Il secondo incubo del barone

/ Articolo / Il secondo incubo del barone
  • Condividi

A me i peperoni piacciono follemente, ma non li digerisco. E quando non digerisco, faccio incubi terribili. Ho sognato di nuovo il Milanese, il Ministro ed il Burocrate che parlavano di università. Questa volta il Milanese, di spalle, usava Power Point per una presentazione. L’incubo è stato peggiore del precedente, ma non preoccupatevi, questa volta c’è il lieto fine.

Ministro Gelmini: Dunque lei ci ha portato la sua proposta per la riforma dell’università...

Milanese: Si, come promesso in 10 articoli, semplici e scritti in italiano comprensibile. Poi ci penseranno i vostri uffici a renderla incomprensibile come al solito

Burocrate: Ma come si permette!

Milanese: Scherzavo...

Ministro Gelmini: noi lombardi siamo molto scherzosi, non si offenda. Allora cominci

 

Art 1

Compiti dell’ Università

L’Università è la sede della ricerca e didattica

 

Burocrate: Mi sembra troppo breve e secco

Milanese: Tanto è tutta retorica inutile: scriveteci quello che volete

 

Art 2

Governance

Organi dell’università sono il rettore, il Consiglio di Amministrazione ed il Senato Accademico. Il Consiglio si occupa delle questioni amministrative e finanziarie, il Senato di questioni inerenti all’attività scientifica e alla didattica. La composizione dei due consigli, i metodi di scelta dei loro membri e del rettore sono stabiliti dai regolamenti delle singole università da approvarsi entro sei mesi dall’approvazione della presente legge

 

Burocrate: Così senza un controllo?

Milanese: Avevo pensato in effetti di mettere qualche paletto – tipo gli enti locali non possono avere rappresentanti nei CdA per evitare che i politici mettano becco nelle faccende universitarie. Poi ho deciso di lasciare perdere. Sono per la libertà e l’autonomia. Mi interessano i risultati.

 

Art 3

Reclutamento

Viene istituito il ruolo unico di professore universitario di ruolo. Il reclutamento dei professori avviene attraverso concorsi locali. La commissione è nominata dal Dipartimento di afferenza fra i propri membri, ricorrendo se necessario al parere scientifico di esperti esterni. La proposta della Commissione deve essere approvata dalla maggioranza dei docenti della disciplina dell’università. L’Università può altresì nominare, con le stesse modalità, professori a contratto.

 

Milanese: In sostanza ci sono due tipi di professori, quelli stabili (di ruolo) e gli altri. Il ruolo è unico, e così facciamo contenti i sindacati e la sinistra che ci tengono tanto. Per diventare professore di ruolo si deve fare un concorso. Così si fanno contenti quelli che invocano l’articolo 97 della Costituzione (i dipendenti statali devono essere assunti per concorso pubblico). Ma in pratica decide il Dipartimento, visto che la commissione è solo interna: in altre parole come ho promesso, i concorsi sono aboliti.

 

Art 4

Obblighi e remunerazioni del corpo docente

I professori di ruolo hanno l’obbligo di tenere un minimo di 90 ore di insegnamento ed hanno diritto ad uno stipendio pari allo stipendio di ingresso dei professori di scuola media inferiore, senza scatti di anzianità. L’università può stipulare con loro contratti di diritto privato, specificando ulteriori remunerazioni a fronte di obblighi didattici, di ricerca o di amministrazione. Le clausole di tali contratti sono stabilite di comune accordo fra le parti. Analogamente sono stabiliti obblighi didattici, scientifici ed amministrativi ed importo della remunerazione per i professori non di ruolo. Tutti i professori hanno diritto di svolgere attività esterna remunerata, a condizione che devolvano una quota del reddito lordo di tale attività all’università di appartenenza. La percentuale è fissata di comune accordo fra le parti, con un minimo del 30%.

 

Milanese: I professori di ruolo stanno fino alla pensione ed hanno un modesto salario fisso (circa 1200) più uno stipendio differenziato e variabile sulla base di un contratto ad personam. Gli altri solo la parte variabile. Ma in ogni caso, il grosso dello stipendio per quasi tutti verrà dalla parte variabile.

Ministro: E come la stabiliranno?

Milanese: Lo decideranno le università. Potrebbero stabilire obiettivi scientifici - tipo tre articoli in grandi riviste ogni cinque anni, oppure un tot per articolo con un tariffario preciso a seconda della rivista. All’estero lo fanno. Potrebbero pagare i corsi oltre le 90 ore stabilite, magari anche in base al gradimento degli studenti. Tutte, penso, pagheranno un extra al direttore di dipartimento. In qualche caso, deciderà il Dipartimento, ma penso che i contratti più importanti e più lunghi dovranno avere l’approvazione del CdA e del Senato Accademico. In ogni caso, autonomia totale.

Ministro: E se uno non rispetta i patti?

Burocrate: L’Università lo porta in tribunale

Ministro: Ma la giustizia civile non funziona – tutti comunisti fannulloni

Milanese: Vero. È più semplice non rinnovare i contratti, o mettere clausole ex post. Comunque decide l’Università.

Burocrate: E perchè si permette l’attività esterna? Non è meglio proibirla o distinguere tempo pieno e tempo definito come si fa ora, con una somma aggiuntiva per i professori a tempo pieno?

Milanese: Vede signor Ministro, per alcune professioni, gli incentivi monetari non servono. Un grande avvocato a Roma può guadagnare in poche ore lo stipendio di un mese di un ordinario a fine carriera. Ma quasi sempre i professionisti vogliono poter mettere Professore all’Università di …. sul loro biglietto da visita per aumentare le loro parcelle. Quindi, che l’università ci guadagni.

 

Art 5

Finanziamento statale delle università

Il finanziamento statale si compone di due fondi, il fondo per il funzionamento ordinario (FFO) ed il fondo per il diritto allo studio (FDS). A partire dal secondo anno dopo l’approvazione della legge, gli importi sono stabiliti in 9 ed 1 miliardo di euro. Per i dieci anni successivi tali importi saranno aumentati in proporzione alle variazioni della spesa pubblica totale, con un aumento addizionale del 2% annuo. Ciascuna università avrà diritto ad un rimborso forfettario per studente iscritto nella media dei cinque anni precedenti pari a 2500 per il FFO e 250 per il FDS. Tali somme saranno rivalutabile annualmente secondo l’indice dei prezzi al consumo ISTAT. Le somme residue saranno distribuite alle università rispettivamente secondo la produttività scientifica e la qualità dell’attività didattica, accertate secondo le regole degli articoli 7 e 9.

 

Milanese: Dieci miliardi sono di più del finanziamento attuale e si promette un aumento per dieci anni superiore all’incremento della spesa pubblica. Così i professori smettono di dire che li affamiamo e che se avessero soldi straccerebbero Princeton.

Ministro: Giulio non mi darà mai i soldi.

Milanese: Sarebbero utili, ma è un problema politico, non sono in grado di giudicare.

Burocrate: Come funziona il meccanismo? Non capisco bene.

Milanese: Il nuovo modello di finanziamento parte due anni dopo l’approvazione della legge, diciamo nel dicembre 2010. Ora ci sono 1.8 milioni di studenti universitari e probabilmente caleranno dopo la riforma. Ma facciamo in cifra tonda 2 milioni. Quindi le università nel complesso, dal gennaio 2013, avrebbero diritto a 5 miliardi di rimborso fisso sul FFO, più 0.5 per il diritto allo studio sul FDS. Questi soldi sono distribuiti fra le sedi in base al numero degli iscritti. Si potrebbero escludere i fuori-corso, per eliminare questa piaga italiana. In ogni caso il rimborso didattico dovrebbe variare lentamente, dato che il numero di studenti non dovrebbe cambiare molto nel breve periodo. Gli studenti italiani sono molto stanziali, non ci sono case dello studente etc. Cinque miliardi sono sufficienti per pagare gli stipendi del personale non docente e le spese di funzionamento, l’edilizia etc. oltre allo stipendio minimo dei docenti. Il residuo del FFO (circa 4 miliardi inizialmente), viene distribuito annualmente sulla base della qualità della ricerca. Quello del FDS sulla base della qualità della didattica.

Burocrate: Ma gli stipendi dei docenti sono fissi – ci sono impegni di spesa. Come fanno le università penalizzate?

Milanese: Di questo parliamo dopo nelle disposizioni transitorie. Magari si può graduare l’entrata a regime se vogliamo essere buoni – dare il 20-30% sul variabile per qualche anno e poi portarlo a regime.

 

Art 6

Altre risorse

Le università sono libere di stabilire l’importo delle tasse e di accettare donazioni e finanziamenti privati, anche in pagamento di servizi erogati. I finanziamenti da parte di enti locali ed altri soggetti pubblici sono soggetti ad una normativa speciale (cf. Regolamento, 1), che contempla la massima trasparenza

 

Ministro Gelmini: Ma i rappresentanti degli studenti protesterebbero per l’aumento delle tasse

Milanese: In primis, i rappresentanti degli studenti sono politici in erba che rappresentano solo se stessi ed al massimo il 5% degli studenti. Secondo, le università possono sempre non aumentare le tasse, se hanno molti soldi grazie ai loro risultati scientifici. Ed in ogni caso, potranno dire agli studenti che stanno cambiando e migliorando – e soprattutto che stanno punendo i professori fannulloni. Un bel populismo che piacerà di sicuro. Per gli studenti veramente poveri, ci sono i soldi del FDO. Sono in media 1000 euro all’anno per studente. Col sistema attuale, gli operai pagano le tasse per sussidiare l’università dove vanno i figli della classe media. Altamente ingiusto.

Ministro Gelmini: Cosa intende per normativa speciale per gli enti pubblici?

Milanese: Questo è il punto più delicato. Io pensavo di proibire del tutto i finanziamenti all’università – forse sarebbe giusto per evitare che i baroni ben ammanicati riescano a spillare soldi ai vecchi amici politici. Ma volendo mantenerli, si deve essere molto trasparenti: l’università deve pubblicare tutti i contratti, comprese le consulenze con i nomi e cognomi dei politici che le concedono ed i rapporti di parentela con i professori che le ricevono. Così gli elettori sapranno dove finiscono i loro soldi.

 

Art 7

Verifica della produttività scientifica

La verifica annuale della produttività scientifica è affidata all’ANVUR. Si dovranno seguire i seguenti principi

a) ciascuna università dovrà inviare annualmente all’ANVUR una lista di prodotti scientifici, in proporzione fissa al numero dei docenti. Essa può comprendere anche prodotti in collaborazione con autori esterni. In questo caso, il contributo del docente afferente all’Ateneo sarà proporzionalmente ridotto.

b) la valutazione dovrà basarsi esclusivamente su criteri bibliometrici. Tali criteri dovranno essere resi pubblici sul sito dell’ANVUR e potranno essere rivisti ogni dieci anni.

c) L’ANVUR pubblicherà annualmente una classifica delle università per disciplina, insieme a tutta la documentazione relativa, compresi gli elenchi dei prodotti

Il numero di prodotti per docente, la definizione di “prodotto scientifico” e “disciplina” (in numero non superiore a 30) e l’individuazione dei criteri di valutazione per ciascuna disciplina sono stabiliti da una commissione scientifica nominata dall’ANVUR (Cf regolamento). Almeno due terzi dei membri di tale commissione non devono essere professori di ruolo nelle università italiane. La commissione può avvalersi di consulenze tecniche per la messa a punto di criteri bibliometrici, limitatamente alle discipline dove essi non siano comunemente adottati in ambito internazionale.

 

Ministro: Bibliometrici?

Milanese: Si intendono criteri automatici, che non prevedono la valutazione sul singolo prodotto da parte di commissari (come era il CIVR o è il RAE inglese). Uno è l’impact factor, un altro è l’indice di Hirsch. Ce ne sono molti e nessuno è perfetto. Oltretutto il loro valore è diverso per disciplina, anche quelle scientifiche. In alcune l’IF funziona, in altre no. A lettere, come le dicevo, bisogna farlo da zero. Insomma, scegliere gli indicatori è un lavoro complesso, da esperti.

Burocrate: Ma in Francia non li usano

Milanese: Se è per questo, non li usano neppure ad Harvard in maniera cosi’ rigida.

Burocrate: E allora perché dovremmo farlo noi? Se non lo fanno i francesi, se non lo fanno ad Harvard...

Milanese: Le università francesi sono ridotte quasi male quanto le nostre. Nella classifica di Shangai, la prima è al 42° posto. Il caso di Harvard è diverso: ci tengono alla qualità del dipartimento e non assumerebbero mai (ok, quasi mai ...) uno per motivi personali. Poi magari sbagliano ed assumono un mediocre credendo in buona fede che sia un genio. In Italia, la maggioranza dei professori se ne frega della reputazione scientifica della propria università o è convinta che la sua presenza sia sufficiente a garantirla. Inoltre, Harvard usa i soldi propri mentre noi distribuiamo soldi pubblici. Nel tempo, quando anche in Italia i professori si saranno abituati, potremmo anche essere meno rigidi. Infatti si prevede una revisione decennale dei metodi. Ma prima di abbandonare gli indicatori bibliometrici automatici e passare alla peer review all’inglese secondo me ci vorranno parecchi anni se non decenni.

Ministro Gelmini: Perché è così specifico sulle collaborazioni?

Milanese: I professori italiani sono furbi – e saranno alla caccia disperata di pubblicazioni per mantenersi a galla. Dobbiamo ridurre al minimo i giochetti tipo “io ti faccio firmare il mio articolo e tu mi fai firmare il tuo”. In questo caso, il lavoro di due autori di università differenti conta per metà ciascuno. Senza contare che qualcuno potrebbe anche corrompere i colleghi stranieri con inviti a passare le vacanze estive in Italia in cambio di una firmetta sul loro prossimo lavoro su Nature.

Burocrate: Nature?

Milanese: Una delle due grandi riviste scientifiche internazionali. Un impact factor mostruoso. Almeno se Pinco di Roccacannuccia riesce a farsi mettere il nome insieme ai quattro autori veri di Harvard, avrà solo diritto solo ad 1/5 dell’articolo nella lista di prodotti.

Ministro Gelmini: Dunque l’ANVUR definisce le discipline (p.es. Fisica, Chimica, Storia etc.) e per ciascuna di esse una commissione di esperti stabilisce gli indicatori ottimali

Burocrate: Ma perché i professori italiani non possono essere più di un terzo?

Milanese: Perché altrimenti salta fuori il famoso indicatore bibliometrico IFV (impact factor alle vongole) e siamo punto e a capo.

Ministro: Ricominciamo. E poi?

Milanese: E poi le università mandano la lista delle pubblicazioni. Mettiamo che per Fisica il requisito minimo sia 5 pubblicazioni (ma può essere diverso per Economia, etc.). Un’Università con 10 professori di Fisica (di ruolo e non) manda una lista di 50 articoli pubblicati nei cinque anni precedenti. Possono essere 5 a testa o tutti firmati da un solo professore o qualsiasi combinazione. Ma il secondo caso è pericoloso. Se tu hai una superstar che pubblica su Science...

Burocrate: Che?

Milanese: Science. Altra grande rivista internazionale. Dicevo, una superstar con tre articoli su Science vale tant’oro quanto pesa in termini di finanziamento pubblico e quindi qualche altra università potrebbe pagarla di più, come si fa con i calciatori. In ogni caso, sono decisioni delle singole università. L’ANVUR pubblica le liste delle pubblicazioni e fa i conti. Prima il finanziamento medio per professore. I professori sono ora 60.000, ma sono tanti. Mettiamo che dopo la riforma siano 50.000. Cinque miliardi diviso 50.000 sono 100.000 euro all’anno. Questa è la base, da distribuire per disciplina, correggendo per il costo della ricerca. Ipotizziamo che per una scienza costosa, diciamo biologia, il rimborso unitario per docente sia 200.000 euro e che la media della disciplina a livello italiano per tutti i prodotti, secondo l’indicatore scelto, qualunque esso sia, sia 3,5. Un’università che presenta prodotti con un indice medio 7 prende 400.000 euro per docente della disciplina, una con indice 1,75 prende 100.000. Un calcolo semplicissimo

Ministro Gelmini: Affascinante. Ma quella con indice 0?

Milanese: Un disastro così totale? Prende solo il rimborso fisso

Ministro Gelmini: Ed i soldi vanno alle università?

Milanese: Qualcuno dice meglio direttamente ai Dipartimenti. Ma questo pone un problema con la didattica e impedisce riequilibri strategici. E’ un punto da discutere

 

Art 8

Attività didattica

Le università sono libere di regolamentare le iscrizioni e di organizzare l’attività didattica. Sono tenute a rispettare la disciplina europea qualora volessero mantenere il diritto all’equipollenza dei titoli.

 

Burocrate: non è preciso: cosa intende per disciplina europea?

Milanese: Francamente non lo so. Sono dettagli tecnici che il vostro ufficio legale sa meglio di me. A me quello che interessa è la possibilità di selezionare gli studenti e la maggior libertà possibile dalle interferenze ministeriali.

 

Art 9

Verifica dell’attività didattica ed accesso alle professioni

L’accesso alle professioni è possibile solo attraverso un esame di stato. I laureati delle discipline corrispondenti hanno diritto a presentarsi all’esame tre volte. Le procedure di controllo nel corso dell’esame e di verifica dei risultati sono stabilite da apposito regolamento (cf. Regolamento). L’ANVUR pubblica annualmente, per ciascun ateneo, dati sulla percentuale di laureati che hanno sostenuto e passato l’esame di stato e sulla percentuale dei laureati occupati a tempo indeterminato a tre e cinque anni dalla laurea.

 

Milanese: E’ essenziale l’accesso alle professioni. Non voglio mica essere curato da un medico ignorante...

Burocrate: Proprio a questo servono gli ordinamenti didattici eguali che lei vuole abolire

Milanese: Solo fino ad un certo punto. Impongono all’università di far passare un esame di Patologia, ma poi non garantiscono che lo studente sappia qualcosa di Patologia. Gli esami di stato ci sono ma sono troppo facili. Io propongo di renderli molto difficili

Ministro Gelmini: ma lei è sadico?

Milanese: Solo un po’. In effetti è un sistema per costringere le università a fare buona didattica. Se l’università di Castelrotto preparasse male i suoi laureati per l’esame di stato, lo fallirebbero in massa. La cosa sarebbe pubblicizzata (percentuale di laureati in medicina di Castelrotto che hanno sostenuto l’esame, 80%, passati 10% etc) e dopo un po’ gli studenti non si iscriverebbero più. L’Università perderebbe anche il rimborso fisso.

Burocrate: ma se i professori fanno copiare all’esame i loro studenti…

Milanese: Bisogna far svolgere l’esame in altre sedi, come del resto è ora. I professori di Torino non avrebbero nessun interesse a far copiare i laureati di Bari, e viceversa. Ci sono varie soluzioni tecniche. Un mio amico mi ha spiegato che l’ideale è un doppio esame. Prima un compito scritto a scelte multiple, diverso da studente a studente, che si corregge col lettore ottico, per l’ammissione agli orali, e poi un colloquio o un tema. Ma sono dettagli

 

Art 10

Disposizioni transitorie e finali

I professori e ricercatori in servizio sono inquadrati a domanda nel ruolo dei professori di ruolo, mantenendo i diritti acquisiti ai soli fini pensionistici. A tal fine, l’ammontare dei contributi pensionistici per gli anni successivi, fino al pensionamento, è stabilito sulla base dello stipendio in godimento a quella data. I professori in servizio che non optino per il nuovo regime hanno diritto al riconoscimento di venti anni aggiuntivi di contributi pensionistici, fino ad un massimo di quarant’anni di contributi totali. I professori e ricercatori in servizio hanno due anni di tempo dall’entrata in vigore della presente legge per esercitare l’opzione.

 

Milanese: Queste disposizioni sono fatte per far fuggire in massa i professori. Supponiamo, come detto, che la legge sia approvata nel dicembre 2010 e che quindi il nuovo meccanismo di finanziamento scatti dal gennaio 2013. Alla fine del 2011 si può avere una classifica provvisoria, magari non per tutti i settori, che comunque indica già i fondi a disposizione. Così le università avranno un anno di tempo per stabilire la parte variabile del salario di tutti i professori già in ruolo. La legge non specifica come fare. Possono chiedere a esperti esterni, o possono affidare il compito ai dipartimenti. In ogni caso, è chiaro che il salario deve dipendere dalla produttività scientifica passata e soprattutto futura perché questa determina i fondi a disposizione.

Ora, mettetevi nei panni di un professore ordinario anziano, o anche di un associato e ricercatore anziano, con oltre quindici anni di contributi. Ora guadagna diciamo da 3500 a 4500 euro netti al mese (associati e ricercatori proporzionalmente meno). Per avere uno stipendio simile dopo la riforma deve farsi dare un contratto aggiuntivo da 2500-3500 euro al mese. Quindi, deve convincere il Dipartimento o il rettore che se li merita. Come fa? Ha perso completamente il suo potere baronale – i concorsi sono aboliti, tutti i professori sono eguali, si sta ripartendo da zero. Deve promettere di portare un contributo scientifico o didattico (o amministrativo) personale. Non può certo chiedere che i ricercatori o i dottorandi gli scrivano gli articoli e comunque servirebbe a poco, visto che l’articolo conta lo stesso dal punto di vista del finanziamento, indipendentemente dal numero di firme nello stesso dipartimento. Se non è in grado di contribuire in qualche modo, è un peso che riduce le possibilità di finanziamento dell’università (lo stesso numero di articoli diviso per un professore in più). Inoltre magari un vecchio barone non è simpaticissimo a tutti i suoi colleghi e quindi non avranno molta voglia di nominarlo direttore di dipartimento.

L’alternativa è il pre-pensionamento. Con quarant’anni di contributi avrebbe diritto subito ad una pensione calcolata sullo stipendio pre-riforma- circa 3000-4000 euro. Credo che sarebbe un’opzione interessante per molti. Certo, quelli bravi, intellettualmente vitali, con idee, pubblicazioni in corso, buoni contatti internazionali etc. rimarrebbero. Ma quelli sono una risorsa preziosa, anche didatticamente. E’ giusto che l’università li tenga e li premi anche con stipendi più alti. Rimarrebbero anche i puri professionisti, che, come detto, hanno bisogno del titolo di professore per aumentare le parcelle. Si accontenterebbero del salario minimo, tanto con il salario ci compravano le sigarette anche prima. Ma in fondo non sarebbe male, in quanto porterebbero soldi all’università. Dal punto di vista delle università una bella ondata di pre-pensionamenti sarebbe la manna finanziaria. Avrebbero soldi per aumentare gli stipendi ai professori che meritano, per finanziare le ricerche come Dio comanda invece che dare due lire

Burocrate: Ma se tutti se ne vanno, chi insegna?

Milanese: Si assumono giovani bravi

Ministro Gelmini: E dove li troviamo?

Milanese: Ce ne sono tanti in cerca di lavoro, che sopravvivono con borse, contratti etc. E poi si possono assumere gli italiani che fanno il dottorato all’estero, gli stranieri

Burocrate: ma non vogliono venire

Milanese: Ora, perché sanno di non avere possibilità di entrare e gli stipendi di ingresso sono miserevoli. Ma con un reclutamento veramente meritocratico e stipendi adeguati, verrebbero a frotte. Secondo lei, fra Firenze ed Kansas City, a parità di stipendio e di condizioni di lavoro, cosa sceglierebbero?

Ministro Gelmini: La qualità della vita in Italia è altissima, [lo dice anche l'Aspen Institute... Nota dell'Editore]

Milanese: Insomma, signor Ministro, se vuole avere un’università moderna ed efficiente, questo è il sistema. Le riforme graduali non servono. Bisogna cambiare mentalità – da una feudale ad una di mercato e questo è possibile solo con un radicale rinnovamento del corpo docente

Burocrate: Ma lei i professori li odia proprio

Ministro Gelmini: ha ragione. Tutti comunisti fannulloni

Milanese: Ma no, sono quasi tutti brave persone… Molti sono davvero bravi, si danno da fare, studiano, lavorano, pubblicano in riviste di prestigio. E’ una questione di sistema e di mentalità. Vede, in un sistema feudale come quello italiano, si fa carriera attraverso i rapporti personali. In genere sono rapporti da allievo a maestro, i casi di truffa e nepotismo sono una minoranza. Non è mica come dice l’Espresso. Ma quando tu hai allevato un allievo, l’hai avuto prima come dottorando, poi come borsista, poi hai fatto uno sforzo per trovare i soldi per farlo vivere altri 10 mesi e questo magari per anni ed anni; hai creato delle aspettative e ti senti obbligato a soddisfarle. E’ un dovere morale. Inoltre in moltissimi casi, finisci per convincerti che il tuo fedele allievo è davvero bravo (e del resto, come potrebbe non esserlo essendo tuo allievo?). E allora inizi a darti da fare per inventare un posto fisso, magari didatticamente inutile, per lui. E quando ci sei riuscito, è dura dire al tuo allievo/amico/(quasi) figlio “no il posto lo diamo ad X, che viene da fuori, perché è più bravo di te”. E magari poi consolarlo dicendo “vai a cercarti fortuna altrove, perché sei bravo”. Qualche volta succede. Ci sono i cosiddetti concorsi aperti, dove l’esito non è preordinato. Spesso sono legati a vere esigenze didattiche. Ma nella maggioranza dei casi, il candidato interno deve vincere perché il sistema è questo e lo è da sempre. E chi ha vissuto per trent’anni, dalla prima borsa alla cattedra, in un certo tipo di sistema non può cambiare la propria mentalità. E’ come nella Germania Est. Purtroppo anche molti giovani hanno la stessa mentalità. Per questo dico che bisogna mandare in pensione in massa i professori anziani, sperando che lo shock e la libertà di non avere baroni convinca i giovani che il mondo è cambiato.

Burocrate: Ma sarebbe incostituzionale privare impiegati dello stato dei diritti acquisiti

Milanese: Anche le leggi ad personam lo sono

E scomparve.

Ministro Gelmini (livida): questa poteva risparmiarsela. Veramente antipatico. Ma devo ammettere che il progetto è bello. Una vera riforma liberale, efficace, semplice.

Burocrate: allora chiedo agli uffici di organizzare un gruppo di studio e di preparare un disegno di legge?

Ministro Gelmini: ma figurarsi. Non possiamo mica fare riforme liberali. Gli italiani non le vogliono ed il governo Berlusconi non le farà mai. Poi questa in particolare – avremmo contro i baroni, la sinistra, i giornali (pieni di baroni che ci scrivono sopra), i sindacati (pensate – ridurre lo stipendio agli statali!), gli studenti, che sarebbero costretti a studiare, i genitori che direbbero “povero figlio, ma quanto studia”. Insomma tutti. Mamma mia.

(rivolgendosi alla segretaria)

Piuttosto mi fissi un appuntamento con l’onorevole Valditara, che dobbiamo discutere degli emendamenti al mio DDL

...Mi sono svegliato, sollevato. Anche per questa volta, ero salvo. E ho fatto un fioretto. Mai più peperoni la sera. Non li digerisco proprio.

 

Indietro

Commenti

Ci sono 128 commenti

"I professori di ruolo hanno l’obbligo di tenere un minimo di 90 ore di insegnamento ed hanno diritto ad uno stipendio pari allo stipendio di ingresso dei professori di scuola media inferiore, senza scatti di anzianità. (...) I professori di ruolo stanno fino alla pensione ed hanno un modesto salario fisso (circa 1200) più uno stipendio differenziato e variabile sulla base di un contratto ad personam. Gli altri solo la parte variabile. Ma in ogni caso, il grosso dello stipendio per quasi tutti verrà dalla parte variabile."

Salve, ho cominciato a seguire il sito poco tempo fa pensando che fosse una cosa seria. In quale parte nel globo un posto di primo livello all'universita', per giunta con 90 ore minime di insegnamento (per i profani: sono tante) ha la stessa remunerazione di un professore di scuola media?

Ah gia', e' una provocazione. No un momento, questo si e' messo addirittura a buttar giu' degli articoli di legge, non puo' essere una semplice provocazione.

Nel dubbio, mi viene da ribadire la banalita' che qui nei paesi anglosassoni gli anni spesi a formarsi sono convertibili in danaro sonante. Se un posto da professore e' pagato quanto uno da scuola media, e non molto, molto di piu', non val la pena perdere 10 anni in piu' per diventare professore (e mi riferisco allo stipendio base, prima della parte variabile). Una vera banalita'. Ma allora perche' il milanese....? Quale sarebbe l'obiettivo pratico di tutto questo, una misura punitiva nei confronti dei nullafacenti universitari? del tipo "diamogli il posto fisso, ma che sia da pezzenti"? E una volta che si sono assunti questi neoprofessori, sottopagati e demotivati, li si usa per insegnare: e' questo il succo? (sarebbe un'idea, cosi' gli studenti iniziano a fuggire all'estero ben prima della laurea)

Si' ho capito, esiste lo stipendio base a cui si aggiunge la "parte variabile". Ma, sapete, se lo stipendio base e' uno sputo in faccia, il brillante ricercatore straniero di Kansas City se ne accorge (parti variabili o meno): e non gli piace. Essere assunti da un'universita' e' considerata cosa assai onorevole, all'estero. Se in Italia l'universita' che ti assume ti da' un trattamento base che uno straniero considererebbe umiliante -e ogni rispetto e remunerazione supplementare te li devi guadagnare- che impressione se ne ricava all'estero? Che nelle universita' italiane si da' per scontato che un nuovo assunto e' in media un incapace. Anche fosse vero, non mi sembra una gran pubblicita'.

 

Salve, ho cominciato a seguire il sito poco tempo fa pensando che fosse una cosa seria. In quale parte nel globo un posto di primo livello all'università, per giunta con 90 ore minime di insegnamento (per i profani: sono tante) ha la stessa remunerazione di un professore di scuola media?

 

Ci provo: gli USA bastano come esempio? Se non basta aggiungiamo il Canada e praticamente tutto il mondo anglosassone (in UK non saranno 1200 euro al mese, saranno 1500, ecco).

Se non ti fidi sulla parola, ti posso dare i dettagli con i numeretti precisi-precisi per gli USA e Canada. Ma, da quello che scrivi, si evince che tu sei un esperto di questioni universitarie. Quindi, suppongo, saprai già tutto e starai solo controllando che anche noi, poretti, ne siamo informati. Nevvero?

 

 

All'università di Helsinki dove lavoro esiste un nuovo sistema simile a quello immaginato da Giovanni Federico, combina un indicatore di performance con un indicatore di demand relativo alla mansione (esperienza didattica, presenza di dott o post dott).

Provo a allegare il link: alma.helsinki.fi/download/2000000110059/salaries_01102009.pdf

I contratti tendono a essere a tempo determinato, non danno tenure fino alla professorship e questo è ovviamente un limite nella possibilità di assumere giovani stranieri che forse non si stabilirebbero con famiglia e casa in capo al mondo con un contratto di tre anni - oltre ovviamente al finlandese, ancora richiesto in alcuni concorsi.

Però mi sembra un sistema per nulla punitivo o umiliante. Anzi...è molto aperto ed stimolante ma neppure terribilmente stressante: ti aiuta a dare una misura del tuo lavoro, al tempo stesso- il milanese è troppo darwiniano...e non pensa molto al life course - ti permette di eventualmente minimizzare la tua attività di pubblicazione in alcuni periodi della tua vita (bambini piccoli- genitori anziani-  problemi di salute) senza sbatterti fuori dal sistema o autorizzare un livello basso di pubblicazioni "per sempre". Ci sono anni in cui guadagni il minimo ma lavori anche poco, ovvero svolgi le tue mansioni base, e altri in cui puoi lavorare 14 ore al giorno e recuperare. 

se poi andate a vedere i profili dei dipartimenti vedrete che la maggior parte dei giovani hanno pubblicazioni internazionali, io mi riferisco peraltro alle materie umanistiche.  E' ovvio il reclutamento è spesso blind, su cv e progetto, e nessuno mette in discussione la correttezza del procedimento stesso (ovviamente ci sono delle eccezioni), ci sono moltissimi contratti di sola ricerca come il mio e c'è molta flessibilità nell'applicare la scala e nel valutare risultati o potenzialità (io non ho fatto finora una buona politica di pubblicazioni ma qui sono incentivata a essere più attenta e nello stesso tempo non devo sacrificare la ricerca sul campo).  

E' un sistema che forse originariamente, tolto clientelismo e nepotismo che da queste parti non godono di grande fascino, poteva essere simile a quello italiano (chiuso e a logica "allievo-prof") e che sta cercando di "modernizzarsi" per aumentare la posizione di UH nei ranking internazionali, non particolarmente amato dai docenti finlandesi ma pazientemente tollerato per il bene dell'istituzione... 

Valentina

 

per giunta con 90 ore minime di insegnamento (per i profani: sono tante)

 

 

Temo di essermi perso un pezzo. Giusto ieri ero a Parigi e discutevo con un collega (Maître de Conférence all'ESPCI) e, se non ho capito male, il suo carico didattico sfiora le 200 ore. Che 200 sian tante è vero, che 90 per un professore siano insostenibili mi suona più strano. Dov'è la falla nel mio ragionamento?

Scusi ma i post li legge prima di commentare?

Tanto per chiarire. Secondo il Milanese, lo stipendio base è integrato dal contratto ad personam che ciascun docente negozia con il Dipartimento, o l'università sulla base delle proprie performance di ricerca o di didattica o dei compiti amministrativi. Nulla vieta alle università di pagare stipendi favolosamente alti, anche per un neo-assunto, e stipulare contratti di durata lunghissima - se le università stesse pensano che il professore lo meriti. Poi problemi dell'università se ha stipulato un contratto troppo oneroso o se il professore dimostra di non meritare i soldi. Un professore di un minimo valore di mercato può accettare lo stipendio minimo solo se può trarne vantaggi esterni - cioè nel caso dei professionisti che fanno attività privata.

 

 

90 ore minime di insegnamento (per i profani: sono tante)

 

Veramente, per quest'anno, ad Ingegneria a Bologna il compito didattico primario dei professori di prima e seconda fascia a tempo pieno prevede un minimo di 120 ore di didattica frontale. Per quelli a tempo definito sono 80 ore.

I riercatori hanno un massimo di 120 ore di didattica, di cui le prime 60 senza alcuna retribuzione aggiuntiva.

Non mi pare che si lamenti nessuno del carico didattico.


proposta molto interessante. ma esistono idee di riforme liberali che non siano utopie? (per l'Italia, intendo).

nota: l'art. 7 è illustrato da "burocrate" mentre invece si capisce che è il "milanese"

Grazie, corretto dall'editore not(di)turno ...

P.S. Ovvio che sono utopie. Le si scrive solo per far intendere ai pochi intellettualmente onesti che il meglio non è necessariamente nemico del bene. I gonzi, i mediocri ed i furbetti sono i nemici del bene.

Anche a me piacciono i peperoni. E ancor più da quando so che generano incubi così interessanti. Penso che se ne dovrebbe discutere seriamente, anche così per puro amore dell'esercizio intellettuale. E magari non partendo proprio dalle questioni che lo stesso Federico considera problemi aperti (e forse senza soluzione), come quello di "fare da zero un IF per lettere" (io sono di lettere, al momento sono anche preside di una facoltà medio-piccola).

Tanto per cominciare con il mio contributo, trovo sbilanciato il rapporto tra quota del finanziamento distribuita in base al merito nella ricerca e in base al merito della didattica. Un rapporto di 8 a 1 significa pensare che la ricerca è otto volte più importante della didattica oppure che è scontato che la buona ricerca genera buona didattica. Naturalmente, il mio è il punto di vista di un preside, ma la mia esperienza mi dice appunto che le due cose non vanno sempre insieme.

Inoltre, come ho accennato in un commento all'incubo precedente, credo che sarebbe molto importante che si cominciasse seriamente a modificare la situazione per cui "Gli studenti italiani sono molto stanziali, non ci sono case dello studente etc.". Quindi il finanziamento pubblico del diritto allo studio dovrebbe essere molto maggiore, per la quota gestita dalle regioni: questo contribuirebbe veramente a modificare non solo il sistema universitario, ma l'intera società.

Effettivamente nel sogno il milanese dà un eccessivo peso alla ricerca rispetto alla didattica, nonostante che la ricerca abbia un fatturato (per così dire) inferiore a quello della didattica. Dai dati Ocse la spesa media per la didattica è 2,8 volte quella per la ricerca, e per  gli  USA è addirittura 6,8 volte. Un confronto internazionale è nella tabella sotto. Anche la mitica Harvard spende quasi il doppio per la didattica rispetto alla ricerca. Harvard da sola spende per i suoi 20 mila studenti oltre un quarto di tutto il budget italiano per l’università. L’MIT ha i rapporti invertiti, spende molto di più per la ricerca, anzi spende molto di più su tutto. Da sole MIT e Harvard con 30 mila studenti spendono quasi la metà del budget italiano, per forza che poi si trovano sempre in cima alle classifiche, tranne che in questa  tranne che in questa.

Spesa universitaria per Ricerca e servizi didattici in percentuale del GDP

 

 DidatticaServizi ausiliari RicercaTotale
(trasporti, mense, alloggi)
Australia1,070,070,481,62
Austria0,870,010,411,3
Belgio0,80,030,411,24
Canada2,010,150,412,56
Rep. Ceca0,820,030,191,04
Finlandia1,07-0,661,73
Francia0,860,080,41,33
Germania 0,630,050,411,09
Grecia1,070,110,291,46
Irlanda0,82-0,341,16
Italia0,560,040,330,93
Olanda0,8-0,481,28
Norway0,84-0,471,31
Polonia1,41-0,171,58
Spagna0,79-0,321,12
Svezia0,85-0,791,64
Svizzera0,8-0,611,41
UK0,780,110,471,35
USA2,260,310,332,9
Media OCSE1,050,060,371,46

 Fonte OCSE

Tralascio il fine-tuning sui meccanismi di reclutamento, di remunerazione e di incentivazione individuale dei ricercatori e professori, ma uno dei punti chiave del milanese è la modalità di ripartizione dei fondi tra centri. Dei 10 miliardi di euro, la metà è distribuita in relazione agli studenti, che come detto sono abbastanza stanziali, anche perché affittarsi casa e pagarsi la minestra a Milano non è da tutti. Quindi questi soldi non distinguono tra buoni e cattivi, se non per una quota parte di studenti mobili (peraltro le università geograficamente vicine sono più soggette a concorrenza di quelle isolate). Il resto è distribuito in relazione all’eccellenza nella ricerca, che sarebbe giusto se si vogliono premiare le graduate school o le sedi con dottorato, ma non proprio per quelle università che non sono nate per fare ricerca e che non la faranno mai e che invece svolgono un servizio di educazione terziaria per, diciamolo pure, i meno abbienti, che sono la maggioranza, sul territorio (più al sud che al nord viste le distanze tra università). Il servizio principale dell’università è preparare bene gli studenti alla laurea. Anche guardando le immatricolazioni, la maggior parte degli studenti si indirizza su giurisprudenza ed economia, dove il ruolo della ricerca è tutto sommato marginale. In ogni caso se l’università fosse un’azienda, l’allocazione delle risorse dovrebbe privilegiare la qualità della didattica, se non altro perché da lì arriva la maggior parte dei fondi.
Che la didattica sia fortemente penalizzata segue sia nel caso che il meccanismo di incentivo funzioni perfettamente, che nel caso alternativo. Nel primo caso, tutte le università si dedicano anima e cuore alla ricerca, che aumenta per qualità e quantità, ma siccome i salari e i fondi di dipartimento dipendono dai risultati della ricerca, la didattica diventa un fastidio o un intralcio. Da Benevento a Milano tutti a cercare la pubblicazione su Nature mentre i laboratori per gli studenti medi e/o mediocri (che sono la maggioranza) ad arrugginirsi (perché preoccuparsene se i fondi dipendono solo dalle pubblicazioni?). L’incentivo positivo a fare una cosa è anche un disincentivo per le attività alternative, cioè il dolce far niente, ma anche la didattica.
Se invece l’incentivo non funziona perfettamente, vi sono università giustamente premiate e altre penalizzate perché, per incapacità o scelta, e nonostante il disincentivo, hanno scelto di dedicarsi alla ricerca applicata non cutting edge (quindi niente Nature) o alla didattica pura e semplice, oppure allo sperpero vecchio stile che tanto gli studenti lavoratori e/o poveri che non potranno cambiare sede ci saranno sempre.

L’art.9 sembra prendere a cuore la didattica, ma lo fa in modo utopistico con una sorta di concorsone nazionale (ma il milanese non era contrario?) per ogni professione. Però non  è chiaro cosa debba succedere all’università che sistematicamente produce laureati meno abili, cioè non in grado di passare il test che dovrebbe verificare i requisiti minimi di accesso alla professione. Se non ho capito male, se l’università fa schifo si punisce il territorio, chiudendo o ridimensionando il dipartimento/università? Ma non andrebbero puniti i responsabili? E che succede invece se l’università eccelle nella didattica sfornando brillanti laureati che magari trovano lavoro all’estero?

Per concludere cambierei l’articolo 1 mettendo prima la didattica e poi la ricerca, e inventerei un meccanismo per non penalizzare la didattica, anzi li separerei nettamente. Inoltre, indicherei un meccanismo per la fuoriuscita dei docenti non più idonei alla ricerca e/o alla didattica e degli amministratori/presidi/rettori/direttori che non amministrano.

 

 

Tutti i professori hanno diritto di svolgere attività esterna remunerata, a condizione che devolvano una quota del reddito lordo di tale attività all’università di appartenenza. La percentuale è fissata di comune accordo fra le parti, con un minimo del 30%.

 

Burocrate: E perchè si permette l’attività esterna? Non è meglio proibirla o distinguere tempo pieno e tempo definito come si fa ora, con una somma aggiuntiva per i professori a tempo pieno?

Milanese: Vede signor Ministro, per alcune professioni, gli incentivi monetari non servono. Un grande avvocato a Roma può guadagnare in poche ore lo stipendio di un mese di un ordinario a fine carriera. Ma quasi sempre i professionisti vogliono poter mettere Professore all’Università di …. sul loro biglietto da visita per aumentare le loro parcelle. Quindi, che l’università ci guadagni.

 

Ma fissare la percentuale minima al 30% non é una percentuale tanto alta da essere in pratica uguale a proibire l'attivita' esterna?

O il solo essere professore di XXX aumenta in media le parcelle di oltre il 25%??? Il tutto, senza considerare le tasse...

 

Le università francesi sono ridotte quasi male quanto le nostre. Nella classifica di Shangai, la prima è al 42° posto.

 

Questo è un po' un colpo basso :-) Secondo la classifica ARWU la prima università francese è la Pierre and Marie Curie University, al 40° posto. Ma a livello europeo è la sesta, non è che il resto delle università europee si piazzi meglio, a parte Oxford e Cambridge. Forse era più corretto dire che delle prima 50 università del mondo, 37 sono negli USA.

In effetti il Milanese aveva usato l'ARWU 2008. Sapete questi milanesi...

Secondo l'ARWU 2009, a parte Cambridge (4) e Oxford (10), Tokio è 20, Zurigo 23 Kyoto 24 etc.  Fra le prime 100, 10 inglesi 5 giapponesi 5 tedesche 4 canadesi 3 francesi, 3 svizzere, 2 svedesi tre australiane due olandesi due danesi una isrealiana una russa (se non ho perso qualcosa) e ZERO italiane. Siamo l'unico paese del g8 a non avere neanche una università nei top 100. Ne abbiamo 3 nel gruppone 100-151 (Milano, Pisa e Roma I), una nel 150-200 (Padova) etc,

Confesso, con un po' di imbarazzo, che dei personaggi che popolano i sogni di Giovanni Federico la persona che ne esce meglio secondo me è il burocrate. Lui si preoccupa essenzialmente di non correre il rischio che l'Università italiana venga messa a ferro e fuoco dalle proposte del Milanese. Che forse funzioneranno e ci daranno un'Università molto migliore di quella attuale. Ma che sono indubbiamente radicali e potrebbero fallire o in ogni caso avere forti costi di aggiustamento. Ecco, il povero burocrate sembra essere per una strategia riformista. Senza illudersi che funzionerà bene (ne ha viste troppe di riforme tentate e fallite). Un po' mi preoccupa questa cosa di trovare antipatica la certezza del Milanese nell'efficacia delle sue proposte. Forse è l'età, l'aver passato troppo tempo nell'Università italiana. Chissà. Ma spero che Giovanni mangi più leggero nei prossimi giorni.

 

 

Confesso, con un po' di imbarazzo, che dei personaggi che popolano i sogni di Giovanni Federico la persona che ne esce meglio secondo me è il burocrate. Lui si preoccupa essenzialmente di non correre il rischio che l'Università italiana venga messa a ferro e fuoco dalle proposte del Milanese.

 

Fausto, cos'hai mangiato ieri sera? Pane e coniglio??

...La persona che ne esce meglio e' il burocrate??? Adesso capisco perche' in Italia non cambia mai nulla. Se perfino persone illuminate come te la pensano cosi'...

Mi sembra che diversi esempi nel mondo (inclusi quelli portati nei commenti) dimostrino che meccanismi del genere sono possibili e danno frutto. Certo che in Italia sono utopie, ma non certo perche' l'universita' verrebbe messa a ferro e fuoco...

 

L'art. 7 punto b) è particolarmente interessante. Sembra che il "milanese" ritenga che le valutazioni di merito scientifico migliori avvengano nelle facoltà di medicina italiane dove da tempo trionfano i metodi "bibliometrici". Buon per lui.

Come si vede infatti dalle recenti cronache giudiziarie a proposito della cupola di Chirurgia. Perfettamente bibliometriche. Cito, quasi testualmente da una intercettazione telefonica (ma se volte vi trovo anche il virgolettato) a proposito del famoso concorso del S.Anna di Pisa

Il candidato interno aveva un IF di 600. E' stato dura fregarlo all'orale ma ci siamo riusciti

 

Intervengo per il puro gusto della discussione, le Università le ho lasciate da tempo, e da quel che leggo, quelle italiane sono diventate un postaccio, quindi cestinatemi pure.

Però 1.200 euro è (quasi) quello che prende un mio operaio, che sicuramente ha studiato meno di un ordinario, ed ha sicuramente meno responsabilità. OK, c'è la parte variabile (può anche essere tanta), ma anche il mio operaio ha dei premi di produzione (poco: ho la mano tirata..), ma lo stipendio base deve essere adeguato, altrimenti diventa disincentivante al punto di avere l'effetto opposto.

E' ovvio che il sistema migliore è quello di incentivi/disincentivi, ma spostare l'asse troppo sul secondo punto può avere effetti indesiderati (i migliori fanno solo la libera professione e se ne fregano del titolo di prof, perchè "vale poco" e l'Università la fanno i rimasugli).

Giovanni ti posso consigliare di rimangiare i peperoni e vedere se il milanese riece ad aggiustare questa parte -).

Per il resto, mi sembra, tutto molto ben congegnato.

P.s.

La figura migliore la fa la Gelmini, che sta praticamente zitta.

 

Guarda che i 1200 son l' equivalente del minimo sindacale. E' prevedibile che il grosso dei prof riuscirebbero a contrattare di meglio anche come mensile.

   Ho trovato molto divertente il post: si tratta di una lettura piacevole. Tuttavia, il contenuto non può essere preso sul serio, e mi meraviglia molto come vi siano stati numerosi interventi “seri”, con il fine di discutere le soluzioni prospettate. Anche mettendo da parte l’osservazione – contenuta nello stesso post – sulla inaccettabilità di creare una specie di oasi emendata da tutti i vizi e lacciuoli della nostra società, voglio evidenziare come l’impostazione generale (regole del mercato e competizione) non potrebbe funzionare nei modi indicati. Secondo lo schema previsto, i singoli atenei deciderebbero le remunerazione dei propri docenti:  questa impostazione “privatistica”, per essere valida dovrebbe poggiare su una conduzione imprenditoriale  e con guida indipendente dagli stessi docenti. Di contro, prevedendo una definizione dei rapporti di potere  attraverso gli statuti, si realizzerebbero delle strutture di tipo cooperativo  (selezione interna dei decisori su una base di suffragio) che non hanno mai dimostrato di funzionare correttamente. Se la ricetta fosse efficiente per le università avremmo trovato la soluzione per l’Alitalia, le ferrovie, le poste, gli ospedali  e quanto altro funziona male nel nostro Paese: basterebbe trasformare queste aziende in cooperative di dipendenti per risolvere ogni problema.     

Questo intervento fa il paio con quello di Fausto. Complimenti, Fausto e Rosario, per avere avuto almeno il coraggio di dire esplicitamente quello che il 95% dei vostri colleghi che ci leggono (e son tanti, oh se son tanti) pensano ma non hanno il coraggio di dire: non vogliamo nessun cambiamento drastico. A noi baroni va bene così l'università. Sì, alcuni di noi hanno studiato allo MIT o a Stanford o a Berkeley o a Columbia, dove le cose funzionano ESATTAMENTE come le descrive il milanese, ma quella è acqua passata che non macina più. Questa è l'Italia, l'università italiana siamo noi ed a noi piace così. La società italiana, ed i giovani desiderosi e capaci in particolare, si fottano ... o emigrino.

Non so se l'ipotesi di Giorgio sulla vostra dieta mattutina sia corretta, ma di certo mi provate (non che ne avessi bisogno) che i nemici del merito, della competenza, della concorrenza e della qualità nell'università italiana sono la grande maggioranza dei professori universitari italiani, ordinari in testa. I quali, ovviamente, giustificano la loro opposizione al cambiamento con dotti argomenti sulla cultura, la società, il gradualismo, la complessità della situazione, la diversità italica in questo ed in quello. Ma è tutta aria fritta priva di costrutto, di base empirica e di sostanza logica. Sono discorsi da azzeccagarbugli diretti ad un solo fine: preservare l'esistente e, con l'esistente, la propria piccola, piccolissima, a volte infinitesima, fettina di potere e di quieto vivere.

Il milanese sarà anche antipatico, sarà anche monomaniacale, sarà anche arrogante, sarà anche velleitario ed avrà anche poca pazienza. Tutto vero e tante altre cose. Ma una cosa ha, che mi sembra disperatamente mancare fra i suoi colleghi italiani ...

Caro Michele, una cattiva notizia: le università più prestigiose USA NON funzionano come suggerisce il milanese. I boards equivalenti ai nostri CdA NON sono nominati dai docenti. Persino nelle università pubbliche (UC) il CdA è nominato dal governo dello stato. Sarebbe opportuno che gli economisti in genere, prima di proporre la loro ricetta preferita, riflettessero più a fondo sulla coerenza che devono avere i sistemi. La storia dei professori cattivi, fannulloni ed incapaci mi sembra un po' frusta e poco produttiva: i professori saranno anche cattivi, ma sono gli unici che abbiamo.

Egregio professore, caro collega

perchè non legge i post prima di scrivere commenti? Si accorgerà che Il Milanese non parla mai di elezione degli organi da parte dei docenti e che, invece, parla diffusamente di  pre-pensionamento degli attuali docenti. Spiega anche come sia facile sostituirli con altri, più giovani e motivati. E' forse lievemente più complesso capire gli incentivi impliciti nella proposta - ma non si preoccupi. Sto rileggendo i miei appunti degli incubi e farò un post ad hoc prima o poi

Distinti saluti

PS che io sappia, tutti gli editors di questo sito sono professori in varie università americane e quindi credo conoscano abbastanza bene la realtà USA.

Caro Rosario, se c'era bisogno di una conferma che avevo colto nel segno, questo tuo controcommento (che s'occupa d'un aspetto completamente secondario della questione e lo fa con un'affermazione fattualmente e banalmente erronea, come ti spiega Giovanni Federico più sotto) costituisce tale conferma.

Ragione per cui l'invito perentorio a "riflettere" che rivolgi agli "economisti" - vedo che l'approccio tremontiano è diventato immediatamente trendy nell'accademia italica - rimbalza al mittente.

È vero, questi sono i professori universitari che avete: dove sta scritto che è proibito cambiarli?

 

Ministro: Bibliometrici?

Milanese: Si intendono criteri automatici

A proposito di bibliometria e "automatismi", mi sento proprio di dover consigliare all'uditorio la lettura della pregevole relazione del Prof. Figà Talamanca tenuta 10 anni fa ad un convegno, dal titolo "L'Impact Factor nella valutazione della ricerca e nello sviluppo dell’editoria scientifica".

Si tratta di un classico, a livello nazionale, in merito alle riflessioni sulla "bibliometria" (cioè va conosciuta da Ministri, Burocrati, e Milanesi). Ci tengo a chiarire che questa "citazione" non è stata minimamente sollecitata dal Professore, che peraltro ho incontrato (con piacere) solo una volta nella mia vita; né ovviamente saprei dire se egli vorrebbe modificare qualche informazione o qualche giudizio, oggi, a 10 anni di distanza, o se vorrebbe "schernirsi"...

Ne consiglio quindi caldamente la lettura, fino in fondo, laddove mi perito di affermare che non mi pare azzardato proporre un parallelo fra la descrizione che il Professore fa delle circostanze storico-scientifiche inerenti al settore bio-medico, in Italia, e la situazione del settore economico-sociale. Questa proposta è ovviamente solo mia, e nulla impegna l'autore.

RR

P.S.: non mi pare che questa relazione sia pubblicata da qualche parte, ma la conoscono in molti, e la citano pure!

Seguo il vostro blog da diverso tempo ma e’ la prima volta che scrivo.  

In molti atenei del sud i rettori sono in carica da piu' di 20 anni. Ricoprono incarichi politici e hanno famigliari, figli e nipoti come ordinari. Sotto i rettori ci sono le cupole dei baroni. Questi sono ordinari anziani anche loro con vari figli, nipoti e famigliari a loro volta professori ordinari, molti dei quali con pochi meriti scientifici (alcuni dei concorsi li vincono proprio grazie agli accordi con i milanesi (ad esempio bocconi): commissione combinata, doppia o tripla idoneità e vai, tutto ok). Diciamo che questo problema riguarda la maggior parte degli atenei del sud (stima prudente), a mio parere.

Nonostante questo, all’interno di questi atenei del sud ci sono alcuni dipartimenti che producono ricerca di buon livello (ad esempio articoli con alto IF). Infatti, grazie al lavoro di pochi illuminati o un po’ per fortuna, ci sono alcuni giovani e meno giovani che lavorano bene nonostante le enormi difficoltà e la totale mancanza di incentivi monetari.

Io scommetto che i rettori di questi atenei sottoscriverebbero la proposta del milanese e ne sarebbero grandi sostenitori. E penso pure che la cupola dei baroni in questi atenei sottoscriverebbe questa proposta. Altro che incubo del barone. Questo sarebbe un regalo. Prima di tutto come recita l’art. 2: la "scelta dei loro membri" (CdA, Senato) "e del Rettore sono decise dalle singole università" implica che l’attuale cupola negli atenei sarebbe al comando anche dopo la riforma. Schiaccerebbe i dipartimenti virtuosi e fisserebbe i criteri per la parte variabile dello stipendio in modo tale da penalizzare i migliori studiosi. Che fine farebbero le energie e le competenze dei bravi studiosi? Una proposta del genere cancellerebbe l’opposizione delle persone per bene all’interno dell’ateneo. Questi potrebbero trasferirsi, direte voi. Ma per quale motivo lasciare un regalo del genere ai baroni?

Cerco di spiegare per quale motivo a mio parere sarebbe un regalo. Adesso il potere dei baroni e dei rettori si fonda principalmente sulla discrezionalità che hanno nel concedere fondi di ricerca e bandire posti. Questa proposta di riforma aumenterebbe il loro potere dando loro la possibilità di stabilire i criteri per i premi e la parte variabile degli stipendi. Direte voi: non ci sarebbero gli incentivi per aumentare i premi ai non meritevoli. No, non e’ vero, non in questo caso. Il rettore potrebbe anche fregarsene della ricerca e pensare a conservare il potere. Infatti, la proposta prevede che metà del fondo ordinario sia determinata dal numero degli studenti iscritti. Se gli studenti iscritti non diminuissero, le università peggiori potrebbero risparmiare fissando stipendi (magari proprio a quelli più bravi) bassi. Potrebbero replicare l’attuale scala di stipendi esistente (stipendi da ordinari, associati, e ricercatore) trovando un modo per penalizzare i meritevoli. Direte voi: no, gli studenti non si iscriveranno all’ateneo peggiore perché l’ANVUR pubblica le percentuali dei laureati che passano gli esami (ART. 9). Ma voi avete idea di come si svolge un esame di commercialista o di avvocato e di come possa e potrebbe essere manipolato dalle cupole dei vari atenei (adesso le cupole si disinteressano di questo, figuratevi cosa potrebbe succedere se l’esame di stato avesse questa importanza)? Menti fini signori, molto fini quando si tratta di soldi e potere. Secondo voi se Cosenza corregge gli esami dei Milanesi con questo metodo cosa succede? Succede che neanche un milanese passa o succede che passano metà milanesi a Cosenza se Milano garantisce che quelli di Cosenza passano almeno in ugual misura a Milano o a Torino o dove si svolge l’esame. E quanti sono gli studenti che si iscrivono per esercitare la professione? Inoltre, Il fondo per il diritto allo studio potrebbe finanziare tutti gli studenti sardi non abbienti, proprio tutti? (Secondo la logica di Federico, le università in Sardegna sarebbero abbandonate dai migliori studiosi e quindi dovrebbero andare ancora più giù con il numero di studenti). Non sono neanche sicuro che l’abolizione del valore legale possa essere una soluzione. Inoltre, perché la percentuale dei laureati che passano l’esame di stato dovrebbe riflettere la qualità didattica dell’ateneo e non altre caratteristiche di contesto?  

In definitiva, molti degli atenei del sud forse diventerebbero ancora più poveri, ma al loro interno il potere del rettore e della cupola aumenterebbe. Come conseguenza i rettore allargherebbero il loro elettorato (maggiore potere per ammettere studenti, regalare crediti, lauree facili) e la loro “clientela” (assumere ricercatori pagati a 1200 euro senza titoli e meriti). Il tutto con soldi pubblici. I migliori sarebbero costretti a soggiacere (se non possono trasferirsi) o a lasciare cercando altri posti. Gli atenei di cui parlo hanno conservato qualche isola di dignità e professionalità perché i migliori studiosi sono “protetti” da alcune regole centrali (ad esempio stipendio fissato a livello centrale). Implementare una riforma del genere sarebbe come regalare definitivamente questi atenei ai baroni con soldi pubblici. Piuttosto chiudiamole queste università e non se ne parla più. Non so quanto sia equo e soprattutto politicamente sostenibile. Tra questa proposta e lo status quo non mi vergogno di dire che preferisco lo status quo, perché questa riforma sarebbe peggiorativa (secondo - come agli economisti piace dire - le mie preferenze ovviamente).

Ho visto che Federico risponde seccato quando qualcuno gli fa notare dei problemi nella proposta (si veda lo scambio tra lui e Nicoletti: il secondo dice che e' un problema che il CDA sia eletto all'interno delle università, Federico risponde che Nicoletti dovrebbe leggersi meglio la proposta, Nicoletti cita proprio la proposta smentendo Federico e Federico risponde dicendo che questo comunque non e’ un problema), quindi mi aspetto una risposta seccata. Trovo comunque molto utile discutere di queste proposte. Quindi grazie a Federico e ai redattori di NFA!

Alberto

 

Complimenti al Signor Alberto per la chiarezza e l'onestà. Ecco cosa succederebbe da qualche parte, e poi anche altrove, espungendo (quasi) del tutto la dimensione della modalità deontica dalla società, e pensando di poterla "sostituire" con quella "premiale".

Peccato per quegli economisti che pensano che gli esseri umani siano, per dire, delle particelle elementari tipo quark, leptoni, gluoni, e che basti fissare un sistema di campi di forze al contorno e delle condizioni iniziali per determinarne la dinamica.

Non è così.

RR

NB: la dimensione deontica è ben presente ed "efficace" dappertutto, anche dove sono più bravi ad organizzare quella premiale.

NB2: e poi codesti premi sono sempre determinati da Piani Sovietici, o pensavate di averla sfangata anche qui? Infatti anche il RAE è un piano sovietico, solo che è fatto bene (ma ha pure dei difetti tipici dei piani). E i Piani Aziendali, che sono?

 

 Mi dispiace apparire arrogante ma se Lei rilegge la proposta può rendersi conto che il rettore-padrone di una università pessima non può comperarsi i voti perchè in una università pessima non ci sono i soldi e tutti sono a 1200 euro al mese. Attrarre studenti con le lauree facili non aumenta i soldi nel breve periodo (il rimborso dipende dal numero di studenti nei cinque anni precedenti) e aumenta molto il carico didattico. Fare esami severissimi è facilissmo: basta dare test a risposta multipla diversi per ogni candidato (facilissimo con un computer) e farli correggere da un lettore ottico di una ditta specializzata, magari AmeriKana. I professori bravi delle università disastrate troverebbero lavoro altrove. Ci sarebbero moltissimi posti liberi alle università italiane -dato che la proposta crea potentitssimi incentivi al pre-pensionamento

Più in generale, il Suo commento mi rende triste. E' chiaro che la proposta è una provocazione intellettuale senza alcuna speranza di essere accettata. Invece di partecipare la gioco e magari suggerire miglioramenti (chessò regole per il diritto allo studio, fondi per borse etc.) preferisce tentare di demolire la proposta per giustificare lo status quo. Boldrin dice sempre che i professori universitari italiani non vogliono cambiare le regole del gioco perchè stanno benissimo. COmmenti come il Suo mi fanno pensare che Boldrin abbia ragione.

 

Alcuni commenti:

1) La riforma mi sembra troppo radicale. Non ho nulla contro riforme radicali, ma mi sembrano potenzialmente rischiose perché "non robuste". Realisticamente alcune parti della riforma verrebbero annacquate da un eventuale passaggio parlamentare, e non mi pare così peregrina la possibilità che queste modifiche rendano inefficiente il meccanismo concorrenziale che si vuole proporre, causando di conseguenza effetti a catena non voluti nelle parti che si affidano alla buona concorrenza per funzionare. Forse un po' piu' di regolamentazione non guasterebbe...
Inoltre, anche se questa riforma venisse approvata lettera per lettera, ci sono altri fenomeni presenti nell'accademia italiana che potrebbero annullare gli effetti della concorrenza (come illustrato da Alberto R. nel caso delle universita' meridionali).

Esempio semplice di questa "non robustezza", accennato anche dal Milanese e altrove da Alberto Lusiani: quanto cambierebbe l'efficacia della riforma assegnare i fondi alle universita' o ai dipartimenti? E se una di queste scelte si rivelasse inefficace nel favorire la concorrenza, quanto cambierebbe i ragionamenti del Milanese?

2) IMHO, una delle poche possibilità vere di cambiamento nel sistema italiano e' l'iniezione di ricercatori giovani o professori, italiani o stranieri, provenienti dall'esterno del sistema e selezionati per merito. Questi, una volta all'interno delle università italiane, dovrebbero poter creare gruppi di ricerca e ottenere il necessario (stipendi, fondi per la ricerca, diritto all'uso di spazi eccetera) da canali esterni non facilmente influenzabili dall'attuale classe di professori. In altre parole, l'idea sarebbe di inserire nelle strutture di ricerca italiane corpi estranei (almeno come mentalità), che dovrebbero dipendere solamente dai grant di un organismo centralizzato in modo da non poter ricevere pressioni locali.

Idee del genere (che ovviamente non sono nulla più che un confuso wishful thinking) rappresentano strategie rinunciatarie e quasi opposte rispetto alle riforme come quella presa in considerazione qui. Tuttavia, evitando riforme "scomode" del sistema, mi sembrano potenzialmente più verosimili per il futuro a medio termine. Beyond wishful thinking, what's your opinion?

3) Gli articoli 6 e 8 introducono disposizioni come "Le università sono libere di stabilire l’importo delle tasse" e "Le università sono libere di regolamentare le iscrizioni e di organizzare l’attività didattica". Mi sembra che il messaggio sia che le università devono potersi comportare a loro piacimento nei confronti degli studenti.
Ora, questo suppone una riforma costituzionale, tra l'altro a spese di un principio di diritto all'istruzione che non mi pare affatto sbagliato (e il fatto che in pratica non venga applicato non lo rende certo peggiore). Ma passi l'aspetto costituzionale, che come noto si puo' evadere...
La cosa che non capisco e': visto che gli studenti sono la parte piu' debole, nonché quella a cui non si possono attribuire responsabilita' per il degrado attuale, perche' dedicare due articoli a indebolire la loro posizione e le loro garanzie? Cosa c'entra la possibilita' di selezionare gli studenti col resto della riforma?

Temo che il mio primo commento su nFA sia lungo e poco chiaro, ma spero si capisca... :)

La cosa che non capisco e': visto che gli studenti sono la parte piu' debole, nonché quella a cui non si possono attribuire responsabilita' per il degrado attuale, perche' dedicare due articoli a indebolire la loro posizione e le loro garanzie?

Dent, non mi va di fare il Joker :) ma non sono d'accordo con la tua affermazione.
E' vero che il pesce puzza dalla testa, ma non e' che per questo la coda sia commestibile: avranno meno responsabilita', ma molti studenti italiani arrivano all'universita' con un bassissimo grado di consapevolezza di se', di come organizzarsi e di cosa li aspetta. E' una cosa che puo' succedere alla scuola superiore: il costo e' basso, e c'e' un numero relativamente basso di scelte possibili.

Tutto questo viene ripetuto, pari pari, all'universita' dove le scelte sono molte di piu', e dovrebbero essere prese a ragion veduta perche' i costi sono molto piu' alti.

Non ho dati a supporto, ma ho parecchie evidenze (che comunque non fanno statistica): mi sembra che molti scelgano la facolta' che ha maggior appeal per gusto personale, o magari perche' e' piu' vicina, o piu' facile, tanto per prendere il pezzo di carta: non controllano ad esempio i programmi, o le stesse materie, e si aspettano di andare avanti perche' hanno seguito il corso e pagato le tasse, come alle superiori.

In pratica si confonde il diritto allo studio con il diritto ad ottenere il titolo di studio, che e' una cosa diversa. E' un errore che fanno gia' alle superiori, e pure prima, nella scuola dell'obbligo. 

Cito la Costituzione, anche se e' aleatoria :)
Art. 34: ... I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.

Prima di tutto, questo articolo dice che lo Stato ti dovrebbe supportare se non hai i mezzi tuoi per ottenere l'istruzione che vuoi, ma te la meriteresti lo stesso.  

Pero' la chiave e' in "capaci e meritevoli": per avere il supporto, te lo devi meritare. Devi mostrare che quella formazione la meriti perche' e' nelle tue corde e sei disposto a lavorare per averla.


Recentemente, in un dipartimento di scienze applicate, un docente e' stato *insultato* dagli studenti che non hanno passato i test di ingresso. Chi non passa i test deve fare dei corsi di recupero, perche' non ha conoscenze di base necessarie per intraprendere il corso di studi: sono 30 risposte a crocette principalmente su logica, matematica, fisica, e per passare devi rispondere correttamente a 15 di esse. Molti non lo hanno passato (bada bene: si possono iscrivere lo stesso, ma devono sostenere dei corsi ed esami di recupero), e hanno reagito male.

Lo scorso anno un dottorando che stava li' per sorvegliare, subito dopo il test, ha sentito due studenti chiacchierare:
"come e' andata?"
"quest'anno bene: sono riuscito a copiare la risposta sul teorema di pitagora".

Capisco che non faccia statistica, ma mi sembra emblematico.

 

le potete leggere qui =:)

Fausto, sei veramente una fonte di informazione notevole, ;-))

Mi sembra un netto miglioramento del benessere collettivo :-)

Salve, ho letto questo intervento e un po' di commenti con interesse. Ci sono diverse cose su cui non concordo, altre su cui concordo, altre su cui non mi esprimo perchè non conosco le situazioni specifiche.

Ci sono due punti su cui vorrei fare un'osservazione:

1- non capisco perchè lo stipendio di un professore universitario dovrebbe essere pari a quello di un docente di scuola media superiore, visto che la formazione e le competenze (tecniche) necessarie per svolgere il primo lavoro sono molto superiori al secondo. I docenti delle superiori poi devono avere altri tipi di competenze "educative" che per un prof. universitario non sono necessarie. Sono due mestieri diversi. Non capisco francamente la ragione di questo paragone (si potrebbe proporre che un prof. delle superiori abbia lo stipendio di un maestro elementare e contratti bonus con la scuola in cui insegna per aumentare i propri introiti e così via...). Francamente l'idea che ci sia una base bassa e poi tutto lasciato alla contrattazione privata mi lascia molto freddo. Non è un sistema in cui credo in generale. Io credo che le persone debbano essere comunque ben pagate e da loro si pretenda efficienza e competenza.

2- non concordo che l'accesso alle professioni avvenga con un esame di stato necessariamente (che sia severo o no). L'esempio del medico è un po' furbetto: la professione medica ha ache fare con la salute che è qualcosa di molto delicato. Alla domanda "vi fareste difendere da un cattivo avvocato" ovviamente chiunque direbbe di no, ma aggiungerebbe anche "ne cercherei uno più bravo". Io non sono un cantore del mercato, ma per quanto riguarda le professioni (avvocato, notaio, commercialista, e così via) credo che un titolo di studio e un tirocinio propedeutico possano servire più di un esame di stato. Da un esame è difficile che stabilisca se il professionista è bravo (stabilire poi se un medico è bravo è ancora più difficile visto il tipo di evoluzione che ha il professionista nella sua carriera). fatto salvo che la classe medica deve ricevere un'attenzione particolare in questo caso perchè ha ache fare con la salute (pubblica), per le altre professioni abolirei gli esami di stato e lascerei che sia il mercato a stabilire chi è bravo o no.

3- concordo che i finaziamenti ricevuti dai gruppi di ricerca siano legati a risultati e criteri "oggettivi". non sto a discutere i dettagli del modo proposto, ritengo sia una discussione "pour parler" non una proposta di legge. certi dettagli non li trovo corretti o inutilmente cervellotici.

 

Nel complesso mi sembra una discussione stimolante anche se costruita su una base troppo astratta. Credo sarebbe un esperimento sociale che in Italia creerebbe solo caos. Non perchè le cose mi vadano bene in questo modo o non possano cambiare, ma quando si propone di cambiare la realtà bisogna partire da quella realtà, non da modelli astratti. Il punto secondo me più pressante da affrontare nel'università italiana è a mio avviso finanziare in modo efficiente chi fa ricerca sul serio e non finanziare chi non è produttivo su questo fronte.

Se ai molti accademici che qui discutono il futuro - ideale o solo possibile - della disastrata alta formazione italiota può interessare, questo è il testo dell'audizione parlamentare del Vice Presidente di Confindustria per l’Education, Gianfelice Rocca, sul tema del DDL Università N° 1905.

Tra i vari aspetti in essa considerati - ça va sans dire, con linguaggio decisamente più morbido rispetto a quello che utilizziamo solitamente in questo luogo virtuale ..... :-) - vorrei farvi notare

  1. la scelta di una governance diversa, affidata ad un CdA

  2. la convinzione che sia necessario abolire il valore legale del titolo di studio

  3. la richiesta che il finanziamento premiale sia allocato sulla base di una valutazione qualitativa della ricerca tramite i risultati CIVR e sulla capacità di attrazione di fondi di ricerca europei e nazionali secondo il meccanismo dei matching funds

  4. il confronto tra dipartimenti, non tra atenei

  5. la responsabilizzazione di ciascun ateneo nelle scelte di reclutamento e di carriera dei propri docenti

 

questo è il testo dell'audizione parlamentare del Vice Presidente di Confindustria per l’Education, Gianfelice Rocca, sul tema del DDL Università N° 1905.

 

Grazie Franco. Condivido i punti elencati, mi riferisco al tuo riassunto e non al documento che non ho ancora letto, c'e' una buona convergenza sia con le discussioni che ho avuto con i miei colleghi prevalentemente di Scienze su Universitas Futura sia con quanto propongo nel mio passato intervento su nFA.  Un solo micro-commento:

  1. il confronto tra dipartimenti, non tra atenei

  2. la responsabilizzazione di ciascun ateneo nelle scelte di reclutamento e di carriera dei propri docenti

Per coerenza col punto precedente, anche la responsabilizzazione dovrebbe essere almeno in parte a  livello di dipartimento. E un appunto finale: temo che torvare buoni amministratori per l'universita' sia impossibile per le carenze della societa' e della cultura italiana.  Spero solo che una eventuale riforma non peggiori ulteriormente l'esistente.