungere quella durevolezza vengono usate per altro con maggior profitto.  In questo caso rinunciare alla durata e accontentarsi della transitorietà genera valore.  Ma quindi il valore non viene distrutto, viene solo allocato diversamente...

Ma l'articolo non finisce qui:

Un atto d’accusa, il suo, contro le scuole di economia (tutte uguali, tutte copia e incolla). Scuole dove da tempo marketing e finanza sono le discipline regine e il modello vincente è riassunto nell’acronimo MMPRDC, «Make More Profit, the Rest we Don’t Care about».

Le scuole di economia sono tutte uguali?  Avrei i miei dubbi, certo si insegnano materie simili.  Il marketing non mi sembra regni sovrano, la finanza già di più (ma in effetti è strano che venga insegnata in una scuola di economia).  Non vorrei che l'astio per queste materia sia dovuto a degli studenti che hanno trascurato l'insegnamento del Nostro per dedicarsi ad essa.  Riguardo al MMPRDC, non mi sembra venga insegnato (io poi sono ignorante e non avevo mai sentito questo acronimo).

Il punto non è banale, ma il dare per scontato che il modello vincente sia "fare profitto" (e non piuttosto massimizzare il valore dell'equity) presuppone un minimo di banalizzazione, che posso concedere all'autore dell'articolo, che evidentemente non è un tecnico della materia, ma che faccio più fatica ad accettare da parte dell'autrice del libro cui si riferisce (Florence Noiville, Ho studiato economia e me ne pento, credo di intravedere le motivazioni del pentimento); in ogni caso, a nessuno dei due viene in mente che esistono concetti come costo opportunità, per cui è vero che l'azienda guarda solo al vile danaro, ma non si capisce perché se a certe cose non viene dato valore da nessuno (e quindi il loro costo opportunità è zero) l'azienda dovrebbe invece occuparsene; se invece queste cose un valore ce l'hanno, ci sarà anche un costo opportunità che permetterà di tenerne conto in fase di pianificazione e di consuntivo.

Molti manager [...] capiscono che qualcosa non va,ma poi «sopportano in silenzio turpitudini e bassezze (“se non lo fa la mia azienda, lo farà un'altra”)»; e danno la colpa al «sistema», facendo finta di non vedere che il sistema sono loro stessi; al più cercano vie di fuga individuali, senza provare a cambiare le cose insieme (tanto, «non posso farci nulla»).

Turpitudini e bassezze?  Suppongo che non ci si riferisca ad illeciti nell'amministrazione, altrimenti il comportamento appena descritto sarebbe tout-court illegale e non ci sarebbe bisogno di dire altro; evidentemente si riferisce ad altro, magari a... no, mi vengono in mente solo casi border line e qui si sta parlando di qualcosa di sistemico.  Decisamente sono troppo ingenuo per capire queste allusioni.

Ma il vero capolavoro è questo:

Un libro prezioso come pochi altri per capire, sotto il velo delle apparenze e dei conformismi degli economisti, le ragioni di questa crisi. Partendo non dall’economia - che «è divenuta il referente della propria stessa logica, lanciando il sistema globale verso una crescita illimitata e una produttività fine a se stessa» e che dunque è incapace di giudicarsi e correggersi -ma da politica e diritto, dal loro dovere di interpretare la realtà e di governare l’economia e le sue crisi.

Cosa voglia dire quando afferma che l'economia è il referente della propria logica non è chiarissimo, ma volendo impegnarsi a trovare un senso non ne viene fuori nulla di scandaloso.  L'espressione potrebbe voler dire "si vuole applicare la logica della scienza economica all'economia reale", oppure "la logica dell'economia studia il rapporto fra il fenomeno economico (il referente) e la teoria (il contenuto o significato)".  Niente di scandaloso, anzi!  Sfugge perché sia stato fatto suonare ciò come qualcosa di grave.  Ho scartato l'ipotesi interpretativa "l'oggetto della scienza economica è ormai la scienza economica stessa" perché altrimenti non si capisce come mai questa possa lanciare da alcuna parte il sistema globale.

Non si capisce neanche perché la produttività sia fine a se stessa, dal momento che questa sottointende la creazione di valore e il valore sottointende il fatto che ci sia qualcuno che attribuisca quel valore.  A meno che non si intenda con produttività il produrre cose a raffica e senza senso, ma allora non si ha produttività e non ricordo alcuna logica economica che mi porti a farlo.

Commovente infine, il riferimento a politica e diritto e al loro dovere di governare l'economia e la crisi.  Da notare che il ragionamento, emendato da imprecisioni e passaggi di dubbia comprensione, suona più o meno: dal momento che l'economia pretende di applicarsi alla realtà e stimolare la creazione di maggior valore, allora è dovere della politica prendere il controllo della situazione.  Mmmm...

non c'é dubbio: preferisco lelio luttazzi.

Ma ti ga altro?

Ma ki xeo 'sto mona?

 

Qual è la sostanziale differenza tra la spiegazione del ciclo economico della scuola austriaca e quella di H. Minsky ?

E' noto che Minsky si professava keynesiano fino al midollo, ma qs non mi sembra un aspetto rilevante. Così come non mi sembrano rilevanti, se si limita l'analisi alle cause del fenomeno, le "ricette" di Minsky per gestire l'instabilità del capitalismo.

 

Ho letto Kindleberger ma non Minsky, dunque non so quali siano le sue ricette. In linea di massima però nel modello austriaco le politiche di stabilizzazione peggiorano la situazione, perché l'espansione del credito fa "impazzire" il processo economico.

Nella forma forte della teoria - a cui non credo - i mercati sarebbero stabili senza i governi che fanno casino nel sistema monetario: questa teoria è più che altro ideologica, non credibile, e Hayek la criticò esplicitamente (non ricordo Mises).

Nella forma debole, errori e instabilità ci sono sempre, solo che le politiche di stabilizzazione rimuovono i processi di mercato che tengono il problema sotto controllo: ad esempio, il maturity mismatch è l'aspetto critico centrale dei sistemi finanziari (per gli austriaci), e può essere incentivato da politiche che garantiscono liquidità ai mercati monetari, e bassi tassi a breve.

Credo - non conosco Minsky - che quindi la differenza sia sul legata al rapporto tra la stabilità e l'efficienza dell'economia 'stabilizzata' dai governi rispetto alla stabilità e l'efficienza dell'economia lasciata da sola.

Se si ritiene che la prima sia molto maggiore, si è de facto "austriaci" nelle conseguenze di politica economica. Se si ritiene che non ci sia differenza - è un risultato "neoclassico" di irrilevanza della politica. Se si ritiene che si possa fare di meglio, si è keynesiani.

Le politiche anticicliche sono tutte strutturalmente time inconsistent: proteggono gli agenti dai propri errori, e dunque incentivano quegli stessi errori. Questo temo che i keynesiani non lo capiranno facilmente, continuando a danneggiare la stabilità economica con la loro "discretion".

Se poi invece ci si riferisce alle politiche di regolazione e non a quelle monetarie, per quanto possa sembrare assurdo, gli austriaci sono molto più per la regolazione che per la deregulation. Infatti il sistema bancario protetto dalla safety net è considerato irrimediabilmente instabile, e dunque in qualche modo bisogna frenarlo. Però si ha una certa consapevolezza dell'inefficienza di fare le cose in questo modo, dunque il "first best" è rimuovere completamente le safety net.

Di recente, O'Driscoll (un economista austriaco, ex vicepresidente della Fed di Dallas, credo) ha detto che tra tutte le alternative possibili tra sistemi bancari e politiche monetarie, l'unica certezza è che un sistema con banche libere ma politiche monetarie anticicliche sicuramente non funziona. Quindi o si legano le banche, o si impedisce alle autorità di salvarle: un processo di mercato con perdite socializzate non è un'alternativa per gli austriaci. Purtroppo per noi è anche ciò che fanno e difendono i "keynesiani": qui è la differenza, è più di politica economica che di teoria economica.

PS Io ho parlato sempre di politica monetaria anticiclica, ma ovviamente il moral hazard può nascere anche per aspettative di bailout, regulatory forbearance, etc. La citazione di Mises nel testo dell'articolo è un esempio di "regulatory forbearance": il Peel Act veniva rimosso ogni volta che c'era una crisis, e quindi nessuno lo riteneva credibile.

per la gioia di economisti grandi e piccini Larry Summers torna al lavoro (si dimise dal governo oggi.)

Tra l'altro torna a Harvard dove la sua gestione nel 2009 ha perso 1.8 miliardi di dollari (se non ricordo male il 27% dei suoi fondi) con scommesse varie su tassi. Gli USA è riuscito invece a mandarli in bancarotta direttamente in un anno o poco piu'

Il cronicapitalism è tanto sviluppato negli USA quanto in Italia ormai 

Buongiorno a tutti,

seguo da molti anni questo sito - con frequenza variabile - ed essendo il mio primo commento spero che sia in linea con i limiti e le modalità entro i quali le opinioni degli avventori sono ben accette. Faccio questa premessa perché mi trovo a voler commentare "contro", difendendo la teoria austriaca, in particolare, dagli "attacchi" del Prof. Boldrin. Avevo predisposto una lunga e noiosa risposta, che avrei poi dovuto rileggere, approfondire, condividere con gente fidata e quindi mi sarei deciso a postare, con il rischio di fare un lungo lavoro inutile (e certo sapete tutti quanto è prezioso il tempo): reputo necessario, infatti, che venga in primo luogo fatta chiarezza su alcuni aspetti in assenza dei quali non è possibile impostare un dialogo costruttivo. Se queste mie considerazioni non dovessero essere condivise, pazienza! Io continuerò a leggerVi con interesse e a poter riflettere sui sempre interessanti spunti che fornite, oltre che sulle utili informazioni, il mondo andrà avanti benissimo per tutti.

Bene, la mia domanda, la premessa, verte intorno al concetto di Scienza. Mi riferisco, in particolare, alle seguenti affermazioni del Prof. Boldrin:

quella "austriaca", oggi come oggi e da 100 anni, è ancora una "bella storia" ed è molto lontana dall'essere una "teoria", let alone un "modello".

economisti e filosofi falliti. Falliti due volte

Ha enormi problemi a tutto, perché non è nulla. Non è una teoria, non è un modello, non è niente. Sono parole in libertà di logici falliti. Non scherzo. Liberati dall'ipoteca della teoria dell'azione umana di Mises, da cui tutte queste fantasie discendono.

Domandati: puoi formulare la teoria in maniera "scientifica", ossia confrontabile con qualcosa di osservabile in modo condiviso da me e te (come minimo, possibilmente anche da altri :-))?

 Occorre capire questa banalità, per fare scienza

Mi fermo, il senso mi pare chiaro. Mi sembra che Mises si ponga esattamente lo stesso problema (lo ricordo nel primo capitolo di Human Action, ma penso sia riportato anche altrove) ovvero quali sono i limiti entro i quali la scienza economica può lavorare come le scienze naturali: entro quali confini, si chiede, è possibile formulare leggi universalmente valide? 

Evito di dilungarmi troppo, il succo è: Mises dice che il metodo matematico (ovvero l'unico metodo analitico della moderna scienza economica) è sbagliato e porta a conclusioni sbagliate e un qualunque osservatore ha potuto verificare la validità di questa affermazione recentemente, quando i migliori modelli quantitativi del mondo non hanno visto "la madre di tutte le crisi" nemmeno col binocolo, nemmeno ad aprile 2008 (ricordo un paper dell'FMI..). Cos'è scienza allora, formalizzare modelli inutili che portano a conclusioni contastanti? La domanda non vuole essere una provocazione, né essere oziosa. Ho il più profondo interessa a capire come vi ponete di fronte ad un fallimento così eclatante - che non implica, ovviamente, la validità del pensiero di Mises in tutto il resto.

Probabilmente per discuetere la scuola austriaca qui su NfA è meglio aspettare l'approfondimento promesso dal Prof. Boldrin.

Ne approfitto per ringraziare tutti per i contributi interessanti, la serietà e la disponibilità.

Andrea

Grazie per i complimenti e per l'interesse. 2 risposte rapide:

1) Sulla crisi: 3-4 anni fa a Minneapolis crollo' un grande ponte sul Mississippi provocando qualche morto. Forse che l'Ingegneria o la Fisica cessano di essere scienza?

2) Sui modelli inutili e contrastanti: i modelli non vegono mai scritti per spiegare "tutto", per questo sono contrastanti. Per cosa sia, cosa faccia e perche' non sia inutile la scienza economica e i suoi modelli, suggerisco cominciare da questo post di Alberto Bisin

 

che non implica, ovviamente, la validità del pensiero di Mises in tutto il resto.

 

Mi chiedo: quanti seguaci di Mises sono diventati multimiliardari anticipando la crisi ed andando short in real estate, stocks e tutto il resto?

Grazie delle risposte. Qualche commento in proposito:

(1) Questi sono esattamente i limiti dell'economia (e delle scienze sociali in generale) che fanno dubitare del loro statuto di "scienze" in senso stretto.

(2) Il problema dell'economia come tecnica è che essa si basa proprio su assunti (per definizione non dimostrabili)  sull'utilita' ed il benessere degli individui che hanno però, quasi sempre, scarsa corrispondenza  con la reale volontà dei soggetti intereressati e dei decisori politici, con le strutture politiche e i vincoli istituzionali. Senza contare che la matematizzazione di variabili qualitative come queste rischia di portare inevitabilmente tutti i ragionamenti nell'astrattezza teorica (lontano cioè dalla tecnica...)  

(3) L'arroganza di alcuni economisti (aldilà dei toni e dello stile personali) deriva probabilmente del mancato riconoscimento dei limiti di cui stiamo parlando.

(1) Questi sono esattamente i limiti dell'economia (e delle scienze sociali in generale) che fanno dubitare del loro statuto di "scienze" in senso stretto

Non ti sembra pero' che assumi implicitamente che la scienza sia misurare e che il metodo di qualsiasi scienza sia necessriamente quindi quello matematico? La critica austrica è proprio qui

Per esempio la logica non è (necessriamente) matematica è sembra abbastanza robusta

 

 

 

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