E se mettessimo in concorrenza i contratti?

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Una proposta per rispondere al dualismo che caratterizza il mercato del lavoro italiano: un contratto nuovo di lavoro da mettere in concorrenza con quelli esistenti e un meccanismo di compensazione per fare in modo che chi beneficia di maggiori tutele contribuisca in misura maggiore al loro finanziamento.

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Il mercato del lavoro italiano è caratterizzato da un ingiusto e probabilmente inefficiente dualismo (Andrea e Giulio ne hanno parlato diffusamente qui, proponendo delle riforme). Da una parte ci sono gli insiders, cioe' i lavoratori protetti e che beneficiano degli ammortizzatori sociali, dall'altra gli outsiders, cioe' i "precari", un gruppo altamente flessibile che controbilancia la rigidita' che caratterizza l'altro gruppo. Una proposta per superare questo dualismo (il cosiddetto "contratto unico") è  stata avanzata da Boeri e Garibaldi ed è poi diventata un disegno di legge. Andrea l'ha analizzata (evidenziandone i limiti) qui.

Questo post contiene la mia modesta proposta, che si riassume cosi':

  • introdurre un nuovo tipo di contratto di lavoro più flessibile
  • lasciarlo coesistere con le forme attualmente esistenti
  • introdurre un solido sistema di ammortizzatori sociali
  • articolare la contribuzione in modo che chi sceglie un contratto caratterizzato da maggiori tutele contribuisca in misura maggiore al finanziamento degli ammortizzatori

'<h' . (('2') + 1) . '>'La proposta'</h' . (('2') + 1) . '>'

Il nuovo tipo di contratto che vorrei mettere in concorrenza con quelli esistenti ha le seguenti caratteristiche:

  • A tempo indeterminato
  • Libertà di recesso per entrambe le parti con preavviso ed eventuale indennizzo da concordare
  • Disponibilità di ammortizzatori sociali ad hoc specifici per chi sceglie questo tipo di contratto
  • Finanziamento degli ammortizzatori specifici con contributi in tutto o in parte a carico dei lavoratori con contratti tradizionali
  • Libertà di scelta delle modalità di determinazione del compenso (fisso, variabile, benefit, bonus, stock options, etc) e della prestazione (ore lavorate, risultati conseguiti etc.)
  • Libertà per il lavoratore di destinare a fondi pensione privati parte dei contributi previdenziali obbligatori e di modificare la distribuzione temporale dei versamenti
  • Vincoli largamente accettati a tutela dei lavoratori (condizioni igieniche e di sicurezza del posto di lavoro, etc.)

La ratio della proposta è quindi:

  • consentire la coesistenza di contratti di "vecchio tipo" rigidi e contratti nuovi "flessibili"
  • fare in modo che  la maggiore flessibilità che viene a crearsi sia compensata da ammortizzatori
  • differenziare la contribuzione dei lavoratori al finanziamento degli ammortizzatori in modo che i contratti più tutelati paghino proporzionalmente di più

In prima battuta, il nuovo contratto è pensato per il settore privato, questo non toglie che anche gli enti pubblici che volessero utilizzarlo (visto che,peraltro,  taluni enti pubblici o privati di proprietà sostanzialmente pubblica già oggi adottano contratti del settore privato) potrebbero farlo.

La coesistenza di contratti vecchi e nuovi dovrebbe avere la finalità di:

  • introdurre in modo non traumatico la flessibilità
  • non eliminare un certo tipo di tutele, ma trasformarle di fatto in un benefit che possa essere "prezzato" dal mercato
  • lasciare che sia il mercato a decidere le proporzioni di contratti vecchi e nuovi

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Il modo in cui il sistema degli ammortizzatori viene strutturato è fondamentale. In proposito esiste un'ampia letteratura, in particolare sul problema del possibile disincentivo a cercare un nuovo lavoro determinato da ammortizzatori troppo generosi. Senza pretesa di novità o di rigore scientifico provo a suggerire degli spunti di riflessione.

In primo luogo un elemento essenziale per la logica della proposta è che i lavoratori insider paghino di più per la maggior tutela che ricevono. Questo potrebbe sollevare questioni di equità: come giustificare il fatto che un gruppo paga per il sostegno che un altro gruppo riceve?

La mia proposta sugli ammortizzatori prevede quanto segue:

  • Tutti gli ammortizzatori esistenti vengono sostituiti da un fondo anti disoccupazione (FAD)
  • Il FAD opera secondo un meccanismo di tipo mutualistico/assicurativo pertanto non grava sull'erario che quindi risparmia quello che attualmente devolve agli ammortizzatori esistenti
  • Il FAD si finanzia attraverso contributi obbligatori a carico dei lavoratori e delle imprese
  • I lavoratori con contratto di vecchio tipo pagano contributi più elevati rispetto a quelli con contratto flessibile poichè beneficiano di tutele maggiori
  • Alle imprese viene, eventualmente, chiesto un contributo solo per i lavoratori con contratto nuovo, a fronte della maggiore flessibilità che ottengono assumendoli

Il meccanismo assicurativo da un lato mette al riparo da comportamento opportunistico del governo (che ad esempio potrebbe aumentare le tasse dicendo che i fondi vanno ai disoccupati e poi farci altro) in tema di spesa sociale, dall'altro incorpora una regolazione implicita delle erogazioni: il sussidio è commisurato ai premi versati e da versare (logica tipo bonus-malus) e i premi sono calcolati in base all'andamento della disoccupazione.

Le prestazioni erogate dal FAD potrebbero essere di tre tipi:

  1. Sussidio di disoccupazione.
  2. Contributo o prestito per la riqualificazione professionale.
  3. Contributo o prestito per lo spostamento geografico.

Il problema del punto 1 è che percepire un indennità di disoccupazione può costituire un disincentivo a trovare una nuova occupazione. Dettagliare eccessivamente questo punto, esula degli intenti della proposta, mi limito a riassumere la mia opinione sul tema:

  • Il sussidio dovrebbe essere limitato nel tempo e decrescente
  • Una parte del sussidio potrebbe essere erogata come prestito a interessi zero piuttosto che come contributo a fondo perduto

I due punti potrebbero essere combinati come segue: l'indennizzo abbia sempre una quota a fondo perduto e una da restituire a interessi zero: all'inizio la quota a fondo perduto prevale (anche 100%) poi gradualmente diminuisce, mentre aumenta la parte in prestito. Quando la parte in prestito raggiunge il 100% inizia a decrescere per rispettare il criterio che l'intero sussidio abbia comunque un limite temporale di durata.

In merito al punto 2, onde evitare forme fittizie di formazione inutile, l'unica formazione  finanziabile dovrebbe essere quella che effettivamente aumenta le chances del lavoratore di trovare un impiego. Al fine di misurare in via preliminare la formazione si potrebbe:

  • attribuire un rating di utilità basato sulle posizioni attualmente richieste dal mercato;
  • coinvolgere le imprese per capire quali competenze potrebbero essere utili in futuro;
  • valutare casi ad hoc di formazione mirata all'assunzione.

Partendo dalle offerte di lavoro presenti, si stila  un set di competenze richieste; ciascuna competenza avrà un voto di utilità basata sul numero di casi in cui è richiesta ponderato per il salario della posizione. Successivamente, il rating di utilità viene integrato un giudizio formulato dalle imprese in merito all'utilità prospettica di quelle competenze.

Trattamento a parte meritano i casi in cui l'azienda X si dichiara preliminarmente disponibile ad assumere i lavoratori Y e Z a patto che sostengano un determinato corso (ad es da orafo a pellettiere), considerata la flessibilità consentita dal nuovo contratto non dovrebbe essere un ipotesi troppo irrealistica.

In sintesi si finanzia (in parte o in toto a fondo perduto) solo la formazione che sia qualificabile come utile al reinserimento nel mondo del lavoro, secondo un criterio il più possibile obbiettivo e derivante da evidenze riscontrabili.

'<h' . (('2') + 1) . '>'Il punto di vista delle imprese'</h' . (('2') + 1) . '>'

Le imprese dovrebbero ottenere da questa proposta un vantaggio certo e uno svantaggio eventuale. Il vantaggio certo è dato dalla possibilità di usare contratti di lavoro più flessibili, lo svantaggio deriva dal maggior costo da sostenere per i nuovi contratti, nella misura in cui le condizioni di mercato non gli consentono di  dedurlo dalla remunerazione dei lavoratori.

In ogni caso è plausbilile che le imprese mantengano un mix di nuovo e vecchio contatto:

  1. il vecchio contratto sarà preferito per i lavoratori ad alto "valore aggiunto" con competenze difficili da reperire sul mercato
  2. il nuovo contratto sarà utlizzato per le professionalità più fungibili

A sostegno del punto 1 c'è da dire che probabilmente il lavoratore con skill particolari e ricercate ha già un contratto del vecchio tipo e quindi è disponibile a cambiare lavoro solo mantenendo la tipoligia di contratto o in cambio di un aumento di salario tale da compensare le minori tutele. Quindi potremmo dire che l'interesse delle imprese ad assumere col vecchio contatto consiste nel premio aggiuntivo pagato per acquisire/mantenere un lavoratore con caratteristiche difficili da rimpiazzare.

Si potrebbe quindi considerare la maggiore protezione del contratto di vecchio tipo come un particolare benefit utilizzabile per fidelizzare i dipendenti più capaci, che eventualmente in una certa fase della carriera può essere accordato al posto di una promozione o di un aumento salariale.

'<h' . (('2') + 1) . '>'Conclusioni'</h' . (('2') + 1) . '>'

Mettere in discussione le tutele dei lavoratori sembra essere un argomento tabù nel nostro paese. Perchè non dare semplicemente a lavoratori e imprese la possibilità di scegliere?

L'idea di fondo è che per intervenire in modo non troppo traumatico sui delicati equilibri attualmente esistenti sia opportuno

  1. consentire agli insiders che desiderano mantenere un certo livello di tutela di farlo, a patto di pagarne il costo;
  2. offrire agli outsiders nell'immediato uno strumento per ottenere maggiore stabilità e ammortizzatori che oggi non hanno.

Sul punto 1 credo che sia perfettamente accettabile per un lavoratore a tempo indeterminato contribuire ad un fondo anti-disoccupazione che aiuta i lavoratori che non godono delle sue tutele nei momenti di difficoltà. In particolare, mentre le maggiori tasse il governo può sprecarle, i contributi al fondo rimangono vincolati all'impiego a vantaggio dei lavoratori che ne hanno bisogno.

Sul punto 2 il vantaggio per gli outsiders, oltre all'ovvio accesso agli ammortizzatori, consisterebbe nell'evitare quel meccanismo perverso per il quale le imprese, dopo n contratti a tempo indeterminato, non assumono dei lavoratori che ritengono validi a causa di certe rigidità imposte dalla legge che per i lavoratori stessi non costituiscono una necessità imprescindibile.

Credo che questa proposta potrebbe costituire un buon meccanismo di transizione fra il vecchio e il nuovo contratto di lavoro.

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Commenti

Ci sono 74 commenti

L'idea è buona però non capisco il vantaggio delle imprese. Loro oggi possono assumere precari, perchè mai dovrebbero cambiare contratto (stipulandone uno come proposto) se a loro costa di più (vedi contributi per il FAD)? Si spera che i lavoratori con questo tipo di contratto siano più invogliati a lavorare e quindi più produttivi? 

direi che gli attuali contratti "precari" dovrebbero essere sostituiti da quello nuovo. Non e' sottinteso?

I precari hanno una scadenza, dopo n rinnovi a tempo o li assumi definitivamente o ti inventi un escamotage (tipo farli assumere da un'altra società del tuo gruppo). Con questo sistema potresti permetterti di assumere a tempo indeterminato e, magari, investire di più sul lavoratore.

Poi pensa ai casi in cui le imprese vorrebbero assumere a tempo indeterminato, ma non lo fanno perchè poi temono di non poter licenziare. Col nuovo contratto questo problema verrebbe meno.

In sintesi il vantaggio per le imprese è dato dalla maggiore flessibilità

 

  • rispetto ai contratti precari perchè non sono obbligate all'assunzione rigida dopo un certo tempo
  • rispetto ai contratti a tempo indeterminato perchè possono licenziare e modulare le condizioni in modo più libero

 

Ci si potrebbe chiedere: chi glielo fa fare al lavoratore a tempo indeterminato di passare dal vecchio contratto al nuovo? 

Alcuni spunti che mi vengono in mente:

 

  • Il fatto che il vecchio posto non esiste: i casi in cui senza il nuovo contratto l'azienda non assume
  • Un vantaggio economico il nuovo contratto potrebbe ad esempio avere una remunerazione più alta (magari legata ai risultati) e di certo ha meno oneri di contribuzione al FAD
  • Il desiderio crescita/progressione professionale perchè magari le imprese che assumono col nuovo contratto operano in settori più innovativi, attuano una gestione del personale meno feudale etc.
  • L'azienda x potrebbe dire io sto per chiudere, cari dipendenti se accettate il nuovo contratto proviamo ad andare avanti insieme,altrimenti io liquido tutto.


 

 

 

Uno degli aspetti che mi ha sempre fatto specie nei contratti a tempo indeterminato di tipo tradizionale sono i massimi salariali.

Uno degli incentivi ad adottare il modello flessibile per me sarebbe senza dubbio quello di non avere un tetto di retribuzione massima per livello.

Uno degli aspetti che mi ha sempre fatto specie nei contratti a tempo indeterminato di tipo tradizionale sono i massimi salariali.

Possibile che esistano salari massimi per lavoratori comuni? Hai (o qualcun altro ha) qualche riferimento piu' preciso? In ogni caso questo sarebbe una questione di modello di contrattazione, non di forme contrattuali.

 

 

 

La domanda che sto per fare potrebbe essere generata dal fatto che non ho capito bene il concetto, per cui se dico una stronzata ignorate tranquillamente quanto scrivo.

Da quello che posso intendere, il FAD avrà un'importanza maggiore per tutti queli lavoratori ascrivibili al nuovo contratto, definiti precari, più che per quelli aderenti al vecchio. Ora, dato che l'onere della contribuzione al fondo è maggiore per i secondi che non per i primi, nell'ipotesi (non inverosimile) che sempre più lavoratori aderiscano alla nuova forma contrattuale spiazzando i vecchi, il FAD subirebbe una notevole riduzione. Questo non potrebbe essere un problema? In particolare: in caso incorressimo nuovamente una crisi economica delle proporzioni pari a quella che abbiamo appena vissuto, e le condizioni fossero quelle che ho descritto, non potrebbe accadere che - essendo sicuramente i lavoratori precari quelli più colpiti-  il fondo non sia adeguato alle esigenze di copertura?
in questo caso il FAD dovrebbe essere integrato con fondi statali?

grazie

Detto in termini molto rozzi: un'impresa di assicurazione sta in piedi finchè riesce a ripagare i sinistri con le riserve accumulate mediante l'incasso dei premi. Se gli indennizzi da pagare sono superiori alle disponibilità accumulate nelle riserve l'impresa fallisce*. Il fallimento potrebbe venire accelerato se i premi (con mentalità superfissa) non vengono aggiornati per tenere conto del mutare nel tempo del rapporto vecchi/nuovi contratti.

Secondo me i contributi dei lavoratori vanno aggiornati per tenere conto di:

  • tasso storico di disoccupazione e stime future
  • rapporto storico tra vecchi/nuovi contratti e stime future
  • durata media del periodo di disoccupazione (storica e attesa) 

 

Poi se le cose vanno molto male e il fondo si assottiglia non credo sia improbabile che lo stato possa intervenire, ma se il meccanismo assicurativo è gestito bene non dovrebbe essercene bisogno.

PS sul caso della supercrisi avevo un'idea balzana che espongo in un commento a parte. 

*Per i pignoli, so che in italia la procedura concorsuale per banche è assicurazioni non è il fallimento ma la liquidazione coatta amministrativa, ma non credo sia rilevante per la sostanza del discorso.

 

Questo articolo tocca uno dei punti nodali dell'incancrenatura del sistema italia. I benefits per i disoccupati. Allo stato attuale, se da dipendente pubblico vieni "forzato" a passare all'omologo privato che eroga lo stesso servizio (vedi scuole materne, ad esempio) ci sono proteste popolari; se perdi il lavoro, anche se ti capita di passare qualche mese in cassa integrazione, la situazione e' drammatica, a meno che non si abbia il solito nonno con soldini da parte.

Poter godere di un reddito che permetta di vivere mentre si cerca un altro lavoro e' fondamentale, per dare sicurezza ai lavoratori, ma anche per permettere alle imprese che fanno perdite di fallire senza tenerle artificialmente in vita tramite cassa integrazione.

Quasi tutti sanno, ma forse no, la situazione francese. Un mio amico e' stato recentemente licenziato, per il semplice fatto che l'impresa dove lavorava aveva sbagliato investimenti e non riusciva a produrre utili, e adesso, se ho ben capito, lo stato gli passa 1.300-1.400 euro al mese per un anno, dietro prova che lui si sta sbattendo per cercare lavoro. Dopo un anno il benefit dovrebbe calare. Inoltre, la legge francese impone al datore di lavoro di versare fondi per la formazione in caso di disoccupazione, e questo mio amico ha ora a disposizione qualche migliaio di euro per pagarsi dei corsi di formazione.

Chi dice che tutto questo e' impossibile da realizzare in Italia mente.

Francamente non capisco perche' gli ammortizzatori per i contratti precari che tu ipotizzi dovrebbero essere solamente a carico dei lavoratori a tempo indeterminato (con il contratto attuale). Capisco l'idea di creare un fondo separato per sottrarlo il piu' possibile all'arbitrio della politica, ma scaricarne il costo sui soli lavoratori dipendenti e' abbastanza demente.

In Italia la pressione fiscale su chi non puo' evadere, come i lavoratori dipendenti, e' intorno al 50%, tra le piu' alte al mondo. Il costo del lavoro complessivo (di tasse, contributi e contributi a carico delle imprese), invece, e' basso se paragonato a paesi quali Francia e Germania. Come risultato di questi due fattori, i dipendenti hanno stipendi bassi. Ci manca solo di ridurli ulteriormente.

Inoltre, la tua proposta, a parita' di stipendio netto, alzerebbe ulteriormente il costo del lavoro a tempo indeterminato. Mi sembra sbagliato. Il trade off per le aziende dovrebbe essere flessibilita' contro costi, per i lavoratori una sicurezza inferiore contro uno stipendio maggiore. A me sembra che gia' ora la maggior parte dei contratti precari vengano stipulati non per esigenze di flessibilita' ma piu' semplicemente per abbassare ulteriormente il costo del lavoro.

Francamente non capisco perche' gli ammortizzatori per i contratti precari che tu ipotizzi dovrebbero essere solamente a carico dei lavoratori a tempo indeterminato. [...]  i dipendenti hanno stipendi bassi. Ci manca solo di ridurli ulteriormente.

Concordo. Meglio sarebbe sostituire in toto il sistema di ammortizzatori attuali (che sono solo per qualcuno) con una forma di assicurazione (per tutti) simile a quella descritta da Massimo. A Siena io e Andrea dimostreremo che si puo' fare senza aumentare la spesa pubblica e senza "tassare" ulteriormente i lavoratori.

Francamente non capisco perche' gli ammortizzatori per i contratti precari che tu ipotizzi dovrebbero essere solamente a carico dei lavoratori a tempo indeterminato

Veramente io immaginavo che il costo NON fosse a carico dei soli lavoratori a tempo indeterminato con vecchio contratto. Difatti scrivo (parentesi non presente nel post):

Il FAD si finanzia attraverso contributi obbligatori a carico dei lavoratori (vecchi e nuovi) e delle imprese

Poi quanto va a carico delle imprese, dei vecchi e dei nuovi va stabilito dati alla mano. Il vincolo che propongo è far pagare relativamente di più i contratti di vecchio tipo perchè hanno più tutele. 

Capisco l'idea di creare un fondo separato per sottrarlo il piu' possibile all'arbitrio della politica, ma scaricarne il costo sui soli lavoratori dipendenti e' abbastanza demente.

Perchè? In fondo i lavoratori come gruppo beneficiano delle prestazione e a loro si chiede, con un approccio mutualistico, di finanziare le prestazioni. Visto che lo stato non deve spendere per questo tipo di voce sarebbe cosa buona e giusta che riducesse le imposte. Tra un sistema in cui lo stato, intermediando spreca e si mangia buona parte dei fondi e uno in cui "i contributi dei lavoratori rimangono ai lavoratori" tu cosa preferisci?

In Italia la pressione fiscale su chi non puo' evadere, come i lavoratori dipendenti, e' intorno al 50%, tra le piu' alte al mondo. Il costo del lavoro complessivo (di tasse, contributi e contributi a carico delle imprese), invece, e' basso se paragonato a paesi quali Francia e Germania. Come risultato di questi due fattori, i dipendenti hanno stipendi bassi. Ci manca solo di ridurli ulteriormente.

Non dico questo.Intanto, se non devi farsi carico di indennità di disoccupazione e cassa integrazione etc. lo stato potrebbe anche tassare di meno. Inoltre io sarei dell'idea che un contratto più libero porta ad aumentare i salari per chi sceglie meno protezione e a farli diminuire per chi sceglie maggiore protezione. Perchè dico questo? 

Perchè l'impresa potrà dire al lavoratore: sono disponibile ad accordarti il contratto di vecchio tipo se accetti di guadagnare un po' di meno. Invece chi ha il nuovo contratto potrà ottenere retribuzioni più elevate che le imprese saranno disponibili ad accordare in virtù della maggiore flessibilità: ti pago in base a quanto/come produci, posso licenziarti se sono in difficoltà, posso avventurarmi in settori nuovi dove si può guadagnare di più.

ll trade off per le aziende dovrebbe essere flessibilita' contro costi, 

Io dico esattamente questo: le aziende avrebbero la possibilità di assumere con contratto più flessibile a fronte di un costo maggiore (cioè il contributo al FAD)

per i lavoratori una sicurezza inferiore contro uno stipendio maggiore.

Anche questo sostengo (l'ho argomentato più su) con la differenza che invece di far regolare la cosa allo stato lascerei fare al mercato: i lavoratori più flessibili potrebberio ottenere salari più alti perchè:

 

  • vengono assunti da imprese che operano in settori meno maturi e più dinamici e possono permettersi di pagare di più
  • l'impresa sa che può licenziarli e quindi costituiscono un investimento con rischio calcolato
  • i termini del rapporto possono essere regolati in modo più libero (parte del compenso legato ai risultati dell'azienda, parte subordinata al raggiungimento di certi obbiettivi, parte pagata in forma non monetaria con benefit tipo casa, azioni obbligazioni etc.)

 

A me sembra che gia' ora la maggior parte dei contratti precari vengano stipulati non per esigenze di flessibilita' ma piu' semplicemente per abbassare ulteriormente il costo del lavoro.

Non devi pensare solo in termini di

[nuovo contratto= vecchi precari]

ma anche, secondo me, in termini di nuovo contratto =lavori che oggi non esistono e ci sarebbero se fosse possibile la flessibilità.

Poi non dico che l'elevato costo del lavoro non sia un problema, però non è detto che con questa proposta dobbiamo curare tutti i mali. Eliminare le ingiustizie e le rigidità per me sarebbe sufficiente. Poi (qui mi correggano gli economisti se dico una cazzata) la maggiore flessibilità potrebbe agevolare un aumento della produttività e quindi rendere il costo più sopportabile.

Nell'articolo si considera il FAD come un'assicurazione in caso disoccupazione, con contraenti i lavoratori insiders e outsiders, i primi caratterizzati da rischio di disoccupazione più basso rispetto ai secondi, ma al tempo medesimo, gli stessi insiders sarebbero tenuti a pagare il premio assicurativo più alto, contro qualsiasi principio base delle assicurazioni... 

Il tuo ragionamento sarebbe corretto se il premio fosse liberamente determinato dall'assicuratore sulla base della rischiosità degli assicurati. In realtà esiste una distorsione operata dallo stato che protegge gli insider in misura maggiore rispetto agli altri. Per ovviare a questo inconveniente ho immaginato una differenziazione a svantaggio dei lavoratori più protetti.

Visto che il premio non è una facoltà del lavoratore, ma un obbligo di legge, non vedo nessun problema nel prevedere questo tipo di correzione.

NB so che sarebbe molto più lineare che non ci fosse la protezione aggiuntiva e che tutti i lavoratori contribuissero al fondo solo in base alla loro probabilità di rimanere disoccupati. Tuttavia il presupposto di questa proposta è trovare un compromesso con alcune realtà esistenti e difficili da modificare. 

Quello che non riesco a capire e` per quale ragione il lavoratore licenziato dovrebbe essere compensato attraverso degli ammortizzatori sociali e non, piu` semplicemente, attraverso una liquidazione pagata direttamente dall'azienda (proporzionata a salario ed anzianita` di servizio).

Infatti mi pare che solo in questo modo, cioe` facendo pagare ogni singolo licenziamento, si possa sperare di ottenere un effetto di responsabilizzazione da parte delle aziende. Se paga un fondo, la tentazione di licenziare a casaccio alla prima crisi sara` irresistibile (come lo e` la tentazione di prepensionare tutti i prepensionabili).

Se c'è crisi l'azienda non licenzia a casaccio, ma dovrebbe farlo in quanto a decrementi della produzione devono corrispondere diminuzioni della capacità produttiva, altrimenti la produttività va a farsi benedire...

Le riforme del mercato del lavoro dovrebbero andare nella direzione della c.d. "flexicurity", ovvero flessibilità dei posti di lavoro, con accettazione da parte dei lavoratori di brevi periodi di disoccupazione, a fronte della garanzia di venire presto (e possibilmente meglio) ricollocati in settori che in quel momento risultano più produttivi.

Gli elevati costi di licenziamento attuali sono alla base dell'esistenza degli insiders e outsiders nel mercato del lavoro: i primi rimangono tali per l'elevato regime di protezione di cui godono, mentre le imprese tendono a negare l'internship ai secondi in previsione dei costi futuri attesi nell'eventualità di interruzione del rapporto di lavoro.

Infine, per quanto riguarda il fondo, avendo esso carattere assicurativo, le imprese non pagheranno direttamente i costi di licenziamento, però è chiaro che, in caso di aumento dei licenziamenti stessi, il gestore del fondo provvederà ad aumentare debitamente il premio assicurativo nel periodo successivo...

 

Quello che non riesco a capire e` per quale ragione il lavoratore licenziato dovrebbe essere compensato attraverso degli ammortizzatori sociali e non, piu` semplicemente, attraverso una liquidazione pagata direttamente dall'azienda (proporzionata a salario ed anzianita` di servizio).

Gli ammortizzatori servono a supportare il lavoratore nella fase di transizione da un lavoro ad un altro.Il contratto flessibile lascia l'opportunità alle parti di accordarsi su come gestire il capitolo della "liquidazione". Al momento credo che il trattamento di fine rapporto,  equivalga più o meno all'accantonamento di una mensilità per ogni anno lavorato ed è quindi proporzionale sia al salario che all'anzianità di servizio, non so se vale per i precari.

Infatti mi pare che solo in questo modo, cioe` facendo pagare ogni singolo licenziamento, si possa sperare di ottenere un effetto di responsabilizzazione da parte delle aziende. Se paga un fondo, la tentazione di licenziare a casaccio alla prima crisi sara` irresistibile (come lo e` la tentazione di prepensionare tutti i prepensionabili).

Non condivido l'approccio punitivo nei confronti delle imprese. Credo che se un lavoratore è bravo e serve, l'impresa abbia tutto l'interesse a mantenerlo e anzi ove possibile a premiarlo. Non ci sono imprese buone o cattive, ma solo imprese che vogliono fare soldi:parafrasando Smith non è dalla benevolenza dell'impresa che il lavoratore deve attendersi il proprio guadagno, ma dalla sua avidità. Quindi la flessibilità consente alle imprese di perseguire meglio il proprio obbiettivo di fare soldi e di questo beneficeranno anche i lavoratori. 

Non per defocalizzare rispetto all'evoluzione di questa interessante discussione, tuttavia subito dopo la lettura del post ho aperto il "Buongiorno" di Gramellini e l'argomento mi sembra possa avere una qualche attinenza... A partire dal video citato pongo una domanda che da tempo mi faccio: Perché nessuno spiega veramente che cosa vuol dire che la gente deve lavorare fino a 65 anni in un contesto che espelle dalle imprese persone sempre più giovani?

Mi sembra che nessuno chiarisca che c'è differenza tra "allungamento età pensionabile" e "lavorare fino a xx anni"... Forse perché, come diceva Tremonti, altrimenti la gente si spaventa?

 

Credo che rimanere senza lavoro dopo una certà età in Italia sia un incubo (ipotizzando di aver lavorato sempre come dipendenti). Fermo restanto il rispetto e la comprensione per la difficile condizione in cui queste persone vengono a trovarsi, non concordo che la soluzione al loro problema possa consistere nell'imporre a qualcuno (sia esso un ente pubblico o privato) di assumerle.

Come si troverebbero queste persone se la proposta di questo post fosse attuata?

 

  • percepirebbero un consistente indennizzo temporaneo (data l'anzianità contributiva al fondo)
  • avrebbero agevolazioni per riqualificarsi ove opportuno 
  • potrebbero offrire la loro professionalità in modo più appetibile per i datori di lavoro

 

Chi è che determina la miseria delle loro condizioni? Le imprese cattive e i mercati folli, oppure le rigidità di un sistema che a chi volesse assumerli impone oneri non sostenibili?

Chi li salverà? Lo stato buono, che oramai ha le pezze al culo, oppure le imprese senza cuore, che finchè le lasci libere di seguire la propria avidità, sono ben felici di pagare chi le aiuta nel perseguire i propri intenti?

 

Si sente spesso dire che uno che perde il lavoro in Italia a 40-50 anni in Italia ha difficoltà tremende a re-inserirsi (vedere video del commento "Non siamo scarti") io credo che sia vero.

Mi viene in mente che questo fenomeno dovrebbe farci riflettere sugli incentivi che il sistema attuale da ai lavortori per rendersi "impiegabili" in modi alternativi. Intendo impiegabile un lavoratore che cerca di aggiornare le proprie competenze in base a quello che il mercato del lavoro richiede.

Per un precario o un lavoratore più giovane è normale tenerde d'occhio il mercato,o per trovare impieghi migliori o perchè non si sa mai. Fino a qualche tempo fa molti lavoratori a tempo indeterminato pensavano al loro lavoro come a un "posto fisso" (sui giornali di  inserzioni a Roma scrivono ancora così, ma spesso parlano di concorsi pubblici) quindi non avevano alcun incentivo  a rendersi "alternativamente impiegabili". Temo che il fenomeno sia ancora valido per molte grandi imprese (specie banche e assicurazioni) per non parlare del settore pubblico.

La sostituzione graduale tra flessibili e rigidi e la coesistenza ipotizzati nel post potrebbero contribuire, forse, a diffondere una forma mentis più elastica che contribuisca a prevenire e rendere mendo i gravi i problemi di reinserimento anche per lavoratori non più giovani.  

Dato che vivo il problema in prima persona penso, per una volta, di essere il massimo esperto in questo esimio convivio. Avendo poi scelto in gioventù di dedicarmi a una libera professione, posso garantirvi che è anche peggio poichè in questo paese, se cerchi di creare qualcosa, sei considerato quasi un traditore della patria.

Purtroppo parlare di concorrenza in un paese come il nostro non ha senso poichè non si viene giudicati per ciò che si sa fare ma per il titolo che si può vantare.

Personalmente non ho lauree ma quando, sulla base di venticinque anni di esperienza "vissuta", ho dimostrato , numeri alla mano,  che il "Dr." in questione (figlio e nipote dei titolari) era un cretino calzato e vestito, sono stato gentilmente (e con grande imbarazzo da parte di chi ha dovuto materialmente farlo) accompagnato alla porta sentendomi dire che l'azienda non vedeva nei miei risultati i progressi sperati.

 

Mi spiace per l'aneddoto personale.

Credo che sottolinei un passaggio abbastanza importante: là dove manca la concorrenza, non può affermarsi il merito, visto che le imprese che mantengono cretini calzati invece di professionisti qualificati possono sopravvivere impunemente senza essere eliminate dai propri competitor.