Il sistema elettorale americano e le elezioni del 2008 (I)

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Negli Stati Uniti la legislazione elettorale è tradizionalmente demandata agli stati, un po' come accade oggi in Italia per i sistemi elettorali delle regioni. Tuttavia il sistema più diffuso per la House of Representative e per il Senato è l'uninominale all'inglese, mentre per l'elezione del presidente si usa il sistema dell'electoral college. Entrambi i sistemi hanno a mio avvviso gravi difetti. In questo post discutiamo l'electoral college e i tentativi di riforma. Nel successivo ci occuperemo di Camera  e Senato.

Iniziamo riassumendo brevemente il sistema di elezione del presidente negli USA (per i più curiosi qui è il sito ufficiale e qui la voce di wikipedia). A ogni stato viene assegnato un numero di voti elettorali pari al numero di deputati e senatori che vengono eletti nello stato. Il numero di deputati è più o meno proporzionale alla popolazione, mentre i senatori sono due per stato. Questo implica una certa sovrarappresentazione degli stati più piccoli. Recentemente, a seguito dell'approvazione del 23esimo emendamento, sono stati aggiunti 3 voti elettorali assegnati a Washington DC, il cui distretto non fa parte di alcuno stato.

Ogni stato è libero di determinare come assegnare i propri voti elettorali. Con due eccezioni (Maine e Nebraska) tutti usano lo stesso sistema: tutti i voti elettorali vanno al candidato che arriva primo nello stato. Maine e Nebraska usano invece il seguente sistema: due voti (quelli ''senatoriali'') vengono assegnati a chi arriva primo nello stato, mentre ciascuno dei voti ''congressuali'' viene assegnato a chi arriva primo nel distretto congressuale di riferimento. Nella elezione del 2008 questo ha avuto la conseguenza pratica che Obama, pur perdendo nel Nebraska, ha vinto lo stesso un voto elettorale, quello corrrispondente al distretto NE-02 che comprende la città di Omaha. 

Ai difetti tradizionali del maggioritario all'inglese, il sistema dell'electoral college ne aggiunge due. Primo, come abbiamo visto, c'è una sovrarappresentazione degli stati piccoli. Secondo, la vittoria di un un candidato dipende in modo cruciale da come sono distribuiti i suoi voti; il sistema sfavorisce quei candidadti che hanno un consenso molto ampio concentrato in alcuni stati. Questi difetti, si noti, tendono a manifestarsi anche in elezioni con due soli candidati.

Credo che tutti (va béh, tutti quelli che leggono post come questo)

ricordino che nel 2000 il candidato democratico venne sconfitto pur

ottenendo la maggioranza del voto popolare. Ai tempi sembrava che il

sistema del collegio elettorale desse un vantaggio ai repubblicani, dovuto principalmente al fatto che i

repubblicani risultavano vittoriosi in molti stati piccoli. Da allora però le cose sono cambiate, e la meccanica dell'electoral college sembra ora favorire i democratici.

Sul sito di analisi elettorale FiveThirtyEight.com, Nate Silver ha calcolato il margine di vittoria di Obama stato per stato, ottenendo la seguente tabella che riproduciamo (Margin è il margine di vittoria di Obama, EV è il numero di voti elettorali dello stato e Total EV è la somma parziale dei voti elettorali degli stati). 

 

La tabella mostra che Obama poteva vincere anche perdendo tutti gli stati dalla Virginia (VA) in giù, ossia gli stati che ha vinto con un margine inferiore all'8%.  In questa elezione Obama ha preso il 52,7% del voto popolare, mentre McCain ha preso il 45,9%. Per capire come il sistema ora favorisca i democratici, chiedetevi cosa sarebbe successo se la percentuale di voti di Obama si fosse ridotta in modo uniforme del 4% in tutti gli stati, mentre quella di McCain fosse aumentata del 4%. In tal modo Obama avrebbe avuto il 48,7% e McCain il 49,9%, per cui McCain avrebbe vinto il voto popolare per il 1,2%. Tuttavia, con questa configurazione dei voti McCain avrebbe comunque perso le elezioni, dato che Obama avrebbe ottenuto 278 voti elettorali.

Cosa è successo? In parte, alcuni stati relativamente piccoli in questa elezione sono passati ai democratici (Nevada e New Mexico). Ma il fattore decisivo sembra essere l'aumento della polarizzazione dell'elettorato. In particolare i voti repubblicani tendono a concentrarsi in alcuni stati che vengono vinti con amplissimo margine. Jay Cost ha prodotto il seguente grafico, che mostra il numero di stati in cui il vincitore dell'elezione presidenziale ha ottenuto più del 10% o meno del 10% della media nazionale (ossia stati ''polarizzati'').

Polarized States.jpg

 

Nel 2008 in ben 18 stati la percentuale di voti di Obama è stata del 10% superiore alla media nazionale o del 10% inferiore alla media nazionale. Risulta evidente l'aumentata polarizzazione a partire dall'elezione del 2000 (in realtà le elezioni del 92 e 96 sono un po' speciali dato che un terzo partito, quello di Ross Perot, prese parecchi voti). Una forte polarizzazione aumenta la probabilità che il risultato del collegio elettorale sia diverso da quello del voto popolare.

 

 

 

Il seguente grafico, elaborati da Andrew Gelman, professore di statistica a Columbia, mostra quali stati hanno aumentato la percentuale di voto democratico tra il 2004 e il 2008. La linea blu rappresenta l'aumento della percentuale di voto popolare per i democratici a livello nazionale.

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

swings2.png

 

 

 

 

 

 


 

 

 

È interessare soprattutto osservare in quali stati i voti democratici sono diminuiti rispetto al 2004 (stati sotto la linea dello zero). A parte l'Alaska, dove i repubblicani hanno sfruttato l'effetto Palin, si tratta in tutti i casi di stati del sud: Oklahoma, Tennessee, Louisiana e Arkansas. Ossia, gli stati repubblicani sono diventati ancora più repubblicani.

 

 

 

 

 

 

 

 

Cosa accadrà in futuro è difficile dire, come abbiamo visto le distorsioni dell'electoral college posso favorire un partito oppure l'altro. La questione diventa: si può provare a riformare il sistema, eliminando almeno le distorsioni più evidenti? Anche se la questione non è sempre all'attenzione del dibattito politico, tende a riaffiorare di tanto in tanto. Per esempio, è stata oggetto di un recente editoriale sul New York Times.

 

 

 

 

 

 

 

Il sistema dell'electoral college è previsto dalla costituzione.  Riformare la costituzione è possibile ma molto complicato; è prevedibile che gli stati piccoli si opporrebbero a una riforma. Ma esiste una via alternativa. La costituzione demanda agli stati il meccanismo elettorale da usare per l'allocazione dei voti elettorali,  scelta che avviene usualmente per legge ordinaria. Se, per esempio, tutti gli stati adottassero il sistema in vigore nel Maine e nel Nebraska la distribuzione dei voti elettorali sarebbe probabilmente più vicina al voto popolare.

 

 

 

 

 

 

La principale iniziativa di riforma attualmente discussa è  il National Popular Vote Interstate Compact. Si tratta di una iniziativa che venne promossa da due professori di diritto costituzionale, i fratelli Amar, dopo l'elezione del 2000 e ha sostegno trasversale. L'idea è quella di riformare le leggi elettorali degli stati assegnando i grandi elettori dello stato al vincitore del voto popolare nazionale. Ogni stato dovrebbe approvare condizionalmente tale legge, e ciascuna legge statale diventerebbe operativa nel momento in cui viene approvata da un numero sufficiente di stati da garantire che la maggioranza del collegio elettorale vada a chi vince il voto popolare. Si noti che non è necessario che tale iniziativa venga approvata da tutti gli stati. Per esempio, se gli undici stati più popolosi approvassero l'iniziativa verrebbero assegnati comunque 271 voti elettorali al vincitore del voto popolare, garantendogli la vittoria. L'iniziativa è stata la momento approvata da quattro stati (Hawai, Illinois, Maryland e New Jersey) per un totale di 50 voti elettorali, ed è sotto discussione in parecchi altri. Chi è interessato ai dettagli dell'iniziativa può andare al sito del comitato e leggere (gratuitamente) il libro scritto dai promotori.

 

 

 

 

 

Quanto sarebbe migliore tale sistema rispetto al sistema attuale? L'idea generale di scegliere il presidente in base al voto popolare nazionale sembra avere vasto sostegno. C'è un buon riassunto dei pro e dei contro dell'attuale sistema su wikipedia.  Ovviamente, anche se tale iniziativa dovesse passare rimarrebbero i problemi legati al maggioritario all'inglese, che tende a funzionare male in presenza di tre o più partiti (per chi è interessato ho spiegato altrove perché ritengo che l'uninominale all'inglese sia un pessimo sistema).

 

 

Elezioni con più di tre candidati significativi sono state assai frequenti nel dopoguerra, fino agli anni Novanta. In tali casi il vincitore del voto popolare spesso ha un consenso abbastanza basso; nel 1992, con Ross Perot che prese il 18.9%, Clinton vinse le elezioni con il 43% dei voti, mentre nel 1968, quando il razzista Wallace prese il 13,5%, Nixon vinse con il 43,4% dei voti. Sarebbe ovviamente preferibile una riforma elettorale più organica e comprensiva, che però al momento non pare rientrare nel novero delle cose possibili.

 

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Commenti

Ci sono 26 commenti

Non vedo alcuna riforma del collegio elettorale all'orizzonte. Non senza provocare una mezza rivoluzione in molti stati, che ci vi sono affezionati.

Va sottolineato che il collegio elettorale non e' il prodotto di una mente contorta, ma il risultato di un concetto di stato federale costituitosi come aggregazione di stati indipendenti lasciando poco spazio al governo federale. Che poi quest'ultimo si sia col tempo accapparrato sempre piu' ambiti d'azione importa poco. Per una aggregazione di stati, aveva senso dare piu' peso agli stati minori, altrimenti non avrebbero avuto nessun ruolo nella scelta del presidente. Il collegio elettorale e' un compromesso rispetto alla misura estrema, la legge elettorale del senato, che equipara gli stati assegnandovi due senatori ciascuno. Compromesso che qualcuno puo' ritenere obsoleto, ma che non pochi americani ritengono valido ed importante. Serve a poco sottolineare i casi in cui presidente eletto non abbia vinto il voto popolare (ricordando pero' che nel 2000 se i voti di tutta la Florida fossero stati tutti ricontati, avrebbe vinto Gore). E' proprio per questi casi che esiste il collegio!

Va anche detto che gli stati maggiori a voto "sicuro" avrebbero una chiara soluzione per "contare" di piu' in campagna elettorale. Basterebbe che assegnassero i loro elettori proporzionalemente. Se cosi' fosse, riceverebbero molta piu' attenzione.  

 

Scusa, puoi dare le fonti per l'affermazione relativa ai conteggi in Florida? Escludendo i "Fan club" e i "fanboy", a me risulta che tutti i vari riconteggi avessero confermato l'assegnazione a Bush.

Grazie

 

 

L’uninominale

anglosassone un pessimo sistema ? Beh tenendo conto che è il sistema adottato

nei due paesi che a turno sono stati la prima potenza mondiale negli ultimi

duecento anni e che hanno preservato la democrazia quando ovunque nel mondo era

sul punto di estinguersi, che garantisce allo stesso tempo governabilità e

alternanza, che permette meglio di ogni altro di instaurare un rapporto

verificabile tra elettore ed eletto, che non genera partiti tentacolari e

clientelari che occupano ogni spazio sociale generatore di potere mi piacerebbe

capire quale sarebbe invece un “buon sistema elettorale” e in base a quali

principi lo si dovrebbe scegliere.

 

Negli USA

il primato del voto popolare c’è, solo su base statale e non centrale. E’ una

conseguenza diretta della natura federale degli USA, cosa che mi pare noi

europei tendiamo sempre a sottovalutare. Fa parte, come sai benissimo, della

storia e della Costituzione americana e sinceramente faccio fatica a capire il

dramma se qualche volta può capitare (raramente) che vinca un candidato che ha

preso meno voti sul piano nazionale.

 

Il

maggioritario inglese funziona male in presenza di tre o più partiti ? Parliamone,

in Gran Bretagna non mi pare funzioni così male e quali casi si danno di paesi

con l’uninominale e più di tre partiti ?

 

Uninominale

= pochi partiti che io sappia…

 

Ma mi pare

di capire, anche dall’altro tuo articolo, che tu non sia d’accordo e sinceramente

non capisco perché.

 

Sono invece totalmente

d'accordo che un sistema maggioritario all'inglese, in cui il primo arrivato

prende il seggio anche se ha una percentuale minuscola dei voti, sia

pericoloso. L'Italia ha un sistema multipartitico che probabilmente durerà un

bel pezzo, e un sistema all'inglese funziona bene solo quando ci sono due

partiti.

 

Cioè tu

parti dal principio che il numero di partiti è più o meno dato e che il sistema

elettorale ci si deve adattare ? Scusa, ma a me pare vero il contrario e semmai

è proprio questo il motivo per cui in Italia è così difficile arrivare ad avere

un efficace sistema maggioritario. Anche se questa volta con solo cinque

partiti in Parlamento, potrebbe essere la volta buona…. Ma non voglio

illudermi, sicuramente troveranno il modo di rovinare tutto.

 

 

 

 

 

 

Sono d'accordo con gmack: l'esperienza Neozelandese ha mostrato che il passaggio dall'uninominale al proporzionale ha reso i governi piu' instabili e piu' soggetti alle pressioni di "special interest groups". Senza l'uninominale secco, le eccellenti riforme liberalizzatrici degli anni '80 e primi anni '90 non sarebbero mai state possibili.

 

Credo che a Sandro non piaccia l' uninominale inglese per la scarsa corrispondenza tra votati ed eletti, e soprattutto per le elevate barriere all' ingresso di nuovi partiti.Che abbia dato buona prova di se è evidente, ma credo che il suo merito sia stato, almeno in buona parte, di preservare delle elite di ottima qualità, e la preservazione delle elite attuali è l' ultima cosa che vorremmo per l' Italia.

Il numero di partiti dipende fortemente dal sistema elettorale, ma al momento della sua introduzione è (ovviamente) un dato indipendente.In inghilterra poi ce ne sono ben più di due partiti , ed almeno il liberaldemocratico (23% dei voti e 9 dei seggi nel 2005) non puo' essere liquidato come marginale. Anzi, la sua assenza di peso nel parlamento inglese è un difetto del sistema elettorale.

Credo comunque che il porcellum, che garantisce a priori la conservazione della specie, sarà duro a morire.

 

 

Mi pare che l'India abbia un sistema plurality e ben più di due partiti, sostanzialmente a causa dell'eterogeneità regionale/statale del Paese.

Io credo che che "funzionare male con più partiti" significhi esattamente rischiare di escludere dagli organi di rappresentanza fette rilevanti di elettorato. Uno la può chiamare semplificazione, altri la possono chiamare deficit democratico.

 

Il commento di gmack mi trova d'accordo. I sistemi "anglosassoni" non saranno perfetti ma hanno dimostrato "sul campo" un'efficacia che altri sistemi, migliori sulla carta, non hanno saputo dimostrare.

Si potrebbe discutere se l'efficacia sia data dal sistema elettorale in sè o da altre istituzioni/consuetudini di questi paesi, credo che l'esempio neozelandese (qui mi fido di Enzo perchè non ne so nulla) deponga a favore del sistema elettorale.

Per quanto riguarda i paragoni con il nostro sistema sembriamo quel mio compagno di scuola che, da adolescente brufoloso e senza ragazza, a proposito della Fenech disse :"Ma dai, non è sta gran figa!".

Personalmente ritengo l'attuale impossibilità di scegliere il nome del candidato una sospensione della democrazia ed il sistema dei rimborsi di fatto rende molto difficile lo sviluppo di nuovi partiti politici che vadano al di là delle liste civiche alle comunali.

Oddio, non è che i partiti scarseggino e che sembrano i difensori del Milan.

Sono tanti... ma trovarne uno valido.

 

 

Il dilemma è sempre quello della rappresentatività/governabilità, e qui le confusioni, mi sembra, sono parecchie.

Se io volessi fare in modo che la rappresentatività sia sempre espressa, non ci sono dubbi: proprzionale all'italiana prima repubblica, con il piccolo difetto dell'ingovernabilità.

Se invece volessi governabilità (nel senso di prendere rapide decisioni) il maggioritario all'inglese, semplificando moltissimo, è un buon sistema. Il massimo di governabilità si ottiene nei regimi dittatoriali.

Il sistema americano, frutto molto di tradizioni localistiche, di gelosia di stati che si sono federati, ma mantengono caratteristiche proprie, mi sembra un accettabile compromesso fra le varie "tensioni" che si creano fra organismi complessi, come quelli isituzionali. La via al  proporzialismo potrebbe anche rappresentare un errore,perchè si creerebbe un inevitabile spostamento verso il centro di tutti i candidati, facendo perdere quel gusto della scelta, che dovrebbe rappresentare un sano organismo rappresentativo .

Io, insomma lascerei tutto così come è, anche perchè non io, ma A. De Tocqueville, pensava che il sistema americano fosse il migliore dei mondi possibili.

I difensori del Milan mi sembrano buoni, senz'altro meglio del "mazzolatore" Materazzi o di "S. Giovanni" Le Grottaglie. Vorrei vedere voi alle prese con un centrocampo che annovera noti incontristi come Kakà, Ronaldinho, Seedorf...

 

Non voglio andare troppo OT. Dico solo che sicuramente i difensori del Milan sono buoni.Per far segnare Stellone ci vuole proprio "il coer in man".

PS sono milanista anch'io!

 

 

Che un sistema elettorale di tipo proporzionale sposti le posizioni dei candidati è un'idea che non trova riscontri empirici (Belgio, Israele, Italia pre-porcellum hanno candidati che tendono al centro?), è logicamente insostenibile (se mi basta prendere un pugno di voti per essere rappresentato, che vantaggio avrei a non sostenere una posizione estrema?) e non è l'indicazione che viene fornita dalla scienza politica: i candidati in un collegio uninominale maggioritario all'inglese tendono al centro, perché ogni voto preso da un elettore "swinging" o comunque centrista, è un voto strappato all'avversario, mentre i voti delle ali estreme sono già "sterilizzati". Inoltri i voti che escono da uno schieramento a favore di un candidato minore, favoriscono il secondo candidato "maggiore" e non il candidato minore al quale il voto è indirizzato, vedi l'enormità di voti che affluiscono al partito Liberaldemocratico che si traducono in un numero di seggi basso. Labour, 35,3% dei voti, 356 seggi, Conservatives, 32,3% dei voti, 198 seggi, Liberal Democrats, 22,1% dei voti, 62 seggi

 

Sandro, ho letto l'articolo del NYT (non ancora quello che hanno scritto gli Amar Brothers). Mi chiedo però se il problema della vittoria contro il voto popolare (tre volte nella storia) non sia di fatto semplicemente una possibilità del tutto innocua provocata da alcuni elettori razionali. Mi spiego: sapendo che il Presidente sarà eletto dai delegati, alcuni elettori di Stati sicuri potrebbero non andare a votare, perchè negli electoral college il loro vota non conta nulla, di fatto. Per esempio: diciamo che in Texas molti sostenitori di Bush non hanno votato perchè sapevano che egli avrebbe comunque vinto nello Stato. In questo modo, essi non sono entrati nel conteggio del popular vote e quindi hanno contribuito - in maniera del tutto calcolata e strategica - allo "scandalo". Se il sistema fosse stato diverso (elezione diretta del Presidente), essi avrebbero invece votato e dunque anche al popular vote GWB avrebbe vinto. C'è un modo per verificare se questo è possibile o sono solo seghe mentali (mi permette il francesismo, in un tuo recente lamentavi l'assenza di signore...)? Ovviamente si può dire lo stesso dei Democrats. Ma, insomma, spero che ci siamo capiti.

 

Grazie a tutti per i contributi. Vorrei replicare ad alcuni degli interventi, cercando di chiarire alcune cose.

1) La questione del maggioritario all'inglese, e se sia o no un buon sistema, è una questione separata dall'esistenza dell'Electoral  College.  È senz'altro una questione che merita discussione ma invito a farlo nei commenti al secondo post, quello relativo a Camera e Senato. Il tentativo di riformare il sistema presidenziale, facendo dipendere l'elezione dal solo voto popolare e non dalla sua distribuzione tra gli stati, è in effetti una applicazione del sistema maggioritario all'inglese. 

Sono a favore della proposta ma sono anche convinto che non sia molto importante. È vero infatti che finora il risultato del collegio elettorale si è scostato dal voto popolare solo tre volte in più di due secoli. Una riforma assai più importante a mio avviso sarebbe passare dall'uninominale all'inglese al doppio turno oppure al voto alternativo. Questo potrebbe essere fatto anche mantenendo il collegio elettorale, semplicemente cambiando le regole a livello statale per la selezione dei grandi elettori.

Il vero rischio del collegio elettorale a mio avviso è che nessun candidato riesca a ottenere una maggioranza. Questo accadde nel 1800 (con un sistema un po' diverso) generando forti tensioni. Era anche l'obiettivo del razzista George Wallace nell'elezione del 1968. Anche se non aveva speranza di vincere l'elezione Wallace sperava di vincere abbastanza stati del Sud (alla fine ne vinse 5) da privare ciascuno dei due partito della maggioranza, diventando quindi kingmaker nell'electoral college. Anche se non è mai successo, il rischio che l'elezione finisca per essere decisa da manovre di corridoi e da partiti minoritari ed estremisti è sempre presente; se possibile, andrebbe evitato.

Faccio anche notare che la costituzione americana non prevede che i voti presidenziali di uno stato debbano essere assegnati unicamente guardando al voto popolare dello stato, che è la ragione per cui l'iniziativa dei fratelli Amar è possibile. Questo è differente da quanto contenuto, ad esempio, nella costituzione italiana, dove all'art. 57 si afferma esplicitamente che il Senato è eletto ''su base regionale''. In altre parole, non mi pare che nella costituzione americana l'electoral college venga inteso come una garanzia di federalismo. Se così fosse i grandi elettori verrebbero ripartiti più equamente tra li stati e verrebbe posto un vincolo simile all'art. 57 della costituzione italiana. Le garanzie federaliste nella costituzione americana sono altrove, per esempio nel sistema di elezione del senato.

2) Non mi voglio sottrarre alla discussione sul maggioritario all'inglese. Gmack chiede cosa sia ''un buon sistema elettorale''. Ho scritto, per chi è interessato alla mia modesta opinione, un post qualche tempo fa esponendo le mie considerazioni sull'argomento. Sono assolutamente contro il proporzionale, ma ritengo che tra i sistemi maggioritari il doppio turno o il sistema australiano raggiungano gli obiettivi di governabilità e stabilità molto meglio del maggioritario all'inglese, evitando di sacrificare gli incentivi all'entrata di forze politiche potenzialmente competitive.

L'evidenza disponibile dimostra chiaramente che il maggioritario all'inglese tende a ridurre il numero dei partiti, ma un bipartitismo (quasi) perfetto si osserva praticamente solo negli USA. Paolo ha già ricordato l'esperienza dell'India, ma anche il Canada (per restare in ambito anglosassone) ha un sistema partitico abbastanza frammentato.

L'esperienza italiana con il parziale elemento maggioritario contenuto nel Mattarellum è stata a mio avviso abbastanza disastrosa, come ho discusso altrove. Sia nel 1996 sia nel 2001 i risultati elettorali sono stato determinati essenzialmente dalle alleanze (o loro mancanza) ex ante, più che da mutamenti nell'orientamento politico degli elettori. 

 

Bene, salto il punto (1) perchè vivo in Italia e sono più interessato alla situazione qui che non altrove e provo a inserirmi sul punto (2), appoggiando le mie argomentazioni sulla solida base della mia beata ignoranza dei teoremi di Gibbard–Satterthwaite, Arrow e quant'altro. Peraltro mi pare che detti teoremi, riconoscendo che non esiste una metodologia per determinare a tavolino un sistema elettorale ottimale, contribuiscano a portare acqua al mulino dell'analisi storica e sociale con cui mi trovo molto più a mio agio.

Di primo acchito, posso solo dire che India e Canada mi sembrano paesi con forti minoranze etniche concentrate in determinate regioni e quindi un caso poco rappresentativo dell'Italia. In una situazione come quella capisco bene che il bi-tri-partitismo vada a farsi benedire, qui da noi non succederebbe al massimo potrebbe sopravvivere la Lega.

Poi non definirei l'esito del Mattarellum abbastanza disastroso. Direi che è stato un disastro totale e sicuramente l'obiezione più forte che si possa fare all'uninominale applicata alla situazione italiana. La mia risposta è che il proporzionale è un veleno per la democrazia e un cocktail con il 25% di veleno è sempre mortale, specie su un organismo già debilitato da 45 anni di avvelenamento continuo. Fuor di metafora: per far fuori la casta ci voleva una cura da cavallo, non l'aspirina del mattarellum. La quota proporzionale ha consentito alla partitocrazia di continuare a vivere, prosperare e addomesticare il resto.

Prometto che studiero' il sistema australiano. Ma nel frattempo mi si lasci continuare a pensare che l'uninominale sarebbe il sistema elettorale migliore, almeno riferito alla situazione italiana.

Perchè abbiamo un disperato bisogno di meno partiti. Magari altrove è diverso, ma qui è così.

Perchè abbiamo un più disperato bisogno di governabilità e in duecento anni nessun presidente USA si è mai dovuto dimettere perchè la sua maggioranza si era sfaldata. Altri sistemi danno maggiore governabilità e stabilità ? Ottimo, ma io sono uno che si accontenta.

Perchè disarticola il clientelismo, la partitocrazia e il voto di scambio. In Olanda queste possono non essere questioni dirimenti, qui sì.

Perchè la frase più gettonata delle tribune politiche da autobus dopo l'eterno "Tanto rubano tutti" è "Si vota tutti i momenti e non cambia mai niente". Doppio turno ? hmmmm...

Perchè la Francia che ha il doppio turno non mi pare un modello di innovazione politica.

Perchè se bastasse la presenza di nuove formazioni politiche per innovare il modo in cui si fa politica qui in Italia dovremmo essere davanti a tutti dato che ormai tutti gli anni i partiti cambiano (nome). Mentre Zapatero e Obama arrivano da partiti che esistono da (due)cento anni.

Perchè è qualcosa che posso spiegare a mia madre:

"Mamma devi mettere una

croce su una scheda con due (tre) partiti, ognuno ha un solo candidato,

chi prende più voti in questo collegio viene eletto, chi vince in più

collegi ha vinto le elezioni". Mia mamma (75 anni ben portati, licenza

elementare) lo capisce in 30 secondi.

La democrazia deve essere

comprensibile a tutti.

Ammericà, nun fa come noantri... tenetevi il vostro sistema che funziona, funziona.

 

 

 

Col sistema inglese in Italia ci troveremmo a disputare ogni seggiotra

un' uomo di BS ed uno di VW o chi per esso.Finirebbe per garantire lo

status quo perfino meglio del porcellum.

Purtroppo, non credo esistano sistemi elettorali in grado di liberarci senza colpo ferire del nostro ingombrante passato. E presente. Temo che per intanto il meglio che si possa chiedere a una legge elettorale è di garantire un minimo di governabilità ed impedire la proliferazione di mille nuove botteghe più o meno oscure, che di nuovo hanno solo il nome e sono lì solo per prendere il posto delle vecchie, o anche solo per raccattarne le briciole. Credo poco nel potere salvifico dei nomi e in assenza di altri cambiamenti, qualunque legge elettorale che consentisse la nascita di "nuovi soggetti" porterebbe solo ulteriore frammentazione e ingovernabilità.

Quello che non mi convince nell'impostazione di chi vuole il doppio turno è proprio questa idea che il problema sia il bi(tri)partitismo, perchè non permetterebbe di far emergere soggetti politici nuovi. Io penso invece che il bi(tri)partitismo consenta ai soggetti "vecchi" di rinnovarsi continuamente, e anzi li obblighi a farlo svecchiando continuamente i loro gruppi dirigenti. Il Labour dopo Blair è molto diverso da quello che era un tempo e i tories di Cameron non mi sembrano quelli della Thatcher. E se questi due partiti non soddisfacessero più il loro elettorato ci sono i liberaldemocratici che possono prendere il loro posto. Cos'altro serve per far funzionare una democrazia ? Cosa se ne farebbero gli inglesi di venti altre scelte più o meno fasulle ?

In questi ultimi quindici anni in Italia abbiamo visto l'avvicendarsi di più sigle politiche, quasi tutte effimere, che tutto il resto d'Europa messo insieme. Che ne è stato di tutto questo "nuovo che avanza" ?

Abbiamo visto migliaia di facce nuove. Non sono sicuro che Calderoli invece di Cirino Pomicino e Gasparri invece di Nicolazzi rappresentino un cambiamento interamente per il meglio e non sto ironizzando (altrimenti avrei detto Moro e Pertini) solo constato che se non si cambiano le regole del gioco in modo da garantire alla macchina della politica di riprendere a funzionare, ameno al minimo dei giri, rischiamo solo di avvitarci in una sequenza deprimente di scelte sempre più frustranti e improduttive e non ci sarà mai nessun nuovo soggetto in grado di riportarci sui binari.

Dalla situazione attuale non può uscire nessun Obama, nessuno Zapatero, nessun Cameron. Perchè qualunque elemento innovatore verrebbe immediatamente sterminato dal sistema partitico, oppure cooptato. Bisogna prima indebolire la partitocrazia. E per indebolirla.... avete già capito dove vado a parare.

 

Sbaglierò, ma credo che un doppio turno spinga comunque vero un bi-tri partitismo, ma lasciando la porta aperta ai singoli outsider.Non so quanto possano indebolire la partitocrazia, ma penso più di un sistema bloccato a priori.

Se pensi all' inghilterra, col doppio turno rischierebbe seriamente di trovarsi con governi di coalizione, e quindi meno governabilità e più compromessi, ma in cambio non ci sarebbero distretti sicuri e la corsa al candidato più appetibile sarebbe spietata.

Quanto al numero di partiti non preoccuparti:l' unico partito piccolo che può ragionevolmente sperare di far eleggere qualcuno con un sistema maggioritario di qualunque tipo è la lega, e sarebbe comunque minoritaria.