Telecom e la politica industriale

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La questione Telecom, aldila' delle polemiche sul comportamento del governo e dei gruppi d'interesse che attorno a Telecom girano (e che abbiamo gia' ampiamente commentato) ha anche rilevanza piu' in generale.

Molto di saggio è stato scritto sulle implicazioni più immediate del caso Telecom: che il mercato farà ridere per molto tempo ancora in Italia se i partiti rimestano in ogni affare (Francesco Giavazzi, Corriere del 12/4), che le banche interessate a mantenere Telecom italiana sono le stesse che hanno cooperato alla sua cattiva gestione (Alessandro Penati, Repubblica del 5/4), che, infine, i barbari alle porte hanno tutti i crismi del buon investitore diretto estero, sia perché sono fra i migliori imprenditori del settore, sia perché il prezzo che offrono eccede l’attuale prezzo delle azioni Telecom (Guido Tabellini, Sole-24-Ore del 8/4). In generale, però, sono frequenti le affermazioni che dimostrano poca conoscenza dei principi base dell’economia e dei meccanismi di funzionamento delle imprese e dei mercati.

Imponendoci la disciplina di rimanere nei limiti delle 1500 parole proviamo a sbozzare tre temi di grande rilevanza e che in Italia si discutono pochissimo e molto, ma molto male. Dovesse seguirne una discussione cercheremo di articolare meglio, sia teoricamente che empiricamente, i fondamenti delle opinioni che qui esprimiamo in tono alquanto apodittico. I temi che vorremmo discutere sono: (i) la struttura societaria piramidale, (ii) lo scorporo della rete telefonica fissa, (iii) la nozione di attività strategica.

(i) Piramidi.

Perché in Italia le piramidi abbondano, ma sono meno frequenti in altri paesi e quasi inesistenti negli USA? Tralasciando le ragioni storiche (natura oligopolistica dei mercati finanziari italiani) e le intrusioni politiche (rapporti "privilegiati" con alcune banche e gruppi familiari, "noccioli duri" selezionati ad hoc nelle privatizzazioni di imprese pubbliche), le piramidi sono tuttora così frequenti perché non si tassano i dividendi delle controllate ma solo quelli delle società in cima alla catena. Negli Stati Uniti vige il principio della doppia tassazione dei dividendi che scoraggia tale organizzazione societaria: se proprio si volesse, si potrebbe modificare la normativa fiscale in materia d’impresa e qualche risultato si avrebbe.

Il punto fondamentale, però, è che da sé il mercato, nel valutare un'impresa, terrà conto della sua struttura piramidale. Da una parte, il prezzo pagato per il controllo dipenderà, fra le altre cose, dalla possibilità per il controllante di estrarre risorse dall'azienda a discapito degli altri azionisti. Quanto più diluito l'impegno finanziario attraverso una lunga catena di controllo, tanto più aumenterà la possibilità di estrarre benefici privati: una leva di controllo alta implicherà un alto premio di controllo pagato dall'acquirente.

D'altra parte, il mercato ha mostrato, anche in Italia, di non gradire le deviazioni dal principio "un'azione-un voto", quali ad esempio le azioni di risparmio e le stesse piramidi. Imprese caratterizzate da una forte separazione tra proprietà e controllo sono a maggior rischio di espropriazione da parte dei soggetti controllanti e, naturalmente, il mercato richiederà a queste imprese premi al rischio elevati. Telecom, ad esempio, pur con un cash flow stabile e poco rischioso, ha un rating S&P’s e Fitch di BBB+, che si traduce in costi di finanziamento molto elevati.

Quindi, è certo che l’offerta presentata per Telecom tiene già conto sia della sua struttura piramidale che dell'elevatissimo indebitamento accumulato nei vari passaggi di proprietà, anche per via della generosa politica di dividendi adottata dai controllanti via via succedutisi. Il potere politico non deve certo preoccuparsi che la valutazione di mercato espressa per la società sia congrua e ben ponderata: a parte casi clinici di autolesionismo, sembra ovvio che il venditore eserciterà tutto il suo potere contrattuale per spuntare il prezzo più alto possibile.

Si deve intervenire normativamente per scoraggiare le piramidi? Propendiamo per un cauto no. Ciò che questa vicenda insegna, piuttosto, è la futilità dell’idea di "nocciolo duro". I noccioli duri non garantiscono una buona gestione di un’azienda. Specialmente quando arrangiati dall’agente politico, essi garantiscono solo rendite di monopolio per gruppi che, di scatola cinese in scatola cinese, perdono ogni capacità di valorizzare il potenziale industriale dell’azienda. Cosa garantisce la buona gestione di un’azienda? La contendibilità del suo potere di mercato: si fomenti la libertà di entrata nel settore delle telecomunicazioni.

(ii) Scorporo della rete fissa.

Serpeggia l'argomento che, essendo la rete attualmente esistente stata costruita in regime di monopolio pubblico, pubblica dovrebbe rimanerne la proprietà. Da qui l’idea dello scorporo e della ri-nazionalizzazione. L'argomento è assolutamente inaccettabile per due motivi. In primo luogo, la rete fissa, al contrario di quanto sostenuto dal ministro, non è un monopolio naturale, caratterizzata cioè dall'impossibilità oggettiva di essere rimpiazzata: non solo è possibile ma è di vitale importanza per il paese implementare e diffondere in modo capillare sul territorio le nuove tecnologie (fibra ottica e WiMAX, ad esempio) come già avviene in altri paesi. In secondo luogo, gli investimenti necessari ad adattare la rete di accesso italiana agli standard tecnologici del presente sono dell'ordine di 8-10 miliardi di euro, più di due volte la cifra offerta per Telecom e più che sufficienti ad eliminare qualunque "residuo" di investimento pubblico precedente.

La vera sfida è quella di creare un sistema di incentivi tale per cui, da una parte si effettuino gli investimenti necessari all'ammodernamento della rete di accesso, dall'altra venga preservata la concorrenza tra imprese fornitrici di servizi: in questo senso si deve parlare di scorporare la rete fissa e, pur mantenendone la proprietà privata, di inserirla in un quadro regolamentare che tenga conto della sua natura di pubblica utilità.

(iii) Attività strategica.

Il dibattito su cosa sia e cosa non sia un settore strategico è tanto annoso quanto inutile. La natura strategica di un’impresa si scopre quasi sempre ex-post e, comunque, sembra che imprenditori e mercati siano storicamente molto più abili dei politici a riconoscerla.

Ad esempio, si dice che Telecom, facendo molta buona ricerca originale, è un'impresa strategica e non deve passare in mani straniere mentre Alitalia, che di ricerca non ne fa, può essere più serenamente ceduta a non italiani. Contro ogni logica di mercato, l'argomento sembra implicare che AT&T non svolgerebbe ricerca in e per Telecom e che i consumatori italiani riceverebbero servizi di minore qualità. Per quanto grottesco, equivale a credere che, facendosi in Italia pochissima ricerca farmaceutica originale ed essendo i brevetti farmaceutici tutti o quasi di aziende straniere, gli italiani non abbiano accesso ai medicinali più recenti!

Un’azienda che investe in ricerca, localizzerà i laboratori laddove risulti maggiormente profittevole. Come argomenta Carlo Scarpa sulla Voce.info ed argomentiamo da tempo anche noi di noiseFromAmerika, questo dipende dall’offerta di capitale umano, dalla tassazione dei redditi che la ricerca genera, dalla possibilità di adottare organizzazioni aziendali flessibili. Si facciano queste riforme: la ricerca avanzata già presente in Italia (in Telecom ad esempio) vi resterà e ne arriverà di nuova dall'estero; si svilupperanno settori, a quel punto strategici per definizione.

In conclusione, la vicenda insegna ancora una volta che meno il Governo si immischia negli affari aziendali più ci guadagna l'Italia, specialmente nei settori ad alto contenuto tecnologico. Per questo serve concorrenza: che il Governo operi per facilitarla e garantirla, e poi lasci fare ad essa ed agli esperti nei vari campi, dalle reti telefoniche agli aerei, ai computer fino ai bucatini all'amatriciana. I vantaggi comparati sono un principio saggio ed universalmente applicabile.

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Commenti

Ci sono 23 commenti

Nel frattempo RBS e soci hanno 50 miliardi di euro in contanti per comprarsi ABN AMRO (con varie conseguenze anche a livello bancario italiano).

Le due storie giustapposte di ABN e Telecom Italia non possono che esacerbare l'ennesima figura meschina che sta facendo sia la politica, sia la "classe imprenditoriale" italiana.

 

ah ma allora e' solo il tifo. solo quello ti offusca. in politica economica ci vedi bene ..... :)

 

 

Ci sono punti interessanti nella vostra analisi. Per le piramidi e il cosiddetto "nocciolo duro" le problematiche sono innanzitutto date dal fatto che imprenditori di un certo tipo, con solidità, stabilità e soprattutto capitali ce ne sono pochi (non saprei chi citare). Inoltre, ciò che manca in Italia per avvicinarci al concetto di public company "all'inglese", sono gli investitori istituzionali, quelli votati al lungo periodo e non al profitto di breve. Per poter sviluppare un modello di azionariato diffuso, occorrono più che piramidi, un maggior sviluppo dei mercati regolamentati. Il nocciolo duro qui non è applicabile e non credo che l'allungamento della catena di controllo azionario sia la soluzione.

Scorporo della rete fissa. Se si fossero fatte le privatizzazioni come i libri comandano, la rete fissa non doveva essere ceduta. E' accademica come nozione, quando anni fa gli inglesi privatizzarono anche la rete degli acquedotti, furono costretti a ri-nazionalizzarla perchè la manutenzione e la qualità dell'acqua subì un crollo, crollo che non subirono le rendite da monopolista... Per cui la rete dovrebbe rimanere pubblica, perchè i costi di manutenzione e sviluppo sono troppo elevati. Creare un mercato artificiale (in quanto regolato) per la rete fissa, ritenuta di pubblico interesse, tenuta in vita con sussidi e incentivi mi sa un po' da manona pubblica. Se il pubblico sussidia, chi pensa agli investimenti per svecchiare la struttura? La gestione privata sarebbe efficiente in questo mercato anomalo? Da dimostrare.

Che le telecomunicazioni siano strategiche, chiedetelo alla British Telecom e al governo inglese...

La mia opinione è che chiunque sarebbe in grado di gestire Telecom meglio dei "soliti sospetti" che paventano di appartenere al capitalismo italiano.

Se arrivassero gli americani, forse la ricerca verrebbe svolta in maniera migliore e più proficua. Sarebbe sufficiente lo scambio di knowledge tra Usa e Ita per introdurre sinergie in molti settori. Speriamo qualcosa si smuova, prima che vendano quel poco di buono che è rimasto in telecom.

 

Credo di intendere che il vostro cauto no sia dovuto allo scetticismo nutrito nei confronti di un legislatore (e la sua colorazione politica conta relativamente poco) che ha flebili incentivi a facilitare la contendenbilità del controllo delle grandi imprese e delle banche. Meno sono contendibili, minori sono gli spazi per intervenire e per negoziare (termine che si può declinare con la più sfrenata fantasia) con i controllanti, attuali e futuri. Però non capisco la contrarietà all'intervento nei confronti delle strutture piramidali. Se siamo d'accordo sui guasti che l'affermarsi di quel modello ha determinato in Italia, e non solo, anche se da noi con una patologia che non trova praticamente riscontro in occidente (giappone e corea, a parte), perchè non introdurre cambiamenti che disincentivano i capitalisti senza capitali?

 

Credo che il "cauto no" sia piu' che altro dovuto ad una "Chicago view" del mondo: se la struttura piramidale diventa un problema, gli investitori sono disposti a pagare un prezzo piu' basso per le azioni non di controllo, quindi  in una certa misura sara' il mercato a risolvere il problema, se di problema si tratta.  

 

Come abbiamo menzionato

nell'articolo, non siamo assolutamente contrari ad utilizzare lo strumento fiscale per

disincentivare le strutture piramidali, così come avviene negli Stati Uniti dove i

dividendi pagati dalla controllata alla controllante sono tassati (in misura tanto

maggiore quanto più lunga è la catena di controllo).

Siamo invece contrari ad

intervenire con strumenti normativi che vietino esplicitamente il ricorso a

determinate forme societarie, piramidi incluse, altrimenti non fraudolente o

che impongano soglie minime di partecipazione azionaria per esercitare il

controllo. Temiamo l'impatto negativo di simili provvedimenti sul level

playing field ed il rischio di indurre così arbitraggi regolamentari e la

costituzione di forme societarie ancora più opache e dannose per i non

controllanti. Pensiamo a Merton Miller quando, scherzosamente ma con cognizione

di causa, sosteneva che, non fosse stato per le norme federali introdotte negli

anni '70 e '80, a Wall Street si sarebbe scambiato poco altro che azioni,

obbligazioni e opzioni semplici e non si sarebbero sviluppati strumenti

finanziari esotici, volti proprio ad aggirare le norme introdotte ed alcuni dei

quali veramente rischiosi.

Comunque, indipendentemente dagli

incentivi fiscali e come correttamente interpretato da Andrea, un mercato

efficiente sconterà appropriatamente il valore di un impresa tenendo anche in

considerazione la sua struttura di controllo: molto probabilmente, il costo del

finanziamento ed il premio di controllo saranno più elevati rispetto ad un'impresa

''semplice''. Ad esempio, quando Tronchetti subentrò a Colaninno pagò un premio

rilevantissimo (per il 23% di Olivetti € 4,17 per azione quando le Olivetti

quotavano € 2,25); la struttura di Telecom oggi è piramidale come allora ma

l'indebitamento assai maggiore: ne segue che l'offerta odierna di - fate un bel

respiro... - Telefonica, Generali, Intesa-San Paolo, Sintonia

e Mediobanca per le azioni del blocco di controllo è di € 2,82 a fronte

di una quotazione corrente di € 2,27.

In generale, starà al

controllante, se ritiene, accorciare la catena di controllo ed andare così

incontro alle richieste del mercato; d'altra parte, se gli azionisti non

controllanti non gradiscono l'organizzazione societaria, saranno liberi di

vendere e facilmente in grado di trovare ''degni sostituti'' per il loro

portafoglio.

Tutto ciò non esclude, anzi

aumenta, la necessità di un una normativa che induca la massima trasparenza e

pubblicità sulla composizione del gruppo di controllo, sui modi di impiego del

capitale (di debito incluso) raccolto, sui compensi degli amministratori e

sulle operazioni economiche e finanziarie infragruppo. A tal proposito, sarebbe

molto interessante se i lettori più esperti e competenti in materia potessero

intervenire con un'analisi comparata, anche se breve e molto generale, della

normativa italiana e del Sarbanes-Oxley Act.

In conclusione, il problema è quello di avere regole chiare e comuni a

tutti e poi lasciare il mercato esprimere le sue valutazioni senza

ingerenze esterne e senza che il potere politico orchestri ad libitum

cordate gradite di imprenditori e banche. Purtroppo, il "retroscena"

riportato dal Corriere in fondo di articolo, se veramente accaduto, oltre a lasciare di stucco non fa ben sperare per il futuro.

michele boldrin e guido ruta

 

La notizia che Dagospia riporta, e che sembra confermata dalle notizie piu' caute riportate da altri giornali, conferma la natura subdola, protezionistica, anti-mercato ed, oserei dire, quasi mafiosa, dell'azione svolta da questo governo (in una cooperazione che sarebbe meglio chiamare combutta con quello spagnolo) per mantenere Telecom in mani "fidate", ossia per meta' italiane, per meta' spagnole ma in ogni caso "vicine" ed "influenzabili" dai rispettivi governi.

Oltre alla precedente implicazione, gravissima da sola, va anche notato che l'acquisto avviene a due centesimi per azione di meno di quanto offerto inizialmente da AT&T e Carlos Slim. Poca roba, ma significativa. Anche perche', scomettiamo?, la questione scorporo/separazione della rete fissa verra' ora accantonata.

Oltraggioso.

P.S. L'editoriale odierno di Francesco Giavazzi viene a proposito. Quanto sta accadendo con Telecom rende la previsione di Francesco sul destino della pseudo-privatizzazione di Alitalia altamente credibile. Doppiamente oltraggioso.

Fra nove mesi, dopo che Sarkozy avra' formato il suo governo in Francia e cominciato a liberalizzare qualcosa (non molto, ma qualcosa liberalizzera' e riformera' per davvero, come sta facendo la Merkel in Germania) l'Italia si rivelera' finalmente per quello che e': il leader incontrastato dell'Europa Medievale. Forse Ratzinger e' piu' italiano di quanto io pensassi.

 

 

 

 

P.S. L'editoriale

odierno di Francesco Giavazzi viene a proposito. Quanto sta accadendo

con Telecom rende la previsione di Francesco sul destino della

pseudo-privatizzazione di Alitalia altamente credibile. Doppiamente

oltraggioso.

 

Io pero' non capisco una cosa: ma e' possibile che a nessuno, neppure ai pochi "volonterosi", venga in mente di raccogliere un po' di firme tra i consumatori per chiedere la privatizzazione o (meglio) la messa in liquidazione dell'Altalia? Magari all'aeroporto, in giornate di ritardi, voli cancellati, agitazioni sindacali e simili... Finche' a lamentarsi saranno solo economisti e qualche raro giornalista, nulla si muovera': ma quando i politici cominceranno a notare un accenno di movimento di massa, forse presteranno piu' attenzione ai consumatori e meno a insiders come boiardi e sindacalisti. Un po' come successe negli anni '80 con la "marcia dei 40000" a Torino, che segno' l'inizio del ripiegamento sindacale.

 

Sono abbastanza ignorante sulla vicenda Telecom, non ho mai seguito attentamente la vicenda, per cui volevo porre una domanda a cui io non riesco a rispondere. La domanda è: esattamente qual è la fonte dei benefici privati derivanti dal controllo?

Cerco di articolare meglio i motivi della mia perplessità.

Primo, di solito i benefici privati sono direttamente correlati con l'ammontare di cash-flow che l'impresa non distribuisce; una fonte tipica di benefici privati deriva dall'uso dei soldi dell'impresa per progetti d'investimento poco profittevoli dal punto di vista finanziario ma attraenti per altre ragioni per chi esercita il controllo (che so, acquisizione di giornali e televisioni, sponsorizzazione di squadre di calcio...). Telecom però esborsa parecchi dei suoi guadagni in interessi sul debito e ha avuto, mi pare, una generosa politica di dividendi. Mentre sul debito c'è poco da fare, il riparto dei dividendi è discrezionale. Perché i controllanti di Telecom hanno deciso di dare i soldi agli investitori comuni anziché tenerli nell'azienda e farci i cavoli loro? Oppure sto ignorando altri aspetti rilevanti?

Secondo, mi rendo conto che ci possono essere benefici non monetari. Un esempio è dato dalla possibilità di effettuare impunemente operazioni di spionaggio telefonico. Un altro esempio è dato dalle dichiarazioni di Bernheim su cui hanno richiamato l'attenzione Guido e Michele: faccio un piacere al potere politico così poi loro fanno un piacere a me (che il potere politico s'immischi in tutto questo è fonte di permanente incazzatura nostra, ma è un discorso separato; nel cercare di valutare le fonti dei benefici lo possiamo prendere come dato). Però tali benefici sembrano molto peculiari al tipo di acquirente.

AT&T e Slim erano disposti a pagare sostanzialmente la stessa cifra del consorzio italo-spagnolo, ossia erano disposti a pagare un simile premio di controllo. Presumibilmente questo derivava dall'esistenza di benefici privati di controllo. Mi sembra improbabile che le fonti dei benefici privati fossero le stesse di Bazoli e Bernheim. Quali erano dunque tali fonti?

 

Forse pecco di ingenuità, ma mi pare che per Slim l' opportunità di sedere da entrambe le parti del tavolo per trattare la cessione di Tim Brazil potrebbe essere un buon premio.

 

 

Sandro, non so risponderti esattamente ma le due offerte praticamente identiche mi fanno pensare quanto segue.

Tenendo a mente la reference di Dyck e Zingales (2004),

supponiamo che i cash flow generati dalla gestione Tronchetti non siano molto

diversi dai cash flow attesi da Bernheim & Co. (ipotesi non così assurda se è

vero che basta una telefonata cordiale a convincere del proprio talento

imprenditoriale nel settore delle telecomunicazioni...).

Il premio di controllo sarà quindi solamente una media dei

benefici privati del venditore (Bv) e dell'acquirente (Ba), ponderata

per i rispettivi poteri contrattuali, λ e (1-λ):

B = λ × Ba + (1-λ) × Bv

Se il venditore ha tutto il potere contrattuale (λ=1),

strapperà il prezzo migliore estraendo tutti i benefici privati attesi

dall'acquirente (Ba). Se il venditore non ha più un briciolo di potere

contrattuale (λ=0), potrà solo incassare il valore dei suoi benefici

privati (Bv).

Visto che il premio di controllo offerto da Telco è

esattamente lo stesso offerto poche settimana fa da AT&T e Slim, viene da pensare

che λ=0 e che, insistendo un po', Tronchetti avrebbe venduto anche ad

una cordata di NfA! Il premio offerto, in altre parole, rifletterebbe solo i

benefici privati di Tronchetti, non quelli attesi dai nuovi controllanti, per

una stima dei quali dovremo probabilmente attendere il prossimo passaggio di

mano (si accettano scommesse sul timing...).

Cosa fossero esattamente questi benefici per Tronchetti,

però, non so dirti. Forse, come suggerisci anche tu, proprio la possibilità di

continuare a distribuire ed incassare dividendi emettendo nuovo debito e,

nonostante quanto si dica, investire meno rispetto alle possibilità e alle

necessità della rete di accesso italiana. Così facendo, però, non ha tenuto

conto del calo fisiologico di λ...

 

 

una risposta in una sola parola: afef. 

piu' seriamente: potere e visibilita' nei media e altrove (ad esempio appunto nei circuiti dove girano afef e le sue amiche). a me pare che  in Italia questa sia spiegazione piu' che sufficiente. se a te il benzinaio sotto casa ti dice buongiorno dottore (o professore), pensa cosa deve dire a lui. non e' nemmeno necessario il ricorso alle intercettazioni per spiegare i vantaggi non monetari ad essere Tronchetti e controllare Pirelli/Telecom.

io voglio sperare che il premio al controllo che ATT era disposta a pagare fosse invece motivato dal fatto che pensavano di poter fare piu' soldi con miglior management. certo non potevano farli con migliori contatti politici, anche se contavano evidentemente (per preferenze rivelate, o offerta ritirata, che dir si voglia) sui profitti dal monopolio della rete. 

 

 

la rete resta privata.

 

Se qualcuno e' disposto a prendere la contraria, mi associo alla scommessa.

Ma credo che non troveremo volontari. Qualcuno ha piu' sentito Gentiloni sparlare da una settimana a questa parte?

 

 

Chiedo scusa se riesumo un vecchio articolo ma ci tenevo a segnalare questo video; dirà qualcosa sulla classe dirigente italiana?

 

 

Suppongo lo dicesse. Al momento dice qualcosa il fatto che, rapido come un fulmine, il video è già sparito da YouTube. Ovviamente, né Telecom Italia né il signor Luca Luciani, che in quel video era apparentemente immortalato a dire enormi boiate, hanno nulla a che fare con la cosa.

Sai l'altro effetto (oltre a quello di avere imprese male amministrate) dell'avere in giro una classe dirigente di così bassa qualità? Che poi la gente, come i commenti al post che hai indicato suggeriscono, fa la rapida conclusione che tutto questo è "colpa" dell'economia di mercato.

Mentre è "colpa" esattamente del suo opposto: monopoli, privilegi, protezioni ed interferenze del potere politico. Telecom sopravvive con la sua dirigenza d'incompetenti per queste ragioni, non grazie al mercato libero. Fosse stato per il mercato, sarebbe ora proprietà di Carlos Slim ...

 

Mi segnalano che e' prontamente finito su repubblica.

 

 

Bellissimo, con quale arroganza sbaglia i congiuntivi e racconta la storia di Waterloo. Un capolavoro.

Pero' su repubblica e' scomparso il nome. 

 

 

Mi segnalano che e' prontamente finito su repubblica.

 

 

Consglio di salvarsi su disco questo capolavoro, nel caso dovesse sparire anche da Repubblica: il file FLV, da 4.2 Mb, sta a http://flv.kataweb.it/repubblicatv/file/2008/tele030408.flv . Puo' poi essere visto localmente con un FLV player .