Un SI contro il ritorno alla prima repubblica

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Se vince il SI al prossimo referendum costituzionale non ci saranno grossi miglioramenti. Se vince il NO invece la situazione peggiorerà, e parecchio.

Una ''avvelenata'' iniziale

Non so voi, ma io di riforme costituzionali non ne posso più. Ero un pischelletto che faceva ancora l'università, nel lontano 1983, quando venne formata la prima commissione bicamerale, la Commissione Bozzi (me lo ricordo perché ho un caro amico con lo stesso cognome; no, niente a che fare con il politico). Da allora è stato uno stillicidio. L'unico progetto di una certa consistenza che venne effettivamente portato a termine fu quello che partorì la riforma del 2001; riforma brutta e inutile, a cui il progetto attuale tenta di porre rimedio.

La ragione per cui in questi trenta e più anni non è stato combinato quasi nulla, o si sono peggiorate le cose, è a mio avviso molto semplice. Le riforme costituzionali, nel pensiero e nell'azione delle classi dirigenti italiane, sono state usate principalmente per evitare di affrontare mediante ordinarissima legislazione i principali problemi, soprattutto economici, del paese. All'inizio degli anni Ottanta lo stato italiano aveva iniziato a macinare deficit annuali da più di 10% del PIL e l'inflazione stava sopra le due cifre. Era chiaro che, in assenza di mutamenti profondi soprattutto in tema di spesa pubblica, la situazione sarebbe diventata insostenibile. Ma intervenire sulla spesa pubblica è, da sempre e ovunque, molto costoso in termini elettorali. Diventa poi quasi impossibile quando il sistema elettorale è proporzionale, per cui ciascun gruppo sociale che beneficia di una qualche parte della spesa può con molta facilità trovare un partitino (o una corrente di partito) di riferimento nel governo che farà della sua difesa la propria ragione di vita. Pertanto non si intervenne, e la situazione marcì fino all'esplosione del 1992. Parlare di riforme costituzionali era allora, ed è adesso, un modo conveniente per i leader politici di far credere che si sta lavorando a qualcosa di serio e importante (La Costituzione! Le Regole del Gioco! I Princìpi Fondamentali!) senza prendere le decisioni difficili che vanno prese per raddrizzare un sistema insostenibile. ''Sempre meglio che lavorare'', come dice una flessibile battuta.

Ora, non fraintendetemi, non è che tutte le riforme istituzionali siano necessariamente roba poco rilevante. Per esempio, una profonda revisione del regime delle regioni a statuto speciale sarebbe molto utile e quanto mai opportuna, e lo sarebbe stata anche trenta anni fa. Ma non si è fatta, non si sta facendo con questa riforma, e non si farà nel futuro, dato che nessuno può permettersi di avere 5 regioni contro alle elezioni successive. E come non si è fatta la riforma delle regioni a statuto speciale, così non si sono fatte tante altre cose. D'altra parte, se lo scopo delle riforme costituzionali è dare l'impressione che si sta facendo qualcosa di serio e importante senza al tempo stesso risolvere alcun problema reale per evitare di perdere consensi, è ovvio che non ci si può attendere gran ché.

Questi trenta e passa anni di discussione delle riforme costituzionali non sono stati completamente inutili. Ci hanno anche regalato momenti di simpatica e autentica ilarità. Tra i più importanti vogliamo ricordare la divertente campagna condotta dal duo comico Ostellino-Tremonti (''OT'' per gli amici, ma anche off topic rispetto alla decenza), che a un certo punto individuò finalmente nel secondo comma dell'art. 42 (''La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti'') la causa di tutti mali della Repubblica. Vedete, fu la necessità di mantenere la funzione sociale della proprietà che impedì al povero Tremonti di mettere mano a liberalizzazioni e riduzione della spesa pubblica, altrimenti ne avremmo viste delle belle e il paese ora crescerebbe a tassi cinesi. Ma il maledetto comma 2 dell'art. 42 ha impedito tutto questo. Che tempi quelli, quante risate, quante discussioni dadaiste.

E la riforma dell'art. 81, quello sul pareggio del bilancio, ve la ricordate? Che cosa simpatica! Tutti, o quasi, i partiti che votarono a favore. Pensa un po', si dichiarava nella costituzione che il bilancio pubblico deve essere in pareggio ''tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico''. Una banalità ragionieristica, ma la facero passare per lo strumento chiave che avrebbe finalmente risolto il problema del debito pubblico. O che avrebbe definitamente seppellito il paese grazie alle feroci politiche restrittive, a seconda dei casi. Anche lì, quanto ci siamo divertiti, vi ricordate? Con i vari capipartito che su questa banalità cercavano di costruire la fama di austeri e arcigni guardiani del bilancio pubblico, pronti a dar lezioni ai tedeschi. E, dall'altra parte, gli eroici oppositori che rifiutavano la svendita della nazione alle banche, alle multinazionali e (poteva mancare?) al neoliberismo, capeggiati dall'imprescindibile prof. Rodotà. Affermazioni roboanti da una parte e dall'altra, alle quali un comico che andava di moda sempre quand'ero pischelletto avrebbe risposto con una famosa invocazione a Nostra Signora. Momenti impagabili, di autentico e contagioso buonumore.

E così, di risata in risata, arriviamo alla riforma odierna. Più o meno in linea con le precedenti, un tentativo di mostrare che si fanno cose importanti e risolutive senza fare assolutamente nulla di importante e risolutivo. Condita, anche in questo caso, dalle urla assordanti di quelli che si oppongono spiegando quali terrificanti sciagure si abbatterebbero sul paese se la riforma dovesse passare. Mi perdonerete se non ce la faccio a prendere tutte queste discussioni sul serio. No, non è vero che il principale problema dell'Italia nell'ultimo mezzo secolo è stato il bicameralismo e la lungaggine dei processi legislativi. È falso almeno quanto era falso imputare i problemi del paese all'art. 42. Il problema è che si sono continuate a fare pessime leggi perché le coalizioni politico-sociali dominanti (non parlo dei partiti, parlo proprio dei cittadini) così volevano.

No, non è vero che se si elimina il bicameralismo perfetto si precipita nella dittatura, veramente c'è bisogno di discutere di una cosa del genere? No, non è vero che il risparmio di 500 milioni l'anno di ''costi della politica'' (questa è la cifra propagandata dal fronte del sì, che presumo costituisca un limite superiore a qualunque stima realistica) sarà risolutivo dei problemi della finanza pubblica. Intendiamoci, anche un risparmio di un singolo euro è più che benvenuto e l'idea che finalmente gli inutili tromboni del CNEL smettano di succhiare soldi come pompe idrovore è unsaccobbella, ma alla fine della fiera i famosi 500 milioni sono meno dello 0,1% della spesa pubblica. Siamo nei dintorni dell'errore statistico di misura, o se preferite dello stormir di fronda dei tassi di interesse sul debito pubblico. Per attaccare sul serio la spesa pubblica devi ridurre la spesa pensionistica, e quello è suicidio politico, da cui l'esigenza di parlar d'altro. Infine no, non è vero che la maggiore lunghezza dell'art. 70 (quello che disciplina le competenze della Camera e del Senato) complicherà irrimedialmente lo scenario istituzionale. Bella scoperta che è più lungo, prima bastava dire che Camera e Senato fanno esattamente le stesse cose. L'eliminazione del bicameralismo perfetto resta comunque una buona cosa (anche se certo non risolutiva di nulla), anche se ora tocca specificare in costituzione cosa fa la Camera e cosa fa il Senato.

Conviene quindi lasciar perdere e non andare proprio a votare? Mi piacerebbe, ma purtroppo no, e la ragione è che il NO alla riforma non è equivalente al mantenimento dello status quo. Ci condurrebbe invece dritti dritti al ritorno al proporzionale più o meno puro, e questo sarebbe devastante. Ma andiamo per ordine.

Le conseguenze di un NO al referendum

Tra i vari compiti non svolti durante questa legislatura, perché si faceva troppa fatica, è la riforma elettorale del Senato. Qui bisogna fare un passo indietro e ricostruire con cura la storia, perché i dettagli, ancorché noiosi, sono purtroppo importanti. Quindi, vi chiedo un po' di pazienza. Allora, tutto cominciò nel cupo autunno del 2005, quando una banda che faccio molta fatica a non definire di delinquenti (Berlusconi, Bossi, Casini e Fini, in ordine alfabetico) ebbe la bella idea di cambiare la legge elettorale a pochi mesi dalle elezioni, e lo fece a colpi di maggioranza. Ci riuscirono in brevissimo tempo, con tanti saluti a chi ci racconta che è il bicameralismo perfetto la causa della lentezza legislativa. Il risultato del loro sforzo fu una legge elettorale orribile che ben presto tutti iniziarono a chiamare porcellum. Con il quale porcellum gli italiani elessero tutti contenti e giulivi non uno, non due ma ben tre parlamenti (nel 2006, 2008 e 2013), trovando nel frattempo il modo di far fallire, ancor più giulivi e con il più basso tasso di partecipazione mai registrato, alcuni referendum tesi a eliminarne almeno le caratteristiche più criminali della legge elettorale.

Ma a questo punto, colpo di scena! Si sveglia la Corte Costituzionale che, con eccezionale tempestività, a soli 8 anni dalla approvazione della legge porcata, il 4 dicembre 2013 la dichiara incostituzionale (incidentalmente, uno degli aspetti migliori della riforma costituzionale che quasi da solo mi fa propendere per il SI è che le nuove leggi elettorali possono essere sottoposte a giudizio di costituzionalità prima di entrare in vigore; si veda l'art. 73). Questo costrinse le forze politiche ad affrontare sul serio la riforma della legge elettorale. Nessun partito o coalizione aveva i numeri per governare o fare riforme, per cui si giunse, in un processo lungo e rocambolesco, con mezzo parlamento che intanto si spostava da un gruppo parlamentare all'altro, alla riforma chiamata ''Italicum'' per la Camera. Una legge pessima, di cui il meglio che riesco a dire è che almeno non è una legge proporzionale. Probabile che, date le forze in campo, non fosse possibile fare meglio, ma questa è una discussione per un altro giorno. In ogni caso, esausti dallo sforzo di riformare la legge elettorale per la Camera, i nostri cari parlamentari abbandonarono completamente qualsiasi sforzo di riformare la legge elettorale per il Senato, che grazie alla sentenza della Corte Costituzionale era diventata un proporzionale quasi puro. Tanto, ci venne detto, il Senato cambierà completamente con la riforma costituzionale e quindi di una nuova legge elettorale non c'è bisogno. Giusto, ma se poi la riforma costituzionale non passa? Eh.

E così arriviamo all'oggi. Dato l'ampio ed eterogeneo fronte che propende per il NO, il passaggio della riforma al referendum prossimo venturo è tutt'altro che scontato. Se il NO vincerà ci troveremo con un bel bicameralismo perfetto e due sistemi radicalmente differenti per eleggere le due camere, l'Italicum per la Camera e il proporzionale più o meno puro per il Senato. Per come stanno le cose ora, e se non intervengono cambiamenti legislativi, questo significa molto probabilmente ingovernabilità assoluta. Il M5S presumibilmente avrà, grazie all'Italicum, la maggioranza alla Camera mentre il proporzionale ci darà un Senato senza maggioranza, in cui comunque il M5S rifiuterà qualunque coalizione. È probabile tuttavia che dopo il NO la legge elettorale venga cambiata, reinstallando anche alla Camera un sistema proporzionale. Ritorno completo alla prima repubblica, con il M5S a fare la parte del PCI, destinato all'opposizione a vita, e tutti gli altri a fare la parte del pentapartito, destinati a gozzovigliare e malgovernare a vita. Eccetto, naturalmente, che ora il debito pubblico è immensamente più alto e che l'acquisto di consenso a colpi di deficit del 10% non è più possibile. 

Tornare al proporzionale è l'equivalente di spostarsi da uno stagno fangoso per buttarsi direttamente nelle sabbie mobili. Se pensate che adesso il sistema politico sia lento, inadeguato e incapace di dar risposte ai problemi reali del paese, aspettate di avere defatiganti coalizioni governative con 6-7 partiti e uno stato di campagna elettorale permanete e poi ne riparliamo. Se pensate che adesso gli incentivi ad acquistare il consenso dei gruppi sociali più svariati a suon di spesa pubblica siano troppo forti, aspettate che torni il proporzionale e poi ne riparliamo. E se pensate che queste riforma costituzionale non sia abbastanza buona, aspettate di vedere cosa riesce a partorire un parlamento eletto con il proporzionale e poi ne riparliamo. Per quel che mi riguarda, il ritorno al proporzionale va evitato come un'epidemia di peste bubbonica. Questo è il principale motivo per cui voterò SI.

Ma più nel merito?

Una volta spiegato che il mio SI è strumentale a evitare un ritorno al proporzionale, resta la domanda: ma la riforma in sé è buona o cattiva? Per evitare di allungare un articolo già troppo verboso dico sempllicemente che su questo la mia risposta non si discosta da quella che su nFA ha dato Giovanni Federico: la riforma produce una situazione marginalmente migliore dell'attuale, senza produrre risultati roboanti. Ho trovato inoltre molto pertinenti le osservazioni di Roberto Bin, docente di diritto costituzionale a Ferrara; i lettori più affezionati ricorderanno un suo intervento su nFA ai tempi in cui, in pochissimi, combattevamo contro la porcata Alitalia. Come sfizio personale aggiungo che, da emigrato, sono dannatamente contento che vengano eliminati i senatori eletti all'estero, anche se purtroppo restano i collegi esteri per la Camera.

Due parole infine sugli argomenti per il NO apparsi su questo sito. Giovanni Accolla dice che il suo cuore ''batte per i sistemi proporzionali''. Fa quindi benissimo a schierarsi per il NO, dato che è proprio lì che la bocciatura della riforma ci porterà. Il mio cuore invece batte per il sistema australiano, o in alternativa il doppio turno di collegio, e il cervello mi dice che il proporzionale servirà solo a invischiare il paese ancora di più nella melma. Quindi voterò SI. Let's agree to disagree. Sull'articolo di Michele Boldrin, di nuovo rimando a Giovanni Federico, ma aggiungo una cosa.

Io ho completamente abbandonato la speranza che in Italia si possa attuare una qualche forma di federalismo responsabile. È assolutamente evidente, dopo più di un quarto di secolo di discussioni e tentativi, che gli italiani il federalismo non lo vogliono, punto e basta. Non lo vogliono né al Sud né al Nord. I partiti politici, a cominciare dalla Lega, riflettono semplicemente questa contrarietà generale della popolazione; basta guardare all'ostilità verso la tassazione degli immobili, che è la pietra angolare di qualunque federalismo fiscale minimamente funzionante e responsabile. Quindi no, non mi si può venire a dire che questa riforma è da rigettare perché non attua il federalismo responsabile e ben disegnato che piacerebbe a me, Michele Boldrin e forse un altro 0,5% dell'elettorato italiano. Quella cosa lì non ci sarà e non ci può essere per la elementare ragione che gli italiani, in stragrande maggioranza, non la vogliono. Questa riforma corregge le assurdità sulle competenze condivise introdotte nella riforma del 2001, che francamente su questo punto sembrava scritta da liceali che si erano fatti troppe canne (si dice ancora ''canne''?). Nel farlo, rende il paese un po' più centralista e un po' più razionale. Meglio così piuttosto che le altre alternative possibili. Per le alternative ideali ma impossibili ci possiamo sempre trovare in qualche convegno.

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Commenti

Ci sono 60 commenti

... mi  prendo il lusso del primo commento. Che è per parti

1) L'analisi storica di Sandro io la condivido al 99% (vedi sotto al punto 2) per l'1% che non condivido). Essa implica, in particolare, che quasi tutte le ragioni "non di politica contingente" ma "di merito" adotte per il approvare questa riforma costituzionale non reggono, sono fondate su delle balle. Concordo. Questa riforma è l'ennesima pagliacciata in cui si fa finta di introdurre un cambiamento epocale ed invece si cambia nulla di sostanziale ed i problemi rimangono invariati. Conseguenza logica: è una presa in giro che convincerà il "popolo" che la soluzione è stata trovata mentre così non è. Produrrà, quindi, speranze infondate che, anni dopo, tali si riveleranno. Se ad un malato diamo un placebo convincendolo d'avergli dato la cura gli facciamo del male (in certi paesi comettiamo un crimine) perché lo convinciamo a non cercare più una cura, problema risolto. Invece no, problema non risolto ed aumentiamo la probabilità che muoia. Conclusione: vuotare per il SI implica aumentare le probabilità che l'infermo muoia. QED.

2) L'unica ragione sostanziale per votare SI, se leggo bene, è che così salta il proporzionale. A dire il vero Sandro aggiunge altre ragioni, marginali, per il SI ma, su quelle, ritorno al punto 3) successivo. Questa, se non sono diventato ebete, è la ragione chiave. Bene, Sandro accetta un punto chiave della mia riflessione svolta qui: che la riforma costituzionale è parte chiave dell'Italicum, legge elettorale che eliminerebbe il proporzionale. Proviamo a concentrarci su questo punto perché qui ci sono due voli pindarici, anzi tre: uno logico, uno storico ed uno di contingenza politica. Vediamoli uno alla volta. 

2.1) Volo pindarico di contingenza politica: il folle sistema elettorale che l'Italicum costruisce rischia, oggi come oggi, di consegnare il paese ai grullini con i voti della destra rancida, quella di Salvini e soci. Se a Sandro questa sembra una buona idea vuol dire che anche lui s'è iscritto al partito del "tanto peggio tanto meglio". Io non ancora, anche se son spesso tentato dal farlo. Sia come sia, meglio essere chiari: nella contingenza attuale l'Italicum elimina il "maledetto proporzionale" e consegna il paese a dei pazzi. Devo aggiungere altro? QED

2.2) Volo pindarico storico: la causa di tutti i mali è il sistema proporzionale. Questa è una tesi ancora di moda fra gli economisti che s'interessano di economia politica e che venne propagandata, a suo tempo, da svariati colleghi, Guido Tabellini in primis. A me è sempre sembrata indifendibile sul piano storico. Il proporzionale, di per se, ha implicato nulla. Un commento sul blog non è il luogo per scrivere un paper che non ho mai scritto sul serio ma basta guardarsi intorno per vedere decine di paesi che vivono decentemente con un sistema proporzionale. La frantumazione partitica italiana è prodotto di un sistema sociale frantumato che i partiti politici non riescono ad "aggregare", non viceversa. Durante i quasi tre decenni della grande crescita italiana (dal 1946 a inizio anni '70) l'Italia ha vissuto decentemente con il proporzionale. Dal 1994 circa ad oggi abbiamo di fatto eliminato il proporzionale, sia pure in modo imperfetto, ed abbiamo fatto peggio. Non esiste alcuna evidenza storica che il proporzionale, nelle sue mille forme anche corrette come in Spagna e Germania, faccia i danni che molti gli attribuiscono. I danni vengono da una situazione sociale ed una cultura politica che non riesce ad aggregare gruppi sociali consistenti su progetti di riforma. Fare finta che il proporzionale sia la causa di tutti i mali è fantasia: Berlusca (o Prodi) governarono senza proporzionale eppure fecero meno e peggio dei governi degli anni '50 e '60 che si reggevano sul proporzionale. Che alcuni, non buoni, papers di venti o trenta anni fa continuino ad essere la fonte di una pseudo-verità acquisita mi sembra pericoloso assai. Certamente è un falso storico, sul quale non mi sento di fondare il voto. Diciamo che, in questo caso, finisce uno a uno, l'argomento storico non sostiene né l'uno né l'altro voto. 1-1 QED

2.3) Volo pindarico logico: l'Italicum creerà la tanto agognata aggregazione stabile al governo? Ho articolato nel mio articolo iniziale le ragioni concrete per cui questa previsione logica mi sembra francamente insostenibile. Sino ad ora nessuno mi ha risposto, quindi l'argomento resta. E lo ribadisco: uno sguardo anche solo sommario alle democrazie occidentali che contano (USA, UK, Germania, Francia, Spagna ...) suggerisce che un processo di frantumazione sociale e politica sia in corso. Su questo sentiero l'Italia è "avanti", nel senso che da noi la frantumazione sociale e politica è in atto da tempo. Cosa fa credere ai sostenitori del SI e quindi dell'Italicum che quella roba lì costruirà coalizioni di governo basate sul binomio "destra-sinistra" stabili" ? Nessuno me l'ha ancora spiegato. Io attendo paziente ma ricordo che, chiaramente, dentro al PD si sta formando di nuovo il "PCI" o come lo volete chiamare. La destra è frantumata in due parti ed in "mezzo" c'è pure il M5S. Io conto almeno 5 aggregazioni politiche fra di esse ostili, più quel rutto chiamato "Centro" che, in reverse alphabetical order, Zanetti, Verdini, Fini, Alfano ed altra immondizia umana e politica sta cercando di creare. Se qualcuno pensa che da questa variegata subumanità, per magico effetto dell'Italicum, possano uscire coalizioni di governo stabili io vorrei sapere cosa vi fumate che compro anche io. QED

3) Le ragioni nel merito. Ho letto la cosa di Mister Bin e, francamente, non ci ho cavato un beato nulla. Mi sembrano chiacchiere vuote d'un azzeccagarbugli fra i tanti che proliferano nel bel paese. Qualcuno, più astuto di me in diritto costituzionale, mi spiegherà where the biting is, i miei denti non l'hanno afferrato. Il fatto è che, per impossibile che sia il federalismo, il problema della divergenza territoriale italiana e del parassitismo del Sud non viene certo eliminato dalla decisione di ignorarlo. I burocrati romani hanno CREATO la Lega Nord e tutto il resto governando, dal centro, la spesa pubblica per circa 40 anni. Cosa fa pensare a Sandro che nel futuro andrà meglio? Altro argomento non vedo e, con tutto il rispetto che ho verso Giovanni Federico, non mi pare proprio che il suo intervento abbia risposto alla sostanza del mio. Giovanni sostiene un  argomento di contingenza politica, legittimo ma (vedasi 2.1 sopra) a mio avviso perdente. QED

Rimane il dovere dell'intellettuale che, m'interessa dirlo, noi abbiamo il dovere di assolvere. E questo dovere, sulla base di quanto detto, mi spinge a ribadire che nulla in quanto argomentato da Sandro e Giovanni risponde alla questione di fondo: il paese non ha rotta, non ha visione, non ha meccanismi istituzionali capaci di creare incentivi per aggregazioni sociali riformatrici. A fronte di tutto questo la riforma Boschi  e l'Italicum sono solo una gigantesca pippa piena di oppio. Fumare oppio, quando stai muorendo di cancro, rende allegri e fa sorridere per un po' di tempo. Ma favorisce la morte sicura in un arco di tempo relativamente breve per assenza di cure e per abbandono d'ogni sforzo di trovarle. 

Preferisco che il malato non fumi dell'oppio ma riceva una bella sberla che gli ricordi che sta morendo di cancro e che, al momento, non si sta curando. Se poi decide di morire lo stesso, cazzi suoi. Io, che di professione faccio il medico, il mio dovere l'ho fatto: gli ho detto di curarsi per davvero e smetterla di fumare dell'oppio, per toscano che esso possa essere. 

 

se permetti non ho nessuna voglia di trovarmi di fronte all'alternativa fra grande ammucchiata e grillini (o magari grande ammucchiata ora e grillini nel 2018) solo perchè tu vuoi fare il puro ed il  duro. In ambedue i casi, se vince il NO comunque il malato sarà illuso: dalla grande coalizione per le ragioni dette da Sandro (finchè durano i soldi) e dai grillini per definizione. Sono molto peggiori di Renzi perchè spacciano illusioni molto più pericolose -quella che il problema sia la Ka$ta e non gli italiani. 

 

Non rispondo all'analisi storica - devo finire di preparare una lezione. Comunque ti ricordo che il deficit è iniziato ad aumentare dopo la creazione delle regioni a statuto ordinario (1973). Sandro ha già messo il dito nella piaga: le regioni in Italia sono un centro di spesa clientelare, non di entrate. Potremmo parlare per mesi sul federalismo ideale ma questo è quello reale.

E non mi sembra che ci sia da preoccuparsi dell'Italicum: ormai tutti vogliono ca

as usual nelle discussioni sul tema referendum, è perentorio e difficile da confutare. 

In ogni caso, mi pare a questo punto la discussione sia davvero il metagaming di cui parla Capaneo. Se avessi tempo, ciò che adesso non è, farei una sommaria elencazione dei difetti "tecnici" della riforma, dopo di che sarebbe bello un confronto su di essi, sine ira ac studio.  

se vincesse il "combinato disposto", affinchè ci sia un governo 5s il 50%+1 dei votanti al secondo turno deve mettere la crocetta sul loro simbolo,. Per quanto possiamo pensare che questo sarebbe una male per il paese, sarebbe la volontà dell'elettorato.

Ritengo che in un'ottica di piena separazione dei poteri, il potere legislativo debba fare le leggi e solo le leggi. Per questo compito il proporzionale è il massimo della rappresentatività possibile, perchè tutti hanno diritto di tribuna delle idee e devono trovare il consenso su ogni specifico punto (legge).
Invece il potere esecutivo è altra cosa. Io eliminerei la fiducia parlamentare ed eleggerei l'esecutivo  direttamente (fiducia popolare).  Ovviamente con un sistema maggioritario. Chiaro che però dobbiamo indenderci su quali compiti siano affidati al potere esecutivo. E naturalmente dovrebbero essere scritti nella Costituzione. Cosa che ora manca. Provate a cercarli. Non troverete nulla. Trovate come viene nominato il governo, fiduciato o sfiduciato ma cosa fa è un mistero che  i padri fondatori si sono portati nella tomba. Se c'è una cosa da chiarire nella Costituzione è proprio questa: gli ambiti di autonomia ed i rispettivi compiti dei poteri.

concordo sul ritorno al proporzionale come esito più probabile della vittoria del NO e sulla elevata probabilità che porti ad una riedizione del pentapartito con un'alleanza PD-FI al governo. Ma il vecchio pentapartito durò una decina di anni distribuendo soldi a destra e a manca. Ora i soldi non ci sono più e quindi una coalizione PD-FI  avrebbe poco da distribuire. L'unica possibilità per avere soldi da distribuire per qualche anno è l'uscita dall'euro.  A buon intenditore...

... l'alleanza nelle urne, specialmente dopo la seccessione in fieri dei miei antichi "compagni" dal PD, implicherà COMUNQUE una coalizione di governo "Partito di Matteo + Partito di Verdini + Partito del Satrapo" ANCHE  con l'Italicum!

Ergo, tanto rumore per nulla. Ed il rumore infastidisce mie sessantenni orecchie :) 

la nuova costituzione metterebbe anche un vincole alle sfuriate populiste ed eurofobiche. art. 70, "La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per ....... la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea" quindi anche con l'Italicum, anche con il fronte populista vincitore, questi dovrebbe avere la maggioranza pure al Senato per imporre una Italexit, cosa non semplice dato che su tante regioni è probabile ci potrebbe essere frammentazione (i nazional-sovranisti di "Alternativa per l'Italia" infatti votano no convintamente)

E infatti dopo l'imbruttimento dell'articolo 81, fino ad allora totalmente eluso, cosa diavolo è cambiato nella finanza pubblica italiana? NULLA DI NULLA.
Cosa ti fa pensare quindi che questa riforma, che discende dai medesimi presupposti, sarà efficace?

Mi aspetto abbastanza poco dal passaggio di questa riforma, se passerà. L'unica buona ragione che ho per votare è evitare il ritorno del proporzionale, che peggiorerebbe le cose, anche e soprattutto in termini di finanza pubblica.

Con l'analisi di Sandro; sia per quanto riguarda la ricostruzione storica delle "riforme" (sigh) cotituzionali del passato, che sul resto. Non riesco tuttavia a vedere vantaggi in caso di vittoria del Si. Credo che la discriminate sia alla fine la legge elettorale, e su quello oggi si sa molto poco

Caro Sandro, concordo totalmente con l'impostazione del tuo pezzo (in particolare con le premesse) ma ho anche forti dubbi su alcuni passaggi essenziali del tuo ragionamento.
Del resto, io sono ancora schierato sul fronte del Nì o, meglio, del Bah.

1. Dai per scontato che una vittoria del No porterebbe a un ritorno al proporzionale (anche alla camera, sottolinei). Non vedo come sia possibile - prima delle elezioni, intendo: una nuova riforma elettorale in senso proporzionale, nell'attuale parlamento, non si può fare senza il Pd (o parte di esso). Il che mi pare impensabile (cfr., da ultimo, le posizioni emerse nella recente Direzione del partito). Se invece la tua "previsione" riguardasse una riforma fatta da un eventuale maggioranza 5S nella prossima legislatura, beh, non mi sembrerebbe meno azzardata.

2. Se da una parte sono evidenti le ragioni delle tue critiche al proporzionale, altrettanto evidenti mi paiono i limiti del voler "forzare" un sistema bipolare in un paese che da circa vent'anni fa di tutto per far capire alla sua classe politica di non volerlo (N.B.: forse in verità ogni italiano tendenzialmente è bipolare, ma ciò non implica che lo sia l'elettroato nel suo complesso). Lo dico perché, seguendo il tuo ragionamento, qui la scelta sarebbe proporzionale vs Italicum, non proporzionale vs il maggioritario "ben disegnato che piacerebbe a me, te e forse un altro 5% dell'elettorato italiano" (semicit.).
 
Francamente non vedo motivi per cui il proporzionale faccia peggio dell'attuale maggioritario nell'evitare un clima da campagna elettorale permanente, una contrapposizione perennemente violenta e spesso stucchevole (eufemismo) tra forze le politiche etc. Se, negli ultimi anni, l'"allegria" della spesa pubblica è diminuita rispetto ai gloriosi '80, questo è riconducibile all'assetto politico più che ai vincoli esterni e al contesto economico globale? A me pare che, di fatto, le dinamiche interne ai "grandi partiti a vocazione maggioritaria" non abbiano fatto altro che replicare la dialettica tra partiti diversi. Sia il PdL ocomediavolosichiama(va) che il Pd si sono scissi (o rischiano di farlo) mentre erano/sono al governo. E parlo delle ultime due legislature. I governi Prodi sono caduti, invece, per fratture interne alla coalizione. Insomma, mi chiedo se alla fine ci sia questa gran differenza. E - provocatoriamente - mi domando se il proporzionale non sarebbe in grado di portare quanto meno un po' più di "trasparenza" nelle posizioni dei partiti rispetto alla loro rappresentanza politica e un clima di contrapposizione meno violenta.


3. Minor point:  non mi pare corretto, tecnicamente, dire che la corte costituzionale "all'improvviso si sveglia". La consulta parla quando qualcuno la invoca, no? E infatti, nel caso specifico, la corte accolse un ricorso presentato (inizialmente a un TAR, credo) da un cittadino (un avvocatodi Milano, mi pare).

Io suggerisco sommessamente di scegliere cosa votare solo ed esclusivamente avuto riguardo al contenuto della riforma nudo e crudo.

Le mosse e le strategie di politica spicciola delle parti in campo, non sono prevedibili e cambiano radicalmente dal giorno alla notte.

aggiungo solo due piccoli punti.

 

La navetta non ha ostacolato la pruduzione di leggi, ma sicuramente aumentando il potere d'interdizione di piccoli partiti/gruppi ha contribuito a renderla peggiore. Eliminarla è un passo avanti notevole.

 

Non condivido affatto che il potere giudiziario abbia la possibilità di sindacare in maniera preventiva l'attività del potere legislativo. Questo è un punto critico della riforma e mi meraviglia che il fronte del No praticamente non ne parli.

 

 

Quanto scritto sia da Sandro che da Michele è più che condivisibile. Do però solo il 20% a Michele perché se ho capito bene in pratica dice che con il NO nulla cambierà, mentre in realtà cambierà e di molto,  non la vita dei cittadini (sono d'accordo che questa riforma inciderà in maniera marginale) ma lo scenario politico, ovvero votare NO equivale a mettere il paese nelle mani agli zombie (D'Alema in primis,  ma anche Berlusca, Fini, Brunetta, Bersani etc etc l'elenco sarebbe troppo lungo) che sappiamo di cosa si nutrono. Mi dispiace ma a me non va bene quindi voterò SI. 

...a suon di spesa pubblica".

Adeguati paroloni per descrivere la Prima Repubblica, come non essere d'accordo.

Ma forse dal posto in cui vive non si rende conto che la "Seconda Repubblica" è peggiore perchè a tanta spesa pubblica "clientelare" si è sostituita tanta spesa pubblica "affaristica".

Chiami come vuole privatizzare gli utili e socializzare le perdite ma QUESTO E' la seconda repubblica, da Autostrade (1999) alle decine di migliaia di partecipate: benvenuti nel socialismo reale...

Regards

Una qualsiasi regola, prodotti da persone , notoriamente incapaci ,particolarmente nel settore organizzativo, non può che produrre disastri.

La sola stesura della nuova Costituzione dimostra l'incapacità o la disonestà di chi l'ha scritta.

Ho apprezzato moltissimo l'articolo di Sandro Brusco, pur trovando degnissime molte delle considerazioni di Michele Boldrin. Non dico questo per cerchiobottismo, ma perchè ambedue commentano un sistema ed una classe politica che si mostrano in condizioni terminali da qualsiasi punto di vista.

Coi punti intendo questo: la legge di riforma è criticabile sotto moltissimi aspetti. E' pasticciata, scritta male, contiene spunti contraddittori, premia con un Senato tascabile e funzionalmente  improbabile la peggior classe politico-amministrativa che l'Italia abbia sinora prodotto. E si può andare avanti a dirne male.

A mio vedere però la riforma ha un pregio essenziale, uno solo ma che può ribaltare il giudizio: rimedia almeno in parte le manicomiali statuizioni del Titolo V (riformato nel 2001) sui poteri delle Regioni, a cominciare dalla criminogena facoltà di emanare "legislazione concorrente". E' vero che il Senatino ha tutta l'aria di un premio di consolazione per potentati in parte svirilizzati, il che fa abbastanza ribrezzo, ma comunque la riforma eviterà che vi siano in Italia una ventina di linee guida diverse (e geograficamente obbligatorie) anche su argomenti sui quali entità come la UE si sforzano di ottenere omologazioni sovranazionali. 

Per onestà devo confessare a Michele che io al federalismo italiano non ho mai creduto, non ci credevo nemmeno nel '68 (ero un ragazzino) quando fu decisa l'attuazione dell'ordinamento regionale.

Quanto alla funzionalità del sistema proporzionale, che io ritengo nulla mentre Michele B. la giudica più che accettabile citando Spagna e Germania, osservo che la Spagna grazie al proporzionale manca ancora di un governo a nove mesi dalle elezioni (*), e che in Germania il sistema proporzionale ha retto finora in forza a) di una soglia notevole di accessibilità parlamentare b) della norma costituzionale della "sfiducia costruttiva" che rende parecchio difficile buttar giù un governo in sella c) dell sostanziale stabilità e moderazione dell'elettorato tedesco, che non ha mai conosciuto lacerazioni drammatiche. Moderazione che oggi scricchiola per tante ragioni: e temo che alle prossime elezioni federali il sistema germanico possa trovarsi in difficoltà.

(*) naturalmente si può obbiettare che il risultato di questa situazione non è poi così male per la Spagna, ma questo è un altro discorso che lascio a chi ne sa più di me.

 

i richiami fatti da Sandro Brusco sulle varianti costituzionali, sostanzialmente rispecchiano la realtà. Io aggiungerei ance la prima riforma alla legge elettorale, datata 1954, che interessò i collegi elettorali e, quindi, solo marginalmente la variante costituzionale. Comunque, l'aggiungerei perchè si è manifestata, in particolare nel corso del dibattito parlamentare, come prima (di una lunghissima serie) insofferenza politica, a soli otto anni dalla sua approvazione, a quella che sin da allora ha mostrato di essere, con i suoi 139 articoli, la Costituzione più "lunga" del mondo. Sin dalla nascita ha mostrato un carattere tipicamente programmatico, acquisendo rilevanza solo  in sede di "indirizzo"  per illegislatore o in sede di giudizio di legittimità degli atti inforzadi legge. La pdl sottoposto a referendum non è altro che l'ennesima operazione di "consolidamento" dei principi (molti, confusi e spesso contradditori) principi indicati dalla costituzione. Anzi, se vince il "si" finalmente (me lo auguro con tutto il cuore!) si realizzeranno le condizioni giuridiche costituzioneli per "bloccare definitivamente il sistema". Le norme di legge che seguiranno per "renderla esecutiva" metteranno ben in evidenza il"differente" scenario politico che si verrà a creare, completamente diverso dalle aspettative del popolo votante. 

Secondo me questo è l'inizio di quanto Michele ha anticipato (trattando in tutt'altra maniera l'argomento, ma che gioca molto ai miei fini): "Se ad un malato diamo un placebo convincendolo d'avergli dato la cura gli facciamo del male (in certi paesi comettiamo un crimine) perché lo convinciamo a non cercare più una cura, problema risolto. Invece no, problema non risolto ed aumentiamo la probabilità che muoia. Conclusione: vuotare per il SI implica aumentare le probabilità che l'infermo muoia." Personalmente non vedo l'ora che si avveri. Ho sempre considerato la nostra Costituzione come un Burqa limitante qualsiasi libera attività! Non vedo l'ora che si giunga al tracollo. Voterò, oltre perchè come dice Sandro è il male minore, soprattutto perchè, ne sono convinto, dopo questo passo altro non rimarrà che andare verso una "nuova" costituzione che riveda ex novo i fondamenti del nostro essere italiani (o europei!), annullando completamente questa assurda Costituzione che da settantanni ci ha imbrigliato in un susseguirsi di tentativi, da sempre rivelatisi perdenti

1) Dici: "È probabile tuttavia che dopo il NO la legge elettorale venga cambiata, reinstallando anche alla Camera un sistema proporzionale." 


Per quale motivo il m5s, che secondo le tue (e mie, per la verità...) stesse ipotesi vincerebbe alla camera ottenendo, se non sbaglio, il 55% dei seggi con l'Italicum, dovrebbe tagliarsi le palle da solo creando una legge proporzionale, dalla quale prenderebbe, a esagerare, il 40%?


2) Dici che gli italiani, in stragrande maggioranza, non vorrebbero un federalismo vero (immagino tu intenda un sistema dove, salvo piccole correzioni, un territorio finanzi localmente le spese locali) e citi, a prova, l'opposizione alla tassa sugli immobili. 


Non stai attribuendo un'intelligenza eccessiva agli italiani, che secondo me non hanno idea del perché quella tassa sia federalista? Io credo che semplicemente gli italiani dicano NO a qualunque tassa e ancor più a qualunque "non regalo", confondendo anche l'anticipo pensionistico attuale con un regalo, non rendendosi conto che i figli lo stanno pagando ai padri. 


Oppure intendi dire che con solo 3 o 4 regioni in avanzo fiscale, il federalismo vero andrebbe da neutro a svantaggioso per almeno 16 regioni su 20?


spero che Sandro non si offenda

i) è probabile che gli altri partiti preferirebbero una legge proporzionale, magari non pura, proprio per  impedire al M5S di vincere e auto-costringersi alla grande ammucchiata (che poi farebbe vincere al M5S la volta dopo)

ii) la seconda che hai detto. Gli italiani delle regioni in avanzo forse potrebbero essere interessati ad vero federalismo (definito in termini di autonomia fiscale) ma tutti gli altri ci perderebbero.  I trasferimenti Nord-Sud sono politicamente intoccabili - e quindi meglio che li gestiscano burocrati statali che politici locali

 

Sandro Brusco – Questa riforma corregge le assurdità sulle competenze condivise introdotte nella riforma del 2001, che francamente su questo punto sembrava scritta da liceali che si erano fatti troppe canne (si dice ancora ''canne''?). Nel farlo, rende il paese un po' più centralista e un po' più razionale. Meglio così piuttosto che le altre alternative possibili. Per le alternative ideali ma impossibili ci possiamo sempre trovare in qualche convegno.

Egregio Professore Brusco, temo che lei si sbagli.

In effetti basta leggere alcune parti dell’Art.30 della proposta, che riforma l’Art. 117 dell’attuale Costituzione:

Spetta alle Regioni la potestà legislativa in materia di ……. di pianificazione del territorio regionale e mobilità al suo interno, di dotazione infrastrutturale, …….. di promozione dello sviluppo economico locale

della promozione dei beni ambientali, culturali e paesaggistici, di valorizzazione e organizzazione regionale del turismo

nonché in ogni materia non espressamente riservata alla competenza esclusiva dello Stato.

Senza voler considerare che i danni prodotti dalla precedente riforma hanno avuto come conseguenza positiva il fatto che la Corte Costituzionale su moltissime materie si è già espressa risolvendo molti contenziosi, già solo da queste formulazioni si può immaginare quanti conflitti nuovi si genereranno quando i governi regionali valuteranno violata la loro potestà legislativa.

Ma in particolare con la seguente statuazione:

la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell'interesse nazionale.

Che lascia nella massima indeterminatezza cosa possa essere ritenuto da una legge dello Stato (solo camera dei Deputati?) le tutele indicate che possono comprendere tutto o niente (vedi la tutela dell’interesse nazionale per la costruzione degli inceneritori) a seconda degli orientamenti del Governo in carica protempore.

A mio parere due elementi dovrebbero precedere la valutazione circa la bontà di una riforma, in particola quando si parla di Costituzione:

dovrebbe trovare il più ampio consenso, altrimenti, come già accaduto, ogni nuova maggioranza di governo si sentirà autorizzata a farsi la propria riforma; e questa riforma ha già spaccato il paese più di quanto non lo fosse già; non solo nel merito della proposta, ma, forse soprattutto, sul chi la presenta (che così ha voluto almeno all’inizio);

una buona Costituzione dovrebbe limitarsi ad indicare i principi ispiratori delle leggi che poi li attueranno concretamente e non elencare in modo puntuale chi e cosa può o non può fare; per modificare qualcosa bisognerà sempre intervenire con riforme costituzionali?

 

Settimana scorsa avevo preannunciato, in forma dubitativa, un intervento sui difetti tecnici della riforma: ora provo ad esporli in sintesi.

La premessa necessaria è che la cattiva redazione di una legge rende difficile la sua applicazione uniforme e finisce per conferire poteri normativi agli organi cui spetta la sua applicazione o interpretazione, attentando al principio di legalità nella giurisdizione e nell'amministrazione.

La riforma è stata presentata come una semplificazione del sistema istituzionale ma anche delle forme nelle quali si esercita la funzione legislativa: obiettivo decisamente smentito dalla lettura del nuovo articolo 70 della Costituzione che impiega 451 parole invece delle 9 di cui consta quello ancora in vigore, ma soprattutto si presenta con una complessità inusuale nei testi costituzionali. In luogo dei quattro possibili percorsi legislativi odierni, il nuovo testo ne delinea almeno otto (taluno ne individua nove o dieci),

Molteplici sono nel disegno di legge costituzionali i rinvii ad altre norme, taluni a future leggi costituzionali (art. 71, co. 4), altri a future leggi ordinarie approvate da entrambe le camere (art. 55 co. 1 e art. 57 co. 6) o approvate secondo un procedimento non precisato (art. 55 co, 5) o ai regolamenti parlamentari (art. 70 co. 6); nella maggior parte tali rinvii riguardano profili sostanziali delle nuove disposizioni costituzionali ilcui contenuto attuale appare, pertanto, incompleto: noi voteremo al referendum senza conoscere fino in fondo le conseguenze della riforma.  Ne sono esempio l'art. 70, co. 6, che affidando all'intesa dei presidenti delle due camere la risoluzione di problemi inerenti la scelta del procedimento legislativo bicamerale o monocamerale, rende possibili conflitti istituzionali la cui soluzione non trova disciplina alcuna, e l'art. 71 co. 4, a proposito dei referendum propositivi e d'indirizzo che si limita a rinviare ad un'altra, futura riforma costituzionale senza neppure prospettare gli effetti di tali consultazioni.

Fonte di gravi incertezze è l'art. 57 che dovrebbe fornire una disciplina esauriente della composizione del nuovo senato ed invece, da un lato, contiene disposizioni contraddittorie - l'elezione dei senatori avviene con metodo proporzionale ma in conformità alle scelte espresse dagli elettori, in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun consiglio regionale - e dall'altro rinvia ad una legge bicamerale che difficilmente potrà coordinare quelle indicazioni. Per esempio, che senso ha un'elezione che allo stesso tempo è affidata al consiglio regionale ma deve rispettare le scelte degli elettori? o è un'inutile presa d'atto, o non può   non distaccarsene. Non mi soffermo sull'oscurità del riferimento alla composizione di ciascun consiglio e sulla paradossale previsione di una legge bicamerale che non potrà non restringere l'autonomia delle regioni nella scelta dei loro consiglieri, sulla difficoltà di assicurare che i nuovi senatori siano effettivamente rappresentanti della sutonomie territoriali e non delle forze politiche locali, sull'incoerenza tra il nebuloso disegno finale del nuovo senato e l'art. 39 che dispone, per la prima applicazione della riforma, criteri di scelta dei senatori non coincidenti con quelli enunciati dall'art. 57.

Le funzioni del nuovo senato sono indicate dall'art. 55, co. 4,  in maniera assolutamente  generica, con l'enunciazione di "funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica", in sostanza priva di qualsiasi significato; allo stesso modo le funzioni di valutazione e di verificazione delle materie indicate nell'ultimo comma dell'art. 55 appaiono vuote di senso e prive di conseguenze, per non parlare dell'incongruenza tra l'attribuzione di competenze in apparenza così estese e la privazione del potere di conferire o negare la fiducia al governo.

Il ruolo del nuovo senato e la sua composizione sono oggetto di altre disposizioni il cui senso è difficilmente reperibile: a mo' di esempio, ne fanno parte cinque senatori di nomina presidenziale "che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti ecc." il cui alto magistero è semplicemente fuori di luogo in un organo che rappresenta le istituzioni territoriali.  Per altro verso, non ha senso che quest'organo non partecipi alle decisioni riguardanti il finanziamento degli enti locali (art. 119, co. 4), a dispetto della sua qualificazione di rappresentante delle autonomie territoriali. Neppure ha senso che i senatori esercitino le loro funzioni senza vincolo di mandato, dato che essi non rappresentano più la nazione, ma le istituzioni che li hanno "nominati", né che i consiglieri regionali ed i sindaci che partecipano dell'assemblea godano dell'immunità ai sensi dell'art. 68, diversamente dagli altri, non sembrando possibile distinguere il titolo in forza del quale essi hanno espresso opinioni e votato.             

In questo secondo intervento proporrò alcune osservazioni riguardanti il titolo quinto della costituzione ed altri rilievi sparsi. In primo luogo, la riforma non si applica alle regioni a statuto speciale e alle province autonome, benché le ragioni della specialità siano ormai sfumate: l'art. 116, co. 3, sembra ampliare le loro competenze, aggravando il gap rispetto alle regioni ordinarie. 

Il titolo quinto non menziona più le province ordinarie ma neppure ne dispone l'abolizione: non si può escludere che esse sopravvivano, seppure prive di protezione costituzionale. 

L'art. 73 prevede un controllo preventivo di costituzionalità delle leggi elettorali ma non esclude successivi controlli da parte della stessa Corte costituzionale o del Presidente della Repubblica nel momento della promulgazione. D'altra parte, non sembra giustificata l'attribuzione ad un piccolo numero di senatori del potere d'investire la Corte quando il senato non partecipa alla formazione della legge elettorale.

L'art. 70, co. 1, prevede che le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali a tutela delle mioranze linguistiche siano adottatr con procedimento bicamerale, ma l'art. 117, co. 3, riserva alle regioni la potestà legislativa in materia di rappresentanza delle stesse minoranze, sollevando un serio problema di coordinamento.

Il co. 1 dell'art. 82 assegna ad entrambe le camere il potere di disporre inchieste su materie di pubblico interesse che, nel caso del senato, devono riguardare le autonomie territoriali: la difficoltà di individuare una netta demarcazione tra materie d'interesse generale e materie d'interesse locale schiude la prospettiva di conflitti tra le due camere.

Altre disposizioni meriterebbero una rapida menzione: così quella che prevede di correlare la maggioranza per l'elezione del Presidente della Repubblica al numero dei votanti, anziché a quello degli aventi diritto, a partire dalla settima votazione che - come è stato osservato dal prof. Zagrebelsky - rende possibile alla maggioranza parlamentare di eleggere un candidato di parte; così l'art. 64, co. 2 che riserva ai regolamenti delle camere la garanzia dei diritti delle minoranze parlamentari, esponendosi alla duplice critica di attribuire alla maggioranza il potere di determinarne i contenuti e di essere incompatibile con la nuova composizione del senato nel quale, stante la sua missione di rappresentante delle autonomie territoriali, non dovrebbero formarsi gruppi politici.

Per concludere questa coppia di interventi: i rilievi esposti mostrano la superficialità, anzi l'imprevidenza e l'incapacità di disegnare un assetto ordinato e coerente delle istituzioni rappresentative. Se l'obiettivo perseguito era quello di semplificare il procedimento legislativo in modo da assicurare al governo la celere realizzazione del suo programma politico, le incertezze riguardanti le competenze delle due camere sembrano porne a repentaglio il conseguimento.

In tutti i punti toccati dalla riforma, permangono zone oscure, contraddizioni, duplicazioni di attività, soluzioni prive di senso o di coerenza con la ripartizione delle competenze. In qualche misura, il funzionamento del sistema - se così si può chiamare - richiede una legge elettorale che assicuri una maggioranza blindata al partito o alla coalizione che vince le elezioni, ma anche una compressione del ruolo del senato che, eletto da una costinuency diversa, potrebbe "porsi di traverso" alle politiche del governo nei settori nei quali ha competenza legislativa o assilare la camera dei deputati con richieste ed osservazioni continue. In definitiva, il sistema funzionerebbe solo assicurando l'omogeneità delle maggioranze.

No so fino a che punto, nel panorama italiano, questo obiettivo sia auspicabile. Ma questo dubbio riaprirebbe un discorso politico che abbiamo già fatto.  

        

Sandro Brusco ha scritto:

"Se vince il SI al prossimo referendum costituzionale non ci saranno grossi miglioramenti. Se vince il NO invece la situazione peggiorerà, e parecchio."

E' una affermazione che non capisco: è in contrasto con la vulgata renziana.

Renzi dice:  "Se vince il No rimane tutto com'è adesso, se vince il Sì saltano delle poltrone e si semplifica l'Italia." Secondo i sostenitori del SI, questa vittoria porterà risparmi, semplificazioni; molti renziani prefigurano un'Italia che comincerà a correre (non si sa verso dove, né come), ecc ecc. Mentre la vittoria del NO lascerebbe tutto com'è.

Però, se la vittoria del SI non dovesse produrre grandi miglioramenti, valeva la pena impegnare tanto il Parlamento su questo, invece che su fronti ben più utili per gli italiani? Valeva la pena costringere questi a dividersi e schierarsi? Si possono fare ipotesi diverse sulla 'necessità' di questa riforma, allora.

Quali sarebbero, invece, i peggioramenti nel caso di vittoria del NO? Rimarrebbe la Costituzione com'è. Con le difficoltà prodotte dalla modifica del titolo V del 2001 e i contenziosi Stato-Regioni, è vero. Con l'introduzione del pareggio di bilancio fatto nel 2012, che questo Governo non ha per niente recepito, è vero. Ma questa Costituzione ha comunque consentito di fare le 'riforme epocali' già fatte da Berlusconi in numero di 36, e dallo stesso Renzi, che analogamente si vanta di quelle che ha fatto lui. Che siano state buone o cattive è un altro discorso.

Proprio il fatto che le due riforme citate, le più rilevanti dal 1948, siano oggi tanto criticate avrebbe potuto spingere a riflettere un po' di più, viste le tante contestazioni a quelle proposte adesso.

C'è altro, naturalmente. Ma anche queste sono considerazioni che mi spingono a dire NO.

Forse questo commento è fuori tempo massimo, ma ormai...

cardif

(Manca la presentazione, ma è perché penso che contino le idee indipendentemente da chi ne è il portatore. Ma non è detto che non verrà, in seguito).

Caro Carmine, speravo che dall'articolo fosse chiaro ma chiaramente non lo è. La vulgata (o meglio, propaganda) renziana è appunto propaganda, come è propaganda quella di coloro che dipingono l'approvazione della  nuova costituzione come una specie di armageddon. Non ho il minimo interesse per questi argomenti.

Assolutamente d'accordo che sarebbe stato meglio per il paese dedicarsi ad altre cose; ma le altre cose da fare hanno il grosso svantaggio, se fatte bene, di essere costose in termini di consenso. Per cui né Renzi né chiunque verrà dopo di lui le farà. Ciò che mi spinge a votare SI è il semplice fatto che, dato che non è stata fatta una riforma elettorale per il Senato dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha reso incostituzionale il porcellum, con una vittoria del NO si finisce dritti dritti nelle sabbie mobili del sisetma proporzionale. Che è ideale quando un paese sta andando bene e si vuole impedire che quache mattoide distrugga una macchina che ben funziona. ma è terribile quando il paese va male è c'è bisogno di intraprendere azioni impopolari per far riprendere la crescita economica.