I sette peccati capitali della scuola italiana. Con accenno a possibili rimedi

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Non mi baso su risultati di ricerche, che pure sarebbero utili, ma sulla mia esperienza personale: prima come padre di tre figli che ho seguito, fra elementari e scuola secondaria superiore, in un arco di tre decenni. Ora, da qualche anno, come volontario in un doposcuola per elementari e medie inferiori, frequentato principalmente da piccoli figli di immigrati, quasi tutti nati in Italia. Luogo ora e allora: Bologna. E’ un’esperienza limitata, ma ha il pregio di riguardare sia scolari privilegiati, come i miei figli, sia svantaggiati.

Elenco sette difetti della scuola di cui gli uni e gli altri subiscono ogni giorno le conseguenze, drammatiche per i più svantaggiati, pesanti per tutti. Li chiamo “peccati capitali” perché fanno gravi danni che la scuola potrebbe evitare. Senza far colpa a nessuno: anche gli insegnanti portano il peso di un sistema scolastico disfunzionale.

1. Una scuola sconnessa dal mondo reale

La scuola dovrebbe aiutare bambini e adolescenti a entrare nel mondo degli adulti, a entrarvi quanto meno sprovveduti possibile rispetto a ciò che li aspetta. Può aiutarli ben poco se il legame fra scuola e mondo esterno è troppo debole. In effetti la scuola italiana, nelle sue pratiche quotidiane, è quasi del tutto autoreferenziale.

Tuttavia gran parte di autorità scolastiche, insegnanti e genitori, danno per scontata questa sconnessione. Per dirne una, i test INVALSI e PISA misurano basilari competenze linguistiche e logico-matematiche, necessarie per stare efficacemente nel mondo attuale. I risultati italiani sono mediocri ma, invece di chiedersi come rimediare, non pochi contestano validità e utilità dei test. Per dirne un’altra, perfino la recente timida introduzione, nelle superiori, dell’alternanza scuola/lavoro, ha trovato diffuse resistenze.

2. Un diluvio di nozioni superflue

Le assurdità generate da questo isolamento della scuola sono innumerevoli. Qualche esempio a caso. Che utilità può mai avere, per l’uso della matematica nella vita adulta, imparare a 12 anni le formulette di trasformazione dei numeri periodici in frazioni? O, per l’uso competente della lingua italiana, imparare decine e decine di complementi in analisi logica(ne ho contati 43, trattati in 71 lunghe pagine di un testo di 2a media)? O, per capire la società, leggere, a 9 anni, l’elenco delle dinastie egizie con nomi e date di faraoni e consorti?

Un simile diluvio di nozioni distrae dall’obiettivo prioritario che tutti gli scolari acquisiscano bene le competenze davvero basilari. Obiettivo mancato, come mostrano i test PISA e INVALSI. Se invece fosse conseguito, niente poi impedirebbe che agli scolari più motivati venisse data l’opportunità di approfondire i loro specifici interessi, fosse anche la lista dei 43 “complementi” in analisi logica -- lo dico con amara ironia.

3. Libri di testo poco utili

Un cardine di queste insensatezze è, a mio giudizio, il libro di testo. Mi limito a qualche aspetto, con qualche dato ed esempio.

Mole. Per i testi annuali di Italiano e Matematica, siamo sulle 1500 pagine in tutto. Se si aggiungono le altre discipline, siamo sulle 3000 pagine ogni anno. Quante di esse verranno lette, non dico studiate? Un 20% potrebbe essere una stima ottimistica. Sarei qui favorevole a un’imposizione statale: nelle medie inferiori, non più di 1000 pagine l’anno come totale dei testi di studio obbligatori. A guadagnarne sarebbero le schiene dei pre-adolescenti, e anche le loro menti. Caso estremo, ma istruttivo: in Nuova Zelanda, a 13 anni, niente libri di testo (però un pc per ogni alunno); nelle graduatorie PISA, la Nuova Zelanda supera l’Italia in tutto.

Linguaggio. Più spesso nei testi per le medie, ma talvolta perfino in quelli per le elementari, vien usato un italiano troppo astratto e formale, ricalcato sui testi universitari, inadatto all’apprendimento a quell’età. Basti vedere questo esempio da un testo di matematica di terza media, peraltro eccellente nel panorama italiano. Confrontare con testi e video didattici della Khan Academy, ora tradotti anche nella nostra lingua.

Eserciziari. Il primato spetta ad aritmetica e geometria, ma anche l’italiano (grammatica) non scherza. Migliaia di esercizi (centinaia non basterebbero?) che addestrano a cose che saranno di scarsa o nessuna utilità nella vita di gran parte delle alunne e degli alunni, perciò vissuti da loro come una pena insensata. Che dire del calcolo, a 11 anni, di espressioni numeriche come queste o, a 12 anni, di problemi geometrici come questi? (Confronta in entrambi i casi con i due esempi di test Invalsi pure presenti nelle due pagine.)

Ci sono pure, va detto, case editrici che si sforzano di innovare: risorse digitali, video didattici, testi semplificati per scolari svantaggiati, guide ai test Invalsi. Purtroppo questi ausili, oltre a mantenere i difetti dei testi principale, aggiungono appendici a corpi già straripanti, quando invece bisognerebbe snellire radicalmente tutto.

Strano a dirsi, qualcosa di prossimo alla soluzione ci sarebbe, prodotta dalle case editrici stesse: i loro libri per le vacanze! Esposizione delle nozioni basilari in un linguaggio più amichevole, pochi e meno astrusi esercizi, molte meno pagine: se fossero adottati questi come libri di testo? O se venissero usati, in alternativa, alcuni degli splendidi libri educativi che i buoni genitori borghesi, o chi può permetterselo, comprano nelle librerie per ragazzi come regalo di compleanno per i figli loro e dei loro amici?

E’ probabile che linguaggio astratto ed eccessi nozionistici dei libri di testo si riproducano nelle lezioni degli insegnanti -- li hanno adottati poi loro. Ci saranno pure bravi insegnanti che riescono a far apprendere ciò che conta, ma il diffuso ricorso a dosi massicce di compiti a casa fa pensare al peggio.

4. Caterve di compiti a casa

Immaginiamo una scuola che funziona davvero, che realizza il suo compito primario (punto 1). Gli scolari capiscono bene ciò che l’insegnante brevemente spiega, e il resto del tempo è impiegato a fare pratica, con l’aiuto e la supervisione dell’insegnante. I testi, in questa fantasia, sono una sorta di pronto soccorso: se uno ha un dubbio, apre il testo, trova facilmente il punto e risolve il dubbio. Se invece, a scuola, buona parte del tempo è occupato dalla lezione dell’insegnante, dove va a finire la parte principale dell’apprendimento, la pratica che porta a saper fare? Va a finire nei compiti a casa. Meno funziona la scuola, più compiti a casa si danno. Come dire: a scuola impari poco, impara a casa da solo!

Il movimento Basta compiti! ha descritto i danni di questa infelice specialità della nostra scuola. Ne richiamo due: sovraccarico di lavoro che toglie spazio alla vita extrascolastica; discriminazione fra chi può essere seguito a casa da genitori più istruiti e chi meno o per niente. Ma il punto principale è quello già detto: un falso alibi che cela la povertà dell’apprendimento a scuola.

Rimedi? Eliminare o ridurre drasticamente i compitiè il più immediato. Più strutturale è la proposta della Classe capovolta (Flipped classroom): centrare la vita scolastica sulla pratica, riducendo al minimo le lezioni, anche con l’aiuto di testi di studio più snelli e leggibili.

5. Lacune su lacune: la finzione di Nessuno resti indietro

Se questo è il quadro, nessuna meraviglia che larga parte degli scolari apprenda male, o non apprenda affatto, nozioni e procedure basilari. Sto pensando alla matematica, ma vale anche per altre discipline, secondo i test PISA e anche nella mia limitata esperienza. Le lacune si accumulano l’una sull’altra, di giorno in giorno, di mese in mese, di anno in anno. Fino al punto in cui un recupero diventa impossibile, l’apprendimento si riduce a zero, e la frequenza scolastica perde ogni senso.

In passato, il rimando a settembre e la bocciatura erano, nella loro grossolanità, meccanismi che potevano consentire almeno un parziale recupero di alcune lacune. L’abolizione di entrambi (formale dell’uno e sostanziale dell’altra), sostituiti da corsi di recupero velleitari e inefficaci, ha aggravato il problema.

Per fare solo un esempio noto a tutti, un’alta percentuale dei ragazzini delle medie inferiori non sa le tabelline. Anche ammesso l’uso delle calcolatrici, risolvere le (inutilmente) complicate espressioni numeriche assegnate in gran copia come compiti a casa, diventa un compito improbo. Per non dire delle comunissime lacune nella comprensione delle frazioni, delle percentuali, perfino dei concetti di moltiplicazione e divisione. Parlo di problemi che affliggono la quasi totalità degli scolari - anche italiani, non solo immigrati - che frequentano il mio doposcuola.

Per dare un’idea dell’abisso che separa la scuola ufficiale (quella dei libri di testo) dalla scuola reale, due tristi aneddoti. Ieri, un ragazzino di 13 anni, 2a media, cui spiegavo, nel mio doposcuola, il concetto di funzione (con l'esempio y=3x), alla mia domanda "Ma scusa 6:2 quanto fa?" ripetutamente risponde "Boh, che ne so". Ragazzina stessa età e classe: "Quanto costa un appartamento di 100 mq se il costo al mq è 1000 euro?", idem.   

Esistono soluzioni al problema dell’accumulo di lacune? Certamente, basti guardare a tanti sistemi scolastici migliori del nostro. Ma per prima cosa bisogna rendersi conto della drammaticità del problema. Lo slogan Nessuno resti indietro, tradotto nella pratica di non bocciare nessuno, è un altro falso alibi, una resa all’analfabetismo funzionale; e un inganno, fintamente benevolo, a danno di troppi ragazzini destinati alla marginalità sociale.

6. Ognuno per sé perdutamente

Il calvario degli scolari perdenti è solitario. Una scuola che non provvede a colmare le loro lacune, li abbandona a se stessi. Non solo: l’aiuto reciproco fra più bravi e meno bravi è stigmatizzato -- non copiare! non suggerire! -- invece che incoraggiato. Non si tratta di abolire le verifiche individuali, ma di organizzare il lavoro scolastico come lavoro di gruppo. Così dovrebbe avvenire in una scuola che prepari al mondo attuale, in cui l’attitudine alla collaborazione è basilare. Vedi i risultati PISA per l’Italia anche su questo.

7.  Indicazioni Nazionali e test INVALSI: buoni rimedi ignoratI

Seguo qualche scolaro in difficoltà nel mio doposcuola e vado a colloquio con gli insegnanti. Segnalo drammatiche lacune da colmare. L’insegnante sospira “Sì, sì, ma io devo portare avanti il programma.” Vado a controllare: le Indicazioni Nazionali (…), nella loro parte operativa, in particolare in Matematica (pp. 60-65), richiedono molto di meno di quello che viene insegnato e richiesto in classe e nei compiti a casa. Niente numeri periodici, niente calcoli di complicatissime espressioni numeriche, niente teoremi di Euclide e Talete. Tutto questo, e molto altro, viene in effetti ignorato dai test INVALSI, che invece richiedono capacità di ragionamento. Capacità soffocata dall’addestramento a una quasi cieca applicazione di un mare di formulette. I test INVALSI sarebbero un’ottima guida per capire che cosa serve che gli scolari apprendano, ma  vengono invece osteggiati o vissuti come una strana appendice dei programmi tradizionali, che i libri di testo perpetuano e gli insegnanti erroneamente ritengono tuttora obbligatori.

Che fare?

E’ possibile fare tantissimo, in tanti modi, dal basso e dall’alto.

Prima cosa, prendere atto -- insegnanti, genitori, studenti, cittadini -- della situazione, rendersi conto della malattia, della sua gravità, dell’urgenza di correre ai ripari.

Poi riconoscere le molte risorse che sono già in campo per produrre cambiamenti: movimenti come Basta compiti!, La classe capovolta e altri; l’INVALSI, che è già e può diventare sempre di più uno strumento utilissimo; le sensate Indicazioni Nazionali, finora quasi lettera morta; e migliaia di bravi insegnanti, decine di presidi intraprendenti, con tante buone pratiche da riconoscere e diffondere.

Su come cambiare il sistema, meglio ragionarne insieme. Queste modeste note spero contribuiscano a questo. Mi limito a un accenno, tutto da sviluppare: un cambiamento profondo richiede innovazioni ad opera di insegnanti e dirigenti; che a loro volta richiedono più autonomia e responsabilità dei singoli istituti, riguardo anche a programmi e organizzazione didattica; in un contesto di sana competizione fra gli istituti stessi. Come avviare un processo in questa direzione? Su questo bisognerà ragionare.

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Commenti

Ci sono 63 commenti

Complimenti, ottimo intervento.

1) Sulla sconnessione dal mondo reale, verissimo. La scuola è un sistema chiuso che funziona su principi suoi, autoreferenziali. La riconnessione che serve non è soltanto o principalmente diretta (mandare gli studenti nel secolo, per così dire), ma funzionale: se la scuola funzionasse in maniera più simile al mondo esterno, con cause ed effetti paragonabili, il senso di alterità diminuirebbe. Di contro, quando gli studenti vengono mandati nel mondo (ad es. con l'alternanza scuola-lavoro) ma i principi funzionali rimangono gli stessi, gli effetti positivi sono limitati. 

L'ASL, come quasi tutto nella scuola italiana, è obbligatoria (200 ore di stage aziendali in tre anni per i licei, 400 per tecnici e professionali). Questo vuol dire che le scuole, per rientrare nel monte-ore, fanno fare di tutto e di più, anche le cose più stupide o che non sono davvero ASL. E agli studenti di quel che si fa importa relativamente poco (è solo un altro obbligo), non vedono risultati particolari in quello che fanno e l'unica cosa che conta concretamente per loro è quanto questa influisca sul voto finale (comunque molto poco). La cosa viene vissuta, perché lo è, come una cosa tanto per fare. 

In più, quelle ore vengono spesso buttate in mezzo all'anno scolastico senza nessuna coordinazione: qualsiasi altra attività viene travolta, non c'è organizzazione, il caos prevale su tutto. Questo ovviamente non riguarda solo l'ASL, che è solo l'ultima di una serie di innovazioni anche interessanti che sono state rovesciate sulla scuola senza alcuna pianificazione. ASL, registri elettronici, materie insegnate in inglese, sono tutte cose ottime che sono state riversate su un macchinario che non è fatto per accoglierle. E' come se la scuola fosse una vecchia Panda su cui il ministero ha montato gli accessori di alta gamma di un'Audi. Il risultato non è una supermacchina, ma un trabiccolo.

Sui 2) e 3) sono semplicemente d'accordo (anche per le superiori, che sono il mio ambito). Brillante l'osservazione sui libri delle vacanze, e rivelatrice di una mentalità: siccome quei libri sono "meno importanti", "trascurabili", vengono meno il sussiego, la retorica e il trombonismo.

4) Sostanzialmente d'accordo con una sola osservazione: per la flipped lesson servono degli strumenti e studenti con un minimo di autonomia e capacità di "gestione di sé stessi". Nessuna di questa cosa è scontata, quindi più che rovesciarla sulle scuole sarebbe meglio lasciare che decidano i docenti se usarla o meno (può sembrare ovvio, ma la frenesia per le innovazioni ha spesso esiti strani).

5) Attenzione sulla bocciatura: c'è un'ampia letteratura che dimostra che la bocciatura non ha gli effetti dichiarati o sperati (dare tempo per recuperare, far prendere coscienza, ecc.). E' uno strumento grossolano: fa ripetere l'anno in TUTTE le materie, anche quelle in cui non si va male, costringe al cambiamento di classe e professori proprio quegli studenti che hanno più bisogno di continuità, genera comportamenti oppositivi, ecc.

6) Sulla socializzazione, sul collaborare, sul lavorare insieme: la scuola italiana media e superiore, con i suoi fittissimi e compattissimi orari con non più di 10-10 minuti di intervallo al giorno è strutturalmente anti-cooperazione. Ne ho scritto qui, mi permetto di autopromuovermi: http://www.imille.org/2018/03/06/la-scuola-la-socialita-la-didattica-cosa-non-funziona-e-non-funzionera-per-molto-ancora/ .

7) e conclusioni: soluzioni minute se ne potrebbero indicare tante, ma la realtà è che la scuola comincerà a funzionare bene quando si valorizzeranno i docenti più bravi, riconoscendo il loro lavoro e mettendoli in condizione di lavorare. Il bonus premiale attuale è un obbrobrio senza senso, istituito in fretta e furia laddove invece serviva creare una posizione di middle management per i docenti capaci di ricoprire una tale posizione. Ma tant'è.

quelle di Francesco Rocchi.

1) contributo prezioso sull'alternanza scuola/lavoro, di cui sapevo poco; concordo sulla critica alle innovazioni calate dall'alto

4) anch'io a favore di innovazioni dal basso, volontarie e sperimentali, flipped classroom inclusa; governo, ministero e regioni dovrebbero facilitarle in modo efficace (come farlo è un problema strutturale, complesso e delicato) piuttosto che imporle

5) anch'io contrario alla bocciatura; favorevole invece a "ripetere" la singola materia in cui uno ha lacune gravi, cambiando l'organizzazione didattica per cui lo scolaro possa ripetere, diciamo, un semestre di una singola materia, in casi estremi anche più volte, finché non colma le sue lacune in quella materia; anche per questo il livello delle competenze minime obbligatorie dovrebbe essere abbastanza basso, in modo che tutti prima o poi ci arrivino; con spazi facoltativi abbastanza ampi per chi vuole imparare di più.

condivido il malessere per la scuola italiana, e sulle caterve di compiti si può discutere, ma richiamare il movimento Basta compiti! è fuorviante se non dannoso. Infatti, la mission di basta compiti! è che

 

i compiti a casa siano aboliti, nella “scuola dell’obbligo”

 

Un'affermazione che non ha riscontro in altri sistemi scolastici, dove i compiti sono essenziali per il consolidamento di quello che viene svolto in classe. I compiti sono inutili se non vi è un feedback dell'insegnante, e sono inutili se svolti come atto di contrizione per compensare quello che non si è fatto. Un compito ben assestato con il feedback giusto è molto più produttivo di una serie di esercizi meccanici. Se a 12 anni fissare la lezione sulle date o la cronologia, anziché le relazioni di causalità, degli eventi è inutile,  allora anche il compito a casa collegato è inutile. E' utile l'analisi logica svolta a casa quando poi non si capisce un testo o non si riesce a interpretarlo criticamente? E' utile lo studio della funzione a casa, quando non si ha consapevolezza operativa del principio "che una rondine non fa primavera"? E' utile assimilare e rigurgitare nozioni a casa quando non si è in grado di metter in fila un discorso sensato su carta (o sul video)? Spaccare pietre è molto faticoso, ma non è allenante per nessuna attività sportiva. Ma senza il giusto allenamento non si è in grado di portare a termine un'attività sportiva senza incidenti.



Ho un percorso simile a Fabrizio (due figli che hanno seguito tutto l'iter scolastico, .... ma all'estero) e ho per 8 anni fatto parte sempre all'estero di organismi scolastici.  Ho fatto però le scuole in Italia ed quindi ho visto le differenze. ASL in CH è praticamente identica a quella tedesca (grazie Francesco rocchi per le spiegazioni) e confermo la qualità di quel sistema. 

Piuttosto non condivido la critica all'analisi logica, fatta alle medie. Analisi logica e grammaticale, se fatte bene (of course) come ricordo di averle fatte io negli anni 60 sono fondamentali per creare quelle competenze linguistiche che tanto sono carenti in Italia (vedi analfabetismo funzionale). Chiedo a questo punto come sia possibile affrontare lo studio di una nuova lingua, o anche più d'una, con le sue regole grammaticali, e quindi tradurre da una all'altra senza saper riconoscere soggetti, verbi, predicati, complementi  di tempo e di agente e tutto quanto serve per riconoscere queste figure nelle varie lingue e saperle interpolare. 

Esercizi, saranno inutili o lo sembrano ma se non ne fai abbastanza e poi arrivi all'università e fai ingegneria, fisica, matematica o economia con il cervello non allenato, appena imbatti in Analis1 e Analisi2 inciampi e cadi, sprecando anni della tua vita. Certo che sono meno utili se il tuo sbocco non va versol'università ma verso un sistema duale o professionale. Per questo qui in CH le medie inferiori (4 anni, non 3) vedono un primo biennio biennio uguale per tutti e il secondo diversificato a seconda del probabile sbocco (che si nota osservando le medie scolastiche).  

Cosa criticatissima dai genitori che si ritrovano con figli che hanno medie basse ma che tutto sommato porta rapidamente i loro figli ad un ottimo sbocco lavorativo (ed è sempre possibile poi accedere anche all'univiversità se si migliora strada facendo). 

Per l'analisi logica posso dire quel che penso io, da insegnante di lettere. La tassonomia infinita dei complementi è il frutto di una grammatica tradizionale goffa e abbastanza sbagliata (tra le altre cose, prende di peso le categorie del latino e le usa sull'italiano senza troppo pensarci).

Ad un ragazzino delle medie, ma anche delle superiori, distinguere, che so, nei complementi di causa quella impediente ("Non parlava a causa del pianto") da quella, boh, non mi ricordo come si chiama, ma comunque non causa efficiente che è un'altra cosa ancora, è abbasanza inutile.

Più utile usare la gamatica valenziale, che pian piano si fa strada, ed è basata su una linguistica studiata e meditata. Piano piano ci arriveremo tutti. Cosa sia ora è lungo da dire.

Grazie Fabrizio Bercelli.
Quello della scuola è un argomento infinito e spinosissimo, di cui non si dibatterà mai abbastanza. Ricordo quanto putiferio scatenò il post "Aboliamo il classico!" di Michele Boldrin qui su nFA quattro anni fa.

In merito getto il mio sassolino nello stagno. Il peccato maggiore del nostro sistema è che è "scollegato dal paese", come dice Bercelli, cioè non forma quelle competenze che il sistema paese richiede. Su questo punto siamo un po' tutti d'accordo.
Vado più controcorrente invece se scrivo che uno dei difetti del nostro sistema scolastico è che produce troppi laureati.
E' talmente radicata l'idea che i laureati non siano mai troppi, quasi che l'ideale sia avere un paese dove "..ad ogni semaforo c'è un lavavetri in possesso di una laurea qualsiasi", come ha scritto qualcuno; che non si riesce nemmeno a dire che in Italia vale il contrario: esiste, non da ora ma da 150 anni almeno (da prima ancora dell'unità d'Italia) uno squlibrio drammatico tra domanda e offerta di forza lavoro intellettuale, che sta tra le cause profonde di molte magagne croniche di questo paese. Comprese l'elefantiasi della PA e la diffusione di meccanismi clientelari.

Visto che anche Francesco Rocchi ha fatto la sua autopromozione, vi lascio qui un link dove  raccolgo le mie riflessioni riguardo alle ragioni di ciò.

La tesi di fondo del suo post mi sembra interessante, ma ritengo piuttosto malposta l'enfasi sul susseguirsi di riforme in Italia dal momento che il problema della "classe disagiata", in linea di massima, è comune a molti paesi occidentali, almeno tra quelle 'elite' che maggiormente sono orientate ad acquisire "credenziali", titoli di studio, etc. per il tramite del sistema educativo. Volendo mantenere il discorso su una trattazione specificamente economica, e quindi più facilmente comprensibile a chi segue questo blog, mi sembra utile fare riferimento al libro recentemente pubblicato, The Case Against Education (di Bryan Caplan), di cui peraltro si trovano facilmente svariate recensioni che ne sintetizzano le linee generali, oltre ad articoli e post dello stesso Caplan.  La tesi di Caplan mi sembra decisamente sovrapponibile alle dinamiche da lei esposte per l'Italia, cioè che sussidiare l'accesso ad un sistema educativo che inizialmente si era evoluto sulle domande di una élite relativamente ristretta e sostenuta da rendite di posizione (quindi, tipicamente, poca se non pochissima enfasi sullo sviluppo "professionale" del capitale umano, e molta su un modello culturale genericamente classista, che enfatizza sia titoli di studio e credenziali, sia più in generale l'opportunità di 'distinguersi' dalla massa) genera overeducation, richiesta smodata di credenziali e titoli sempre più 'di élite', e cattivo sviluppo di quelle forme di capitale umano che effettivamente promuovono la produttività e la crescita di un "sistema" paese.

Mi sembra invece decisamente fuorviante identificare queste dinamiche con la cultura borghese, a cui molti studiosi dello sviluppo attribuiscono anzi un ruolo decisamente positivo nella crescita economica (un esempio fra tutti Deirdre McCloskey) e di cui questo paese sembra ancora oggi difettare.  C'è decisamente poco di borghese, e molto di medievale, nell'impostazione culturale che ha prodotto il moltiplicarsi di ordini professionali nel nostro paese.

Grazie per aver ricordato lo splendido Post "Aboliamo il classico!".

 

Il problema dell'Italia è che ci sono allo stesso tempo pochi laureati (in materie "utili" come Ingegneria, Economia, Scienze varie) e anche troppi laureati (in materie che noi Ingegneri chiamiamo scherzosamente "Scienze delle Merendine"). Forse abolendo il classico come scuola d'elite si risolverebbe qualcosa. L'Italia dovrebbe copiare dalla Cina.

 

Anche nell'università il distacco tra istruzione e mondo del lavoro è impressionante.

in base a cosa affermi che il "nostro sistema scolastico è che produce troppi laureati"? Addirittura da 150 anni?

Rispetto agli altri paesi, il nostro sistema produce meno laureati. E il tasso di disoccupazione tra i laureati è più basso rispetto ai non laureati.

Spero proprio di no - anche questo ottimo post dimostra quanto sia ancora attuale.

Grazie

prima degli altri 7 peccati m pare doverosa una considerazione sulla finalita' della scuola , e cioe' : 

lo scopo dell'istituzione scolastica e' formare buoni "operai" o buoni cittadini?

chiaramente ai buoni "operai" non servono la storia , le lettere e altre materie ( ma del resto , oltre alla filosofia e il latino , nemmeno la matematica e la fisica servono a nulla alle aziende ) che forse invece servono ai buoni cittadini

Una è quella di preparare all'inserimento del mondo del lavoro (secondo il modello funzionalista) l'altra è quella di socializzazione (il "formare buoni cittadini").
In linea di massima, nei livelli inferiori di scolarizzazione (elementari e medie) la prevalente (ma non unica) è la socializzazione; nei livelli superiori (scuola secondaria e università) la prevalente (ma anche qui non l'unica, soprattutto nelle superiori) è la preparazione al mondo del lavoro. L'equilibrio tra le due è variabile, e sarà sempre oggetto di discussione. Non dovrebbe essere oggetto di discussione il fatto che le due funzioni esistono entrambe, e devono procedere di pari passo.

Secondo me il sistema scolastico italiano fallisce due volte, e nella prima e nella seconda funzione (qui le mie ragioni). E' giusto e logico che in un blog di economia come questo ci si concentri sulla capacità della scuola di preparare all'inserimento nel mondo del lavoro, adottando il modello funzionalista. Tuttavia se si dimentica l'altra funzione si fa una analisi zoppa perché le due sono collegate: il "buon cittadino", l'individuo ben socializzato, è poi anche quello che si inserisce meglio nel tessuto produttivo, a prescindere dalla sua formazione specifica.

Sul fatto che i compiti a casa corroborino disuguaglianze sociali si veda qui. Gli studenti italiani sono quelli che vi dedicano più tempo in Occidente.

Riflessione. A una lettura più attenta i test che valutano il sistema scolastico italiano mostrano risultati molto disomogenei. C’è un’Italia del Nord che ha performance simili alla Germania e ai paesi dell’Europa del nord e un’Italia del sud con performance simili a Turchia, Cipro e Grecia. Le analisi e i consigli di Bercelli sono condivisibili e di buon senso, compresi quelli sui compiti a casa, mi chiedo però, dal momento che le Indicazioni Nazionali sono le stesse da Bolzano a Ragusa, perché a Bolzano funzionano e a Ragusa no? Quando si parla di risultati del sistema scolastico italiano si fa riferimento a una media nazionale, ma nella realtà di fatti quell’Italia media è un’astrazione, una finzione che non esiste. Alla fine i fattori determinanti sono sempre quelli socioeconomici. Si torna sempre al Pil pro capite con cui tutto è correlato. Al di là di tutti le modifiche migliorative che si possono apportare al sistema scolastico credo si riuscirà a scalare le posizioni nei ranking internazionali solamente quando si risolverà il dualismo nord-sud. Mi viene anche da pensare che non ci sia un unico modello di buona scuola; che il sistema italiano (almeno per quanto riguarda l’istruzione primaria e secondaria), con tutti i limiti che conosciamo, se applicato in un contesto socioeconomico favorevole dà risultati che non si discostano da quelli che consideriamo best practices e che se i sistemi tedesco, olandese e belga fossero implementati nel Mezzogiorno sarebbero ugualmente fallimentari.

 il focus OECD che hai linkato suggerisce invece come conclusione finale di incoraggiare gli studenti svantaggiati a finire i compiti.

Mi sembra che per l’ennesima volta si stia ignorando un punto cruciale.

Gli insegnanti a cui affidiamo buona parte della formazione dei nostri figli, dalle scuole dell’infanzia all’istruzione superiore, sono pagati male. Gli stipendi della scuola —compresi in una forchetta tra i 1150 e i 1900 EUR netti raggiunti con il massimo (35 anni !!) di anzianita’ — non sono semplicemente attraenti per le persone di maggiore qualità’. Cosi’, con la lodevole eccezione di alcune scelte puramente vocazionali, la professione dell’insegnante non può’ che diventare un lavoro di ripiego.

Francamente, al netto di ogni altro ragionamento, mi sfugge come si possa pretendere di avere una scuola di qualità’ comparabile pagando gli insegnanti molto meno che in Francia o in Germania.

 

Gli insegnanti a cui affidiamo buona parte della formazione dei nostri figli

 

per delicatezza di ruolo non sono molto diversi dagli infermieri, forze dell'ordine, militari, vigili del fuoco. sarebbe tragico se  la qualità, prima del reclutamento e poi del servizio, fosse molto sensibile solo al loro stipendio netto. vale anche al ribasso: con una riduzione di paga, gli insegnanti tedeschi e francesi, posto che siano migliori dei nostri, continuerebbero ad essere migliori.

è lo status dell'insegnante e del poliziotto etc, che ci deve interessare, non gli 80 euro. un ambiente di lavoro estremamante appiattito, dove gli scatti sono solo per anzianità e il merito è disprezzato, continuerà ad attrarre solo i "meno abili", per ogni livello di retribuzione realisticamente concepibile.

Un lavoratore di Fiat comprende che non può avere la stessa retribuzione di un suo omologo francese o tedesco perché è la produttività che paga gli stipendi. La classe professorale non lo capisce, o finge di non capirlo. Per loro è solo una questione sindacal-burocratica, un’ingiustizia a cui si rimedia con un adeguamento tabellare.

con pensioni generose e poche ore di lavoro, la paga oraria dell'insegnante italiano è stata finora molto competitiva.

Concordo sulle molte pecche elencate della scuola italiana. Ma non condivido l'ottimismo sull'impegno di migliaia di bravi insegnanti visto che solo quelli di ruolo sono in totale 729.668.

Sull'ASL posso dire di aver visto ragazzi bighellonare tra bar e sale giochi; non darei la colpa a loro ma a chi l'ha organizzata in quel modo. Vedo però molti ostacoli da parte della classe docente ad assumere un ruolo positivo, salvo poche eccezioni sia individuali che di qualche istituto.

Ho visto docenti leggere il giornale in classe; scrivere articoli per il suo giornalino, preparare relazioni per sue attività esterne, ecc. Addirittura un docente addormentato, col capo chino sulla cattedra. Mentre gli studenti s'intrattenevano in amenità varie.

Ho visto l'alto assenteismo nella classe docente, lo sfruttamento anche abusivo della 104, il poco impegno di docenti autorizzati ad esercitare libere professioni (avvocati, ingegneri, commercialisti, ecc).

Ho visto docenti venir meno all'obbligo che non è solo formale di effettuare le valutazioni, e di largheggiare per evitare contestazioni da parte di studenti e genitori. Demotivando gli studenti stessi.

Ho visto l'insofferenza crescente, anche da parte di docenti che pure avevano iniziato il loro lavoro con impegno, verso la sempre più crescente indifferenza di alunni e studenti. Casi di aggressione da parte di genitori a docenti sono stati rari, ma hanno contribuito a demotivare moltissimi altri.

Ho visto presidi (ora dirigenti manager) affidare progetti a docenti amici, vantandosi di farlo 'motu proprio', e pagarli anche senza una relazione scritta sul lavoro svolto durante l'anno.

Mi sa che poche punte di diamante possono fare poco in questo sistema scolastico.

Certo, meglio sarebbe prolungare la pemanenza negli istituti, per consentire la socializzazione, ma anche per dare più tempo agli studenti di studiare; soprattutto se si ritiene inutile lo studio autonomo a casa. Eliminarlo sic et simpliciter credo che comporti un ulteriore abbassamento del livello, già bocciato dall'Ocse, che ritiene impreparati anche i laureati italiani.

Credo che sia anche antieducativo far crescere ragazzini senza senso di responsabilità, abbandonati per l'intero pomeriggio davanti alle tv, ai cellulari o per le strade. Salvo quelli per i quali la famiglia è in grado di svolgere quel ruolo educativo necessario a quell'età.

Il livello si è andato sempre più abbassando a causa di riforme sbagliate, che hanno determinato un abbassamento progressivo del livello culturale.

E siamo arrivati a questo, a novembre 2017, secondo l’ultima indagine Ocse-Pisa: "Circa 3.500 studenti, 50% maschi, 50% femmine, hanno svolto le relative prove, ma l’Italia si piazza nella parte bassa della classifica: al 30esimo posto (su 51 paesi presi in considerazione) con un punteggio medio di 478 punti, inferiore alla media Ocse di 500. Il 65% degli studenti raggiunge il livello minimo di competenza stabilito dall’Ocse, soltanto il 4,2% degli studenti si colloca al livello avanzato mentre più di un terzo degli studenti si colloca al di sotto del livello minimo di competenza."

Perché in tv fanno trasmissioni a premio basate su domande di cultura varia e invitano persone all'oscuro di tutto? In questo mondo dell'apparire anche questi ignoranti, che ciononostante appaiono in tv, fanno pensare che si vuole abbassare volutamente il livello culturale. O almeno demotivano uno studente, che si chiederà: se quello va in tv che studio a fare io?

Non credo che basti qualche riforma.

Ci vorrebbe una mente illuminata in alto. Ma s'è visto come la classe politica seleziona se stessa per quel ruolo. Ci vorrebbero investimenti, ma in Italia la spesa è calata dell'11% dal 2005 al 2013, mentre è aumentata del 19% nella media degli altri Paesi.

Ci sarebbe bisogno di una rivoluzione dell'intero corpo docente. Ma dov'è, questo corpo, in grado di farla?

Cambiare la scuola senza la partecipazione attiva di una parte almeno degli insegnanti è impossibile. Per questo bisogna fare leva su quelli disponibili, per quanto pochi siano. Avviare processi cui partecipino alcuni insegnanti e alcuni dirigenti.

Riporto, a questo proposito, un intervento di ieri del dirigente scolastico Maurizio Parodi, che guida il movimento Basta compiti!, sui "Compiti di realtà" cui i libri di testo correnti dedicano qualche rara paginetta in aggiunta alle moltissime pagine di altri compiti: 

 

Sui "Compiti di realtà". [Secondo le Linee guida del Ministero] "Si chiede allo studente di risolvere una situazione problematica, complessa e nuova, quanto più possibile vicina al mondo reale, utilizzando conoscenze e abilità già acquisite e trasferendo procedure e condotte cognitive in contesti e ambiti di riferimento moderatamente diversi da quelli resi familiari dalla pratica didattica. Il compito di realtà è: progettuale, realistico, operativo, spendibile, complesso, disciplinare, trasversale, verificabile, sociale."
Molto interessante [commenta Parodi], molto significativo ... e molto inquietante.
Se si sono inventati i “compiti di realtà” significa che i compiti attualmente, normalmente assegnati e svolti sono irreali, per non dire artificiosi, astrusi o, peggio, assurdi: ed è proprio così. L'esperienza scolastica si caratterizza soprattutto per l'insensatezza o l'inutilità dei contenuti trattati e dei modi in cui sono trattati.
È ormai difficile ignorare l'evidenza di un simile paradosso: si impara sempre meno a scuola e si dimentica sempre più rapidamente ciò che a scuola si impara. Inevitabile laddove l'apprendimento sia solo nozionistico: le informazioni ingurgitate attraverso lo studio domestico per essere rigettate, a comando (interrogazioni, verifiche...), hanno durata brevissima; non “insegnano”, non lasciano il “segno”, attivano solo la memoria a breve termine, veicolano un sapere “usa e getta” (dopo pochi mesi restano solo labili tracce della faticosa applicazione).
Da qui l'ennesimo richiamo all'autenticità dei processi di conoscenza, ma l'imprinting “pedagogico” è troppo forte (non ce la possono fare): non si auspica l'irruzione della realtà, della vita, della socialità nella scuola, prospettiva evidentemente spaventosa, ci si limita a evocare una simulazione meno distorta un po' più verosimile (e magari riuscisse).
Per inciso: i compiti di realtà si aggiungono ai compiti a casa (“surreali”) abitualmente assegnati, non li sostituiscono.
Credere che la didattica reale possa giovarsi dei richiami alla realtà di Montessori, Freinet, Milani, Rodari, Lodi è del tutto irreale.
 

 

Con dirigenti e insegnanti che ragionano così, e ce ne sono, si può provare a fare qualcosa. 

1)” La scuola dovrebbe aiutare bambini e adolescenti a entrare nel mondo degli adulti, a entrarvi quanto meno sprovveduti possibile rispetto a ciò che li aspetta. Può aiutarli ben poco se il legame fra scuola e mondo esterno è troppo debole. In effetti la scuola italiana, nelle sue pratiche quotidiane, è quasi del tutto autoreferenziale.”

Questa è pura retorica, cosa significa che gli argomenti trattati a scuola sono “sconnessi del mondo reale”? Studiare platone e kant vuol dire affrontare argomenti che nulla hanno a che fare con ciò che ci circonda?

“Tuttavia gran parte di autorità scolastiche, insegnanti e genitori, danno per scontata questa sconnessione. Per dirne una, i test INVALSI e PISA misurano basilari competenze linguistiche e logico-matematiche, necessarie per stare efficacemente nel mondo attuale. I risultati italiani sono mediocri ma, invece di chiedersi come rimediare, non pochi contestano validità e utilità dei test.”

In realtà sono favorevole ai test INVALSI ed OCSE PISA, come sono favorevole in generale a tutti i vari test su scala nazionale, aiutano il confronto e stimolano gli studenti, detto ciò il problema è l’uso che se ne fa. 
Un conto è se tali valutazioni servono come strumento statistico per trarre determinate conclusioni, un conto è se vengono usate per colpire determinati istituti anziché aiutarli.

“Per dirne un’altra, perfino la recente timida introduzione, nelle superiori, dell’alternanza scuola/lavoro, ha trovato diffuse resistenze.”

Obbligare gli studenti di tutta italia a lavorare, tra l’altro negli anni in cui la scuola non è obbligatoria talvolta presso enti privati e senza alcuna retribuzione, è un’offesa alla libertà per chiunque.
Un conto può essere incoraggiare gli studenti ad avvicinarsi al mondo del lavoro, specie se frequentatori di istituti tecnici, un conto è invece obbligarli.

2. Un diluvio di nozioni superflue
“Le assurdità generate da questo isolamento della scuola sono innumerevoli. Qualche esempio a caso. Che utilità può mai avere, per l’uso della matematica nella vita adulta, imparare a 12 anni le formulette di trasformazione dei numeri periodici in frazioni? O, per l’uso competente della lingua italiana, imparare decine e decine di complementi in analisi logica (ne ho contati 43, trattati in 71 lunghe pagine di un testo di 2a media)? O, per capire la società, leggere, a 9 anni, l’elenco delle dinastie egizie con nomi e date di faraoni e consorti?”

Devo seriamente rispondere a questo punto? 

“Un simile diluvio di nozioni distrae dall’obiettivo prioritario che tutti gli scolari acquisiscano bene le competenze davvero basilari. Obiettivo mancato, come mostrano i test PISA e INVALSI. Se invece fosse conseguito, niente poi impedirebbe che agli scolari più motivati venisse data l’opportunità di approfondire i loro specifici interessi, fosse anche la lista dei 43 “complementi” in analisi logica -- lo dico con amara ironia.”

Facciamo una scommessa, sono abbastanza convinto che gli studenti che si ricordano i 43 complementi sono gli stessi che vanno meglio nei test PISA ed INVALSI ;) (e fino a prova contraria questo “attacco” agli argomenti da studiare lo trovo decisamente ridicolo e basato sul nulla)

3. Libri di testo poco utili
“Un cardine di queste insensatezze è, a mio giudizio, il libro di testo. Mi limito a qualche aspetto, con qualche dato ed esempio.
Mole. Per i testi annuali di Italiano e Matematica, siamo sulle 1500 pagine in tutto. Se si aggiungono le altre discipline, siamo sulle 3000 pagine ogni anno. Quante di esse verranno lette, non dico studiate? Un 20% potrebbe essere una stima ottimistica. Sarei qui favorevole a un’imposizione statale: nelle medie inferiori, non più di 1000 pagine l’anno come totale dei testi di studio obbligatori. A guadagnarne sarebbero le schiene dei pre-adolescenti, e anche le loro menti. Caso estremo, ma istruttivo: in Nuova Zelanda, a 13 anni, niente libri di testo (però un pc per ogni alunno); nelle graduatorie PISA, la Nuova Zelanda supera l’Italia in tutto. ”

Qui tocchiamo le vette più alte forse dell’articolo. E’ OVVIO che non vengono studiate tutte le pagine; però più pagine ci sono, più l’insegnate può selezionare quanto ritiene maggiormente opportuno. E’ anche un modo per incentivare lo studente a spaziare di più ed andare magari oltre quello che viene fatto in classe.
Discorso diverso è la questione libro fisico/virtuale; io sarei ad esempio per la diminuzione delle pagine stampate e l’aumento dei contenuti digitali, proprio per salvaguardare la schiena degli studenti, ma questo è un discorso totalmente diverso. 

“Linguaggio. Più spesso nei testi per le medie, ma talvolta perfino in quelli per le elementari, vien usato un italiano troppo astratto e formale, ricalcato sui testi universitari, inadatto all’apprendimento a quell’età. Basti vedere questo esempio da un testo di matematica di terza media, peraltro eccellente nel panorama italiano. Confrontare con testi e video didattici della Khan Academy, ora tradotti anche nella nostra lingua.”

Qui scadiamo addirittura nella contraddizione. Nella matematica è ovvio che venga usato un linguaggio formale, rigoroso e preciso; ti assicuro che chi capisce quelle definizioni nei vari test INVALSI e PISA non ha affatto problemi. Il vero problema magari è proprio di chi quel linguaggio non lo capisce, non trovi?

“Eserciziari. Il primato spetta ad aritmetica e geometria, ma anche l’italiano (grammatica) non scherza. Migliaia di esercizi (centinaia non basterebbero?) che addestrano a cose che saranno di scarsa o nessuna utilità nella vita di gran parte delle alunne e degli alunni, perciò vissuti da loro come una pena insensata. Che dire del calcolo, a 11 anni, di espressioni numeriche come queste o, a 12 anni, di problemi geometrici come questi? (Confronta in entrambi i casi con i due esempi di test Invalsi pure presenti nelle due pagine.)”

Ho già detto tutto ciò che penso. Comunque quando vedo certi attacchi alla matematica due sono le possibili risposte o l’incompetenza o la malafede (o un buon mix che non guasta mai).
Aggiungo uno dei problemi della scuola italiana è che molti docenti quei problemi di geometria non li fanno fare (o comunque la maggior parte degli studenti non li sa svolgere perché non studia).

“Ci sono pure, va detto, case editrici che si sforzano di innovare: risorse digitali, video didattici, testi semplificati per scolari svantaggiati, guide ai test Invalsi. Purtroppo questi ausili, oltre a mantenere i difetti dei testi principale, aggiungono appendici a corpi già straripanti, quando invece bisognerebbe snellire radicalmente tutto.”

Certo eliminiamo tutto, tanto a cosa serve avere materiale per approfondire e capire meglio ^^.


4. Caterve di compiti a casa
“Immaginiamo una scuola che funziona davvero, che realizza il suo compito primario (punto 1). Gli scolari capiscono bene ciò che l’insegnante brevemente spiega, e il resto del tempo è impiegato a fare pratica, con l’aiuto e la supervisione dell’insegnante. I testi, in questa fantasia, sono una sorta di pronto soccorso: se uno ha un dubbio, apre il testo, trova facilmente il punto e risolve il dubbio. Se invece, a scuola, buona parte del tempo è occupato dalla lezione dell’insegnante, dove va a finire la parte principale dell’apprendimento, la pratica che porta a saper fare? Va a finire nei compiti a casa. Meno funziona la scuola, più compiti a casa si danno. Come dire: a scuola impari poco, impara a casa da solo!”

Questo è quello che si fa alle elementari, poi si spera che le persone crescendo inizino ad avere strumenti propri ed un proprio metodo di studio.
Le ore in classe servono per farsi introdurre gli argomenti dal professore, confrontarsi con quest’ultimo e coi compagni, ed essere giudicati. 

“Il movimento Basta compiti! ha descritto i danni di questa infelice specialità della nostra scuola. Ne richiamo due: sovraccarico di lavoro che toglie spazio alla vita extrascolastica; discriminazione fra chi può essere seguito a casa da genitori più istruiti e chi meno o per niente. Ma il punto principale è quello già detto: un falso alibi che cela la povertà dell’apprendimento a scuola.”

Ho due genitori insegnanti, non ho praticamente mai chiesto loro un aiuto, gli strumenti fornitimi dalla scuola sono sempre stati più che sufficienti per capire le cose e studiare da solo; e non sono andato in alcun istituto speciale o particolare, non vedo motivi per cui altri debbano avere difficoltà se si impegnino un minimo (sono stato un buono studente a scuola, ma di certo non passavo 5 ore al giorno sui libri a casa, forse 2-3…)

“Rimedi? Eliminare o ridurre drasticamente i compiti è il più immediato. Più strutturale è la proposta della Classe capovolta (Flipped classroom): centrare la vita scolastica sulla pratica, riducendo al minimo le lezioni, anche con l’aiuto di testi di studio più snelli e leggibili.”

La flipped classroom è un’idea partorita nella testa di qualcuno che non ha la più vaga concezione di come funzionino le cose a scuola, e magari è abituata al modello (quello si abbastanza criticabile) della lezione universitaria.

5. Lacune su lacune: la finzione di Nessuno resti indietro
“Se questo è il quadro, nessuna meraviglia che larga parte degli scolari apprenda male, o non apprenda affatto, nozioni e procedure basilari. Sto pensando alla matematica, ma vale anche per altre discipline, secondo i test PISA e anche nella mia limitata esperienza. Le lacune si accumulano l’una sull’altra, di giorno in giorno, di mese in mese, di anno in anno. Fino al punto in cui un recupero diventa impossibile, l’apprendimento si riduce a zero, e la frequenza scolastica perde ogni senso.
In passato, il rimando a settembre e la bocciatura erano, nella loro grossolanità, meccanismi che potevano consentire almeno un parziale recupero di alcune lacune. L’abolizione di entrambi (formale dell’uno e sostanziale dell’altra), sostituiti da corsi di recupero velleitari e inefficaci, ha aggravato il problema.
Per fare solo un esempio noto a tutti, un’alta percentuale dei ragazzini delle medie inferiori non sa le tabelline. Anche ammesso l’uso delle calcolatrici, risolvere le (inutilmente) complicate espressioni numeriche assegnate in gran copia come compiti a casa, diventa un compito improbo. Per non dire delle comunissime lacune nella comprensione delle frazioni, delle percentuali, perfino dei concetti di moltiplicazione e divisione. Parlo di problemi che affliggono la quasi totalità degli scolari - anche italiani, non solo immigrati - che frequentano il mio doposcuola.
Per dare un’idea dell’abisso che separa la scuola ufficiale (quella dei libri di testo) dalla scuola reale, due tristi aneddoti. Ieri, un ragazzino di 13 anni, 2a media, cui spiegavo, nel mio doposcuola, il concetto di funzione (con l'esempio y=3x), alla mia domanda "Ma scusa 6:2 quanto fa?" ripetutamente risponde "Boh, che ne so". Ragazzina stessa età e classe: "Quanto costa un appartamento di 100 mq se il costo al mq è 1000 euro?", idem. 
Esistono soluzioni al problema dell’accumulo di lacune? Certamente, basti guardare a tanti sistemi scolastici migliori del nostro. Ma per prima cosa bisogna rendersi conto della drammaticità del problema. Lo slogan Nessuno resti indietro, tradotto nella pratica di non bocciare nessuno, è un altro falso alibi, una resa all’analfabetismo funzionale; e un inganno, fintamente benevolo, a danno di troppi ragazzini destinati alla marginalità sociale.”

L’unica punto condivisibile (fermo restando che l’esempio del ragazzino di terza media che sa il concetto di funzione e non sa fare 6:2 è un qualcosa di ridicolo ed abbastanza lontano dalla realtà)

6. Ognuno per sé perdutamente
“Il calvario degli scolari perdenti è solitario. Una scuola che non provvede a colmare le loro lacune, li abbandona a se stessi. Non solo: l’aiuto reciproco fra più bravi e meno bravi è stigmatizzato -- non copiare! non suggerire! -- invece che incoraggiato. Non si tratta di abolire le verifiche individuali, ma di organizzare il lavoro scolastico come lavoro di gruppo. Così dovrebbe avvenire in una scuola che prepari al mondo attuale, in cui l’attitudine alla collaborazione è basilare. Vedi i risultati PISA per l’Italia anche su questo.”

Non ho mai visto insegnanti disincentivare l’aiuto e la collaborazione fra studenti, anzi tutt’altro, spesso si è soliti cercare di avvicinare gli studenti più bravi a quelli meno bravi.
Ovviamente questo al di fuori delle verifiche, per motivi evidenti agli occhi di chiunque.

Evito gli ultimi due punti perché non sono altro che la riproposizione di argomenti già trattati.

 

Punto 1.

Questa è pura retorica, cosa significa che gli argomenti trattati a scuola sono “sconnessi del mondo reale”? Studiare platone e kant vuol dire affrontare argomenti che nulla hanno a che fare con ciò che ci circonda?

Si se a svantaggio di nozioni e preparazioni di uso ben piu' fondamentale. Inoltre, non tutti sono portati per affrontare certi livelli di astrazione. Molto meglio sapere l'inglese o la matematica o la fisica o l'economia in maniera piu' seria e, in seguito, affrontare certe astrazioni se occorre.

Quasi tutti studiano l'aritmetica con profitto e non sentono il bisogno di sapere che i numeri interi sono un anello algebrico, ne perche' ed in cosa si differenzino come gruppo abeliano commutativo dai non commutativi. O sbaglio ? 

Quasi tutti usano la prova del nove e nessuno o quasi sarebbe in grado di dimostrarne algebricamente la validita' .  Embeh ?

Chissa' perche' c'e' sempre questa convinzione che per capire l'universo sia necessario passare dalle caverne e dai noumeni laddove la matematica o la fisica possono essere presentate cosi in maniera avulsa dal contesto e van bene lo stesso.

Un conto è se tali valutazioni servono come strumento statistico per trarre determinate conclusioni, un conto è se vengono usate per colpire determinati istituti anziché aiutarli.

 Affermazione generica sul refrain "non valutiamo ed in generale facciamo che le valutazioni non significhino nulla"

Obbligare gli studenti di tutta italia a lavorare, tra l’altro negli anni in cui la scuola non è obbligatoria talvolta presso enti privati e senza alcuna retribuzione, è un’offesa alla libertà per chiunque.

Non sia mai che si arrivi sul lavoro con qualche esperienza pratica, giammai. 


Punto 2.

Devo seriamente rispondere a questo punto?

Direi. Occorrono 71 pagine di complementi ? Ovviamente no, occorre una robusta preparazione di base delineata e sintetizzata in maniera efficace. Cosicche' non si arrivi poi avendo letto tutte le pagine e con ortografia e sintassi zoppicante e totalmente incapaci di leggere e comprendere.

Facciamo una scommessa, sono abbastanza convinto che gli studenti che si ricordano i 43 complementi sono gli stessi che vanno meglio nei test PISA ed INVALSI ;) (e fino a prova contraria questo “attacco” agli argomenti da studiare lo trovo decisamente ridicolo e basato sul nulla)

Primo non ne sono affatto convinto. Secondo il fatto che un sottogruppo di eccellenza sia anche quello che sopporta meglio un peso inutile non toglie che il peso sia inutile.

3.

Qui tocchiamo le vette più alte forse dell’articolo. E’ OVVIO che non vengono studiate tutte le pagine; però più pagine ci sono, più l’insegnate può selezionare quanto ritiene maggiormente opportuno. E’ anche un modo per incentivare lo studente a spaziare di più ed andare magari oltre quello che viene fatto in classe

Continuiamo con le affermazioni generiche. Parliamo di scuole di base dove questa presunta "selezione" e' minima. Gia' il programma di base e' sterminato e non viene MAI finito. Un libro che viene sfruttato al 20/30% e'un costo enorme per una famiglia non abbiente ad esempio. Inoltre l'immediatezza della connessione tra quantita' e qualita' mi sfugge, io non la vedo sui libri dei miei figli ad esempio.

 Qui scadiamo addirittura nella contraddizione. Nella matematica è ovvio che venga usato un linguaggio formale, rigoroso e preciso; ti assicuro che chi capisce quelle definizioni nei vari test INVALSI e PISA non ha affatto problemi. Il vero problema magari è proprio di chi quel linguaggio non lo capisce, non trovi?

Non trovo. 

it.wikipedia.org/wiki/Omotetia

Questa definizione e' sostanzialmente esatta, formale ma comprensibile. 

Se vogliamo l'omotetia e' una traformazione affine dell'algebra lineare e anche qui lascerei perdere il concetto di giusto livello di approfondimento. 

Comunque quando vedo certi attacchi alla matematica due sono le possibili risposte o l’incompetenza o la malafede (o un buon mix che non guasta mai).

Difatti il risultato finale e' che fingendo di insegnare a risolvere cose difficili nessuno s risolvere quelle facili. Si parte dai risultati, si analizzano e di consenguenza si modificano le azioni. Il contrario produce le solite finzioni, lamenti ed il dilagante analfabetismo cui assistiamo con una vasta maggioranza di persone che tanto "di matematica non capisce nulla"

Certo eliminiamo tutto, tanto a cosa serve avere materiale per approfondire e capire meglio ^^.

Certo in seconda/terza media nel 2018 son tutti li ad aspettare il testo per eventuali approfondimenti. Secondo questa logica quindi si fa il testo (che comunque e' una misera selezione) per quello 0.01% che andra' ad approfondire. E questo gruppettino di menti che a 13/14 anni sono gia' cosi elevate....rimarra' sul testo invece di documentarsi in mille altri modi. Logica stringente.

4.

e non sono andato in alcun istituto speciale o particolare, non vedo motivi per cui altri debbano avere difficoltà se si impegnino un minimo (sono stato un buono studente a scuola, ma di certo non passavo 5 ore al giorno sui libri a casa, forse 2-3…)

Anche qui logica stringente. Io sono sempre uscito col massimo dei voti e la lode con uno sforzo ragionevole anzi a scuola facevo POCO. Dunque, erano gli altri ad essere imbecilli e disorganizzati. A 16 anni lo pensavo. A 46 invece penso che la scuola debba produrre risultati ragionevoli per la media e proporre sfide aggiuntive e premi aggiuntivi per chi e' piu'dotato.

In particolare il sistema deve essere progettato per un carico intorno alle 50 ore settimanali. Non si capisce perche' un impiegato debba fare 37 ore ed uno studente molte di piu'.

A meno che non si punti decisamente sull'eccellenza ma allora il discorso cambia completamente. Meritocrazia feroce, lavoro duro e grandi risultati modello Korea. Un topos lontanissimo dalla scuola italiana.  

Su 5 e 6 sono d'accordo. Anzi esiste la tendenza nefasta a sbattere i peggiori sulle spalle dei migliori.







DOMANDA: Cos'è la libertà di insegnamento? Perché la nostra Costituzione (art. 33) la garantisce? Ha dei limiti?

RISPOSTA: Cosa sia e perché esista lo posso solo immaginare.
Forse l'articolo 33 voleva reagire alle censure del regime totalitario da cui la nazione era reduce. Forse era ispirato da vicende ancor più remote, quali quelle di Galileo, Bruno e Vanini. Ma una cosa è la libertà di opinione. Altra quella di insegnare. L'idea che l'uomo come individuo necessiti assolutamente di "insegnare" è un po' originale. Diritto allo studio, si capisce. Di insegnamento, forse un po' meno.

Relativamente ai limiti di questa "libertà" garantita, l'art. 33 citato la limita alle "arti e scienze". Poiché ambo i termini sono indefinibili, così lo diventano i limiti di tale "libertà".

In realtà, al tempo della stesura della Costituzione, una sorta di limite esisteva. Si trattava del generico (troppo) reato di plagio. Il termine “plagio” significa diverse cose. Nel diritto romano era la riduzione in schiavitù. In psicologia è l’assoggettamento psicologico di una persona ad un'altra, per via del diverso livello della personalità e di tecniche di convincimento. Il diritto italiano definiva in passato con il termine plagio due diversi reati: uno simile alla definizione testé fornita (art.603 cp); ed un altro consistente in una particolare forma di truffa (legge del’41 sul diritto d’autore).

Ora non più. Nel 1981, l’art. 603 c.p. è stato abolito dalla corte costituzionale perché mal scritto. Eppure, è vero che sia possibile utilizzare tecniche psicologiche per ridurre persone di personalità più debole in proprio potere. Per convincerle delle peggio assurdità.

La cosa curiosa è che tale reato non è stato abolito dal fascismo, che di plagio delle giovani generazioni si è macchiato abbondantemente, ma dal nostro grazioso regime partitocratrico ( ). Ebbene, il plagio psicologico delle giovani generazioni, inteso come insegnamento di opinioni come dati di fatto inopinabili, magari affiancate da giudizi morali, è sempre stato un strumento di controllo proprio dei regimi totalitari, tipicamente a base ideologica o religiosa ( ). Il fatto che l'utilizzo di tale strumento di sopruso sia stato disconosciuto come reato è sì grave, ma è anche l'occasione di re-istituirlo con una definizione più precisa di quella del vecchio articolo 603.

Perché scorrendo i libri di storia e di geografia dei nostri ragazzi, si notano due elementi molto gravi: il marcato approccio "storicista" (ovvero il tentatovo di interpretare la storia come storia di lotte di classe) e la sovrabbondanza di opinioni ed interpretazioni (collettiviste ed illiberali) e giudizi morali, spacciati come dati di fatto.

Le nostre istituzioni non includono, fortunatamente, un ministero della propaganda deputato specificatamente all’attività di plagio dei giovani.

Esiste però un ministero della pubblica istruzione, che ne ha in fondo gli stessi poteri per quanto concerne l’approvazione dei testi scolastici. In totale assenza di norme che ne prevengano la degenerazione.

Al contrario, è garantita proprio in Costituzione (art.33) la libertà di insegnamento (3). Equivalente, in assenza di limiti, al diritto di sparare al prossimo. Eppure, possiamo condividere tutti il fatto che il giudizio definitivo di un insegnante, a cui il giovane studente riconosce una maggiore conoscenza ed esperienza, viene generalmente accettato come vero. E’ un potere non da poco. E chi difende lo studente?

Il problema, insomma, è che non esiste una norma deputata a difendere il giovane dal plagio educativo. A che forma di tutela può rifarsi il genitore o il preside o il provveditore scandalizzato da giudizi ideologici nei testi o nelle lezioni scolastiche? A nessuna.

Al contrario, è l’insegnante che può sempre rifarsi all’art.33. Ma l'obiezione posta dagli appassionati di plagio ideologico contro l'istituzione del reato de quo è che questo sia inevitabile. Cioè, sarebbe inevitabile che chi insegna la Storia, il Diritto, le Arti e le altre cosiddette scienze sociali od umanistiche si possa astenere da spacciare sue opinioni personali come le uniche esistenti. O proprie interpretazioni di logiche causa-effetto come dati di fatto. O propri giudizi morali.

Ebbene, mi oppongo totalmente a tale tesi, propugnata per impedire l'istituzione del reato di plagio, nonché qualunque responsabilità dell'insegnate nei confronti della propria attività. Non è vero che sia inevitabile spiegare teorie, in qualunque campo umanistico, senza spacciarle per univoche. Non è vero che sia impossibile proporre tesi (filosofiche, politiche, artistiche etc) od interpretazioni (di logiche storiche, di riforme politico giuridiche, di intenti letterari, di significati artistici etc.) come opinioni anziché come dati di fatto.

Soprattutto, non è vero che sia impossibile astenersi da proporre i propri giudizi morali su episodi, personaggi o teorie. E' vero il contrario. Cioè che lo sforzo richiesto ad ogni insegnante sia quello di fornire ai futuri cittadini gli strumenti per formarsi dei propri giudizi, non quello di fornire a loro i propri. Il tempo più utilizzato dovrebbe essere il condizionale. Ed in questo orientamento, risultano particolarmente sbagliati i giudizi morali.

Tra l’altro, il bello del giusnaturalismo (questo articolo è tratto pari-pari da un testo di filosofia del diritto giusnaturalista) consiste proprio nella spontaneità del giudizio morale (4). Il fatto che un insegnante, che gli studenti vedono come conoscitore molto più approfondito di loro sia nel campo specifico che, per questioni di età, nelle dinamiche sociali, fornisca un giudizio incondizionato e definitivo non può che condizionare il loro. Quindi, non deve accadere! (5)

Attenzione: non è un problema di controllo dell’attività degli insegnanti. Ma quello di avere almeno un riferimento di diritto che difenda il giovane. A cui, a necessità, possano riferirsi od appellarsi genitori, scrittori di testi scolastici, e presidi. Ma anche gli stessi insegnanti. Conclusione: è necessario istituire e definire il reato di plagio educativo, così definibile: L’insegnamento a cittadini minorenni di opinioni prospettate come dati di fatto inopinabili, oppure affiancate da giudizi morali, è un reato (6) definito plagio educativo (7).

(Nota: quanto sopra è il copia-incolla di un vecchio articolo dell'amico Guido Cacciari su Von Mises Italia. Peccato che le note non compaiano).

Il laicissimo regime di Mussolini patteggiò il furto di proprietà perpetrato nei confronti dello Stato che oggi chiamiamo Vaticano con determinate condizioni di pace e rimborso. E questo, per uno stato laico, è normale.

Ma tra queste condizioni vi fu anche l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche. Ora, per uno Stato laico, che la religione non vuole neanche sapere che cosa sia, è un po’ opinabile. A mio avviso, si può anche interpretare come un’ottima occasione proprio per conciliare il laicismo politico con l’insegnamento di un tema che fa parte della cultura, ovvero dei modi di esprimersi della società.

La religione, bene o male è uno dei mezzi di comunicazione tra individui, nonché fonte di incontro e scambio. Che lo Stato non se ne voglia occupare, è corretto. Ma che gli individui possano conoscerlo come mezzo di comunicazione, è solo un arricchimento degli strumenti sociali individuali.

Passiamo al secondo problema: è possibile conciliare la definizione succitata di plagio educativo e l’ora di religione? Così com’è, no di certo. Perché gli insegnanti, sempre cattolici e scelti dall’autorità ecclesiastica, tentano coscientemente di attuare il plagio teorizzando la superiorità del loro credo.

La soluzione è una sola, ed è sicuramente auspicabile per rendere tale studio di valore ai fini culturali, o educativi: basta che anche tale insegnamento sia soggetto al reato di plagio così come sopra definito. Divenendo necessariamente privo di giudizi morali, si arricchirebbe di confronti obiettivi tra le diverse religioni.

Si trasformerebbe automaticamente in quella preziosa fonte culturale, o mezzo educativo, che avrebbe sempre dovuto essere.

Grazie C.M. L'articolo completo è qui.

DOMANDA:

Perché dovrebbe esistere un periodo, in gioventù, di istruzione obbligatoria? Prescindendo da una più approfondita disamina che ho lasciato altrove, in sintesi la ragione è che vivere in comunità non è facile. Richiede conoscenze.

Ma allora, che tipo di conoscenze servono per vivere bene nel contesto sociale, ovvero diventare buoni cittadini? Provo a definirle così: quel bagaglio di capacità e conoscenze che permette di comunicare ed interagire con il prossimo e la società. La cosiddetta cultura ([1]).

Ebbene, questa breve e semplice definizione si contrappone ad un equivoco comune, alla base dell’istruzione obbligatoria attuale.  Cioè che questa debba insegnare a lavorare.

Non è così ([2]).

Ammettendo invece il collegamento tra il termine cultura e la capacità di comunicare si chiariscono immediatamente svariate cose.

Si spiega ad esempio:

- la ragione dell’insegnamento di materie come latino, greco, arte e letteratura. La loro giustificazione sta nel permettere riferimenti ed immagini dalla comprensione immediata. La citazione di un brano letterario, di un’opera artistica, di una locuzione latina permette la comunicazione immediata di concetti complessi ([3]). Specialmente in Diritto, di cui Roma ed Atene furono la culla. E la familiarità con l’etimologia dei termini ne facilita sia il corretto utilizzo che la produzione di neologismi;

- perché i programmi educativi, dall’antichità fino agli anni ‘50, comprendevano la materia di retorica, che riguardava la capacità di parlare in pubblico. Ora sono state quasi abolite anche le interrogazioni pubbliche, sostituite da quiz scritti;

-  l’importanza dello studio delle lingue, compresi i dialetti locali;

- la necessità di continuità culturale. La modifica dei programmi scolastici è pericolosa. Perché rischia uno iato comunicativo tra le generazioni ([4]). Direi che questa conseguenza, con le tragiche riforme che si sono succedute negli ultimi 20 anni, l’abbiamo sperimentato abbastanza sulla nostra pelle ([5]).

E lo scopo ultimo di mettere il giovane cittadino in condizioni di muoversi nella sua società svela anche perché, prima del caos odierno, lo studio del diritto ([6]) ([7]) era il più importante;

E’ ora di recuperare tali concetti, derivanti dalla semplice chiarezza di quale sia l’intento primario della scuola dell’obbligo, e che qui ripeto: fornire quelbagaglio di capacità e conoscenze che permette di comunicare ed interagire correttamente con il prossimo e la società.

 



 

[1]  Il concetto di cultura come capacità di comunicare può sembrare inizialmente riduttivo. Infatti, cercando le definizioni del termine sulla Treccani, sul Devoto Oli o Wikipedia, ci si imbatte in tentativi di definizione ben più ampi. Anzi, direi lunghissimi, incomprensibili e contraddittori. Perciò, nonostante la serietà e lo sforzo di approfondimento dei dizionari italiani, il termine cultura si presta magnificamente all’utilizzo demagogico. In quanto termine privo di un significato preciso, ma con connotazione intrinsecamente positiva. Ecco perché è usato continuamente a sproposito, per sostenere tutto ed il suo contrario

 

 

[2]  C’è una cosa su cui chi si guadagna il pane riconosce: il lavoro si impara lavorando. Ho constatato che tale assioma non è in realtà condiviso da una specifica categoria di lavoratori: gli insegnanti. Effettivamente, si può anche comprendere perché. Per loro, effettivamente, non vale. Ma in generale, l’apprendimento vero avviene sul campo. Ovvero, quando ci si butta alle spalle il 90% delle nozioni masticate negli studi professionali (e spesso in quelli accademici), si ritengono terminologia e riferimenti bibliografici, si ristudia da capo il restante e poi si va ben oltre.

    E poiché la massima efficienza mentale e fisica si raggiunge prima dei vent’anni, è importante che sia il sistemaeducativo (dell’obbligo) che quello propedeutico (post maturità) siano rapidi e precoci.

 

 

[3] Ignorando l'importanza del latino come strumento di comunicazione, lo si giustifica comunemente in due modi: perché affronta l'analisi logica del periodo (ma questa è affiancabile alla grammatica italiana) e perché, dice qualcuno, allena a ragionare, (come se tale "esercizio" non potesse essere coperto da altre materie). Spero che la mia giustificazione sia giudicata meno opinabile.

 

 

[4] Che è comunque inevitabile, vedi la rivoluzione internet" nelle comunicazioni. Quindi, è ancor più importante salvare il salvabile.

 

 

[5]  Il fatto che altri paesi abbiano programmi diversi ha una sua importanza, perché lo ha l’interazione internazionale. E perché permette il confronto. Ma non si può prescindere dalla priorità, per il cittadino, della sua società. Soprattutto laddove il sistema educativo è già efficace.

   Ricordiamoci di quando lo studente italiano era considerato il più preparato in Europa? Ci ricordiamo che una volta i programmi di storia e geografia si completavano alle elementari, e si ripetevano alle medie? Ora non più. Per uniformarsi agli altri paesi, i programmi si completano una volta sola in 8 anni. E siamo piombati agli ultimi posti del livello culturale. Guarda un po’ che strano. Non c’era un solo insegnante che fosse d’accordo con questa riforma. Non un solo genitore. Morale? Ecco dimostrato ancora una volta come il potere politico sia pericoloso, e debba perciò essere imbrigliato e limitato da norme e definizioni precise.

 

 

[6]  Com’è possibile, ad esempio, un fenomeno come il bullismo proprio in un ambiente che dovrebbe spiegare che la società esiste per difendere l’individuo dal sopruso? Com’è possibile che né gli studenti né gli insegnanti abbiano idea dei mezzi che il cittadino ha per difendersi dalla violenza del gruppo? Dovrebbe essere il primo insegnamento! La prima conoscenza! La prima ragione per cui esiste un'autorità pubblica. Questura e tribunale esistono per questo. Nessuno lo sa? O veramente questa autorità pubblica è così inefficiente ed inefficace da essere incapace di questa funzione primaria? Bè, anche in questo caso, il tema andrebbe comunque trattato. La prima autorità pubblica dovrebbe essere quella più vicina della vittima dovrebbe essere l'istituzione scolastica di cui fa parte, supportata o integrata se necessario dai locali poteri esecutivi e giudiziari. Dove sono questi riferimenti, ora? Dove sono questi aiuti istituzionali? Qual è la semplice ed immediata procedura? Chi la insegna? Vuoto totale. Dovrebbe invece essere l'ABC del diritto e del saper vivere del cittadino e della cittadina.

 

 

[7] Il bullismo è un esempio tipico di comportamento che, nonostante sia condannato dal senso comune, esiste e perciò richiede la necessita di una autorità pubblica a difesa della vittima dalla prepotenza del branco. Cioè il gruppo di cui al primo capitolo del testo di diritto giusnaturalista "Terzo Trattato sul Governo" di Giovanni Lucchetto. Ripassiamo: chi è in grado di neutralizzare i naturali istinti sociali? Risposta: chi non si riconosce parte della società. Oppure, chi si sente parte di un'altra comunità. Quale, in questo caso? Il branco. In altri casi, la banda, la cosca, etc. La cui appartenenza permette moralmente efferatezze nei soli confronti di chi non ne è parte, mentre permane il codicenaturale interno (magari detto "d'onore").